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PintoPaga: gli avvocati devono ripresentare le istanze Il Consiglio Nazionale Forense alla luce della nota del ministero della Giustizia invita gli avvocati a ripresentare le istanze di indennizzo entro il 30 giugno 2025

Progetto PintoPaga

Il Ministero della Giustizia ha avviato il 1° gennaio 2025 il Progetto straordinario PintoPaga, un’iniziativa volta a eliminare, entro due anni, l’arretrato accumulato in base alla legge Pinto, riguardante i decreti depositati dalle Corti d’appello tra il 2015 e il 31 dicembre 2022.

Obiettivi del progetto

Il progetto coinvolge circa 80.000 decreti di pagamento, con un debito complessivo di circa 400 milioni di euro. Questo importo comprende sia la sorte capitale, sia interessi e spese legali legate alle azioni esecutive intraprese dai beneficiari per ottenere il pagamento degli indennizzi.

Grazie alla digitalizzazione della procedura, si prevede di pagare tutti i decreti entro il 31 dicembre 2026.

Collaborazione da parte degli avvocati

Per garantire il successo del progetto, il CNF, a seguito della nota emanata dal ministero della Giustizia, invita gli avvocati a ricaricare le istanze di liquidazione e la documentazione necessaria sulla piattaforma SIAMM Pinto digitale entro il 30 giugno 2025.

L’amministrazione avrà tempo fino al 31 dicembre 2026 per valutare e liquidare le istanze.

Innovazione con SIAMM Pinto Digitale

L’elemento innovativo del progetto, spiega via Arenula, è l’estensione del sistema SIAMM Pinto digitale anche ai decreti relativi al periodo 2015-2022. Tale sistema, già utilizzato per i decreti emessi dal 2023, semplifica notevolmente la gestione delle pratiche.

La Legge n. 89/2001 (Legge Pinto) è stata modificata per consentire questa digitalizzazione, come previsto dall’art. 1, commi 817-821, della Legge di Bilancio 2025 (Legge 30 dicembre 2024, n. 207).

Funzionalità della piattaforma SIAMM Pinto Digitale

Accedendo al sistema SIAMM Pinto digitale con SPID o Carta Nazionale dei Servizi, gli utenti possono:

  • Fornire tutte le informazioni richieste;
  • Monitorare autonomamente lo stato delle pratiche;
  • Modificare i dati per il pagamento senza contattare l’amministrazione;
  • Ricevere notifiche automatizzate su ogni cambiamento di stato.

La piattaforma permette inoltre comunicazioni dirette tra i richiedenti e gli uffici incaricati, evitando l’uso di altri canali come PEC o email ordinaria.

Risultati iniziali di PintoPaga

Nei primi cinque giorni di attività sulla piattaforma SIAMM Pinto digitale, informa infine il dicastero, la Direzione Generale Affari Giuridici e Legali ha emesso ben 607 ordinativi di pagamento. Questo dimostra l’efficienza del nuovo sistema digitale.

usucapione la guida

Usucapione: la guida Usucapione: modo di acquisto a titolo originario che consente di acquistare la proprietà per garantire la circolazione della ricchezza

Usucapione nel codice civile

L’usucapione è un istituto giuridico di grande rilievo nel diritto italiano, regolamentato dagli articoli 1158 e seguenti del Codice Civile. Questo istituto giuridico consente l’acquisizione della proprietà o di altri diritti reali su beni mobili o immobili attraverso il possesso continuativo nel tempo, purché ricorrano determinate condizioni.

Cos’è l’usucapione?

L’usucapione rappresenta un modo di acquisto della proprietà. Essa si sostanzia in una forma di consolidamento giuridico del possesso, che trasforma un possesso di fatto in un diritto di proprietà o altro diritto reale.

Possesso e detenzione: differenze

Per chiarezza è necessario precisare che il possesso non deve essere confuso con la detenzione. Si tratta infatti di due situazioni giuridiche differenti, che riguardano il rapporto tra una persona e un bene.

Il possesso consiste in un potere che viene esercitato su un bene e che si manifesta esternamente in una attività che metterebbe in atto il soggetto titolare della proprietà o di un altro diritto reale.

La detenzione è invece una situazione di fatto in cui una persona ha la disponibilità materiale di un bene, ma riconosce che la proprietà appartiene ad un altro. Chi detiene un bene lo fa in nome e per conto di un altro (es: locatario, comodatario).

Il possesso si distingue dalla detenzione per le seguenti caratteristiche:

animus possidendi: il possessore ha l’intenzione di esercitare un potere sulla cosa come se fosse il proprietario, mentre il detentore riconosce un diritto superiore altrui;

titolo: il possessore può avere un titolo (anche non valido) capace di giustificare il suo possesso,   il detentore invece ha un titolo che lo lega a un altro soggetto (es: contratto di locazione).

Possesso: requisiti fondamentali

Ai sensi dell’articolo 1158 del Codice Civile, il possesso deve essere:

  • continuo e ininterrotto: l’utilizzatore del bene deve esercitare il possesso in modo stabile, senza interruzioni, per un determinato periodo di tempo;
  • pacifico: il possesso non deve essere acquisito con atti violenti o clandestini;
  • pubblico: deve essere evidente e non nascosto;
  • corretto (non vizioso): non deve derivare da dolo o mala fede.

Termini per usucapire

La durata necessaria per l’usucapione varia in base alla natura del bene e alla presenza di eventuali condizioni agevolative.

  • Beni immobili: secondo l’articolo 1158, il possesso continuato per 20 anni consente di acquisire la proprietà dell’
  • Beni mobili: per i beni mobili, il termine è ridotto a 10 anni, ai sensi dell’articolo 1161, se il possesso è accompagnato dalla buona fede e da un titolo idoneo.
  • Usucapione abbreviata: se si possiede un titolo idoneo e si è in buona fede, il termine per l’usucapione di beni immobili si riduce a 10 anni, ai sensi dell’articolo 1159.

Decorrenza dei termini

Il momento in cui inizia a “correre il tempo” per acquisire la proprietà di un bene attraverso l’usucapione è variabile.

  • Nell’usucapione ordinaria: il termine inizia a decorrere dal momento in cui si acquisisce il possesso del bene. Se inizialmente il possesso è stato violento o clandestino, il termine inizia a decorrere solo da quando cessa questa situazione.
  • Nell’usucapione abbreviata: invece inizia a decorrere dalla data in cui viene trascritto un titolo che, pur non essendo ancora perfetto, potrebbe in futuro diventare tale (ad esempio, un contratto preliminare).
  • Usucapione da parte di chi vanta un diritto reale minore: se una persona ha già un diritto su un bene (ad esempio, l’usufrutto), ma vuole diventare il proprietario, deve “cambiare titolo” al suo possesso. Questo cambio di titolo prende il nome di “interversione del possesso”, ed è da questo momento inizia a decorrere il termine per l’usucapione.
  • Usucapione da parte di chi ha un diritto personale: se una persona ha invece solo un diritto di godimento su un bene (ad esempio, un contratto di locazione), può diventare possessore e quindi iniziare l’usucapione se “muta la detenzione in possesso”. Anche in questo caso, il termine inizia a decorrere da questo momento.

Il termine per l’usucapione inizia quindi a decorrere dal momento in cui si verificano le condizioni necessarie per far scattare questo istituto giuridico.

Interruzione dell’usucapione

L’interruzione dell’usucapione si verifica nei seguenti casi:

– perdita del possesso;

– atti giudiziali che contestano il possesso, come l’azione di rivendicazione;

– atti di riconoscimento del diritto altrui.

Effetti dell’usucapione

L’usucapione produce l’effetto di trasferire la proprietà o altri diritti reali, come il diritto di usufrutto, ad esempio, senza la necessità di un atto formale di trasferimento. Tuttavia, il riconoscimento giuridico dell’usucapione richiede una sentenza accertativa da parte del tribunale o un accordo di natura stragiudiziale, soggetto a trascrizione presso i registri immobiliari.

Importanza dell’istituto

L’usucapione svolge una funzione economica e sociale, permettendo il recupero e l’utilizzo di beni abbandonati o non gestiti dal proprietario originario. Rappresenta un modo per garantire la circolazione della ricchezza immobiliare e per tutelare chi effettivamente investe e si occupa del bene.

 

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giurista risponde

Conducente in stato di ebbrezza e risarcimento del terzo passeggero Il passeggero terzo, vittima di un sinistro stradale, ha diritto ad ottenere il risarcimento dell’assicurazione se il conducente dell’auto ha bevuto alcolici?

Quesito con risposta a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo

 

L’accertamento dell’esistenza e del grado della colpa della persona che, accettando di farsi trasportare da un conducente in stato di ebbrezza, patisca danno in conseguenza d’un sinistro stradale, è apprezzamento riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità. La colpa non è sempre imputabile in capo a chi, dopo aver accettato di essere trasportato a bordo di un veicolo con una persona ubriaca alla guida, rimane coinvolto in un sinistro stradale di cui la responsabilità è rinvenibile a capo del conducente. È il giudice che deve valutare, caso per caso, l’esistenza e il grado della colpa del trasportato nel causare il sinistro (Cass., sez. III, 17 settembre 2024, n. 24920).

Il caso in oggetto prende le mosse dalle lesioni riportate da un soggetto trasportato a bordo di un autoveicolo. Di tale danno il terzo trasportato chiese il risarcimento al vettore ed al suo assicuratore.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello attribuirono alla vittima un concorso di colpa del 50%, in quanto il terzo trasportato aveva fornito un contributo causale all’avverarsi del da lui stesso sofferto, accettando di essere trasportato a bordo di un veicolo condotto da una persona in evidente stato di ebbrezza.

Il soggetto trasportato ricorre in Cassazione e questa dichiara improcedibile il ricorso.

Tuttavia, la Corte affronta la questione prendendo le mosse dal principio sancito dall’art. 1227 c.c. il quale prevede che, se il comportamento colpevole della vittima ha concorso a causare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. È quindi possibile escludere o ridurre il diritto al risarcimento del danno di persona trasportata su un veicolo condotto in stato di ebrezza.

In quest’ottica la Suprema Corte si occupa della questione concernente la compatibilità tra il diritto comunitario e l’art. 1227, comma 1, c.c. Sul punto, la Corte, nel richiamare la normativa comunitaria in materia, preliminarmente fa riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia 30 giugno 2005, che ha affermato due principi. Secondo il primo, il diritto comunitario, in tema di assicurazione, sarebbe “privato del suo effetto utile” in presenza d’una normativa nazionale che negasse al passeggero il diritto al risarcimento – ovvero lo limitasse in misura sproporzionata – “in base a criteri generali ed astratti”. Per il secondo, il diritto comunitario consente, invece, agli Stati membri di limitare il risarcimento dovuto al trasportato “in base ad una valutazione caso per caso” di circostanze eccezionali. Pertanto, mentre contrasterebbe con l’art. 13 Direttiva 2009/103 una norma di diritto interno che escludesse o limitasse ipso facto il diritto al risarcimento del passeggero, per il solo fatto di avere preso posto a bordo d’un veicolo condotto da persona ubriaca, non viola per contro il diritto comunitario una norma di diritto nazionale che, senza fissare decadenze o esclusioni in linea generale, consente al giudice di valutare caso per caso, secondo le regole della responsabilità civile, se la condotta della vittima possa o meno ritenersi colposamente concorrente alla produzione del danno.

Alla luce di quanto sopra premesso, la Corte enuncia dei principi fondamentali di diritto.

In primo luogo, afferma che l’art. 1227, comma 1, c.c., interpretato in senso coerente con la Direttiva 2009/103, non consente di ritenere, in via generale e astratta, che sia sempre e necessariamente in colpa la persona la quale, dopo aver accettato di essere trasportata a bordo d’un veicolo a motore condotto da persona in stato di ebbrezza, rimanga coinvolta in un sinistro stradale ascrivibile a responsabilità del conducente; una simile interpretazione infatti contrasterebbe con l’art. 13, par. 3, della Direttiva 2009/103, nella parte in cui vieta agli Stati membri di considerare “senza effetto”, rispetto all’azione risarcitoria spettante al trasportato, qualsiasi disposizione di legge […] che escluda un passeggero dalla copertura assicurativa in base alla circostanza che sapeva o avrebbe dovuto sapere che il conducente del veicolo era sotto gli effetti dell’alcol.

Spetterà, quindi, al giudice di merito valutare in concreto, secondo tutte le circostanze del caso, se ed in che misura la condotta della vittima possa dirsi concausa del sinistro, fermo restando il divieto di valutazioni che escludano interamente il diritto al risarcimento spettante al trasportato nei confronti dell’assicuratore del vettore. Da ultimo l’accertamento dell’esistenza e del grado della colpa della persona che, accettando di farsi trasportare da un conducente in stato di ebbrezza, patisca danno in conseguenza d’un sinistro stradale, è apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se rispettoso dei parametri dettati dal primo comma dell’art. 1227 c.c.

 

(*Contributo in tema di “Conducente in stato di ebbrezza e risarcimento del terzo passeggero”, a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

amministratore di condominio

Amministratore di condominio: chi è e cosa fa Amministratore di condominio: chi è, cosa fa, quali requisiti deve avere per gestire un condominio, nomina, revoca e compenso

Amministratore di condominio: chi è

L’amministratore di condominio è una figura fondamentale per la gestione ordinaria e straordinaria degli edifici condominiali. La normativa italiana disciplina il suo ruolo, i requisiti, le modalità di nomina e di revoca e i compiti che deve svolgere per garantire il buon funzionamento del condominio. In questo articolo approfondiamo tutto quello che c’è da sapere sull’amministratore di condominio secondo il Codice Civile e la giurisprudenza.

Chi può fare l’amministratore di condominio?

L’articolo 71-bis delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile stabilisce i requisiti per diventare amministratore di condominio. Nello specifico, può ricoprire questo ruolo chi:

  • ha il pieno godimento dei diritti civili;
  • non ha subito condanne penali per reati contro il patrimonio o per altri reati gravi;
  • non è stato sottoposto a misure di prevenzione;
  • è in possesso del diploma di scuola secondaria superiore;
  • ha frequentato un corso di formazione iniziale e svolge periodicamente corsi di aggiornamento.

Di tali requisiti devono essere in possesso anche agli amministratori interni al condominio, salvo il requisito del diploma e del corso di formazione.

Obblighi di formazione e aggiornamento

L’amministratore deve quindi frequentare corsi di formazione iniziale e aggiornamenti periodici per mantenere i requisiti di legge. Questa misura garantisce che la figura professionale sia sempre in linea con le normative e le buone prassi.

Quali sono i compiti dell’amministratore di condominio

L’amministratore di condominio svolge funzioni di gestione e rappresentanza, con compiti definiti dall’articolo 1130 del Codice Civile, tra i quali troviamo:

  • l’esecuzione delle delibere assembleari: assicura l’attuazione delle decisioni prese dall’assemblea condominiale;
  • la gestione delle parti comuni: cura la manutenzione ordinaria e straordinaria degli spazi condivisi come scale, cortili e impianti;
  • la riscossione delle quote condominiali: provvede a richiedere i contributi dai condomini e a gestire il fondo comune;
  • la tenuta dei registri condominiali: conserva il registro dei verbali delle assemblee, quello dell’anagrafe condominiale e gli altri documenti previsti dalla legge;
  • la rappresentanza legale del condominio: rappresenta il condominio nei rapporti con terzi e nelle eventuali controversie legali.

Come viene nominato l’amministratore di condominio

La nomina dell’amministratore è disciplinata dall’articolo 1129 del Codice Civile. Essa è obbligatoria nei condomini con più di otto condomini. La nomina viene deliberata dall’assemblea condominiale, con la maggioranza qualificata prevista dall’articolo 1136 comma 2, ossia con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.

La delibera deve indicare i termini del mandato, la durata (di norma annuale) e il compenso concordato.

Quando e come può essere revocato l’amministratore

La revoca può essere volontaria o giudiziale.

  • Revoca volontaria: l’assemblea può deliberare la revoca con le stesse modalità della nomina, anche prima della scadenza naturale del mandato.
  • Revoca giudiziale: prevista dall’articolo 1129, può essere richiesta da un singolo condomino al tribunale in caso di gravi irregolarità, come la mancata convocazione dell’assemblea annuale o la mancata rendicontazione delle spese.

Tra le gravi irregolarità che possono condurre alla revoca del mandato identificate dalla giurisprudenza vi sono:

  • l’utilizzo improprio dei fondi condominiali;
  • la mancata trasparenza nella gestione economica;
  • l’omissione di interventi urgenti per la manutenzione.

Quanto guadagna un amministratore di condominio

Il compenso dell’amministratore non è regolamentato dalla legge, ma deve essere concordato al momento della nomina e riportato nella delibera assembleare. Esso può variare in base alla complessità del condominio, al numero di unità abitative e ai servizi richiesti.

 

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servitù di passaggio

Servitù di passaggio: tutto quello che devi sapere Servitù di passaggio: cos'è come è disciplinata dal codice civile, quando è coattiva, come si estingue e cosa dice la Cassazione

Cos’è la servitù di passaggio?

La servitù di passaggio è un diritto reale di godimento che consente al proprietario di un fondo, detto “fondo dominante”, di utilizzare un altro fondo, chiamato “fondo servente”, per accedere a una strada pubblica o per altre necessità. Questo diritto è regolato dal codice civile e rappresenta una limitazione al diritto di proprietà del fondo servente, bilanciata dall’utilità che ne deriva al fondo dominante.

Come si costituisce

Questa servitù può essere costituita in diversi modi, secondo quanto previsto dal codice civile.

  • Per contratto o testamento: si tratta della modalità più comune, con un accordo tra le parti formalizzato per iscritto e spesso trascritto nei registri immobiliari.
  • Per usucapione: si verifica quando il diritto viene esercitato in maniera continuativa e pubblica per il periodo previsto dalla legge, solitamente vent’anni.
  • Per destinazione del padre di famiglia: accade quando due fondi originariamente appartenenti allo stesso proprietario vengono separati, e uno dei fondi risulta strutturalmente destinato a garantire il passaggio all’altro.
  • Per legge: la normativa stabilisce che la servitù può essere imposta quando un fondo è intercluso, ossia non ha accesso alla strada pubblica.

Normativa del codice civile

Gli articoli 1027 e seguenti del codice civile disciplinano le servitù prediali, comprese quelle di passaggio, alcuni di essi però risultano fondamentali per comprendere questo tipo di servitù.

  • Articolo 1027: definisce la servitù come il peso imposto su un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.
  • Articolo 1032: regola la servitù di passaggio forzoso in caso di interclusione, prevedendo che il proprietario del fondo intercluso possa ottenere il passaggio sul fondo altrui dietro indennizzo.
  • Articolo 1051: stabilisce che il passaggio deve essere concesso nel punto in cui risulta meno gravoso per il fondo servente.

Servitù di passaggio coattiva

Si definisce servitù “coattiva” di passaggio quella che viene imposta dal giudice, anche contro la volontà del proprietario del fondo servente. La stessa si può richiedere quando il fondo è completamente circondato da altri e non ha alcuna uscita sulla via pubblica e nel caso in cui, pur esistendo un accesso, lo stesso è troppo piccolo, scomodo o insufficiente per le esigenze del fondo.Il percorso del passaggio viene stabilito dal giudice tra quello più diretto possibile per raggiungere la via pubblica e meno dannoso per il fondo sul quale si istituisce la servitù.

Cause di estinzione

La servitù di passaggio può estinguersi nei seguenti modi:

  • Confusione: un unico soggetto diventa proprietario sia del fondo dominante che di quello servente, la servitù cessa di esistere perché non ha più senso.
  • Prescrizione: se il proprietario del fondo dominante non utilizza il passaggio per 20 anni consecutivi, la servitù si estingue per non uso. E’ bene precisare che se il passaggio diventa inutile o temporaneamente impossibile, la servitù non si estingue finché non trascorrono i 20 anni di non uso.

Giurisprudenza della Cassazione

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha affrontato più volte le controversie relative alla servitù di passaggio, contribuendo a chiarire diversi aspetti applicativi, alcuni dei quali di fondamentale importanza per comprendere l’istituto.

  • Interclusione: il diritto di servitù si applica solo se il fondo è effettivamente privo di accesso alla strada pubblica e non vi sono alternative ragionevoli.
  • Usucapione: per costituire una servitù per usucapione il passaggio deve essere esercitato in modo continuo e non contestato per vent’anni.
  • Limiti del diritto: il diritto di passaggio deve essere esercitato nel rispetto della proprietà altrui, evitando usi eccedenti o non conformi all’

 

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palazzo chigi

Ddl Piccole e medie imprese Ddl Piccole e medie imprese: il 14 gennaio 2025 il Consiglio dei ministri ha approvato il primo Ddl sulle PMI. Ecco le novità

Approvato il primo disegno di legge annuale sulle PMI

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha approvato il primo disegno di legge annuale dedicato alle micro, piccole e medie imprese (PMI). Questo provvedimento introduce misure innovative e strategiche per sostenere il tessuto produttivo italiano, con un focus su aggregazione, innovazione e accesso al credito.

Misure chiave per le PMI: innovazione, crescita e tutela

Tra le principali novità del disegno di legge spiccano i “Mini Contratti di Sviluppo” destinati al settore Moda, le Centrali consortili per il coordinamento delle filiere produttive e nuovi incentivi fiscali per le reti d’impresa. Inoltre, il testo promuove il ricambio generazionale con agevolazioni per l’assunzione di giovani e introduce norme contro le false recensioni online, garantendo una maggiore tutela della concorrenza.

Il ministro Urso ha descritto questa iniziativa come una svolta per la politica industriale italiana: “Le PMI sono il cuore pulsante della nostra economia. Questo ddl le valorizza attraverso misure mirate a innovazione, competitività e crescita”. Il provvedimento rappresenta la prima applicazione dell’articolo 18 della Legge 180/2011, rimasto inattuato dai governi precedenti.

“Mini Contratti di Sviluppo” per il settore moda

Per sostenere le PMI del comparto Moda, il ddl destina fino a 100 milioni di euro ai “Mini Contratti di Sviluppo”, mirati a finanziare programmi di investimento tra i 3 e i 20 milioni di euro. L’obiettivo è incentivare l’aggregazione tra imprese, potenziando la loro capacità di innovare e competere sui mercati globali.

Centrali consortili: il nuovo modello di cooperazione

Un’altra misura innovativa è l’introduzione delle Centrali consortili, nuovi enti giuridici che coordinano le imprese già organizzate in consorzi di filiera. Questi enti rafforzano la competitività delle PMI attraverso una gestione centralizzata ed efficiente. Entro 12 mesi, il Governo disciplinerà il funzionamento e la vigilanza di tali strutture.

Accesso al credito semplificato con il riordino dei Confidi

Per facilitare l’accesso al credito, il ddl attribuisce al Governo una delega per il riordino della normativa sui Confidi. Tra le novità: revisione dei requisiti di iscrizione, ampliamento delle attività consentite e incentivi per l’integrazione tra consorzi. Questo intervento mira a semplificare le procedure e ridurre i costi per le imprese.

Incentivi fiscali e ricambio generazionale

Le PMI che aderiscono a contratti di rete potranno beneficiare di agevolazioni fiscali, con la sospensione d’imposta sugli utili destinati a investimenti comuni. Inoltre, la disposizione sulla staffetta generazionale promuove il pensionamento flessibile e incentiva l’assunzione di giovani under 35, garantendo il trasferimento di competenze tra generazioni.

Norme contro le false recensioni online

Per tutelare la concorrenza, il ddl introduce un sistema di verifica dell’autenticità delle recensioni online, obbligando i consumatori a rilasciare giudizi solo dopo aver usufruito del servizio o prodotto. Le imprese potranno richiedere la rimozione di recensioni false o non aggiornate.

Un testo unico per startup e PMI innovative

Infine, il disegno di legge delega il Governo alla redazione di un testo unico su startup e PMI innovative, coordinando le normative vigenti e abrogando quelle obsolete. Viene inoltre potenziata la figura del Garante, con l’obiettivo di rafforzare l’ecosistema dell’innovazione tecnologica in Italia.

consenso informato

Consenso informato: la guida Consenso informato: cos’è, la legge di riferimento, come e quando viene acquisito, problemi di privacy e mancata acquisizione

Cos’è il consenso informato?

Il consenso informato è il diritto di ogni paziente di ricevere informazioni chiare, esaustive e comprensibili sulle proprie condizioni di salute e sui trattamenti proposti. Il tutto per poter decidere in modo consapevole se accettarli o meno. Dal punto di vista giuridico si tratta di un atto essenziale che tutela la dignità e l’autonomia della persona. Esso sancisce infatti il diritto all’autodeterminazione in ambito sanitario. Nessun trattamento infatti può essere iniziato o proseguito, salvo eccezioni, se prima non si ottiene il consenso libero e informato del soggetto interessato.

Qual è la normativa di riferimento

La legge n. 219/2017, conosciuta anche come “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, rappresenta la base normativa principale in Italia. Questo provvedimento integra i principi costituzionali, le disposizioni del codice civile e penale, e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Essa riconosce il diritto del paziente a essere adeguatamente informato e a esprimere il proprio consenso o dissenso a qualsiasi trattamento sanitario, incluso quello salvavita.

Quando è obbligatorio?

Il consenso informato è obbligatorio in tutte le situazioni che comportano un trattamento sanitario, come interventi chirurgici, terapie farmacologiche o esami diagnostici invasivi. Esso deve essere richiesto prima di ogni intervento, a meno che non ci siano situazioni di emergenza che rendano impossibile raccoglierlo e che richiedano interventi immediati per salvaguardare la vita del paziente.

Nei casi in cui il paziente non sia in grado di esprimere la propria volontà, perché minore di età, interdetto, inabilitato o assistito da un amministratore di sostegno, il consenso deve essere richiesto al rappresentante legale o al fiduciario designato, secondo le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

Come viene acquisito il consenso informato

Il consenso informato viene acquisito, in genere, nei modi e con gli strumenti che risultano più adatti alle condizioni del paziente. Dal punto di vista prettamente pratico è documentato in forma scritta o mediante una video registrazione o attraverso strumenti che consentano al disabile di poter comunicare la propria volontà. Una volta acquisito, il consenso viene inserito nella cartella clinica del paziente e all’interno del fascio unitario elettronico.

Consenso informato e privacy: cosa dice la legge?

La raccolta del consenso è strettamente legata alla tutela della privacy. Il trattamento dei dati personali del paziente deve avvenire nel rispetto del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) e del Codice della Privacy (d.lgs. 196/2003). Le informazioni sanitarie raccolte devono essere quindi gestite con la massima riservatezza e utilizzate esclusivamente per le finalità indicate, con il consenso esplicito del paziente.

Cosa succede se non viene rispettato?

La mancata acquisizione del consenso informato comporta gravi conseguenze sia sotto il profilo civile che penale. Da un punto di vista civile, il medico o la struttura sanitaria possono essere chiamati a risarcire i danni subiti dal paziente, anche se il trattamento ha avuto esito positivo. Penalmente invece, l’assenza del consenso può configurare i reati di lesioni personali o violenza privata.

 

Leggi anche: Consenso informato: non è voce autonoma di danno

giurista risponde

Amministrazione di sostegno: le valutazioni del giudice Quali parametri e presupposti devono orientare il giudice nel disporre l’apertura di un’amministrazione di sostegno?

Quesito con risposta a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo

 

L’istituto dell’amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere, senza mortificarla, la persona affetta da una disabilità fisica o psichica tale da renderla inadeguata a provvedere ai suoi interessi. La misura deve essere modellata dal giudice tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilità. Il giudice deve valutare non solo l’an della misura, ma anche il quid ed il quomodo dovendosi privilegiare il rispetto del diritto fondamentale della persona di autodeterminarsi nelle scelte di vita e personali, anche quando non approvate dal contesto familiare e sociale, purché da queste scelte non ne derivi un concreto pregiudizio per la persona stessa (Cass., sez. I, ord. 10 settembre 2024, n. 24251).

L’ordinanza in esame discende da un reclamo avverso il decreto con il quale il giudice tutelare aveva aperto un’amministrazione di sostegno in favore di un soggetto su istanza presentata dai servizi sociali territoriali.

Il ricorrente aveva espresso forte opposizione alle limitazioni conseguenti alla misura di protezione, sostenendo di essere in grado di provvedere autonomamente ai propri interessi sanitari e patrimoniali, contestando i fatti allegati a sostegno del ricorso.

Il Tribunale confermava il decreto impugnato, tranne che per quanto concerne il consenso ai trattamenti sanitari, che configurava in termini di mera assistenza, sul rilievo che l’amministrato ha una menomazione fisica e psichica e percepisce un’indennità di accompagnamento; pur se è in grado di ben esprimere i suoi desideri e la sua volontà, necessita di una misura di protezione con particolare riguardo agli aspetti di “straordinaria amministrazione”, in quanto dai suoi estratti conto è emerso un frequente ricorso al credito e spese rilevanti in locali di giochi e scommesse.

Avverso il menzionato provvedimento è stato proposto ricorso per Cassazione con cui l’istante lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la erronea e falsa applicazione dell’art. 404 c.c. e dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La decisione del Tribunale si porrebbe in violazione del principio di autodeterminazione dell’individuo, per avere confermato l’amministrazione di sostegno nonostante il convinto, fermo e deciso parere contrario del ricorrente e, per avere di fatto illegittimamente trasformato la misura di mera assistenza e sussidiarietà, prevista dal legislatore, in una misura altamente afflittiva, che prevede la quasi totale sostituzione del beneficiario.

Deduce che le limitazioni previste alla sua libertà di autodeterminazione mal si conciliano con il riconoscimento della sua piena capacità, tra le quali la gestione ordinaria del patrimonio mobiliare e immobiliare, il ricevere notifiche di atti, ritirare ogni genere di corrispondenza, la partecipazione alle assemblee di condominio, la rappresentanza in eventuali procedimenti giudiziari, la gestione ordinaria dei rapporti pensionistici, la chiusura di conti correnti, libretti e depositi postali e l’effettuare i pagamenti necessari alle esigenze del beneficiario, salvo che per le piccolissime spese della quotidianità etc.

Il giudice di merito, nonostante avesse riconosciuto la necessità dell’applicazione dell’amministrazione di sostegno per i soli aspetti di straordinaria amministrazione, ha di fatto, secondo il ricorrente, illegittimamente confermato le ingerenze e limitazioni nella gestione patrimoniale ordinaria.

La Suprema corte, in accoglimento del ricorso, ribadisce che l’istituto della amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere, senza mortificarla, la persona affetta da una disabilità fisica o psichica tale da renderla inadeguata a provvedere ai suoi interessi; la misura è caratterizzata da un alto grado di flessibilità e la legge chiama il giudice all’impegnativo compito di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, così da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile con il minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione. (Cass., Sez. Un., 30 luglio 2021, n. 21985; Corte cost. 10 maggio 2019, n. 114; Cass. 4 marzo 2020, n. 6079).

L’accertamento della ricorrenza dei presupposti per l’apertura di tale misura, in linea con le indicazioni contenute nell’art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità, deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario, la cui volontà contraria, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione dal giudice, sia rispetto all’incidenza della stesse sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, verificando la possibilità, in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi come, ad esempio, avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe o di un’adeguata rete familiare. (Cass. 11 luglio 2022, n. 21887).

Da ciò discende che il provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno, nella parte in cui estende al beneficiario limitazioni previste per l’interdetto e l’inabilitato, deve essere sorretto da una specifica motivazione che giustifichi la ragione per la quale si limita la sfera di autodeterminazione del soggetto e della misura in cui la si limita e le decisioni che non rispettano i desiderata del beneficiario devono fondarsi non solo sulla rigorosa valutazione che egli non sia capace di adeguatamente gestire i propri interessi e di assumere decisioni adeguatamente protettive, ma anche sulla preventiva valutazione della possibilità di ricorrere a strumenti alternativi di supporto e non limitativi della capacità, in modo da proteggere gli interessi della persona senza mortificarla, preservandone la dignità, e solo ove questo non sia possibile, può farsi luogo alle compressione della capacità.

In questi termini si apprezza la compatibilità della misura con il sistema costituzionale.

Deciso l’an della misura non possono conseguire automatismi e non possono adottarsi provvedimenti stereotipati ovvero usare moduli standardizzati, poiché dalla apertura dell’amministrazione non discende, quale effetto legale, che la persona debba essere assistita o sostituita in tutte le attività giuridicamente rilevanti, ma solo in quegli ambiti in cui il giudice ha rilevato specifiche criticità e deficit di competenze decisorie e gestorie che possono causare un serio pregiudizio alla persona.

Le caratteristiche dell’istituto impongono, pertanto, che siano perimetrati i poteri gestori dell’amministratore in termini direttamente proporzionati alle esigenze rilevate, alle condizioni di menomazione del beneficiario ed all’incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, di modo che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.

Si deve, inoltre, osservare che l’art. 410 c.c. impone all’amministratore di sostegno di informare il beneficiario circa gli atti da compiere e, in caso di dissenso, il giudice tutelare, dimostra come, in ogni caso, l’opinione del beneficiario debba essere tenuta in considerazione, pur se ne venga limitata la capacità.

Limitare la capacità nella minor misura possibile significa, dunque, non soltanto selezionare specificamente gli atti che il beneficiario non può compiere o non può compiere da solo, ma altresì preservare, anche con riferimento a questi atti, il diritto del beneficiario di esprimere la propria opinione e di partecipare, nella misura in cui lo consenta la sua condizione, alla formazione delle decisioni che lo riguardano.

Nel provvedimento di apertura della amministrazione deve esistere una ragionata corrispondenza tra i deficit rilevati, le risorse della persona interessata e della sua famiglia, e i poteri attribuiti all’amministratore devono essere conferiti nell’ottica di perseguire il miglior interesse della persona, senza comprimerne inutilmente la libertà.

Dei principi esposti i giudici di merito non hanno fatto buon governo, mancando nell’ordinanza impugnata la valutazione e motivazione della proporzionalità delle limitazioni imposte al beneficiario che sono particolarmente incisive e penetranti.

Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione del provvedimento impugnato ed il rinvio al Tribunale territoriale, in diversa composizione, per nuovo esame.

 

(*Contributo in tema di “Amministrazione di sostegno”, a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

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Avvocato e direttore IVG: c’è incompatibilità? Il Consiglio Nazionale Forense risponde al quesito sottoposto dal COA di Crotone sull'incompatibilità o meno tra l'esercizio della professione forense e il ruolo di direttore dell'IVG

Avvocato e direttore IVG: il quesito al CNF

Avvocato e direttore IVG, si può? E’ il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Crotone ad aver recentemente sollevato il quesito di particolare rilevanza deontologica e normativa.

Nello specifico, il COA ha chiesto al CNF di sapere se è compatibile l’esercizio della professione forense con l’attività di direttore dell’IVG (Istituto Vendite Giudiziarie) nell’ambito dello stesso circondario di tribunale.

Il parere del CNF

Il CNF ha risposto con parere n. 58/2024 pubblicato il 9 gennaio 2025 sul sito del Codice deontologico.

Innanzitutto, occorre ricordare che l’art. 18 del Codice Deontologico Forense disciplina le cause di incompatibilità con l’esercizio della professione di avvocato, stabilendo che l’avvocato deve astenersi da attività che possano compromettere il decoro e la dignità della professione, o che determinino un conflitto di interessi. Tra le attività potenzialmente incompatibili figurano quelle che comportano subordinazione o che richiedano l’assunzione di responsabilità gestionali di un’impresa.

Fatte queste premesse, il Consiglio ha affermato che “fermo restando che l’attività di delegato alle vendite giudiziarie è una delle attività che l’avvocato può esercitare – su incarico del giudice – nel caso sottoposto all’esame sarà il COA a dover verificare, nell’esercizio della propria autonomia di valutazione, se l’attività di Direttore dell’IVG sia tale da configurare l’esistenza di una delle cause di incompatibilità previste dall’articolo 18 della legge professionale, anche alla luce delle valutazioni circa la natura giuridica dell’IVG”.

esami avvocato

Esami avvocato: Aiga chiede proroga del regime transitorio L'associazione dei Giovani Avvocati ha inviato una proposta di emendamento al decreto Milleproroghe in discussione in Parlamento

Esami avvocato proroga “vecchio” regime

Esami avvocato: l’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA) ha inviato a tutte le forze parlamentari una proposta di emendamento al Decreto Milleproroghe, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, per prorogare il regime transitorio delle modalità di svolgimento dell’esame di abilitazione alla professione forense anche per l’anno 2025, confermando quelle adottate per le sessioni 2023 e 2024.
“AIGA esprime la preoccupazione di migliaia di giovani praticanti avvocati, che attualmente non hanno certezze sulle modalità dell’esame”, afferma Carlo Foglieni, presidente AIGA.
“La richiesta è quella di prorogare l’entrata in vigore delle modalità stabilite dalla Legge 247/12, favorendo così una continuità con le procedure attuali. È evidente infatti che, nonostante le numerose proroghe e le modifiche legislative intervenute nel tempo, l’attuale disciplina dell’esame di abilitazione prevista dalla Legge 247/2012 sia superata e non rispondente alle esigenze di preparazione degli aspiranti avvocati: l’introduzione obbligatoria delle Scuole forensi e l’adozione di modalità d’esame emergenziali negli ultimi anni hanno contribuito a delineare un quadro normativo e formativo più articolato e diversificato”.

Coerenza e continuità nel percorso di abilitazione

La proposta dell’AIGA mira a garantire una maggiore coerenza e continuità nel percorso di abilitazione, riducendo le incertezze per i candidati e mantenendo la modalità speciale di svolgimento dell’esame che prevede una prova scritta (atto giudiziario) e un orale trifasico, già sperimentata con successo nella sessione 2023-24.
“La proroga del regime transitorio è un passo necessario per garantire un esame più equo e adeguato ai tempi”, conclude Foglieni. “Ma restiamo in attesa dell’adozione di una modifica normativa che preveda l’adeguamento, l’aggiornamento e l’ottimizzazione della disciplina in tema di esame d’abilitazione, offrendo finalmente ai giovani praticanti avvocati un percorso di abilitazione chiaro e ben definito, in linea con le attuali esigenze della formazione forense”.