il tribunale dei ministri

Il Tribunale dei Ministri Cos’è il Tribunale dei Ministri, qual è la sua disciplina, come funziona e quali sono le sue competenze specifiche

Cos’è il Tribunale dei Ministri

Il Tribunale dei Ministri è una sezione speciale del Tribunale ordinario del distretto di Corte d’Appello competente per territorio, composta da tre magistrati estratti a sorte tra quelli appartenenti al tribunale stesso. Esso è stato istituito per garantire che i membri del Governo rispondano penalmente delle proprie azioni compiute nell’esercizio delle loro funzioni. Questa sezione giudica sulle eventuali responsabilità penali dei membri del governo (presidente del Consiglio dei ministri e ministri) per atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni. Si tratta infatti di una deroga al principio generale di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giustificata dalla delicatezza e dalla specificità del ruolo dei ministri. La sua disciplina è affidata alla legge costituzionale n. 1/1989 che ha modificato, tra gli altri, l’art. 96 Cost.

Come funziona il procedimento

Il procedimento che si svolge davanti a questa autorità segue un iter ben definito:

  1. Indagini preliminari: la competenza a svolgere le indagini spetta alla Procura della Repubblica del tribunale ordinario competente per territorio. Se emergono elementi di reato, il fascicolo viene trasmesso al Tribunale dei Ministri.
  2. Valutazione preliminare: il Tribunale esamina il caso per stabilire se sussistano i presupposti per procedere. Se ritiene che vi siano elementi sufficienti, trasmette la richiesta alla Camera di appartenenza del ministro interessato per l’autorizzazione a procedere.
  3. Autorizzazione parlamentare: l’autorizzazione a procedere è un passaggio fondamentale. Il Parlamento valuta se il reato contestato sia connesso all’esercizio delle funzioni governative e decide se concedere o meno l’autorizzazione alla prosecuzione del processo.
  4. Giudizio: in caso di autorizzazione, il Tribunale dei Ministri procede secondo le normali regole del processo penale.

Le competenze del Tribunale dei Ministri

Il Tribunale dei Ministri è un organo di garanzia della legalità dell’azione di governo. La sua esistenza testimonia l’importanza di assicurare che anche i membri del Governo siano responsabili delle proprie azioni e che non godano di impunità.

Il Tribunale dei Ministri per questo ha competenza esclusiva sui reati commessi dai membri del Governo nell’esercizio delle loro funzioni. Le principali tipologie di reati su cui può pronunciarsi sono:

  • abuso di potere
  • corruzione
  • concussione
  • omissioni di atti d’ufficio

L’autorità giudiziaria non ha invece competenza su reati comuni commessi dai ministri al di fuori delle loro funzioni governative, i quali restano di competenza della giustizia ordinaria.

 

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rubare per fame

Rubare per fame è sempre furto In presenza di una situazione di indilazionabile necessità può scattare l'ipotesi del furto lieve per bisogno

Furto lieve per bisogno

Rubare per fame è sempre furto, anche se commesso da un senzatetto per bisogno e se i beni sottratti sono di basso valore e servono a soddisfare un bisogno urgente, ossia come nella fattispecie, procurarsi del cibo per sopravvivere. Tuttavia, può scattare l’ipotesi del furto lieve in presenza di una situazione di indilazionabile necessità. Lo ha chiarito la quarta sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 40685/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’Appello di Milano, confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Monza, che, riconosciute le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva, aveva condannato una senzatetto alla pena di mesi quattro di reclusione ed €.100,00 di multa per il reato di tentato furto di 4 pezzi di parmigiano, 3 pezzi di soppressa veneta, una confezione di bastoncini di cotone e una confezione di detersivo liquido, furto commesso all’interno di un supermercato.

La Corte territoriale aveva disatteso i motivi di gravame, confermando la valutazione del primo giudice quanto alla ritenuta inconfigurabilità dello stato di necessità e dell’ipotesi lieve di furto per bisogno, di cui all’art. 626 n. 2 cod pen.

Il ricorso

L’imputata adiva il Palazzaccio lamentando innanzitutto violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, lett. b) ed e) cod.proc.pen, in relazione all’art. 54 cod. pen. poichè la Corte non aveva valutato le oggettive circostanze del fatto, e in particolare le sue condizioni. La donna era stata descritta dagli inquirenti come malnutrita ed estremamente debole; elemento confermato dalle risultanze della annotazione di servizio in cui dava atto che gli stessi operanti avevano provveduto all’acquisto di pane presso il supermercato per sfamarla.

Inoltre, si doleva di illogica ed errata argomentazione resa dalla Corte di merito, secondo cui il cibo che aveva tentato di sottrarre non era di eseguo valore né sussisteva lo stato di bisogno, potendo la stessa rivolgersi ad enti assistenziali: era infatti emerso che l’imputata è una senzatetto e la merce sottratta, per sua natura scarsamente deperibile, le avrebbe permesso di sostentarsi vivendo per strada; né era possibile discriminare, sotto il profilo del bisogno, tra chi asporta dal supermercato cibi più economici e chi cibi più costosi.

Lo stato di necessità

I giudici della S.C., quanto alla prima doglianza, convengono però con quelli di merito, nelle cui decisioni si è esclusa la sussistenza di una situazione di vera e propria costrizione, dovuta al pericolo attuale di un danno grave alla persona, non volontariamente causato e non altrimenti evitabile (ciò che avrebbe scriminato l’azione: art. 54 cod. pen.), mentre si è ritenuto sussistente un generale stato di indigenza e condizioni di salute della donna tali da rendere difficile provvedere agli elementari bisogni di vita ma, comunque, stimando evitabile l’azione furtiva (qualificando conseguentemente l’agire ex art. 626, comma 1, num. 2,cod. pen).

Per la S.C. dunque non trova applicazione la scriminante dello stato di necessità, che postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non volontariamente causato e non altrimenti fronteggiabile (cfr anche Sez. 3, n. 35590 del 11/05/2016, Mbaye, Rv. 267640 – 01); mentre configura il delitto di furto lieve per bisogno, di cui all’art. 626, comma primo, n. 2, cod. pen., la condotta del soggetto malnutrito e in generale stato di indigenza che si impossessi di generi alimentari di ridotto valore economico.
Nella vicenda, non ricorrono, secondo piazza Cavour, i presupposti della inevitabilità del pericolo e della sua involontaria causazione, non potendosi sovrapporre, come rilevato dalla Corte territoriale, uno stato di bisogno determinato dalle condizioni di indigenza e di assenza di stabile dimora con i precisi requisiti di cui all’art. 54 cod pen.

Riconoscimento del furto lieve per bisogno

Fondato invece il motivo sul mancato riconoscimento del furto lieve per bisogno che, secondo il consolidato orientamento di legittimità, proseguono i giudici, “è configurabile nei casi in cui la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave ed urgente bisogno; ne consegue che, per far degradare l’imputazione da furto comune a furto lieve, non è sufficiente la sussistenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave ed indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa (Sez. 5, n.32937del 19/05/2014, Rv. 261658, Sez. 2, n.42375 del 05/10/2012)”.
Nel caso in esame la ricorrente ha allegato elementi dai quali risulta il grave stato di
malnutrizione ed estrema debolezza tali da poter essere valutati come situazione di indilazionabile bisogno di provvedere a nutrirsi e la Corte milanese non ha argomentato in ordine a tali elementi di fatto ed ha svolto considerazioni di carattere congetturale, quali il fatto che la merce, di valore di poco superiore ai 100 euro, fosse destinata ad essere rivenduta, non per sfamarsi e lavarsi, ma per trarne guadagno.

Da qui l’annullamento della sentenza con rinvio per nuovo esame.

 

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Allegati

garante disabili

Garante delle persone con disabilità Operativo dal 1° gennaio 2025 il Garante delle persone con disabilità istituito con il decreto legislativo n. 20/2024

Garante disabili: chi è e cosa fa

Garante disabili: in data 5 marzo 2024, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.lgs. n. 20/2024 che istituisce il Garante nazionale delle persone con disabilità, in attuazione della delega conferita al governo e dopo l’approvazione in via definitiva del provvedimento da parte del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2024.

L’autorità “Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità” è operativa a decorrere dal 1° gennaio 2025 ed esercita “le funzioni e i compiti ad essa assegnati dal decreto con poteri autonomi di organizzazione, con indipendenza amministrativa e senza vincoli di subordinazione gerarchica”.

Il Garante costituisce un’articolazione del sistema nazionale per la promozione e la protezione dei diritti delle persone con disabilità, in attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata e resa esecutiva con legge 3 marzo 2009, n. 18.

Composizione Autorità Garante

Il Garante ha sede in Roma ed è un organo collegiale, composto dal presidente e da due componenti, “scelti tra persone di notoria indipendenza e di specifiche e comprovate professionalità, competenze o esperienze nel campo della tutela e della promozione dei diritti umani e in materia di contrasto delle forme di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità”.

Il presidente e i componenti del collegio non possono essere scelti tra persone che rivestono incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano rivestito tali incarichi e cariche nell’anno precedente la nomina e, in ogni caso, non devono essere portatori di interessi in conflitto con le funzioni del Garante.

Per tutta la durata dell’incarico, inoltre, il presidente e i componenti del collegio non possono esercitare, a pena di decadenza, attività professionale, imprenditoriale o di consulenza, non possono svolgere le funzioni di amministratori o dipendenti di enti pubblici o privati, ricoprire uffici pubblici di qualsiasi natura o rivestire cariche elettive, assumere cariche di governo o incarichi all’interno di partiti politici o movimenti politici o in associazioni, organizzazioni, anche sindacali, ordini professionali o comunque organismi che svolgono attività nel campo della disabilità.

Il presidente e i componenti del collegio durano in carica di quattro anni e il loro mandato e’ rinnovabile una sola volta.

Attualmente, l’avv. Maurizio Borgo è stato nominato Garante delle Persone con disabilità; gli altri membri del Collegio Garante sono il Dott. Antonio Pelagatti e il prof. Francesco Vaia.

Ufficio del Garante

Per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali è istituito l’Ufficio del Garante, il cui funzionamento è affidato ad un regolamento adottato dal garante stesso, con una dotazione organica costituita da due unità dirigenziali e 20 unità di persone non dirigenziale, in possesso delle competenze e dei requisiti di professionalità necessari in relazione alle funzioni e alle caratteristiche di indipendenza e imparzialità del Garante.

L’assunzione del personale avviene per pubblico concorso.

L’Ufficio del Garante può avvalersi di esperti, fino ad un massimo di otto, di elevata competenza in ambito giuridico, amministrativo, contabile o di comprovata esperienza in materia di disabilità. Gli esperti possono prestare la propria opera professionale a titolo gratuito.

Funzioni e prerogative del Garante

Il Garante esercita moltissime funzioni, tra cui:

  • vigila sul rispetto dei diritti e sulla conformità ai principi stabiliti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e dagli altri trattati internazionali dei quali l’Italia è parte in materia di protezione dei diritti delle persone con disabilita’, dalla Costituzione, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti nella medesima materia;
  • contrasta i fenomeni di discriminazione diretta, indiretta o di molestie in ragione della condizione di disabilita’ e del rifiuto dell’accomodamento ragionevole di cui all’articolo 5, comma 2;
  • promuove l’effettivo godimento dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone con disabilita’, in condizione di eguaglianza con gli altri cittadini, anche impedendo che esse siano vittime di segregazione;
  • riceve le segnalazioni presentate da persone con disabilità, dai loro familiari, da chi le rappresenta, dalle associazioni e dagli enti legittimati ad agire in difesa delle persone con disabilita’, da singoli cittadini, da pubbliche amministrazioni, nonché dall’Autorità politica delegata in materia di disabilità. Il Garante stabilisce, nei limiti della propria autonomia organizzativa, le procedure e le modalita’ di presentazione delle segnalazioni, anche tramite l’attivazione di un centro di contatto dedicato, assicurandone l’accessibilita’. Il Garante all’esito della valutazione e verifica delle segnalazioni pervenute, previa audizione delle persone con disabilita’ legittimate, esprime con delibera collegiale pareri motivati;
  • svolge verifiche, d’ufficio o a seguito di segnalazione, sull’esistenza di fenomeni discriminatori;
  • formula raccomandazioni e pareri inerenti alle segnalazioni raccolte alle amministrazioni e ai concessionari pubblici interessati, anche in relazione a specifiche situazioni e nei confronti di singoli enti, proponendo o sollecitando, anche attraverso l’autorita’ di settore o di vigilanza, interventi, misure o accomodamenti ragionevoli idonei a superare le criticita’ riscontrate;
  • promuove la cultura del rispetto dei diritti delle persone con disabilita’ attraverso campagne di sensibilizzazione, comunicazione e progetti, iniziative ed azioni positive, in particolare nelle istituzioni scolastiche, in collaborazione con le amministrazioni competenti per materia;
  • agisce e resiste in giudizio a difesa delle proprie prerogative;
  • definisce e diffonde codici e raccolte delle buone pratiche in materia di tutela dei diritti delle persone con disabilita’ nonche’ di modelli di accomodamento ragionevole.

Pareri del Garante

Come dispone l’art. 5 del decreto, il Garante valuta le segnalazioni ricevute e verifica l’esistenza di discriminazioni comportanti lesioni di diritti soggettivi o di interessi legittimi negli ambiti di competenza. All’esito della valutazione e verifica, previa audizione dei soggetti destinatari delle proposte nel rispetto del principio di leale collaborazione, ad eccezione dei casi di urgenza di cui al comma 4, esprime con delibera collegiale pareri motivati.

Nel caso in cui un’amministrazione o un concessionario di pubblico servizio adotti un provvedimento o un atto amministrativo generale in relazione al quale la parte lamenta una violazione dei diritti della persona con disabilita’, una discriminazione o lesione di interessi legittimi, il Garante emette un parere motivato nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate nonche’ una proposta di accomodamento ragionevole, come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita’ e dalla disciplina nazionale, nel rispetto del principio di proporzionalita’ e adeguatezza.

Quando le verifiche hanno ad oggetto il mancato adeguamento a quanto previsto dai piani per l’eliminazione di barriere architettoniche dagli edifici pubblici e aperti al pubblico e da quelli privati che forniscono strutture e servizi aperti o forniti al pubblico, nonche’ l’eliminazione delle barriere sensopercettive e di ogni altra barriera che impedisce alle persone con disabilita’ di potervi accedere in condizione di pari opportunita’ con gli altri cittadini o ne limiti la loro fruizione in modo significativo, il Garante puo’ proporre all’amministrazione competente un cronoprogramma per rimuovere le barriere e vigilare sugli stati di avanzamento.

Nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave e irreparabile per i diritti delle persone con disabilita’, ove non sia stata promossa azione giudiziaria, il Garante puo’, anche d’ufficio, a seguito di un sommario esame circa la sussistenza di una grave violazione del principio di non discriminazione in danno di una o piu’ persone con disabilita’, proporre l’adozione di misure provvisorie. La proposta e’ trasmessa senza indugio alle pubbliche amministrazioni procedenti.

Trascorsi novanta giorni dal parere motivato, constatata l’inerzia da parte delle amministrazioni e concessionari di pubblici servizi, il Garante può proporre azione ai sensi dell’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Entro centottanta giorni dall’adozione del provvedimento da parte delle amministrazioni e concessionari di pubblici servizi, sulla base delle proposte o del parere motivato, il Garante può agire per il solo accertamento delle nullita’ previste dalla legge.

Assegno sociale In cosa consiste l'assegno sociale che dal 1996 ha sostituito la pensione sociale, quali requisiti servono e come fare domanda per l'assegno sociale 2025

Cos’è l’assegno sociale

L’Assegno sociale è una prestazione economica, erogata a domanda, rivolta alle persone in condizioni economiche disagiate e con redditi inferiori alle soglie previste annualmente dalla legge.

Dal 1° gennaio 1996, l’Assegno sociale ha sostituito la pensione sociale.

La prestazione ha natura assistenziale e non è esportabile; pertanto, non può essere riconosciuta se il titolare della prestazione risiede all’estero.

Il beneficio non è reversibile ai familiari superstiti.

A chi spetta

L’assegno sociale è rivolto ai cittadini italiani e stranieri che:

  • abbiano compiuto 67 anni di età (dal 1° gennaio 2019);
  • si trovino in stato di bisogno economico;
  • abbiano cittadinanza italiana e situazioni equiparate;
  • abbiano residenza effettiva in Italia;
  • se stranieri, abbiano il requisito dei dieci anni di soggiorno legale e continuativo in Italia (dal 1° gennaio 2009).

Il diritto alla prestazione è accertato in base al reddito personale per i cittadini non coniugati e in base al cumulo del reddito del coniuge per i coniugati. Non si computano ai fini della prestazione: i trattamenti di fine rapporto e le anticipazioni sui trattamenti stessi; il reddito della casa di abitazione; le prestazioni assistenziali erogate dallo Stato o altri enti pubblici e le prestazioni assistenziali estere; ecc.

Importo e durata assegno sociale

L’importo dell’assegno sociale per il 2025 è pari a 538,69 euro per 13 mensilità.

Il limite di reddito è pari a 7.002,97 euro annui e a 14.005,94  euro, se il soggetto è coniugato.

Il pagamento della misura inizia dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda e il beneficio ha carattere provvisorio, previa verifica annuale dei requisiti socioeconomici e della effettiva residenza.

L’assegno, inoltre, non è soggetto alle trattenute IRPEF e viene sospeso se il beneficiario soggiorna all’estero per più di 29 giorni o revocato dopo un anno dalla sospensione.

Come fare domanda

La domanda per ottenere l’assegno sociale va presentata online all’INPS attraverso il servizio dedicato.

In alternativa, si può fare la domanda tramite:

  • Contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile;
  • enti di patronato e intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

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indennità di accompagnamento

Indennità di accompagnamento Cos'è l'indennità di accompagnamento, prestazione economica erogata dall'INPS per le persone con disabilità gravi che necessitano di assistenza continua

Indennità di accompagnamento: cos’è

L’indennità di accompagnamento è una prestazione economica erogata dall’INPS, introdotta dalla legge n. 18 dell’11 febbraio 1980, destinata a supportare le persone con disabilità gravi che necessitano di assistenza continua. Questo beneficio non è vincolato al reddito e ha l’obiettivo di contribuire alle spese derivanti dalla condizione di non autosufficienza.

Come funziona l’indennità di accompagnamento

L’indennità viene corrisposta con cadenza mensile per tutto l’anno, senza alcuna sospensione, e non è soggetta a tassazione IRPEF.

L’importo aggiornato annualmente dall’INPS può variare; attualmente l’importo rivalutato dall’Inps nel 2025 è pari a 542,02 euro.

Il beneficio, in via sperimentale nel 2025, viene assorbito per il periodo sperimentale 2025-2026 dalla prestazione universale (cosiddetto bonus anziani) erogata agli anziani non autosufficienti e già titolari di indennità di accompagnamento.

A chi spetta l’indennità di accompagnamento

L’indennità è destinata a:

  • Cittadini italiani o stranieri con regolare permesso di soggiorno, residenti in Italia;
  • Persone che abbiano ricevuto il riconoscimento di invalidità totale (100%) e che necessitano di assistenza continua per compiere le attività quotidiane o per deambulare;
  • Indipendentemente dall’età, purché non sia soddisfatta la capacità di autonomia personale o motoria.

Non spetta invece a chi:

  • È ricoverato gratuitamente in strutture pubbliche o private convenzionate per oltre 30 giorni consecutivi;
  • Non soddisfa i requisiti medico-legali richiesti dall’INPS.

L’indennità non spetta, inoltre, a chi è titolare di altre indennità simili per una invalidità riconducibile a causa di guerra, lavoro o servizio.

Domanda per l’indennità di accompagnamento

La domanda deve essere presentata online all’INPS, seguendo questi passaggi:

  • Certificato medico: Il medico curante deve inviare telematicamente all’INPS il certificato introduttivo, che descrive lo stato di salute del richiedente.
  • Domanda online: Il richiedente, o un patronato delegato, deve presentare la richiesta accedendo al portale INPS con SPID, CIE o CNS.
  • Visita medico-legale: L’INPS convocherà il richiedente per una visita presso la Commissione medico-legale, che valuterà la sussistenza dei requisiti sanitari.
  • Esito: In caso di accoglimento della domanda, l’indennità verrà erogata mensilmente, con accredito sul conto indicato dal richiedente.

La pensione non richiesta non spetta agli eredi La Cassazione afferma che in caso di liquidazione della pensione non richiesta, quest'ultima non può essere erogata agli eredi

Mancata liquidazione pensione non richiesta

La pensione non richiesta non può essere erogata agli eredi. La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2297/2025, ha affermato che in materia previdenziale: in assenza di una richiesta formale di liquidazione della pensione da parte del lavoratore, il diritto alla prestazione non può essere trasmesso agli eredi.

Il caso esaminato dalla Cassazione

L’ordinanza trae origine da una controversia in cui gli eredi di un lavoratore deceduto rivendicavano il diritto alla pensione di vecchiaia maturata dal loro congiunto, deceduto prima di presentare la domanda amministrativa.

Il ricorso si fondava sulla pretesa che il diritto a percepire la pensione fosse già sorto in capo al de cuius e che, quindi, dovesse essere riconosciuto agli eredi.

La Corte di appello di Brescia, riformando la decisione di prime cure, rigettava la domanda svolta dagli eredi per essere intrasmissibile il diritto al trattamento pensionistico del quale il de cuius non abbia richiesto la liquidazione.

La questione approdava in Cassazione.

Domanda di pensione: carattere costitutivo

La Suprema Corte ha chiarito preliminarmente che il legislatore ha disposto “che il privato non affermi un diritto davanti all’autorità giudiziaria prima che esso sia sorto, ossia prima del perfezionamento della relativa fattispecie a formazione progressiva, nella quale la presentazione della domanda segna al nascita dell’obbligo dell’ente previdenziale” (Cass., sez. VI-L, 10 maggio 2017, n. 11438).
La fattispecie a formazione progressiva “si realizza attraverso la presentazione della domanda”, che determina l’insorgere dell’obbligo dell’ente previdenziale” (Cass., sez. lav., 15 gennaio 2007, n. 732).

Per cui, il diritto alla pensione si perfeziona esclusivamente con la presentazione della relativa domanda da parte del titolare.

La domanda amministrativa, infatti, “condiziona lo stesso sorgere del diritto del privato” e la mancata presentazione della domanda “si riverbera sulla sussistenza stessa del diritto alla prestazione, così da precluderne in radice l’accertamento” (cfr. Cass. n. 17281/2024).

In assenza di tale richiesta, provvista dunque di carattere costitutivo, la prestazione previdenziale non entra a far parte del patrimonio del lavoratore e quindi non può essere trasmessa agli aventi causa.

Alla mancata presentazione della domanda da parte del de cuius, pertanto, ha concluso la S.C. rigettando il ricorso, “non può supplire una domanda dell’erede, quando questi, come avviene nel caso di specie, faccia valere un diritto iure hereditatis e vanti il diritto ai ratei del trattamento pensionistico di vecchiaia che, in quanto non richiesti dal dante causa (che pacificamente non ha presentato domanda all’INPS), non sono entrati nel patrimonio del de cuius e non possono pertanto essere trasmessi per successione”.

Allegati

principio di sussidiarieta

Principio di sussidiarietà: la guida Principio di sussidiarietà: definizione, normativa, giurisprudenza e importanza ai fini dell’applicazione del principio democratico

Cos’è il principio di sussidiarietà?

Il principio di sussidiarietà è un cardine dell’organizzazione dei poteri pubblici, finalizzato a garantire che le decisioni siano prese al livello più vicino possibile ai cittadini. Questo principio, che si applica tanto in ambito verticale (tra Stato, Regioni ed enti locali) quanto in ambito orizzontale (tra Pubblica Amministrazione e cittadini), promuove l’autonomia e la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti, evitando interventi superiori se un’entità più vicina può adempiere adeguatamente ai compiti richiesti.

Qual è la normativa di riferimento?

La normativa di riferimento di questo principio è rappresentata dalla Costituzione italiana e da diverse leggi ordinarie.

  • Articolo 118 della Costituzione: sancisce il principio in ambito verticale, stabilendo che le funzioni amministrative spettano agli enti più vicini ai cittadini, salvo necessità di intervento a livelli superiori. Il quarto comma introduce anche la sussidiarietà orizzontale, favorendo l’iniziativa privata nell’interesse generale.
  • Articolo 5 della Costituzione: promuove il decentramento amministrativo, che è alla base del principio di sussidiarietà verticale.
  • Legge costituzionale n. 3/2001: riformando il Titolo V della Costituzione, ha rafforzato l’autonomia di Regioni ed enti locali, specificando il principio di sussidiarietà.
  • Legge n. 59/1997 (Bassanini): prevede il trasferimento di funzioni dallo Stato agli enti locali, attuando il principio di sussidiarietà verticale.

La giurisprudenza sul principio di sussidiarietà

La giurisprudenza costituzionale e amministrativa ha avuto un ruolo fondamentale nell’interpretare e applicare  questo principio.

  • La Corte costituzionale ha ribadito in diverse occasioni che l’intervento dello Stato deve avvenire solo quando gli enti territoriali non siano in grado di garantire adeguatamente i servizi richiesti. La sentenza n. 303/2003 ha chiarito i confini tra competenze legislative statali e regionali.
  • Il Consiglio di Stato ha affrontato casi di sussidiarietà orizzontale, riconoscendo il ruolo delle associazioni e dei cittadini nella gestione di beni comuni e servizi pubblici, nel rispetto del principio di efficienza amministrativa.
  • La Corte di Giustizia dellUnione Europea ha integrato questo principio con il diritto comunitario. L’Unione Europea interviene infatti solo quando gli obiettivi non possono essere sufficientemente raggiunti a livello nazionale o locale.

L’importanza del principio di sussidiarietà

Questo principio rappresenta uno strumento essenziale per garantire l’efficienza e la partecipazione democratica nella gestione della cosa pubblica. In ambito verticale, evita accentramenti eccessivi di potere, valorizzando le autonomie locali. In ambito orizzontale invece, promuove la collaborazione tra pubblico e privato, incentivando l’attività dei cittadini per il bene comune.

 

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giurista risponde

Varianti in senso stretto del permesso a costruire e varianti essenziali Quando si configura una variante in senso stretto del permesso a costruire e quando una variante essenziale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Il Collegio fa luce sulla distinzione tra varianti in senso stretto e varianti essenziali (Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre 2024, n. 8072).

Il Collegio ricorda che con la L. 10/1977 il regime sanzionatorio è stato graduato secondo uno schema generale tuttora vigente: le opere eseguite in assenza di concessione o in totale difformità dalla stessa devono essere demolite a spese del proprietario o del costruttore; le opere, invece, realizzate in parziale difformità devono essere demolite a spese del concessionario, ma nel caso in cui non fosse possibile, senza pregiudicare le parti conformi, il concessionario resta assoggettato a una sanzione pecuniaria.

Si è successivamente correlata la differenziazione tra variazioni essenziali e non essenziali. Le prime assoggettate al più severo regime sanzionatorio proprio della totale difformità, mentre quelle non essenziali restano ascritte al vizio della parziale difformità, correlato alle sanzioni stabilite dall’art. 34 T.U. dell’edilizia.

Emerge, dall’elaborazione a cui il Collegio dà continuità, che si è in presenza di difformità totali del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzioni e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera.

Dunque, “mentre le varianti in senso stretto al permesso di costruire, ai sensi dell’art. 22, comma 2, T.U. edilizia, e cioè le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare e accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire; le variazioni “essenziali”, giacché caratterizzate da incompatibilità con il progetto edificatorio originario in base ai parametri ricavabili, in via esemplificativa, dall’art. 32 T.U. edilizia, sono soggette al rilascio di un permesso a costruire del tutto nuovo e autonomo rispetto a quello originario”.

Nel caso di specie l’adozione dell’ordinanza di demolizione, con la quale l’autorità preposta alla tutela del territorio provvede alla repressione degli illeciti in materia edilizia e urbanistica, si connota come un preciso obbligo dell’Amministrazione, la quale non gode di alcuna discrezionalità al riguardo, la violazione della regola di proporzionalità agganciata alla presenza di presunte opere modeste non può trovare utile invocazione considerato che la configurazione delle opere, abusive, tratteggiata dall’Amministrazione, non poteva che condurre al completo ripristino dello stato dei luoghi.

 

(*Contributo in tema di “Varianti in senso stretto del permesso a costruire e varianti essenziali”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 80 / Dicembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

divieto di sosta

Divieto di sosta: cos’è e come funziona Il divieto di sosta: definizione, normativa di riferimento, funzionamento, differenze con la fermata e sanzioni  per la sua violazione

Cos’è il divieto di sosta

Il divieto di sosta è una prescrizione normativa prevista dall’art. 158 del Codice della Strada. La norma vieta la sosta dei veicoli in determinate aree e spazi per garantire la sicurezza stradale e il regolare flusso del traffico. La sosta consiste nell’‘interruzione della marcia di un veicolo, protratta nel tempo e senza la presenza del conducente.

Più precisamente, l’art. 157 del Codice della Strada definisce la sosta come la “sospensione della marcia del veicolo protratta nel tempo, con possibilità di allontanamento da parte del conducente.”

Come funziona

Il divieto di sosta può essere segnalato tramite:

  • segnaletica verticale, ovvero cartelli stradali con il simbolo di divieto;
  • segnaletica orizzontale, rappresentata da linee gialle o zebrature sul manto stradale;
  • norme generali, che vietano la sosta in specifiche situazioni anche in assenza di segnaletica (ad esempio in prossimità di incroci, fermate di mezzi pubblici, passi carrabili o dossi artificiali).

Differenza tra divieto di sosta e fermata

Il divieto di sosta non deve essere confuso con la fermata, che consiste nell’arresto temporaneo del veicolo per consentire la salita o la discesa di passeggeri o per esigenze momentanee del traffico. La differenza principale è la durata: la fermata è breve e il conducente deve rimanere al volante, mentre la sosta è più prolungata e può avvenire anche in assenza del conducente.

La multa per divieto di sosta

Le sanzioni per il divieto di sosta variano in base alla gravità dell’infrazione:

  • sanzione amministrativa pecuniaria, che può variare da 42 a 173 euro per le auto e da 25 a 100 euro per i ciclomotori e motocicli (art. 158 CdS). Sanzioni più elevate sono previste invece per chi sosta sui passaggi e attraversamenti pedonali, e sui passaggi per ciclisti, sulle piste ciclabili e agli sbocchi delle medesime, così come per chi sosta negli spazi riservati alle donne in gravidanza, agli invalidi, sulle banchine e nelle corsie o carreggiate riservate ai mezzi pubblici;
  • decurtazione punti patente, in caso, ad esempio, di sosta in aree per disabili senza autorizzazione o negli spazi riservati allo stazionamento e alla fermata degli autobus, dei filobus e dei mezzi circolanti sulle rotaie,
  • rimozione forzata del veicolo, nei casi più gravi o quando il mezzo rappresenta un ostacolo alla circolazione.

Come contestare la multa

Chi riceve una multa per divieto di sosta può contestarla presentando:

  1. ricorso al Prefetto (entro 60 giorni dalla notifica del verbale di contestazione dell’infrazione), allegando eventuali prove o motivazioni valide;
  2. ricorso al Giudice di Pace (entro 30 giorni dalla notifica del verbale di contestazione dell’infrazione), pagando il contributo unificato obbligatorio.

Le motivazioni per l’annullamento possono includere anche errori nella compilazione del verbale, assenza di segnaletica chiara o cause di forza maggiore.

 

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f24 elide

F24 Elide: cos’è e a cosa serve F24 Elide: cos’è il modello Elide, a che cosa serve, come si può pagare, dove scaricarlo e quali dati indicare in fase di compilazione

Cos’è l’F24 Elide

L’F24 Elide (Elementi Identificativi) è un particolare modello di pagamento utilizzato in Italia per versare tributi che richiedono informazioni specifiche, non gestibili con il modello F24 ordinario. La principale caratteristica di questo modello è l’inserimento degli elementi identificativi, necessari per collegare il pagamento a un determinato atto o contratto.

A cosa serve

L’F24 Elide è impiegato per il versamento di diversi tipi di imposte, tra cui:

  • l’imposta di registro su locazioni e contratti di comodato;
  • le sanzioni e gli interessi relativi a tributi gestiti dall’Agenzia delle Entrate;
  • le tasse per successioni e donazioni;
  • l’imposta sostitutiva sui finanziamenti.

Questo modello è obbligatorio quando il pagamento necessita di informazioni specifiche per essere correttamente abbinato a un atto o un contratto.

Come si può pagare l’F24 Elide

Il pagamento di questo modello  può avvenire attraverso diverse modalità:

  • online tramite Fisconline o Entratel: utilizzabile da contribuenti con accesso ai servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate;
  • home banking: per chi ha un conto corrente presso banche convenzionate;
  • presso gli sportelli bancari e postali: con addebito diretto sul conto corrente, carta Pagobancomat, assegni bancari, circolari, postali, vaglia, Postamat e Postepay.
  • tramite intermediari abilitati: come commercialisti o centri di assistenza fiscale (CAF).

Dal 1° luglio 2020, il pagamento in contanti è stato eliminato e tutti i versamenti devono essere effettuati con metodi tracciabili.

Dove scaricare il modello

Questo modello F24 può essere scaricato direttamente dal sito ufficiale dell’Agenzia delle Entrate ai seguenti link:

Scheda informativa: Agenzia Entrate – F24 Elide

Modello e istruzioni: Modello e istruzioni F24 Elide

Come compilare l’F24 Elide

La compilazione dell’F24 Elide richiede particolare attenzione ai seguenti campi:

  • Dati anagrafici del contribuente: codice fiscale, nome e cognome (o denominazione per le società), data e comune di nascita; domicilio fiscale;
  • Codice tributo: il codice identificativo dell’imposta da versare (disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate);
  • Elementi identificativi: informazioni relative al contratto o atto per cui si effettua il pagamento;
  • Anno di riferimento: indicazione dell’anno fiscale cui si riferisce il tributo;
  • Importo dovuto: suddiviso in tributo, sanzioni e interessi, se applicabile.

Compilare correttamente il modello è essenziale per evitare errori che potrebbero portare a contestazioni fiscali.

 

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