proroga concessioni balneari bolkestein

Concessioni balneari: la proroga viola la Bolkestein La Consulta dichiara illegittima costituzionalmente la proroga delle concessioni balneari nella regione siciliana, in quanto in violazione della direttiva Bolkestein

Proroga concessioni balneari

La proroga delle concessioni balneari nella regione siciliana è illegittima per violazione della direttiva Bolkestein. La Consulta, con la sentenza n. 109-2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme di cui all’art. 36 della legge della Regione Siciliana n. 2 del 2023 (Legge di stabilità regionale 2023-2025), che hanno previsto la proroga al 30 aprile 2023 del termine per la presentazione delle domande di rinnovo delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo (cosiddette concessioni balneari), nonché la proroga alla stessa data del termine per la conferma, in forma telematica, dell’interesse alla utilizzazione del demanio marittimo.

La questione di legittimità costituzionale

La questione era stata promossa dal Governo, che rimproverava al legislatore siciliano di aver ecceduto dalle competenze ad esso riservate dagli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia e violato l’art. 117, primo comma, Cost., che vincola anche il legislatore regionale all’osservanza degli obblighi derivanti dall’Unione europea assunti dall’Italia.

Nel ricorso si lamentava, in particolare, la violazione delle previsioni dell’art. 12 della direttiva Bolkestein n. 2006/123/CE, nota anche come “direttiva servizi”, che impone agli Stati membri dell’UE, con efficacia diretta, di mettere a gara le concessioni demaniali in scadenza, vietando il ricorso alle proroghe automatiche ex lege. Il differimento al 30 aprile 2023 del termine, secondo il Governo, “corrobora la proroga delle concessioni demaniali marittime fino al 31 dicembre 2033”, pur avendo la legge statale n. 118/2022 abrogato, per incompatibilità con l’ordinamento unionale, i commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018, che prolungavano la proroga fino a quella data, e nonostante le sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 17 e n. 18 del 2021, nonché quella della Corte di giustizia dell’Unione europea 20 marzo 2023, in causa C-348/22, Autorità Garante della concorrenza e del mercato, che ha ribadito la contrarietà al diritto UE dei rinnovi automatici delle concessioni aventi ad oggetto l’occupazione del demanio marittimo italiano.

La decisione della Corte Costituzionale

In motivazione, il giudice delle leggi ha sottolineato che le norme siciliane impugnate perpetuano, limitatamente al territorio della Regione Siciliana, il sistema delle proroghe automatiche delle concessioni, più volte giudicato illegittimo dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea e oggetto di disapplicazione da parte della giurisprudenza amministrativa.

In questo modo, ha precisato la Corte, “le norme in questione si pongono in contrasto con l’art. 12 della direttiva Bolkestein, e quindi con l’art. 117, primo comma, Cost.”. Nel sottolineare che “il differimento dei termini previsto nelle norme impugnate dal Governo non si riferisce alla vera e propria proroga delle concessioni demaniali fino al 2033, che trova origine nella legge regionale n. 24 del 2019, ma solo alla presentazione delle domande di proroga – la Consulta ha altresì rilevato – in linea con le censure governative, che la rinnovazione anche della possibilità di presentazione delle domande ‘finisce con l’incidere sul regime di durata dei rapporti in corso, perpetuandone il mantenimento e quindi rafforza, in contrasto con i principi del diritto UE sulla concorrenza, la barriera in entrata per nuovi operatori economici potenzialmente interessati alla utilizzazione, a fini imprenditoriali, delle aree del demanio marittimo'”.

Allegati

false notifiche fisco agenzia

False notifiche fisco: alert delle Entrate L'Agenzia delle Entrate avvisa che è in corso una nuova ondata di false notifiche amministrative, invitando i cittadini a prestare massima attenzione

False notifiche amministrative

È in corso una nuova ondata di false comunicazioni a nome dell’Agenzia delle Entrate riguardanti notifiche e avvisi amministrativi, con lo scopo di carpire alle vittime le credenziali d’accesso del portale istituzionale. E’ quanto comunica l’amministrazione invitando i cittadini a prestare la massima attenzione ia link presenti, a non scaricare, aprire e compilare allegati, nè tanto meno a fornire credenziali d’accesso e dati personali, in quanto “disconosce questa tipologia di comunicazioni, rispetto alle quali si dichiara totalmente estranea”.

Non è la prima volta che l’Agenzia torna su tale tematica, già ampiamente segnalata a febbraio e a marzo.

Le comunicazioni false

Le comunicazioni email relative a questa campagna malevola, ma molto simili alle precedenti, presentano i seguenti tratti distintivi:

  • Mittente indirizzo estraneo all’Agenzia delle Entrate
  • Oggetto Avviso Raccomandata #ARXXXXXXX (il numero di raccomandata è variabile)
  • Riferimenti nel corpo del messaggio ad “Agenzia delle Entrate-Riscossione” e “Agenzia delle Entrate – ufficio territoriale” come ente incaricato
  • Riferimenti ad un fantomatico “Codice atto” nel formato ARXXXXXXX (il numero dell’atto è casuale)
  • Presenza di un link per consultare la notifica amministrativa, che conduce in realtà ad una pagina web contraffatta con il logo dell’Agenzia delle Entrate ed una finta schermata di login, progettata per sottrarre alle vittime le credenziali d’accesso al portale istituzionale.

Massima attenzione

Se la vittima ci casca e inserisce le proprie credenziali, cliccando sul pulsante “accedi” le viene mostrano un documento a firma Agenzia Entrate-Riscossione, ma ribadisce il fisco, si tratta di “un documento manipolato ad arte”.

Da qui la raccomandazione ai cittadini di “prestare la massima attenzione e, qualora ricevessero e-mail analoghe, di non cliccare sui link in esse presenti, di non scaricare, aprire e compilare eventuali allegati, di non fornire credenziali d’accesso, dati personali e le coordinate bancarie in occasione di eventuali telefonate legate a questo tipo di fenomeni e di non ricontattare assolutamente il mittente di eventuali comunicazioni”.

In caso di dubbi rivolgersi Agenzia

In caso di dubbi sulla veridicità di una comunicazione ricevuta dall’Agenzia, in ogni caso avvisano le Entrate, “è sempre preferibile verificare preliminarmente consultando la pagina “Focus sul phishing”, rivolgersi ai contatti reperibili sul portale istituzionale www.agenziaentrate.gov.it o direttamente all’Ufficio territorialmente competente”.

pensioni estero attestazioni vita

Pensioni estero: entro il 18 luglio le attestazioni Si chiude il 18 luglio la prima fase della verifica dell'esistenza in vita dei pensionati che riscuotono all'estero avviata dall'INPS

Verifica esistenza in vita

Sta per chiudersi la prima fase della verifica dell’esistenza in vita dei pensionati che riscuotono all’estero, effettuata da Citibank N.A., quale fornitore del servizio di pagamento delle pensioni INPS al di fuori del territorio nazionale. La campagna di verifica è stata avviata dall’istituto e comunicata con messaggio n. 4071/2023.

Le due fasi

Il processo è articolato in due fasi cronologicamente distinte: la prima riferita al 2024, da marzo a luglio, riguarda i pensionati residenti in America, Asia, Estremo Oriente, Paesi scandinavi, Stati dell’Est Europa e Paesi limitrofi. E sono proprio loro a dover far pervenire le attestazioni dell’esistenza in vita entro il 18 luglio 2024.

La seconda fase della verifica, che si svolgerà da settembre 2024 a gennaio 2025, riguarderà i pensionati residenti in Europa, Africa e Oceania. Le comunicazioni saranno inviate ai pensionati a partire dal 20 settembre 2024 e i pensionati dovranno far pervenire le attestazioni di esistenza in vita entro il 18 gennaio 2025.

Cosa succede se non si produce l’attestazione

Nel caso in cui l’attestazione non sia prodotta, per i pensionati della “prima fase”, il pagamento della rata di agosto 2024, laddove possibile, avverrà in contanti presso le Agenzie Western Union del Paese di residenza. In caso di mancata riscossione personale o produzione dell’attestazione di esistenza in vita entro il 19 agosto 2024, il pagamento delle pensioni sarà sospeso a partire dalla rata di settembre 2024.

Per i pensionati della “seconda fase” che non producono l’attestazione valgono le medesime conseguenze ma con scadenze posticipate: rata di febbraio 2025 in contanti ove possibile, oppure, in caso di mancata riscossione o produzione dell’attestazione di esistenza in vita entro il 19 febbraio 2025, sospensione del pagamento della pensione a partire dalla rata di marzo 2025.

Modalità di produzione della prova dell’esistenza in vita

Conformemente alle verifiche generalizzate condotte negli scorsi anni, i pensionati hanno diverse modalità per fornire la prova dell’esistenza in vita:

  • Modalità cartacea (facendo pervenire il modulo di attestazione correttamente compilato e firmato alla casella postale PO Box 4873, Worthing BN99 3BG, United Kingdom, entro il termine indicato nella lettera esplicativa);
  • Attestazione dell’esistenza in vita dei pensionati tramite il portale web di Citibank;
  • Riscossione personale presso gli sportelli Western Union

Ad ogni modo, è attivo il servizio della banca a supporto dei pensionati, operatori di Consolato, delegati e procuratori che necessitino di assistenza riguardo alla procedura di attestazione dell’esistenza in vita. Il serivzio può essere contattato sia via web (alla pagina www.inps.citi.com), sia inviando un messaggio di posta elettronica all’indirizzo inps.pensionati@citi.com; sia telefonando a uno dei numeri telefonici indicati nella lettera esplicativa.

Per i Patronati e per le Strutture territoriali INPS restano confermati i consueti canali di comunicazione.

Il servizio è attivo dal lunedì al venerdì, dalle ore 8:00 alle ore 20:00 (ora italiana), in lingua italiana, inglese, spagnola, francese, tedesca e portoghese.

incidente animale selvatico prova

Incidente con animale selvatico e onere della prova La Cassazione fa chiarezza sull'onere della prova nel caso di incidente stradale causato da fauna selvatica

Incidente stradale causato da fauna selvatica

La responsabilità dell’ente pubblico per il danno causato dalla fauna selvatica discende dall’omessa custodia dell’animale (ex art. 2052 c.c.) e non già dalla violazione del precetto del cd. “neminem laedere” espresso dall’articolo 2043 c.c. Per cui spetta al danneggiato la prova del nesso di causa mentre incombe sul danneggiante l’eventuale prova liberatoria.

Lo ha chiarito la terza sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 12714-2024 accogliendo il ricorso di un’automobilista che aveva subito un danno alla propria vettura a causa dell’investimento di un capriolo che aveva improvvisamente attraversato la strada. La donna citava in giudizio la regione chiedendo il risarcimento del danno subito, ma l’amministrazione eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva in favore della provincia. Il giudice di pace dava ragione alla donna ma, in appello, il tribunale riformava la decisione rigettando la domanda della danneggiata. Così la vicenda approdava in Cassazione. Innanzi al Palazzaccio la donna prospetta una violazione dell’art. 2052 c.c.

Art. 2052 c.c.

La ricorrente osserva, infatti, come, a partire dalla pronuncia numero 7969 del 2020, la giurisprudenza sul danno causato dalla fauna selvatica è cambiata, nel senso che si è passati dalla qualificazione di tale danno in termini di un illecito ex art. 2043 c.c. alla qualificazione invece della fattispecie in termini di danno da custodia di animali, ex art. 2052 c.c. con conseguente diversità dell’onere della prova.

Pur avendo preso atto di questo mutamento di giurisprudenza, osserva ancora la ricorrente, il tribunale “ha tuttavia ritenuto che le parti stesse avevano invece prospettato una responsabilità ex art. 2042 c.c., ossia avevano qualificato la fattispecie concreta in quei termini, e che dunque bisognava attenersi alla prospettazione fatta dalle parti con conseguente onere della prova gravante per intero sul danneggiato”.

La decisione della Cassazione

Per la S.C. la donna ha ragione. “Secondo il giudice di merito, sia nella prospettazione dell’attore che in quella del convenuto, il fatto è qualificato come un caso di responsabilità extracontrattuale dell’ente e che, di conseguenza, a qualificarlo come responsabilità del custode, si andrebbe incontro al vizio di ultra petizione. Questa tesi ovviamente è infondata – affermano i giudici di piazza Cavour – è infatti principio di diritto che quando una parte agisce prospettando una determinata fattispecie di responsabilità il giudice non è vincolato alla qualificazione giuridica dei fatti proposta dalla parte ma ha il potere di decidere una qualificazione diversa, sempre che i fatti non siano a loro volta diversi (cfr. Cass. 13757/ 2018; Cass. 11805/ 2016)”.

Responsabilità art. 2052 e art. 2043 c.c.

Ciò posto, proseguono, “la responsabilità dell’ente pubblico per il danno causato dalla fauna selvatica è una responsabilità che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, discende dalla omessa custodia dell’animale e non già dalla violazione del generico precetto di non ledere espresso dall’art. 2043 c.c., e dunque è una responsabilità che va sotto la fattispecie dell’art. 2052 c.c.”.

Con la conseguenza che “la distribuzione dell’onere della prova è del tutto diversa da come è stata valutata dal giudice di merito, nel senso che spetta al danneggiato la prova del nesso di causa” mentre “l’imprevedibilità del fatto e dunque, nella circostanza, l’imprevedibilità dell’attraversamento da parte dell’animale, quale caso fortuito che esclude la responsabilità, deve essere allegato e dimostrato dal danneggiante; allo stesso modo, la prova che il danno si è verificato per una condotta colpevole del danneggiato, ossia la guida imprudente, che è nient’altro che la prova anche essa del caso fortuito, è una prova che grava sul danneggiante”.

Da qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione con rinvio della decisione impugnata.

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giurista risponde

Contratto preliminare di compravendita e regolarità urbanistica In caso di mancanza della regolarità urbanistica dell’appartamento oggetto del preliminare, il contratto è risolto per inadempimento?

Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli

 

In tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, ove sia stata proposta una domanda di risoluzione dello stesso per inadempimento del promittente alienante all’obbligo di sanare l’abuso correlato alla variazione della destinazione d’uso del bene, è necessario verificare, in base alle circostanze concrete desumibili dal compendio probatorio, che le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili. – Cass., sez. II, ord. 3 aprile 2024, n. 8749.

Nel caso di specie, la Suprema Corte è chiamata a valutare la validità della stipula di un contratto preliminare di compravendita di un immobile all’epoca privo del certificato di agibilità, in quanto privo della destinazione ad uso abitativo.

In primo grado, il Tribunale adito pronunciava la risoluzione del contratto preliminare di vendita per grave inadempimento della promittente venditrice nella consegna di un valido certificato di abitabilità, evidenziando che la medesima non avesse fornito alcuna prova circa le caratteristiche necessarie per l’uso proprio dell’immobile promesso in vendita e della sanabilità della difformità edilizia acclarata.

La promittente venditrice ha promosso appello avverso la sentenza del Tribunale.

La Corte d’Appello ha accolto il ricorso, rigettando la domanda di risoluzione del preliminare di vendita.

La sentenza d’appello ha evidenziato le seguenti circostanze: al momento in cui era stata fissata la stipula del definitivo, la promittente venditrice non era in grado di consegnare il certificato di agibilità, ne’ esso era stato rilasciato nel corso del giudizio di primo grado; nel preliminare era stato stabilito che, in caso di esito negativo del giudizio pendente dinanzi al Tar e di annullamento dei provvedimenti amministrativi di rigetto delle istanze di sanatoria, la promittente alienante si impegnava a restituire, in favore della promissaria acquirente, le somme nel frattempo versate; le parti avevano inteso subordinare la risoluzione del preliminare alla mancata positiva conclusione del giudizio amministrativo; il Tar aveva rilevato nella propria sentenza che la promittente alienante non era stata messa in grado di fornire un principio di prova circa la realizzazione dell’opera entro il termine ultimo di legge, con conseguente annullamento del provvedimento del Comune di rigetto delle istanze di condono, con conseguente obbligo dell’Amministrazione di rinnovare la procedura istruttoria; il Tar aveva inoltre rilevato che nessun termine essenziale era stato stabilito per la consegna del certificato di abitabilità entro la data pattuita per la stipula del definitivo.

Viene proposto, quindi, ricorso per Cassazione, contestando il promittente acquirente che la sentenza impugnata sarebbe censurabile nella parte in cui non avrebbe ritenuto insanabile la carenza relativa al difetto della certificazione di agibilità per l’abusivo mutamento di destinazione d’uso, non avendo la società promittente venditrice dimostrato la perdurante possibilità di procurare tale certificato.

La Suprema Corte, nella sentenza de qua, ha chiarito che, in tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità configura alternativamente l’ipotesi di: vendita di aliud pro alio, qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili; vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili; inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa (Cass., sez. II, 2 agosto 2023, n. 23605; Cass., sez. II, 2 agosto 2023, n. 23604).

Tale insanabilità nella fattispecie doveva essere accertata alla luce del quadro probatorio (documentale) offerto, con precipuo riferimento allo stato in concreto della pratica amministrativa volta ad ottenere l’istanza di sanatoria dell’abusiva variazione di destinazione d’uso da servizi comuni (palestre e piscina) in superfici abitative; tenuto conto, al contempo, del lungo lasso di tempo decorso rispetto alla data fissata nel preliminare per la stipula del definitivo.

In proposito, nella valutazione della gravità ex art. 1455 c.c., sotto il profilo qualitativo e quantitativo, dell’inadempimento dedotto (ossia in ordine alla carenza dei requisiti per ottenere la sanatoria del mutamento di destinazione d’uso da servizi comuni a superficie abitativa), avrebbe dovuto tenersi conto dell’iter della pratica amministrativa (e segnatamente del suo eventuale avvio all’esito della pronuncia giudiziale evocata), dovendo ponderarsi, in difetto di riscontri, se fosse stata esclusa, in modo significativo, l’oggettiva attitudine del bene a soddisfare le aspettative del promissario acquirente, essendo il cespite oggettivamente inadeguato ad assolvere alla sua funzione economico-sociale (Cass., sez. II, ord. 27 dicembre 2017, n. 30950).

Tenuto conto altresì che, nel caso di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche, sono integrati gli estremi di un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita, da qualificarsi grave in relazione alle concrete esigenze del promissario compratore di utilizzazione diretta od indiretta dell’immobile. In ragione di siffatte direttrici, le carenze sostanziali acclarate non avrebbero potuto ricondursi al mero rilievo formale del difetto della consegna del certificato.

Ebbene, solo quando sia appurata la ricorrenza delle condizioni sostanziali che ne avrebbero giustificato il rilascio non può darsi luogo alla risoluzione del contratto, in quanto tale deficienza non influisce, per definizione, sulla funzione economico-sociale della res alienata, la cui identità sul piano statico e dinamico corrisponde esattamente all’oggetto della pattuizione.

Pertanto, qualora manchi la documentazione amministrativa, ma siano presenti, in concreto, i requisiti richiesti dalla legge per l’agibilità, non si può attivare il rimedio della risoluzione, presupponendo il ricorso a detto rimedio la verifica, sul piano oggettivo e subiettivo, dell’importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. (Cass., sez. III, 4 marzo 2022, n. 7187).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha erroneamente applicato la disciplina sulla risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, in relazione alla mancanza della licenza di agibilità (ex abitabilità), in assoluta carenza di alcuna dimostrazione, a cura della società promittente venditrice, della regolarità della sanatoria e della perdurante possibilità di ottenere il detto certificato. Per tale motivo, la Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte d’Appello, la quale dovrà attenersi al principio evidenziato in massima.

*Contributo in tema di “Contratto preliminare di compravendita”, a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

regolamento condominio termine convocazione

Regolamento condominio: può prevedere termini più ampi per le convocazioni L’art. 66 disp. att. c.c. non rientra infatti tra le disposizioni inderogabili da parte del regolamento condominiale

Termine convocazione assemblea

Il termine previsto per la convocazione dell’assemblea può essere derogato dal regolamento di condominio, in quanto l’art. 66 disp. att. c.c. non rientra tra le disposizioni inderogabili. È quanto ha precisato il tribunale di Bari con sentenza n. 1994/2024, esprimendosi su una vicenda avente ad oggetto l’impugnazione di una delibera assembleare.

Nel caso di specie, i proprietari di un appartamento convenivano in giudizio il condominio chiedendo al giudice di dichiarare “illegittimo, inesistente, nullo e/o annullabile, inefficace e quindi, annullare l’intero deliberato assunto” dall’assemblea con condanna del convenuto alla soccombenza processuale.

In particolare deducevano di aver espresso la volontà di distaccarsi dal condominio e, a fronte dell’opposizione di quest’ultimo, di aver intrapreso procedura di mediazione, conclusasi con esito negativo e di aver ricevuto, infine, l’avviso di convocazione di assemblea straordinaria in ritardo, non potendo prendere parte alla stessa, al termine della quale l’organo assembleare aveva rigettato la domanda di fuoriuscita dalla comunione.

Da qui la richiesta di annullamento della delibera condominiale, in quanto adottata in violazione dell’art. 14 comma 2 del regolamento di condominio, il quale disponeva la convocazione a cura dell’amministratore almeno dieci giorni prima della data fissata per l’adunanza, e dell’art. 1105 comma 3 c.c.

Il regolamento di condominio

Il giudice dà loro ragione. Come noto, afferma infatti il tribunale, “a lume dell’art. 1138 c.c., qualora in un edificio il numero dei condomini sia superiore a dieci, è necessaria la predisposizione di un regolamento, il quale oltre a contenere le norme circa l’uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese e per la tutela del decoro dell’edificio, disciplina pure l’attività amministrativa della cosa comune”.

Le norme del regolamento, prosegue il giudice, “non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino”, e in nessun caso derogare alle disposizioni che costituiscono “norme inderogabili” per espresso dettato normativo; ben potendo, tuttavia, derogare alle altre norme di legge, “rientrando tale facoltà nell’alveo della libertà negoziale riconosciuta ai singoli”.

Tra le norme inderogabili, afferma quindi il giudicante, “sicuramente non rientra l’art. 66 disp. att. c.c, nella parte in cui prevede un termine entro cui la convocazione assembleare deve essere comunicata ai singoli condomini, a maggior ragione ove – come avvenuto nella specie – il regolamento stabilisca un termine più ampio – di giorni dieci e, dunque, in melius – rispetto a quello – di giorni cinque – previsto dall’art. 66 cit.”.

Ritardo nell’avviso di convocazione

Peraltro, osserva il tribunale, “è principio ormai consolidato quello secondo cui ogni condomino, avendo il diritto di intervenire all’assemblea, deve perciò essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l’avviso di convocazione, quale atto unilaterale recettizio, sia non solo inviato ma anche ricevuto nel termine stabilito dalla legge o, come nella specie, dal regolamento condominiale, avendo riguardo alla riunione dell’assemblea in prima convocazione”.

Da quanto precede derivata, pertanto, “che il mancato rispetto di tale termine di ricezione dell’avviso da parte dell’avente diritto costituisce motivo di annullamento della delibera assembleare, ai sensi dell’art. 1137 c.c.”.

Conclusione che, peraltro, trova conforto, nel testo ora vigente dell’art. 66 comma c.c., il quale dispone che “in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati”.

La decisione

Per cui, facendo applicazione delle enunciate coordinate ermeneutiche al caso di specie, la comunicazione della convocazione dell’assemblea è da ritenersi tardiva, e, per l’effetto, annullabile. Da qui, l’accoglimento della spiegata domanda.

 

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Magistrati e avvocati dello Stato: stipendi più alti Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Dpcm che prevede l'incremento con decorrenza 1° gennaio 2024 degli stipendi del personale di magistratura ed equiparati in virtù delle variazioni Istat

Adeguamenti stipendi e indennità magistrati e avvocati dello Stato

Parte l’adeguamento triennale degli stipendi e delle indennità dei magistrati e degli avvocati dello Stato. Lo prevede il dpcm del 3 giugno scorso pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 giugno, in virtù delle variazioni comunicate dall’Istat.

Stipendi e indennità su del 6,69%

In particolare, l’art. 1 prevede che “le misure degli stipendi del personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, dell’indennità prevista dall’art. 3, primo comma, della stessa legge e dell’indennità integrativa speciale in vigore alla data del 1° gennaio 2021, sono incrementate del 6,69 per cento, con decorrenza 1° gennaio 2024, con conseguente conguaglio, con la medesima decorrenza 1° gennaio 2024, degli acconti corrisposti negli anni 2022 e 2023″.

Acconti per il triennio successivo

L’art. 2 prevede, inoltre, che l’indennità prevista dall’art. 3, primo comma, della stessa legge e l’indennità integrativa speciale in vigore alla data del 1° gennaio 2024, come determinate dall’art. 1 del decreto, “sono ulteriormente incrementate, per ciascuno degli anni 2025 e 2026, del 2,01 per cento, con decorrenza, rispettivamente, dal 1° gennaio 2025 e dal 1° gennaio 2026, a titolo di acconto sull’adeguamento triennale successivo”.

Risorse

L’art. 3, prevede infine che al relativo onere, che costituisce spesa avente natura obbligatoria, si provvede a valere sulle disponibilità dei pertinenti capitoli di bilancio delle amministrazioni interessate.

Il decreto è stato trasmesso alla Corte dei Conti e registrato l’11 giugno 2024.

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tfr tfs procedura riscatto

TFR e TFS: nuova procedura online L'INPS ha dettato le istruzioni per la nuova procedura per l'inoltro delle domande telematiche di riscatto TFS e TFR

TFS/TFR: nuova procedura di riscatto online

E’ disponibile sul sito dell’INPS, la nuova procedura che consente all’iscritto e agli enti datori di lavoro (solo per le amministrazioni statali), l’inoltro delle domande telematiche per il riscatto del trattamento di fine servizio (TFS) e del trattamento di fine rapporto (TFR). E’ lo stesso istituto a dettare le istruzioni con il messaggio n. 2243/2024.

Funzionalità disponibili per il cittadino

In particolare, le funzionalità disponibili per il cittadino sono le seguenti:

  • domanda di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per gli iscritti all’ex INADEL);
  • richiesta di anticipata estinzione delle rate residue di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per gli iscritti all’ex INADEL);
  • registrazione dell’avvenuto pagamento di anticipata estinzione (sia per gli iscritti all’ex ENPAS che per gli iscritti all’ex INADEL);
  • richiesta di esonero dal pagamento delle rate residue di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per gli iscritti all’ex INADEL);
  • rinuncia al riscatto ai fini TFS/TFR (sia per gli iscritti all’ex ENPAS che per gli iscritti all’ex INADEL);
  • consultazione delle domande inoltrate (sia per gli iscritti all’ex ENPAS sia per gli iscritti all’ex INADEL).

Funzionalità disponibili per il datore di lavoro

Le funzionalità disponibili per l’Ente datore di lavoro, invece, sono le seguenti:

  • domanda di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS);
  • richiesta di anticipata estinzione delle rate residue di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS);
  • richiesta di esonero dal pagamento delle rate residue di riscatto ai fini TFS/TFR (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS);
  • nuova domanda di riscatto ai fini TFS/TFR a rettifica della precedente già inoltrata (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS);
  • consultazione delle domande inoltrate (solo per le Amministrazioni statali-iscritti ex ENPAS).

Come accedere alla nuova procedura

La nuova procedura online è disponibile, comunica l’istituto sul proprio sito, accedendo tramite SPID, almeno di Livello 2, CNS, CIE 3.0, PIN dispositivo (rilasciato dall’Istituto solo per i residenti all’estero non in possesso di un documento di riconoscimento italiano e, pertanto, impossibilitati a richiedere le credenziali SPID) ed eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature), digitando nel campo “Ricerca” della homepage le parole “Riscatti TFS e TFR”.

Le istanze di riscatto TFS/TFR già inoltrate sono accessibili alla voce di menu “Consultazione domande inoltrate” della procedura; il manuale è consultabile nell’apposita sezione “Manuali” del sito istituzionale.

Gli utenti possono utilizzare anche i servizi offerti dagli Istituti di Patronato riconosciuti dalla legge o chiamare il Contact Center Integrato al numero verde 803164 (gratuito da rete fissa) o il numero 06164164 (da rete mobile a pagamento in base alla tariffa applicata dai diversi gestori).

tenuità fatto riciclaggio

Riciclaggio: tenuità del fatto sempre esclusa La Cassazione ricorda che la particolare tenuità del fatto è esclusa nel reato di riciclaggio

Particolare tenuità del fatto

La particolare tenuità del fatto è sempre esclusa per il riciclaggio. Lo ricorda la seconda sezione penale della Cassazione, nella sentenza n. 23743-2024.

Nella vicenda, la Corte d’appello di Brescia confermava la condanna di alcuni soggetti per il reato di riciclaggio.

Uno degli imputati ricorreva avverso il Palazzaccio, tramite il proprio difensore, deducendo, tra l’altro, violazione di legge, in quanto non sarebbe stata valutata la possibilità di riconoscere la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. in relazione al reato di riciclaggio, ove diversamente qualificato.

Reato di riciclaggio e art. 131-bis c.p.

Per la Cassazione, però, la doglianza è manifestamente infondata in quanto “il reato di riciclaggio contestato, correttamente qualificato, non consente l’applicazione del beneficio richiesto”.

Attenuanti generiche

Nulla di fatto neanche in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, giacchè la Corte d’appello in coerenza con la giurisprudenza di legittimità, aveva rilevato l’assenza di elementi positivi idonei a consentire al riconoscimento del beneficio.

Inammissibilità del ricorso

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna anche al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma determinata equitativamente in tremila euro.

Allegati

giurista risponde

Servizio di guardia medica e visita domiciliare Commette reato il sanitario in servizio di guardia medica che si rifiuti di eseguire una visita domiciliare?

Quesito con risposta a cura di Andrea Bonanno e Giulia Fanelli

Integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che, pur richiesto, decida di non eseguire l’intervento domiciliare urgente per accertarsi delle effettive condizioni di salute del paziente, nonostante gli venga prospettata una sintomatologia grave, trattandosi di un reato di pericolo per il quale a nulla rileva che lo stato di salute del paziente si riveli in concreto meno grave di quanto potesse prevedersi. – Cass., sez. VI, 15 marzo 2024, n. 11085.

Nel caso di specie, la Suprema Corte è intervenuta in merito al reato di rifiuto di atti di ufficio, vagliando la responsabilità penale del medico in servizio di guardia medica che si rifiuti di eseguire una visita domiciliare urgente richiesta dal paziente.

In particolare, la Corte di Appello confermava la pronuncia con la quale il Tribunale, previa assoluzione per il delitto di omicidio colposo, aveva condannato un medico per il reato di omissioni in atti di ufficio, perché, nella qualità di medico di guardia dell’Asl, aveva rifiutato di eseguire una visita domiciliare, nonostante le riferite gravi condizioni di salute del paziente, limitandosi a diagnosticare telefonicamente una gastroenterite che, successivamente, risultava essere un infarto che portava al decesso dell’uomo.

Avverso tale sentenza il medico ha presentato ricorso dinnanzi alla Corte di Cassazione con atto sottoscritto dal proprio difensore.

In particolare, il ricorrente denunziava la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’ art. 328 c.p. attesa la mancanza sia dell’indebito rifiuto – posto che la scelta del medico di provvedere o meno a visita domiciliare costituisce un atto discrezionale – sia del dolo del reato – in quanto il ricorrente, avendo colposamente errato la diagnosi, non era consapevole delle reali condizioni del paziente e, quindi, non si era rappresentato una situazione che imponesse il dovere di attivarsi.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso parzialmente fondato e ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio.

In relazione alla configurabilità del reato di rifiuto di atti di ufficio, la Suprema Corte ha evidenziato che l’art. 13, D.P.R. 41/1991 stabilisce che il medico in servizio di guardia deve rimanere a disposizione «per effettuare gli interventi domiciliari a livello territoriale che gli saranno richiesti» e durante il turno «è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dagli utenti». È di tutta evidenza che, in base alla norma citata, la necessità e l’urgenza di effettuare una visita domiciliare spetti alla valutazione discrezionale del sanitario di guardia, sia sulla base della sintomatologia riferitagli che sulla base della propria esperienza. Tale valutazione, però, è sindacabile dal giudice di merito, in forza degli elementi di prova sottoposti al suo esame, per accertare se la valutazione del sanitario sia stata correttamente effettuata sulla base di dati di ragionevolezza, desumibili dallo specifico contesto e dai protocolli sanitari applicabili, oppure costituisca un pretesto per giustificare l’inadempimento dei propri doveri (Cass., sez. VI, 29 luglio 2019, n. 34535; Cass., sez. VI, 30 ottobre 2012, n. 23817).

Costituisce, pertanto, consolidato orientamento interpretativo di questa Corte quello secondo il quale integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che, pur richiesto, decida di non eseguire l’intervento domiciliare urgente per accertarsi delle effettive condizioni di salute del paziente, nonostante gli venga prospettata una sintomatologia grave, trattandosi di un reato di pericolo per il quale a nulla rileva che lo stato di salute del paziente si riveli in concreto meno grave di quanto potesse prevedersi. In sostanza, il delitto è integrato ogniqualvolta il medico di turno, pubblico ufficiale, a fronte ad una riferita sintomatologia ingravescente e alla richiesta di soccorso, che presenti inequivoci connotati di gravità e di allarme, neghi un atto non ritardabile, quale appunto quello di un accurato esame clinico volto ad accertare le effettive condizioni del paziente (Cass., sez. VI, 23 maggio 2023, n. 29927; Cass., sez. VI, 30 ottobre 2012, n. 23817; Cass., sez. VI, 5 giugno 2007, n. 31670).

Nel caso in esame, la motivazione della sentenza di secondo grado, dopo aver correttamente escluso che la condotta di tipo omissivo della ricorrente avesse causalmente determinato la morte del paziente, ha spiegato che l’ostinato rifiuto del medico di eseguire la visita domiciliare andasse qualificato come rifiuto di atti di ufficio. Nonostante la perizia disposta in primo grado avesse ritenuto che i sintomi rappresentati telefonicamente dovessero indurre ragionevolmente a considerare la possibilità teorica che fosse in atto una patologia cardio-vascolare di natura ischemica, la dottoressa aveva diagnosticato una semplice gastroenterite (ritenuta dai periti «francamente erronea»), e non aveva ritenuto necessario eseguire la visita domiciliare sebbene solo il rilevamento di parametri obiettivi (quali la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, il ritmo cardiaco, la cianosi) avrebbe consentito di comprendere, in concreto, la patologia del paziente.

Quanto alla doglianza riguardante l’insussistenza del dolo del reato, la Suprema Corte ha ritenuto le argomentazioni esposte dalla Corte di merito correttamente fondate sull’indebito e consapevole rifiuto della ricorrente di svolgere l’intervento domiciliare urgente, in assenza di altre esigenze dei servizio (quali, ad esempio, contemporanee richieste di intervento urgente), a fronte dell’ inequivoca gravità e chiarezza della sintomatologia esposta, per sincerarsi personalmente, pur nel dubbio, delle effettive condizioni del paziente e dell’eventuale situazione di pericolo in cui questi si trovava o meno, in base ad un esame clinico diretto. Ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del reato, costituito dal dolo generico, è dunque vero che non basta la generica negligenza, ma è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza che il proprio contegno omissivo violi i doveri impostigli (Cass., sez. VI, 15 giugno 2021, n. 33565) tra i quali rientrano quelli delineati nel sopracitato art. 13, D.P.R. 41/1991 la cui necessità va valutata secondo criteri di ragionevolezza desumibili dalla situazione in concreto rappresentata.

*Contributo in tema di “Servizio di guardia medica e visita domiciliare”, a cura di Andrea Bonanno e Giulia Fanelli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica