inps in videochiamata

INPS in videochiamata: come funziona il nuovo servizio dall’1 luglio Come funziona il nuovo servizio sperimentale INPS in videochiamata disponibile dal 1° luglio 2025: vantaggi, sedi coinvolte e come prenotare l’appuntamento online

INPS in videochiamata: servizio dall’1 luglio

INPS in videochiamata: dal 1° luglio 2025, l’INPS inaugura una fase sperimentale del servizio di videochiamata con i cittadini. L’iniziativa, come annunciato nel messaggio n. 1979/2025, rientra in un più ampio progetto di innovazione digitale pensato per semplificare l’accesso alle informazioni e alle pratiche, riducendo i tempi di attesa e gli spostamenti verso gli sportelli fisici.

La sperimentazione riguarderà inizialmente un numero selezionato di sedi e sportelli, con l’obiettivo di estendere progressivamente il servizio a tutto il territorio nazionale.

Cosa offre il nuovo servizio di videochiamata

La videochiamata INPS introduce un’interazione più diretta e completa rispetto alla tradizionale assistenza telefonica, permettendo di vedere e parlare con un operatore qualificato in tempo reale.

Tra i principali vantaggi del servizio:

  • Accessibilità totale: basta un dispositivo (PC, tablet, smartphone) con connessione internet e videocamera per collegarsi da qualsiasi luogo.

  • Appuntamenti strutturati: ogni sessione dura 20 minuti, con possibilità di estensione se necessario.

  • Riduzione dei tempi di attesa: il collegamento è rapido e senza code.

  • Facilità d’uso: la piattaforma è intuitiva e pensata anche per chi ha poca dimestichezza con il digitale.

  • Assistenza personalizzata: puoi parlare con un operatore specializzato su pensioni, NASpI, invalidità civile e altre pratiche.

  • Scambio sicuro di documenti: durante la chiamata puoi inviare o ricevere documenti ufficiali che verranno protocollati.

  • Chat integrata: una live chat testuale consente di scrivere eventuali domande.

  • Benefici ambientali: meno spostamenti significano minori emissioni di CO2.

Come prenotare la videochiamata

Per utilizzare la nuova modalità di assistenza è necessario prenotare un appuntamento nel giorno dedicato dalla sede INPS sperimentale.

Le modalità di prenotazione sono diverse:

  • Accedi al sito inps.it e usa la funzione “Prenota un appuntamento” nell’area MyINPS.

  • Utilizza l’app INPS Mobile nella sezione “Sportelli di sede”.

  • Chiama il Contact Center:

    • Numero gratuito da rete fissa: 803164

    • Da cellulare (a pagamento): 06164164

  • Rivolgiti direttamente agli sportelli di prima accoglienza delle sedi INPS.

Il giorno della videochiamata, troverai il link per avviare la sessione tra le notifiche della tua area personale MyINPS. Non è necessario installare software aggiuntivi.

Dove parte la sperimentazione

La sperimentazione coinvolge una selezione di sedi INPS che offrono giornate dedicate al servizio di videochiamata. L’elenco completo e aggiornato è disponibile sul portale istituzionale nella pagina dedicata agli sportelli in videochiamata.

Guide e assistenza

Per facilitare l’uso del nuovo servizio, l’INPS mette a disposizione (nella sezione “Sportelli di sede” e “Contatti” sul sito ufficiale):

  • Un tutorial PDF dettagliato consultabile online.

  • Un breve video di presentazione che spiega come prenotare e avviare la videochiamata.

quattordicesima 2025

Quattordicesima 2025: arriva a luglio per i pensionati L’INPS comunica il pagamento d’ufficio della quattordicesima a luglio 2025 per pensionati over 64 con redditi nei limiti. Scopri requisiti, importi e come fare domanda

Cos’è e quando viene pagata la quattordicesima 2025

Con il messaggio INPS n. 1966 del 20 giugno 2025, l’Istituto informa che la quattordicesima sarà erogata d’ufficio sulla pensione di luglio 2025, per i pensionati che rispettano requisiti anagrafici e reddituali. 

Chi ha diritto e quali redditi valgono

Per accedere al beneficio:

  • È necessario aver compiuto 64 anni entro il 31 luglio 2025 (o entro il 30 giugno per gestioni pubbliche e ex‑INPGI)

  • Il reddito annuo personale (pensionistico e altri redditi esclusi quelli esenti) deve rientrare in fasce stabilite: fino a 1,5× o 2× il trattamento minimo (603,40 €). Il limite massimo è di 15.688,40 € lordi

Importi in base a contributi e reddito

L’ammontare della quattordicesima varia in funzione degli anni di contribuzione e del reddito:

Anni di contribuzione Reddito ≤ 1,5× TM Reddito tra 1,5× e 2× TM
Fino a 15 anni 437 € (dipend.) 336 €
15–25 anni 546 € 420 €
Oltre 25 anni 655 € 504 €

Clausola di salvaguardia

Se il reddito supera il limite ma resta sotto soglia più importo, si applica un pagamento proporzionato. 

Modalità d’erogazione e aggiornamento dati

  • Erogazione automatica on July 2025 per chi possiede i requisiti; a dicembre 2025 per chi compie 64 anni o diventa titolare di pensione dopo le scadenze indicate

  • L’INPS impiega i redditi certificati fino al 2021/2022, in attesa di dati aggiornati

  • Eventuali importi indebiti verranno recuperati automaticamente .

Come richiedere la quattordicesima se non arriva

Chi non la riceve ma ritiene di averne diritto può presentare domanda di “Ricostituzione reddituale per quattordicesima” tramite SPID/CNS/CIE o rivolgendosi a patronati per assistenza gratuita. 

Come verificare nel cedolino e tramite INPS

La quattordicesima comparirà nel cedolino di luglio (o dicembre) con apposita voce. Le comunicazioni verranno trasmesse tramite MY INPS, email certificata, modello Obis/M e app IO; non saranno inviate lettere cartacee. 

Vedi anche la guida Quattordicesima

vittime di violenza di genere

Vittime di violenza di genere: contributi dalla Cassa La Cassa dei Dottori Commercialisti stanzia 200.000 euro per un contributo economico destinato alle professioniste vittime di violenza di genere. Ecco requisiti, importo e modalità di domanda

Commercialiste vittime di violenza di genere

Vittime di violenza di genere: la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti ha previsto, per il 2025, un contributo economico di supporto dedicato esclusivamente alle Commercialiste che hanno subito violenza di genere. La finalità è sostenere il percorso di fuoriuscita dalla violenza e favorire il recupero dell’autonomia professionale, grazie a un fondo complessivo pari a 200.000 euro.

Chi può beneficiarne

L’accesso al contributo è riservato alle professioniste iscritte alla Cassa alla data del 31 dicembre 2025 e residenti sul territorio nazionale. Per ottenere il beneficio occorre trovarsi in una delle seguenti situazioni:

  • aver intrapreso dal gennaio 2021 un percorso di protezione e fuoriuscita dalla violenza, ancora in corso al momento della domanda;

  • oppure aver avviato azioni giudiziarie di tutela, concluse o pendenti.

Il requisito dello stato di bisogno si considera automaticamente sussistente in relazione alla particolare condizione di vulnerabilità derivante dalla violenza subita.

Importo e caratteristiche del contributo

L’ammontare del sostegno economico non è predeterminato in misura fissa: sarà stabilito caso per caso dal Consiglio di Amministrazione, che valuterà la situazione specifica della richiedente.

Qualora la professionista abbia percepito il “Reddito di Libertà” previsto dal D.P.C.M. 17 dicembre 2020, il nuovo contributo potrà integrare quanto già ricevuto. L’erogazione avverrà in un’unica soluzione tramite bonifico bancario sul conto corrente indicato nella domanda.

Come e quando presentare domanda

Le domande potranno essere inoltrate a partire dal 1° luglio 2025 fino al 30 giugno 2026, e comunque fino ad esaurimento delle risorse stanziate.

Le modalità di invio ammesse sono:

Documentazione da allegare

Alla richiesta è necessario allegare:

  • un documento di identità in corso di validità;

  • una dichiarazione firmata dal legale rappresentante di un centro antiviolenza, oppure dai Servizi Sociali o altro Ente preposto, che attesti l’avvio e il proseguimento di un percorso di protezione e l’effettivo stato di violenza;

  • se già percepito, il documento che comprovi l’erogazione del Reddito di Libertà.

In presenza di irregolarità contributive, l’erogazione del contributo resta sospesa fino alla regolarizzazione.

interrogatorio formale

Interrogatorio formale Interrogatorio formale: cos’è, quando è ammissibile, normativa, come si richiede, quale valore ha e giurisprudenza

Cos’è l’interrogatorio formale

L’interrogatorio formale è un mezzo di prova tipico del processo civile regolato dagli articoli 230 e seguenti del codice di procedura civile. Consiste in una serie di domande rivolte alla parte avversaria, su fatti rilevanti e controversi, idonea a produrre effetti vincolanti nel giudizio.

A differenza dell’interrogatorio libero, che ha funzione esplorativa, quello formale valore probatorio, in quanto può determinare una vera e propria prova legale.

Quando è ammissibile e quando no

Secondo l’art. 230 c.p.c., l’interrogatorio formale è ammissibile solo in relazione a fatti personali della parte e che essa possa conoscere direttamente. Non è quindi consentito proporre l’interrogatorio su fatti:

  • notori;
  • irrilevanti ai fini della decisione;
  • già pacifici tra le parti;
  • non riferibili direttamente alla parte stessa.

Inoltre, l’interrogatorio non può essere ammesso nei confronti di soggetti incapaci di rendere confessione, come i minori o gli interdetti, salve le eccezioni previste dalla legge.

Qual è la normativa di riferimento

La disciplina dell’istituto si rinviene principalmente nel codice di procedura civile, agli articoli:

  • Art. 230 c.p.c. – “Modo dell’interrogatorio”;
  • Art. 231 c.p.c. – “Risposta”;
  • Art. 232 c.p.c. – “Mancata risposta”.

Queste norme stabiliscono i presupposti, le modalità e gli effetti della confessione giudiziale resa in sede di interrogatorio formale.

Come si propone la richiesta di interrogatorio

La parte interessata deve chiedere l’ammissione dell’interrogatorio nell’atto introduttivo del giudizio, indicando specificamente i capitoli sui quali intende che la controparte venga interrogata. La richiesta può essere formulata anche successivamente, ma prima dell’apertura della fase istruttoria.

Se il giudice accoglie la richiesta, dispone l’interrogatorio mediante ordinanza, fissando un’udienza per l’assunzione della prova.

L’interrogatorio è assunto personalmente dal giudice, il quale formula le domande sui singoli capitoli previamente autorizzati. La parte interrogata ha l’obbligo di rispondere personalmente e direttamente.

Qual è il valore dell’interrogatorio formale

L’interrogatorio formale ha un elevato valore probatorio quando si conclude con confessione su fatti sfavorevoli alla parte che confessa e favorevoli alla controparte. In tal caso, la confessione giudiziale ex art. 2730 c.c ha efficacia vincolante, essendo considerata prova legale.

Se la parte non compare oppure rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il giudice può considerare come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio ex art. 232 c.p.c.

Giurisprudenza

Cassazione n. 24799/2024: Quando una parte rilascia dichiarazioni a proprio favore durante un interrogatorio formale, il giudice non è obbligato ad accettarle in automatico. Spetta a lui valutarle liberamente, tenendo conto di tutte le altre prove raccolte. Solo così, infatti, possono diventare un elemento per formare la sua decisione finale.

Cassazione n. 29473/2023: L’interrogatorio formale ha un unico scopo: ottenere la confessione giudiziale di fatti che vanno contro chi li ammette, e che tornano a esclusivo vantaggio della parte che ha richiesto l’interrogatorio. Non può invece essere usato come prova di fatti che favoriscono la parte che sta rendendo la confessione.

Cassazione n. 2956/2018: La parte che ha richiesto l’interrogatorio formale della controparte può liberamente rinunciarvi in qualsiasi momento, senza bisogno del consenso della controparte o del giudice. Questo è il rovescio della medaglia del fatto che una parte non può mai chiedere il proprio interrogatorio formale.

 

Leggi anche l’articolo di procedura penale dedicato all’Interrogatorio di garanzia

giurista risponde

Risoluzione del contratto e rilascio di immobile In caso di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, il rilascio dell’immobile preclude l’azione di risarcimento per il mancato guadagno?

Quesito con risposta a cura di Caterina D’Alessandro, Giulia Fanelli, Mariella Pascazio

 

Il diritto del locatore a conseguire, ai sensi dell’art. 1223 c.c., il risarcimento del danno da mancato guadagno a causa della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore non viene meno, di per sé, in seguito alla restituzione del bene locato prima della naturale scadenza del contratto, ma richiede, normalmente, la dimostrazione da parte del locatore di essersi tempestivamente attivato, una volta ottenuta la disponibilità dell’immobile, per una nuova locazione a terzi, fermo l’apprezzamento del giudice delle circostanze del caso concreto anche in base al canone della buona fede e restando in ogni caso esclusa l’applicabilità dell’art. 1591 c.c. (Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2025, n. 4892).

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, investite dalla questione dalla Terza Sezione Civile, sono intervenute per dirimere un contrasto giurisprudenziale riguardante il diritto del locatore di conseguire il risarcimento del danno da mancato guadagno conseguente alla risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, in relazione ai casi in cui la restituzione del bene locato avvenga in data antecedente alla scadenza naturale del contratto. In particolare, ci si interroga se il locatore possa ottenere un risarcimento per i canoni non percepiti tra la riconsegna dell’immobile e la naturale scadenza del contratto o, se anteriore, fino alla stipula di una nuova locazione.

In assenza di una disposizione normativa volta a regolare la fattispecie, sussistevano sul punto due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Secondo un primo orientamento, prevalente seppur più risalente, risolto il contratto di locazione per inadempimento del conduttore riconsegnato l’immobile al locatore, questi avrebbe avuto anche diritto al risarcimento del danno per la anticipata cessazione del rapporto, da individuarsi nella mancata percezione dei canoni concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore e il cui ammontare è riservato alla valutazione del giudice di merito sulla base di tutte le circostanze del caso concreto. (Cass. 5 gennaio 2023, n. 194; Cass. 5 maggio 2020, n. 8482; Cass. 13 febbraio 2015, n. 286; Cass. 3 settembre 2007, n. 18510 e Cass. 29 gennaio 1980, n. 676).

Secondo altro orientamento, recepito dalla sentenza di merito, il locatore, una volta rientrato nella materiale disponibilità dell’immobile, non avrebbe diritto ad ottenere alcun risarcimento correlato alla mancata percezione dei canoni, rappresentando i canoni il corrispettivo che il locatore percepisce per non potere godere direttamente dell’immobile. Invece, un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio può configurarsi se, per le concrete condizioni in cui si trova l’immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, né in via diretta né in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio nei sensi dell’art. 1590 c.c. (Cass. 20 gennaio 2017, n. 1426; Cass. 10 dicembre 2013, n. 27614).

Con la pronuncia in esame, pur con alcune puntualizzazioni, le Sezioni Unite si sono espresse in favore del primo orientamento, rilevando che la diversa tesi che individua la causa della locazione nella preliminare rinuncia al godimento diretto non considera che non necessariamente in capo al locatore risiede un interesse al godimento diretto del proprio immobile, compensato dal canone.

Tale impostazione, secondo le Sezioni Unite, sarebbe riduttiva e non aderente alla realtà contrattuale della locazione, atteso che non terrebbe conto di tutte quei casi, diffusi nella pratica, in cui chi loca un bene intende utilizzarlo al solo fine di trarne delle rendite o realizzare profitti (es. società commerciale orientata a realizzare profitti attraverso l’acquisto sistematico di immobili da destinare con immediatezza al godimento di terzi dietro compensi).

La tesi secondo cui il rilascio dell’immobile locato a seguito di risoluzione per inadempimento del conduttore non sarebbe di per sé tale da integrare un danno trascura la mancata realizzazione del programma negoziale originariamente convenuto tra le parti.

Attraverso la conclusione di un contratto, le parti non si propongano affatto di ricomporre, come conseguenza della realizzazione della causa contrattuale, il medesimo equilibrio economico originario astrattamente considerato (sia pure in una diversa composizione materiale: una somma di danaro al posto di un periodo di godimento dell’immobile, e viceversa), bensì a raggiungere un diverso e più avanzato assetto economico-giuridico della propria sfera patrimoniale, rivisto attraverso il prisma delle proprie prospettive d’interesse.

La frustrazione che il locatore è costretto a subire per effetto dell’inadempimento del conduttore, in relazione al compimento del programma contrattuale originariamente convenuto (e, dunque, in relazione al forzato sacrificio degli interessi negoziati), non potrà in tal senso mai essere reintegrata, sul piano risarcitorio, dalla ricollocazione dello stesso locatore nella medesima condizione economico-patrimoniale precedente la conclusione del contratto.

Muovendo da queste premesse, le Sezioni Unite ritengono di dover dar seguito all’orientamento secondo il quale “il locatore, il quale abbia chiesto e ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per l’anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore”.

Allo stesso tempo, deve essere escluso qualsiasi automatismo in ipotesi volto a identificare il danno del locatore nell’insieme dei canoni non percepiti. Non si deve confondere l’azione risarcitoria con l’azione di adempimento (solo grazie alla quale il locatore può esigere il mancato pagamento dei canoni convenuti fino alla scadenza del rapporto) e, dall’altro, occorre rammentare come l’operazione di liquidazione del danno si fondi necessariamente sulla preliminare distinzione fra danno-evento (qui coincidente con l’inadempimento e identificato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore) e danno-conseguenza disciplinato dall’art. 1223 c.c., ai sensi del quale il “mancato guadagno” del locatore, in tanto potrà ritenersi risarcibile, in quanto appaia configurabile alla stregua di una “conseguenza immediata e diretta” dell’inadempimento.

Tale nesso di “causalità giuridica” tra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (il carattere di derivazione immediata e diretta di queste ultime dal primo) costituisce materia di un onere probatorio (necessariamente) incombente sul locatore ai sensi dell’art. 2697 c.c.; e tanto, a prescindere da quanto il conduttore potrà eventualmente opporre ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c.

Da questa prospettiva, la circostanza dell’avvenuta restituzione anticipata dell’immobile da parte del conduttore inadempiente a seguito della risoluzione del contratto se, da un lato, non esclude di principio la risarcibilità delle possibili conseguenze dannose correlate alla mancata percezione dei canoni dovuti fino alla naturale scadenza del contratto (o alla conclusione di un’eventuale nuova locazione), dall’altro, non potrà non offrire al giudice del merito elementi utili (sul piano del ragionamento probatorio d’indole critica) ai fini della più corretta ricostruzione in fatto delle conseguenze dannose effettivamente ricollegabili al l’inadempimento, normalmente identificabili con la perdita dei canoni previsti fino alla naturale scadenza del contratto.

È in questo quadro che si colloca la giustificazione dell’attribuzione di un carattere ragionevolmente dirimente alla dimostrazione, da parte del locatore, d’essersi convenientemente attivato, non appena ottenuta la riconsegna del proprio immobile, al fine di rendere conoscibile con i mezzi ordinari la disponibilità dell’immobile per una nuova locazione.

Le Sezioni Unite, infine, hanno anche escluso in tali ipotesi la possibilità di fare applicazione in via analogica della disciplina prevista dalla regola dettata dall’art. 1591 c.c. (“Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”), rimarcando che detta norma disciplina le sole conseguenze risarcitorie connesse al ritardo nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore.

 

(*Contributo in tema di “Risoluzione del contratto e rilascio di immobile”, a cura di Caterina D’Alessandro, Giulia Fanelli e Mariella Pascazio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

corso d'inglese ai figli

Corso d’inglese ai figli: è spesa ordinaria, nessun obbligo di consenso La Cassazione chiarisce: il corso d'inglese per i figli è una spesa ordinaria, non serve il preventivo assenso dell’altro genitore

Corso d’inglese ai figli: rientra tra le spese ordinarie

Corso d’inglese ai figli: con l’ordinanza n. 17017/2025, la Cassazione ha ribadito un principio importante in materia di separazione e responsabilità genitoriale: le spese per i corsi di lingua inglese, sebbene possano sembrare “straordinarie”, rientrano a pieno titolo tra le spese ordinarie e prevedibili, e pertanto non necessitano del preventivo assenso dell’altro genitore.

Spese ordinarie e straordinarie: quando serve l’accordo?

In generale, il genitore collocatario può sostenere spese legate ai figli senza dover ottenere un accordo preliminare, purché si tratti di esborsi ripetitivi e prevedibili nella vita del minore, come:

  • spese scolastiche ricorrenti,

  • cure mediche di routine,

  • attività sportive o didattiche integrative di comune diffusione.

Il preventivo assenso è invece richiesto per le spese straordinarie, ovvero quelle non usuali, imprevedibili o economicamente rilevanti, tali da incidere significativamente sull’equilibrio patrimoniale o educativo del minore.

Il corso d’inglese è “ordinario” per la società attuale

Nel caso specifico, il genitore collocatario aveva iscritto il figlio a un corso di lingua inglese senza informare l’ex coniuge. La Corte ha ritenuto tale scelta conforme al superiore interesse del minore, riconoscendo che oggi l’apprendimento dell’inglese costituisce una necessità formativa, radicata nel contesto sociale e lavorativo contemporaneo.

L’insegnamento dell’inglese non solo rafforza il percorso scolastico, ma prepara il minore agli studi universitari e all’ingresso nel mondo del lavoro. Per questo motivo, tale spesa, se pur apparentemente “straordinaria”, assume un carattere ordinario e prevedibile.

Rimborso possibile anche senza consenso, se c’è utilità per il figlio

Un altro aspetto fondamentale chiarito dalla Cassazione è che, anche laddove una spesa possa rientrare tra quelle straordinarie, l’assenza di accordo preventivo non preclude il diritto al rimborso da parte dell’altro genitore. La condizione è che il giudice ne valuti:

  • la rispondenza all’interesse del minore,

  • la congruità con il tenore di vita familiare precedente.

Allegati

naspi 2025

NASpI 2025: nuovo requisito contributivo per chi si dimette Dal 1° gennaio 2025 cambia l’accesso alla NASpI: introdotto un nuovo requisito contributivo per chi ha lasciato volontariamente un lavoro a tempo indeterminato. L'INPS chiarisce le modifiche apportate dalla legge di bilancio

Nuove regole NASpI 2025

La circolare INPS n. 98 del 2025 ha chiarito le modifiche apportate all’articolo 3 del d.lgs. n. 22/2015 dalla Legge di Bilancio 2025, introducendo un nuovo requisito contributivo per accedere alla NASpI, applicabile agli eventi di disoccupazione avvenuti dal 1° gennaio 2025.

NASpI dopo le dimissioni: servono 13 settimane di contributi

Chi ha interrotto volontariamente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (per dimissioni o risoluzione consensuale) nei 12 mesi precedenti alla nuova disoccupazione, dovrà dimostrare almeno 13 settimane di contribuzione maturate tra i due eventi per accedere alla NASpI.

Dimissioni escluse dalla nuova regola

Non tutte le cessazioni volontarie sono penalizzate. Restano escluse le ipotesi in cui il lavoratore ha diritto alla NASpI senza ulteriori requisiti contributivi, ovvero:

  • dimissioni per giusta causa;

  • dimissioni durante il periodo tutelato di maternità o paternità;

  • risoluzione consensuale avvenuta nell’ambito della procedura di conciliazione ex art. 7 legge n. 604/1966.

Che tipo di rapporti di lavoro sono coinvolti?

Il nuovo requisito si applica alle cessazioni volontarie da rapporti a tempo indeterminato. Tuttavia, la cessazione involontaria successiva, che dà titolo alla NASpI, può riferirsi a rapporti sia a tempo indeterminato che a tempo determinato.

Contributi validi per maturare il requisito NASpI

Sono ritenuti utili ai fini del calcolo delle 13 settimane:

  • i contributi obbligatori versati durante rapporti di lavoro subordinato;

  • i contributi figurativi per maternità obbligatoria se già iniziata con contribuzione attiva;

  • i congedi parentali indennizzati in costanza di lavoro;

  • i periodi di lavoro svolti all’estero in Paesi UE o convenzionati con l’Italia;

  • fino a 5 giorni l’anno di astensione per malattia dei figli sotto gli 8 anni;

  • eventuali settimane agricole, se comprese nel periodo tra la cessazione volontaria e quella involontaria, che sono anch’esse cumulabili.

Il calcolo dell’importo e della durata resta invariato

È importante sottolineare che il nuovo requisito introdotto riguarda solo l’accesso alla prestazione. La misura e la durata della NASpI non subiscono modifiche e continuano ad essere determinate secondo le regole previgenti.

indennità di discontinuità

Indennità di discontinuità: guida e istruzioni INPS Quali sono i nuovi requisiti, le modalità di accesso e le novità per l’indennità di discontinuità secondo la circolare INPS n.101/2025

Cos’è l’indennità di discontinuità (IDIS)

L’indennità di discontinuità (IDIS) è un sostegno economico introdotto dal D.lgs. n. 175/2023, rivolto ai lavoratori del settore spettacolo iscritti al Fondo Pensioni per i Lavoratori dello Spettacolo (FPLS). Fornisce un supporto durante i periodi di inattività lavorativa, anche per chi mantiene contratti in corso, a differenza della NASpI. 

Novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2025

Con la Legge n. 207/2024, in vigore dal 1° gennaio 2025, sono state introdotte importanti modifiche:

  • Reddito massimo: il limite IRPEF annuo è stato rialzato a 30.000 €, da non superare nel periodo precedente; 

  • Requisito contributivo: il numero minimo di giornate accreditate al FPLS si riduce a 51, rispetto alle 60 originarie; 

  • Esclusione dell’obbligo formativo: non è più previsto l’obbligo di partecipazione a percorsi formativi per i richiedenti. 

Requisiti per accedere all’IDIS

Al momento della domanda, il richiedente deve:

  1. Essere cittadino UE o straniero con regolare permesso di soggiorno.

  2. Risiedere in Italia da almeno 12 mesi

  3. Avere reddito IRPEF entro 30.000 €

  4. Aver maturato minimo 51 giornate di contribuzione FPLS (esclusi trattamenti NASpI, ALAS, IDIS)

  5. Ottenere reddito lavorativo prevalentemente da attività FPLS .

  6. Non avere un contratto subordinato a tempo indeterminato nell’anno precedente (intermittente escluso)

  7. Non percepire pensioni dirette

Durata e importo dell’indennità

  • Durata: pari a un terzo delle giornate contributive accreditate nell’anno precedente, fino a un massimo di 312 giornate annue

  • Esclusione contributi: non si detraggono più i periodi già coperti da NASpI o altre indennità

  • Importo giornaliero: corrisposto al 60% del minimale contributivo INPS, senza superarlo

  • Riparametrazione: se le risorse insufficienti, l’INPS calcola l’indennità entro 30 giorni dopo il 30 settembre 

Modalità e tempistiche per la domanda

  • Scadenza: entro il 30 aprile di ogni anno (proroga al successivo giorno non festivo) per l’anno precedente

  • Presentazione: esclusivamente online, tramite sito INPS, patronati o Contact Center.

  • Decadenza: mancata presentazione entro la scadenza comporta decadenza dal beneficio

Cumulabilità con altre misure

L’IDIS non è cumulabile, nell’anno e nelle stesse giornate, con:

  • Indennità NASpI, NASpI anticipata, DIS-COLL, ALAS, ISCRO, DS Agricola, invalidità, maternità, malattia, infortunio, integrazioni salariali 

La circolare INPS 101/2025

La circolare INPS n. 101/2025 definisce le istruzioni per il corretto accesso e calcolo dell’indennità di discontinuità, alla luce delle recenti modifiche della legge di bilancio. Con una soglia reddituale più alta, giornate contributive ridotte e semplificazione formativa, la misura diventa più accessibile, garantendo un sostegno puntuale ai professionisti dello spettacolo.

Per evitare decadenze o errori, è fondamentale rispettare il termine del 30 aprile e verificare con cura i requisiti al momento della domanda.

assemblea condominiale

Assemblea condominiale: non è valida la convocazione via mail La Cassazione ribadisce che l’art. 66 disp. att. c.c. impone modalità tassative per l’avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, senza deroghe possibili

Convocazione assemblea condominiale

Con l’ordinanza n. 16399/2025, la seconda sezione civile della Cassazione ha ribadito che l’articolo 66, comma 3, delle disposizioni di attuazione del c.c. impone modalità tassative per la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale. Tale disciplina è inderogabile e non può essere modificata neanche da regolamenti interni o consuetudini. 

Il caso concreto

Nel caso esaminato, alcuni condomini avevano impugnato una delibera assembleare sostenendo che l’avviso di convocazione fosse stato inviato tramite posta elettronica ordinaria e affissione in bacheca condominiale, invece che tramite posta certificata, fax, raccomandata o consegna a mano, come previsto dalla normativa.

La Corte d’Appello aveva ritenuto valida la delibera, ma la Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che tali modalità non garantiscano la certezza della ricezione né la regolarità formale della convocazione. 

Cosa dice l’art. 66 disp. att. c.c.

L’art. 66, comma 3, dispone che l’avviso di convocazione — con ordine del giorno, luogo e ora — debba essere comunicato almeno cinque giorni prima della prima convocazione a mezzo:

  • posta raccomandata,

  • posta elettronica certificata (PEC),

  • fax,

  • o consegna a mano.

Queste forme sono espressamente tipizzate e non derogabili, ai sensi del comma 4 e dell’art. 72 disp. att. c.c., che non permette ai regolamenti di modificare tali prescrizioni. 

Le motivazioni della Corte: certezza e trasparenza

Secondo la Corte Suprema, il requisito fondamentale della convocazione è garantire la certezza della conoscenza da parte di ciascun condomino, nel corretto termine dilatorio di cinque giorni. L’utilizzo di modalità più informali, come email non certificata, WhatsApp o affissioni in bacheca, non offre alcuna garanzia reale e reale evidenza dell’avvenuto ricevimento. Di conseguenza, tali modalità non soddisfano la forma prescritta e rendono annullabile la delibera assembleare ai sensi dell’art. 1137 c.c. 

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Abigeato: cos’è e come viene punito Abigeato: che cos'è, quando si configura, quale norma del codice penale lo disciplina e come viene punito dalla legge

Cos’è l’abigeato?

L’abigeato è un reato che consiste nel furto di bestiame e che, in passato, era considerato un crimine particolarmente grave nelle società agricole. Ancora oggi, pur essendo meno diffuso, rappresenta un problema in alcune zone rurali, motivo per cui il legislatore ha previsto specifiche sanzioni nel Codice Penale italiano.

Il termine abigeato deriva dal latino “abigere”, che significa “portare via”. Questo reato si configura quando una persona sottrae animali da allevamento con l’intenzione di trarne profitto, sia per la vendita che per l’uso personale. A differenza del furto comune, l’abigeato coinvolge capi di bestiame di proprietà altrui e può avvenire con modalità organizzate, coinvolgendo più soggetti.

Normativa di riferimento

L’abigeato è disciplinato dall’art. 625 n. 8 del Codice Penale, che lo qualifica come un’aggravante del reato di furto. In particolare, il furto di bestiame è considerato più grave perché colpisce direttamente il settore agricolo e zootecnico, danneggiando l’economia locale.

Inoltre, in alcune regioni italiane, esistono normative specifiche volte a contrastare l’abigeato, con misure di sorveglianza e controlli rafforzati nelle aree a rischio.

Quando scatta il reato di abigeato?

L’abigeato si configura quando:

  • viene sottratto un numero significativo (minimo tre) di capi di bestiame (bovini, equini, ovini, suini o altri animali da allevamento);
  • il bestiame è raccolto in gregge lo mandria, e, se trattasi di bovini o equini, anche se non sono raccolti in mandria;
  • il soggetto che si impossessa degli animali li sottrae per trarne profitto per sé o per altri.

Come viene punito  

La pena per l’abigeato dipende dalla gravità del reato:

  • reclusione da 2 a 6 anni e multa fino a 1.500 euro, se il furto è aggravato (art. 625 c.p.);
  • pene più severe se il furto è commesso da un gruppo organizzato o con violenza;
  • sequestro dei mezzi utilizzati per il trasporto degli animali rubati;
  • applicazione di aggravanti ulteriori in caso di ricettazione o vendita fraudolenta del bestiame.

 

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