pignoramento pensioni

Pignoramento pensioni Pignoramento pensioni 2024: la procedura, i limiti di pignorabilità a tutela del minimo vitale e l’opposizione all’esecuzione per difendersi

Pignoramento pensioni 2024: come funziona

In relazione al pignoramento pensioni 2024 vediamo in che cosa consiste e come funziona il metodo forzoso che i creditori possono utilizzare per recuperare gli importi loro spettanti.

L’art. 543 c.p.c.

Poiché la pensione viene erogata dall’INPS o da altre casse previdenziali la procedura prende il nome di pignoramento presso terzi. Il terzo in questo caso è rappresentato dall’Istituto pensionistico o dalla Cassa che eroga il trattamento.

La norma a cui fare riferimento per il pignoramento presso terzi è l’articolo 543 c.p.c.

Questa norma riconosce infatti al creditore il diritto di pignorare i crediti che il debitore vanta nei confronti di terzi soggetti o le cose del debitore che si trovano nel possesso di terzi.

Questi soggetti terzi sono definiti dalla legge terzi pignorati.  

Pignoramento pensioni 2024: limiti

Il pignoramento della pensione però è soggetto a dei limiti.

Limiti di importo

Il primo limite ha a che fare con l’importo pignorabile. Il creditore infatti non può pignorare l’intero importo della pensione del debitore, ma solo una parte. Il nostro ordinamento impone di salvaguardare il minimo vitale. C’è un importo in sostanza, necessario alla sopravvivenza del debitore, che non può essere aggredito dai creditori.  Con questo termine si intende infatti l’importo necessario a garantire al pensionato una vita dignitosa.

Limite della natura del trattamento

Il secondo limite che l’ordinamento pone al pignoramento della pensione riguarda la natura della prestazione. Non è possibile infatti pignorare gli importi che hanno natura di trattamento assistenziale. Ne sono un esempio la pensione di invalidità civile, l’indennità di accompagnamento e l’assegno sociale.

Pignoramento pensioni 2024: importo pignorabile

Il limite dell’importo pignorabile serve, come anticipato, a garantire al debitore un minimo vitale per garantirgli una vita dignitosa.

Detto questo, qual’è l’importo pignorabile a un pensionato?

Il decreto Aiuti bis n.115/2022, modificando la disciplina contenuta nell’articolo 545 c.p.c comma 7, ha stabilito che non sono pignorabili fino all’importo pari al doppio della misura massima dell’assegno sociale, con il tetto dei 1000 euro, le somme che vengono corrisposte a titolo di pensione, di indennità sostitutive della pensione o di assegni di quiescenza.

La parte che eccede detto importo può essere pignorabile nei limiti indicati dai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 545 c.p.c e da speciali disposizioni di legge.

Calcolo dell’importo non pignorabile 2024

Quest’anno, come indicato nella Tabella allegata alla circolare INPS n. 1 del 02.01.2024, l’importo dell’assegno sociale è di Euro 534,41. L’importo che non può essere pignorato, come visto sopra, è pari al doppio del valore della pensione sociale, per cui non è possibile procedere al pignoramento dell’importo della pensione fino a 1.068,82.

Importo pensione pignorabile 2024

Precisato che fino all’importo di Euro 1.068,82 la pensione non può essere pignorata, la parte eccedente può essere oggetto di pignoramento nel limite di 1/5 se il creditore che agisce è solo uno. Qualora infatti i creditori siano due o più la parte della pensione che eccede l’importo non pignorabile potrà essere aggredita nella misura dei 2/5.

Limiti in caso di accredito della pensione su c/c

I limiti visti finora relativi al pignoramento della pensione cambiano quando l’emolumento viene accreditato sul conto corrente del debitore. In questo caso, in base alle regole previste per il 2024, la parte pignorabile della pensione, sempre nella misura di 1/5 è quella che eccede l’importo pari a 3 volte l’assegno sociale ossia Euro 1.603,23.

Pignoramento pensioni: Agenzia delle Entrate

Tra i soggetti pubblici che possono aggredire la pensione c’è anche l’Agenzia delle Entrate. In questo caso l’importo che può essere aggredito con il pignoramento varia in base all’importo della pensione.

L’Agenzia infatti può pignorare:

  • 1/10 dell’importo per pensioni fino a 2.500,00 euro;
  • 1/7 dell’importo per pensioni che vanno da un minimo di 2.500,00 euro fino a 5.000,00 euro;
  • 1/5 dell’importo per pensioni al di sopra dei 5.000,00 euro.

Pignoramento della pensione: come difendersi

Per difendersi dal pignoramento delle pensioni è consigliabile rivolgersi a un avvocato esperto in questioni previdenziali.

In genere, in presenza dei presupposti necessari, ovvero di pignoramenti ingiustificati, è possibile avviare un’opposizione all’esecuzione, per contestare

  • il diritto vantato dal creditore nel procedere all’esecuzione;
  • la modificazione o l’inesistenza del credito contenuto nel titolo esecutivo;
  • l’ammissibilità della pretesa sotto il profilo giuridico.

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pedone distratto

Pedone distratto: va risarcito se cade in un tombino Il pedone distratto va comunque risarcito se la sua condotta non è abnorme, tanto più se il Comune non segnala che il tombino è scoperto

Risarcimento danni pedone

Il pedone distratto, se cade in un tombino posto su una via pubblica, deve essere risarcito. Solo se la disattenzione del pedone è abnorme e sia quindi la causa esclusiva della caduta e del danno che ne consegue il diritto al risarcimento è escluso. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19078-2024.

Pedone distratto cade in un tombino

La vicenda ha inizio con la caduta di una donna in un tombino presente ai margini di una strada comunale, sulla banchina, coperto di rami e foglie.

Il tribunale riconosce alla donna un risarcimento del danno di Euro 39.153,00.

Il Comune soccombente appella la decisione, ma il giudice dell’impugnazione la rigetta. La questione viene portata quindi all’attenzione della Corte di Cassazione.

Distrazione non rileva se non è causa esclusiva della caduta

La Cassazione rigetta ancora una volta il ricorso del Comune. Il pedone distratto infatti ha diritto al risarcimento se la sua condotta non è abnorme. Come affermato da precedente Cassazione sulla responsabilità dell’ente per le cose in custodia “può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell’art. 1227 c.c.” 

Natura pubblica della strada: obbligo di custodia del Comune

La Cassazione rileva inoltre che nei precedenti gradi di giudizio i giudici di merito hanno accertato che la strada aveva carattere comunale o comunque ad uso pubblico e che la strada interponderale era aperta all’uso pubblico. L’ente quindi doveva provvedere alla custodia del bene. Lo stesso sarebbe dovuto intervenire affinché il tombino presente sulla banchina non restasse scoperto o segnalare quantomeno l’assenza di copertura dello stesso. Corretta quindi la condanna dell’Ente a rispondere dei danni per cose in custodia in base all’articolo 2051 c.c.

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riforma penale nordio legge

Legge Nordio: in vigore dal 25 agosto In vigore dal 25 agosto la legge Nordio sulla giustizia che interviene sulle intercettazioni, elimina l’abuso d’ufficio e modifica l’informazione di garanzia

Legge Nordio in vigore dal 25 agosto 2024

La legge Nordio, il disegno di legge per la riforma della giustizia  presentato dal Ministro della giustizia Carlo Nordio é in vigore. La Camera ha approvato in via definitiva il testo nella mattinata di mercoledì 10 luglio 2024. Il testo (legge n. 114/2024) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 agosto per entrare in vigore il 25 agosto.

Dall’abuso d’ufficio alle intercettazioni: le novità

Il testo, che interviene sul codice penale, sul codice di procedura penale, sull’ordinamento giudiziario e su quello militare, abolisce il reato di abuso d’ufficio, modifica la disciplina sulle intercettazioni, limitando i poteri di pubblicazione e introduce importanti novità per quanto riguarda il reato di traffico di influenze illecite. Analizziamo le novità più significative della riforma Nordio.

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Eliminato il reato di abuso d’ufficio

L’eliminazione del reato di abuso d’ufficio contenuto nell’articolo 323 del Codice penale e commesso dai pubblici ufficiali o dai soggetti incaricati dello svolgimento di un pubblico servizio  rappresenta una delle modifiche più significative del disegno di legge, approvata dalla Camera diversi giorni prima dell’approvazione definitiva.

Modificato il reato di traffico di influenze illecite

Il reato contemplato dall’art. 346 bis c.p subisce delle restrizioni applicative, lo stesso viene limitato infatti alle condotte particolarmente gravi. La pena minima viene innalzata a un anno e sei mesi e le relazioni tra mediatore e pubblico ufficiale devono essere “utilizzate, non vantate. L’utilità data o promessa al posto del denaro infine deve essere solo economica.

Intercettazioni: limiti alla pubblicazione

Il testo prevede una maggiore tutela per le comunicazioni che intercorrono tra il difensore e l’imputato. L’autorità giudiziaria non potrà acquisire le comunicazioni tra i soggetti suddetti, fatta eccezione per la corrispondenza, a meno che non ritenga che si tratti di corpo del reato.

Introdotto il divieto di pubblicazione, anche solo di una parte del contenuto delle intercettazioni, qualora non venga riprodotto dal giudice all’interno della motivazione di un provvedimento giudiziale o impiegato nel dibattimento.

Impossibile infine il rilascio di copie delle intercettazioni quando non possono essere pubblicate, se la domanda proviene da un soggetto terzo rispetto al difensore e alle parti a meno che i risultati delle intercettazioni debbano essere utilizzati in un altro procedimento.

Informazione di garanzia

Nell’informazione di garanzia si dovrà descrivere il fatto in modo sommario, indicando data e luogo del reato. La pubblicazione sarà vietata fino a quando non saranno concluse le indagini preliminari e la notifica dovrà essere effettuata in modo da tutelare l’indagato da conseguenze improprie.

Interrogatorio preventivo rispetto alla misura cautelare

La persona sottoposta alle indagini verrà sottoposta all’interrogatorio preventivo nei casi in cui on sia necessario  adottare un provvedimento cautelare a sorpresa, al fine di garantire il principio del contraddittorio preventivo. Qualora si renda necessaria l’applicazione della misura cautelare in carcere durante lo svolgimento delle indagini preliminari la decisione dovrà essere adottata collegialmente.

Limiti all’appello del PM

La riforma prevede che il pubblico Ministero non possa appellare le sentenze di proscioglimento emesse in relazione a reati di “contenuta gravità”, come quelli individuati dall’art. 550 c.p.p per i quali è prevista la citazione diretta.

Ordinamento giudiziario e magistrati

In virtù della novità rappresentata dalla composizione collegiale del giudice per le indagini preliminari vengono modificate le tabelle infradistrettuali e i criteri per l’assegnazione degli affari penali.

Aumenta il numero dei magistrati destinati alle funzioni giudicanti di primo grado.

Per scongiurare il rischio di nullità per i processi i mafia e di terrorismo si recisa che il limite di età di 65 anni stabilito per i giudici popolari delle Corti di Assise si riferisce al momento in cui il giudice viene chiamato per prestare servizio all’interno del collegio.

Ordinamento militare

Con la riforma l’avanzamento di carriera dei militari non sarà ostacolato in caso di rinvio a giudizio ma solo se raggiunto da una sentenza di condanna di primo grado in quanto primo atto di condanna, purché non definitivo.

incontri padre figlia

Incontri padre-figlia sospesi se pesano alla minore Incontri padre-figlia: vanno sospesi se si rivelano contrari all’interesse del minore a causa dell’immaturità del padre

Incontri padre-figlia: sospesi se la minore li patisce

Gli incontri padre – figlia devono essere sospesi se creano sofferenza alla minore adolescente. I giudici di merito hanno accertato che il padre è immaturo, autocentrato, ossessivo e persecutore. La minore invece, grazie all’affido agli zii materni, al supporto dei servizi sociali e di quelli psicologici, è risultata matura ed equilibrata. Lo ha sancito la Cassazione nell’ordinanza n. 21969-2024.

Minore affidata agli zii paterni

Nell’ambito di un procedimento di separazione coniugale con problematiche legate all’affidamento della minore, la Corte d’Appello dispone l’interruzione degli incontri della minore con entrambi i genitori. La minore deve essere seguita dai servizi sociali e dal servizio di psicologia dell’età evolutiva e deve essere lasciata libera di riprendere gli incontri, previa valutazione degli operatori dei servizi.

Incontri padre-figlia: per il padre sono un diritto del minore

Il padre impugna la decisione di fronte alla Corte di Cassazione. L’uomo afferma che il suo rapporto con la figlia è stato compromesso a causa della malattia della madre e delle denunce che questa ha sporto nei suoi confronti. Questo situazione ha sicuramente impedito la creazione di un rapporto con la figlia.

Il ricorrente ritiene inoltre che la decisione sia del tutto nulla perché l’art. 8 della Cedu ha sancito il principio di non ingerenza dello Stato nella vita familiare. L’articolo 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE riconosce al minore il diritto di aver rapporti diretti e regolari con i genitori. L’uomo denuncia inoltre il mancato ascolto dei nonni paterni e l’affido della minore agli zii paterni.

Padre inidoneo ad avere rapporti sereni con la figlia

La Cassazione dichiara inammissibili i motivi sollevati dal padre. Gli Ermellini rilevano come la Corte d’appello sia giunta alla decisione oggetto di impugnazione per diverse ragioni. La stessa ha rilevato la non idoneità del padre ad avere rapporti sereni con la figlia minore. L’uomo risulta immaturo e affetto da ossessioni patologiche.

Da sospendere gli incontri padre-figlia se la minore mostra avversione

La Corte ricorda inoltre che in base ai principi sanciti dalla Convenzione di New York sui diritti del Fanciullo il giudice possa sospendere gli incontri padre-figlio se il minoredivenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del genitore non affidatario sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa – a tal punto radicati da doversi escludere che possano essere rapidamente e facilmente rimossi, nonostante li supporto di strutture sociali e psicopedagogiche”. 

Non rilevano ai fini della sospensione degli incontri le responsabilità dei genitori o la fondatezza delle ragioni che il minore adduce per dare una giustificazione ai suoi sentimenti. Il Giudice deve solo valutare la profondità e l’intensità del sentire del minore per decidere se gli incontri possono portare al superamento della animosità o una sua dannosa radicalizzazione.

Sospensione degli incontri nell’interesse primario del minore

La Corte di Appello ha rispettato i principi indicati dalla Cassazione e ha attuato l’interesse primario della minore. La ragazzina è dotata intellettivamente ed è più matura della sua età. Ella è autonoma nel giudizio ed è risultata lucida nel fornire la lettura degli eventi e delle condotte dei genitori e degli altri adulti. Durante il giudizio si è dimostrata calma ed equilibrata.

Il padre, all’opposto, è immaturo, autocentrante, presenta dei disturbi ossessivi e persecutori, non ha un ruolo tutelante e negli anni non ha compiuto alcun progresso. La figlia soffre per questa situazione, ma ha anche mostrato sollievo per la sospensione degli incontri con il padre.

Da quando gli zii paterni l’hanno presa in affidamento la ragazzina ha compiuto miglioramenti progressivi. La Cassazione ritiene quindi di non poter accogliere le doglianze del padre perché finalizzate a contestare il riesame delle prove e del merito dei fatti.

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assegno divorzile

Assegno divorzile: 25 mesi di matrimonio non bastano Assegno divorzile: la breve durata del matrimonio non esclude l’assegno a meno che manchi la comunione morale e materiale

Assegno divorzile: l’assenza di comunione di vita può escluderlo

Sull’assegno divorzile torna a pronunciarsi la Cassazione nella sentenza n. 21955-2024. Gli Ermellini precisano che la breve durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno divorzile, ma non sulla sussistenza del diritto allo stesso. Questa regola vale a meno che tra i coniugi non si sia realizzata una comunione di vita materiale e spirituale.

Assegno divorzile per l’ex moglie malata

Due coniugi restano uniti in matrimonio per pochi mesi. La moglie chiede la separazione, ma poco dopo la coppia si riconcilia. A distanza di poco più di due anni i due si separano per una seconda volta. La coppia non ha figli. Nel giudizio di divorzio il Tribunale riconosce alla moglie un assegno divorzio di Euro 450,00 con funzione assistenziale. Il Tribunale precisa però che la malattia da cui è  affetta la donna non è invalidante e non rappresenta un ostacolo allo svolgimento di un’attività lavorativa.

Ridotto l’assegno divorzile: comunione spirituale e materiale quasi assente

Il marito impugna la decisione per contestare il riconoscimento dell’assegno di divorzio. La Corte d’Appello accoglie il ricorso del marito e riduce l’importo dell’assegno a 350 euro mensili. Per la il giudice dell’impugnazione non sussistono i presupposti necessari per riconoscere un assegno divorzile con funzione perequativa e compensativa.

Matrimonio breve e convivenza assente

Tra i coniugi non si è mai instaurata una comunione di vita affettiva a causa della brevissima durata del matrimonio. La coppia non ha mai convissuto stabilmente insieme, perché la donna ha conservato una sua abitazione. Da questi fatti si può anche desumere che la donna non abbia mai partecipato e contribuito alla formazione di un patrimonio comune, in effetti del tutto inesistente, o del patrimonio personale del marito. Il coniuge infatti al momento del matrimonio ha ereditato i beni di famiglia e risulta nudo proprietario dell’abitazione gravata dall’usufrutto in favore della madre. Il marito inoltre, di professione avvocato da vari decenni, ha un suo patrimonio. La moglie  in tutto questo non ha dato alcun contributo, neppure morale, al marito.

Assegno divorzile con funzione assistenziale

L’assegno di 350,00 euro è riconosciuto solo in funzione assistenziale, dopo aver valutato le condizioni di salute della donna. La certificazione medica prodotta attesta infatti la presenza di sclerosi multipla nella forma relapsing remittente, caratterizzata dall’alternanza di periodi acuti con periodi di rimessione. Per la Corte però la donna potrebbe lavorare, anche grazie a una laurea in lingue e a pregresse esperienze lavorative. La donna potrebbe conseguire un reddito discreto, ma non risulta che si sia attivata nella ricerca di un lavoro o di prestazioni assistenziali dopo la fine del matrimonio. L’assegno non può essere eliminato, ma sicuramene va ridotto considerata la ridotta capacità lavorativa della moglie nei periodi di recidiva della malattia.

Assenza di comunione di vita e matrimonio breve: niente assegno

Il marito impugna la sentenza davanti alla Cassazione per contestare il riconoscimento dell’assegno divorzile.

La Cassazione accoglie i primi due motivi del ricorso perché fondati. Corretta la deduzione della non spettanza dell’assegno divorzile alla luce della mancata instaurazione di una comunione di vita conseguente alla scarsissima durata del matrimonio e all’assenza di una convivenza effettiva. La Corte di Appello ha infatti rilevato la breve durata del matrimonio, l’assenza di una costante convivenza e la conseguente assenza di una comunione di vita, che è l’essenza del matrimonio. Il giudice dell’impugnazione tuttavia ha riconosciuto l’assegno, seppur in misura ridotta rispetto al giudice di primo grado.

Sulla questione però la Cassazione afferma da tempo che “in tema di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno … ma non anchesalvo nei casi eccezionali in cui non si sia realizzata alcuna comunione materiale spirituale tra i coniugi – sul riconoscimento dellassegno divorzile”.

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spese per i figli

Spese per i figli: quali vanno concordate La Cassazione chiarisce che le spese per i figli da concordare preventivamente con l'ex coniuge sono quelle che non rientrano nel regime di spesa ordinario

Spese per i figli: vanno concordate solo quelle eccezionali

I genitori non devono concordare tutte le spese per i figli. Il genitore collocatario non deve chiedere il consenso dell’ex prima di sostenerle, se hanno natura ordinaria. L’accordo preventivo è richiesto solo per quelle spese che “per rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità” non rientrano nel regime di spesa ordinario per i figli. In ogni caso, se il genitore collocatario non informa sempre e preventivamente l’ex, anche in relazione a queste spese, non significa che non possa richiedere il rimborso della quota a carico dell’altra parte, dopo averle sostenute. Questa la decisione della Cassazione nella sentenza n. 21785-2024.

Non dovute le spese per i figli straordinarie se non concordate

Un padre si oppone a un decreto ingiuntivo con cui l’ex coniuge gli ingiunge di pagare la somma di 1687,25 euro, oltre accessori. La donna chiede la somma a titolo di rimborso, nella misura del 50%, delle spese straordinarie sostenute per figlie minori.

Le spese si riferiscono alle rette della scuola privata, alla quota della palestra, ai corsi in un centro sportivo e alle gite scolastiche. Il Giudice di pace revoca il decreto e condanna l’opponente a pagare la minore somma di Euro 1.626,25.

Il padre appella la decisione e in questa sede l’autorità giudiziaria precisa che le rette per la scuola sono spese straordinarie da concordare. Le spese relative all’attività sportiva invece hanno natura di spese straordinarie routinarie, che il padre non ha mai contestato. Per quanto riguarda infine le spese per le gite scolastiche il tribunale rileva come il giudice di Pace abbia già decurtato dall’importo del decreto ingiuntivo modificato il 50% delle stesse.

Solo alcune spese straordinarie vanno concordate

Il padre però, ancora insoddisfatto dell’esito del giudizio, impugna la decisione in Cassazione.

Con il secondo motivo contesta al Tribunale di aver inserito nel protocollo delle spese straordinarie assunto in sede di divorzio anche le rette per la scuola privata e le spese sportive.

Con il terzo invece critica la decisione del Tribunale relativa alle spese sportive che hanno comportato l’acquisto della necessaria attrezzatura e di averle fatte rientrare tra quelle che non richiedono un accordo preventivo tra i coniugi.

La Cassazione rigetta il ricorso e si esprime poi sulla natura straordinaria delle spese e sulla necessità del preventivo accordo tra genitori.

Gli Ermellini rilevano come il tribunale abbia ritenuto che l’utilizzo del termine “tasse” per la scuola privata, come indicato nel protocollo, fosse improprio. Tale termine non può non comprendere le rette, da intendersi come spese straordinarie. Per quanto riguarda invece le spese per l’attività sportiva il tribunale ha ritenuto che il mancato riferimento nel protocollo di queste voci di spesa non attribuiva alle stesse la natura di spese ordinarie. Era necessaria una valutazione più in linea con gli orientamenti della giurisprudenza.

Spese da concordare: giurisprudenza recente

La Cassazione ricorda comunque che la decisione del tribunale sul preventivo accordo sulle spese straordinarie è conforme alla recente giurisprudenza.

Quest’ultima afferma infatti che: riguardando il preventivo accordo solo quelle spese straordinarie che per rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita della prole, fermo restando che, anche per queste ultime, la mancanza della preventiva informazione ed assenso non determina automaticamente il venir meno del diritto del genitore che le ha sostenute, alla ripetizione della quota di spettanza dell’altro, dovendo il giudice valutarne la rispondenza all’interesse preminente del minore e al tenore di vita familiare.”

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accettazione beneficio inventario

Accettazione con beneficio di inventario L'accettazione con beneficio di inventario è l'accettazione dell’eredità che tutela il chiamato e che va esercitata con precise modalità

Accettazione con beneficio d’inventario: cos’è

L’accettazione con beneficio di inventario è uno dei modi che la legge mette a disposizione del chiamato per accettare l’eredità. L’articolo 470 del codice civile prevede infatti che l’eredità possa essere accettata puramente e semplicemente o con beneficio di inventario. Il chiamato può accettare l’eredità in questo modo anche se il testatore lo ha vietato nel suo testamento.

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“Con beneficio di inventario”: significato

L’accettazione dell’eredità con “beneficio di inventario” è una forma di accettazione che tutela il chiamato all’eredità. Il soggetto che sceglie questo tipo di accettazione deve infatti procedere alla redazione dell’inventario dei beni, dei debiti e dei crediti del de cuius prima o dopo aver accettato l’eredità. Il chiamato evita così di subire le conseguenze negative che potrebbero derivare dall’accettazione di un’eredità in cui i debiti superino i crediti.

Gli effetti

L’accettazione con beneficio di inventario infatti produce determinati effetti.

  • L’erede conserva verso l’eredità tutti i diritti e gli obblighi che aveva nei confronti del defunto fatta accezione per quelli che si sono estinti con la morte.
  • L’erede non deve pagare i debiti e i legati oltre il valore di quanto pervenuto.
  • I creditori dell’eredità e i legatari sono preferiti rispetto ai creditori dell’erede sul patrimonio del de cuius. 

Come si accetta l’eredità con beneficio di inventario

L’art. 484 del codice civile, che disciplina l’accettazione con beneficio di inventario, prevede che il chiamato all’eredità debba rendere una dichiarazione. Questa dichiarazione può essere resa davanti a un notaio o al cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. La dichiarazione è poi inserita nel registro delle successioni, che viene conservato presso il Tribunale.

Decorso un mese dall’inserzione della dichiarazione nel registro, il cancelliere del Tribunale deve trascriverla presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui è stata aperta la successione. Se la dichiarazione segue la redazione dell’inventario nel registro è necessario indicare la data in cui lo stesso è stato compiuto. In caso contrario, l’ufficiale pubblico che lo ha redatto, entro un mese, deve far inserire nel registro la data di compimento dell’inventario.

Tempi di redazione dell’inventario

I tempi per accettare l’eredità con beneficio di inventario sono diversi a seconda che il chiamato all’eredità sia o non sia nel possesso di beni ereditari.

Possesso di beni ereditari

Il chiamato all’eredità in possesso dei beni ereditari deve procedere all’inventario dei beni entro 3 mesi dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità. Il decorso di questo termine senza la redazione dell’inventario comporta che il chiamato sia considerato erede puro e semplice. L’erede può comunque chiedere una proroga dei termini che non può superare i 3 mesi, a meno che vi siano circostanze gravi che giustifichino un termine più lungo.

Se invece il chiamato ha provveduto alla redazione dell’inventario, ma non ha reso la dichiarazione, ha 40 giorni di tempo dal suo compimento per accettare. Decorso questo termine se il chiamato non dichiara di accettare con beneficio, è considerato erede puro e semplice.

Non possesso di beni ereditari

Il chiamato all’eredità che non è nel possesso dei beni ereditari può invece dichiarare di accettare con beneficio di inventario fino alla scadenza del termine decennale per esercitare il diritto di accettazione dell’eredità.

Il soggetto che procede alla dichiarazione deve redigere l’inventario entro 3 mesi. L’autorità giudiziaria però può disporre la  proroga dei termini. Il chiamato che non rende la dichiarazione in questi termini deve considerarsi erede puro e semplice.

Quando invece il soggetto procede all’inventario prima della dichiarazione di accettazione, questa deve essere fatta entro il termine di 40 giorni dal compimento dell’inventario. Il mancato rispetto degli stessi comporta la perdita del diritto di accettare l’eredità.

Regole particolari per minori, interdetti e inabilitati

L’articolo 489 c.c dispone un’eccezione in favore degli interdetti, degli inabilitati e dei minori. Questi soggetti hanno infatti un anno di tempo, da quando cessa la condizione di inabilitato o interdetto o da quando il minore compia 18 anni, per accettare l’eredità con benefico di inventario nel rispetto delle regole e dei termini visti sopra.

musica nei reels

Musica nei reels: META vince contro SIAE Per la musica nei reels e nelle stories la SIAE non dipende da META: lo ha stabilito il Consiglio di Stato dando ragione alla società di Facebook

Non c’è dipendenza tra SIAE e META

Musica nei reels e nelle stories, la SIAE non dipende da META. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato nella sentenza n. 5827-2024 pubblicata il 2 luglio. Il provvedimento ha riformato la sentenza n. 16069/2023 del TAR Lazio e ha stabilito che tra SIAE e META non sussiste una dipendenza economica.

AGCM: abuso di dipendenza economica

La controversia tra SIAE e Meta era iniziata durante le negoziazioni per il rinnovo del Music Rights Agreement (MRA). Questo accordo di licenza permetteva in sostanza agli utenti delle piattaforme META di pubblicare contenuti con opere musicali tutelate dalla SIAE.

Nell’aprile del 2023, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avviava un procedimento contro Meta per possibile abuso di dipendenza economica (art. 9 Legge n. 192/1998).

Il 20 aprile 2023, l’AGCM emanava un provvedimento per ripristinare le trattative e i contenuti musicali protetti da SIAE su Meta. META  contestava questo provvedimento davanti al TAR Lazio, che lo confermava con la sentenza n. 16069/2023.

Dipendenza economica: piattaforma determinante

L’AGCM ha fondato la propria decisione sull’art. 9 della L. 192/1998. La norma presume infatti l’esistenza di una dipendenza economica quando un’impresa utilizza i servizi di una piattaforma digitale che è determinante per raggiungere gli utenti finali o i fornitori.

Per l’Autorità l’assenza di contenuti musicali SIAE sulle piattaforme META era penalizzante per gli autori e metteva la SIAE in una posizione di debolezza, senza alternative di mercato.

L’AGCM inoltre aveva rilevato l’abuso di META perché in sostanza ostacolava il ricorso ad altri fornitori.

META ricorreva quindi contro la decisione di AGCM e la vicenda giungeva davanti al Consiglio di Stato.

Consiglio di Stato: SIAE non dipende economicamente da META

Il Consiglio di Stato ha esaminato vari aspetti del ricorso di META contro la sentenza del TAR Lazio.

Per prima cosa ha rilevato che l’AGCM ha fondato la sua decisione su un presupposto errato. La negoziazione infatti riguardava solo la raccolta di contenuti protetti dalla SIAE nell’Audio Library di META e non la concessione della licenza per la diffusione ai consumatori finali.

La non disponibilità di questi contenuti all’interno della Audio Library non impediva quindi la condivisione sui social network di quei contenuti che avevano un sottofondo musicale premontato. Per il Consiglio di Stato META inoltre non aveva un ruolo di intermediario, per cui l’assenza di un accordo con la SIAE non era di ostacolo alla fruibilità dei contenuti musicali sui social.

Il CdS inoltre ha ribaltato completamente l’affermazione dell’AGCM sulla presenza di alternative di mercato. Non è stato dimostrato infatti che gli utenti finali possano essere raggiunti solo tramite le piattaforme META. Meta non si è mai rifiutata di condividere le informazioni necessarie per valutare l’offerta. La stessa, a tale fine, aveva fornito una quantità significativa di dati.

Rinegoziazione: coerente con la Direttiva Copyright 790/2019

Il Consiglio di Stato in sentenza si è occupato inoltre dell’applicazione degli artt. 18 e 19 della Direttiva Copyright n. 790/2019, sottolineando come la rinegoziazione fosse coerente con la normativa europea, che richiede buona fede nello scambio di informazioni, senza ulteriori specificazioni.

Il CdS infine ha chiarito di non aver accertato in modo definitivo la posizione dominante di META nel mercato di riferimento e la condizione di dipendenza economica di SIAE. Questi aspetti dovranno essere valutati nel provvedimento finale dell’AGCM, quando si concluderà il procedimento principale.

 

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reato somministrare farmaci

Reato somministrare farmaci non necessari agli animali Per la Cassazione, somministrare farmaci non necessari configura il reato di maltrattamenti perchè il diritto alla salute dell'animale include anche il benessere psichico

Reato di maltrattamento somministrare farmaci performanti

Reato somministrare farmaci non necessari agli animali. La Cassazione amplia (con la sentenza n. 24257-2024) gli importanti concetti della salute e del benessere dell’animale che non si limita solo alla salute fisica, ma include anche il benessere psichico. L’animale, in quanto essere senziente, deve godere di una qualità di vita che gli consenta di esprimere i suoi comportamenti naturali, compatibilmente con le sue caratteristiche. Ne consegue che somministrare farmaci agli animali in assenza di una necessità medica non rientra nel concetto di benessere e di salute dell’animale.  

Dannosi per la salute dell’animale i farmaci dopanti

Queste pratiche mirano infatti a perseguire obiettivi ben lontani dall’esigenza di tutelare la salute dell’animale. L’animale viene esposto a situazioni di stress e a rischi, che ne compromettono lo stato psicofisico. Somministrare sostanze dopanti ai cavalli in buona salute li sottopone a stress continui e pericoli. Questa condotta realizza infatti il reato di maltrattamento degli animali di cui all’articolo 544 del codice penale come aveva già precisato in una precedente pronuncia la Cassazione.

Nel caso specifico, l’imputato è stato accusato di aver somministrato farmaci antinfiammatori ai propri cavalli  solo per migliorarne le prestazioni sportive. Gli animali infatti non presentavano alcuna patologia che richiedesse la cura farmacologica che è stata somministrata a loro.

Salute dell’animale: dannoso anche lo stress

La giurisprudenza più recente dimostra di riconoscere sempre di più la sensibilità psico-fisica degli animali. Non si devono punire solo gli atti che offendono il comune sentimento di pietà verso gli animali. Le condotte che assumono rilievo penale sono anche quelle che provocano dolore, stress e afflizione. Questo cambiamento ideologico nasce da una crescente consapevolezza e visione degli animali come esseri viventi meritevoli di tutela diretta, non solo di compassione umana.

Doping equino: maltrattamento dannoso

Gli Ermellini hanno stabilito che il doping equino, ossia l’uso di agenti esogeni o manipolazioni cliniche senza le necessarie indicazioni terapeutiche per migliorare le prestazioni, rappresenta un danno per la salute dell’animale e, quindi, una forma di maltrattamento penalmente rilevante. La legislazione penale, soprattutto dopo la disciplina del 2004 che ha posto divieto di usare violenza sugli animali, prevede sanzioni specifiche per queste pratiche.

Salute dell’animale: più garanzie

Per la Cassazione la Corte d’Appello ha correttamente rilevato come la somministrazione ingiustificata di antinfiammatori ai cavalli, incidendo sulle loro prestazioni, pregiudichi la loro salute psicofisica. Sottoporre i cavalli a faticosi allenamenti dopo queste somministrazioni di farmaci aggrava ancora di più la loro condizione. Queste pratiche rappresentano in conclusione un grave maltrattamento, soprattutto quando gli animali dipendono dall’uomo e vengono sottoposti a stress insopportabili per la loro specie.

La sentenza della Corte di Cassazione compie insomma un ulteriore passo avanti nella tutela del benessere animale. Essa riconosce l’importanza di garantire agli animali la salute fisica, ma anche quella mentale, condannando fermamente le pratiche di doping equino.

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condomino trasferito senza avviso

Condomino trasferito senza avviso: l’amministratore non ha colpa Se il condomino si è trasferito senza avvisare, non è responsabile l'amministratore della mancata convocazione all'assemblea condominiale

Condomino trasferito senza avviso: mancata convocazione

Un condomino si è trasferito senza avvisare, l’amministratore non è responsabile della mancata convocazione. La mancata comunicazione del trasferimento non consente infatti all’amministratore di aggiornare il registro anagrafico. Le comunicazioni effettuate al condominio all’indirizzo risultante dal registro devono quindi  considerarsi regolarmente perfezionate. Lo ha stabilito il Tribunale di Rieti nella sentenza n. 329-2024.

Mancata convocazione in assemblea

Un condominio ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti di un singolo condomino per recuperare il mancato pagamento delle spese condominiali. Il condomino si oppone alla richiesta, il Giudice di Pace respinge l’opposizione e il soccombente impugna la decisione in appello davanti al Tribunale competente. Il condomino nell’appellare la decisione fa presente in uno dei motivi, di non aver ricevuto la convocazione all’assemblea nel corso della quale era stato approvato il bilancio che giustificava le voci di spesa richieste in pagamento. Lo stesso precisa anche che la convocazione all’assemblea era stata inviata con raccomandata con ricevuta di ritorno alla sua vecchia residenza. Lo stesso però non aveva ritirato la raccomandata perché si era trasferito precedentemente in un’altra casa, come emerso anche dal certificato storico del Comune.

Il condomino evidenzia di non aver avuto conoscenza neppure del verbale di assemblea, che gli è stato inviato con plico a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, anche questo presso la vecchia residenza e anche in questo caso non ritirato per compiuta giacenza. Lo stesso lamenta infine il mancato ricevimento della raccomandata con cui il Condominio ha sollecitato il pagamento dell’importo per cui è causa. Sollecito non ritirato sempre per compiuta giacenza perché anche questo notificato in una residenza diversa.

Delibera annullabile: assemblea non costituita da tutti i condomini

Queste le ragioni per le quali il condomino richiede l’annullamento della delibera assembleare, che ha approvato la spesa richiesta poi in pagamento con decreto ingiuntivo. Nello specifico il condomino afferma la mancata costituzione dell’assemblea da parte di tutti gli aventi diritto. Lo stesso osserva infine che la mancata comunicazione delle delibere nei suoi confronti non ha determinato la decorrenza del termine dei 30 giorni previsti dalla legge per chiedere l’annullamento della decisione condominiale.

Amministratore senza colpa se il condomino si trasferisce

Il Tribunale non accoglie le doglianze del condomino perché non sono condivisibili alla luce della normativa condominiale. L’introduzione dell’anagrafe condominiale (art. 1130 n. 6 codice civile) ha posto in capo all’amministratore l’obbligo di annotare sullo stesso i dati anagrafici dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e personali di godimento, comprese le variazioni. A tale compito l’amministratore deve provvedere direttamente o a spese del singolo condomino se questo soggetto non provvede a comunicare i dati e le variazioni.

Condomino: obbligo di comunicare i cambi di indirizzo

Il condomino deve comunicare eventuali variazioni entro 60 giorni in forma scritta. In caso di ritardo o di inerzia l’amministratore può richiedere con lettera raccomandata i dati necessari per aggiornare il registro. Nell’ipotesi invece di risposta incompleta od omessa entro 30 giorni dalla richiesta, l’amministratore può acquisire personalmente le informazioni necessarie addebitando il costo al singolo condomino.

Se quindi da un alto l’amministratore deve tenere e aggiornare regolarmente il registro di anagrafe condominiale, dall’altra il singolo condomino deve comunicare con tempestività all’amministratore il suo trasferimento in un altro domicilio. La mancata comunicazione della variazione da parte del condomino determina il regolare perfezionamento della comunicazione all’indirizzo che risulta dal registro dell’anagrafe. Il condomino quindi, in questi casi, è l’unico responsabile della mancata ricezione. Non si può esigere in capo all’amministratore una continua e costante verifica in ordine all’esistenza o meno di trasferimenti di residenza di ciascun singolo condomino, specie alla luce dell’obbligo di cui sopra gravante sui condomini, che fa presumere la piena idoneità dell’indirizzo già comunicato alla ricezione delle comunicazioni, in assenza di successiva comunicazione di variazione del medesimo”. 

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