mediazione e negoziazione

Mediazione e negoziazione: cosa prevede il correttivo approvato Mediazione e negoziazione assistita modificate dal correttivo approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri

 Mediazione e negoziazione: approvato il correttivo

Mediazione e negoziazione non hanno pace.  Il Consiglio dei Ministri nella giornata di mercoledì 18 settembre 2024 ha approvato in via preliminare uno schema di decreto legislativo. Il provvedimento modifica il decreto legislativo n. 149/2022 in materia di mediazione e negoziazione assistita e modifica, di conseguenza, il decreto legislativo n. 28/2010 e il decreto legge n. 132/2014.

Mediazione e negoziazione in modalità telematica

Lo schema contiene in particolare la disciplina relativa alla mediazione telematica e alla negoziazione assistita, sempre in modalità telematica. Vediamo più in dettaglio le novità dello schema, che deve ricevere il parere delle commissioni permanenti in Parlamento per essere poi approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri.

Mediazione: precisazioni al decreto legislativo n. 28/2010

Per prima cosa lo schema chiarisce che nelle materie elencate all’articolo 5 per le quali la mediazione è una procedura obbligatoria, essa è condizione di procedibilità della domanda introduttiva (non più giudiziale) del giudizio.

Il provvedimento precisa poi che quando il giudice dispone la mediazione lo possa fare fino alla remissione della causa in decisione (non più “fino al momento della precisazione delle conclusioni”.)

Il comma 4 dell’art. 3 attualmente prevede che “la mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo, nel rispetto dell’articolo 8-bis.” La nuova formulazione aggiunge a questo comma la seguente disposizione “e gli incontri di mediazione possono svolgersi in modalità audiovisive da remoto, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 8 ter” ossia del nuovo articolo introdotto dallo schema.

Durata della mediazione

Lo schema sostituisce l’articolo 6 del decreto legislativo n. 28/2010, che disciplina la durata della mediazione. La nuova formula stabilisce che  la mediazione ha una durata massima di 6 mesi, prorogabile dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza, per periodi di volta in volta non superiori a tre mesi.

Quando il giudice rileva che la causa è improcedibile perché la mediazione rappresenta condizione di procedibilità della domanda o quando la mediazione è demandata dallo stesso, la mediazione dura 6 mesi, con possibilità di proroga per una sola volta di altri 3 mesi, dopo che è stata instaurata, ma prima della sua scadenza.

La proroga nei casi suddetti deve risultare da un accordo scritto delle parti che deve essere allegato al verbale o incluso nello stesso, da cui deve quindi risultare.

Il termine di durata della mediazione non è soggetto alla regola della sospensione feriale dei termini.

Mediazione in modalità telematica

Lo schema modifica anche l’articolo 8 bis dedicato alla mediazione telematica. Quando la mediazione si svolge telematicamente gli atti della procedura sono formati dal mediatore e sottoscritti nel rispetto delle modalità stabilite dal Codice dell’amministrazione digitale.

Conclusa la procedura il mediatore redige un documento informatico, che contiene il verbale e l’accordo eventuale per l’apposizione delle firme da parte dei soggetti.  Il mediatore verifica l’apposizione delle firme, la loro validità e integrità, firma a sua volta e poi cura il deposito del documento presso l’organismo. La segreteria di quest’ultimo lo invia alle parti e agli avvocati, se le parti li hanno nominati.

Incontri con modalità audiovisive da remoto

Il provvedimento inserisce nel decreto legislativo n. 28/2010 il nuovo art. 8 ter che al comma 1 consente sempre alle parti di chiedere al responsabile dell’organismo di poter partecipare ai vari incontri di mediazione con collegamento audiovisivo da remoto. Il sistema deve però consentire alle parti collegate la effettiva, contestuale e reciproca udibili e visibilità.

Se le parti non sono tutte assistite da avvocati l’accordo che viene allegato al verbale viene omologato, su richiesta di parte, con decreto del presidente del tribunale in cui ha sede l’organismo di mediazione nel quale le parti hanno raggiunto l’accordo.

Patrocinio gratuito avvocati nella mediazione

Un’importante precisazione dedicata agli avvocati è quella contenuta nel nuovo comma 3 bis dell’art. 15 quinques. La nuova disposizione stabilisce che quando un avvocato nominato è iscritto in un elenco di un distretto di corte d’appello diverso da quello in cui si trova l’organismo di mediazione non gli spettano le spese e le indennità di trasferta stabilite dai parametri forensi.

Negoziazione assistita: novità

La nuova regola contenuta nell’art. 2 comma 5 del dl n. 132/2014 prevede che l’accordo di negoziazione debba concludersi con l’assistenza di almeno un avvocato per parte. La negoziazione assistita che si svolge in modalità telematica con collegamento audiovisivo da remoto può essere chiesta sempre da ogni parte.

Quando la negoziazione si svolge in modalità telematica, agli atti del procedimento, incluso l’accordo devono essere formati e firmati secondo le regole del Codice dell’amministrazione digitale.

Non si possono però acquisire le dichiarazioni del terzo in modalità telematica o con collegamenti audiovisivi da remoto.

 

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Allegati

responsabilità medica

Responsabilità medica: azione diretta anche per le vecchie polizze Azione diretta contro l’assicurazione: può essere esercitata dal danneggiato anche in relazione alle vecchie polizze 

Azione diretta contro le compagnie dal 16 marzo 2024

Responsabilità medica: l’azione diretta contro la Compagnia di assicurazione del medico o della struttura sanitaria  è possibile dal 16 marzo 2024, ossia dalla data di entrata in vigore del DM n. 232/2023, anche se la polizza assicurativa è stata stipulata in data anteriore.

Lo hanno affermato di recente due giudici di merito: il Tribunale di Cagliari nell’ordinanza n. 15464/ 2024 e il Tribunale di Milano in due ordinanze, una del 26 agosto 2024, in commento, e una del 10 settembre 2024.

Azione diretta operativa: occorre adeguare le polizze?

Nell’ordinanza del 26 agosto 2024 il Tribunale di Milano precisa che l’art. 12 della legge n. 24/2017 dedicato all’azione diretta del danneggiato al comma 6 recita che: “Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6 dell’articolo 10 con il quale sono determinati i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie e per gli esercenti le professioni sanitarie.”

Esso prevede quindi, in sostanza, che l’azione diretta del danneggiato, in caso di responsabilità sanitaria, sia possibile a partire dalla data di entrata in vigore del decreto, senza disporre altre prescrizioni. Esso in effetti si limita a stabilire i requisiti minimi delle polizze assicurative delle strutture sanitarie, socio sanitarie e degli esercenti le professioni sanitarie, ma non richiede l’adeguamento delle condizioni contrattuali delle polizze assicurative.

Letteralmente quindi la norma nulla dispone in ordine alle eccezioni opponibili in sede di merito in relazione alle polizze sanitarie che non rispettano i requisiti minimi stabiliti dal DM n. 232/2023.

Eccezioni opponibili: vanno valutate caso per caso

Il Tribunale di Milano si occupa del tema dell’opponibilità delle eccezioni solo in via incidentale. Si tratta in effetti di una materia delicata, da valutare caso per caso nell’ambito del giudizio di merito.  Questa situazione sembra dare vita a una separazione temporale dell’azione diretta, che è applicabile sempre e immediatamente rispetto alle eccezioni opponibili, da valutare singolarmente ogni volta.

In relazione ai giudizi successivi al 16 marzo 2024, si potrebbe quindi creare una situazione particolare caratterizzata dal libero avvio dell’azione diretta nei confronti di tutte le compagnie, senza che rilevi la conformità delle polizze allo schema di legge e quindi senza limiti per i contratti stipulati prima del decreto.

 

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ordine carcerazione

Ordine di carcerazione: cos’è e come funziona L’ordine di carcerazione è il provvedimento con cui il PM dispone la carcerazione di un soggetto condannato, ma non detenuto 

Ordine di carcerazione: definizione

L’ordine di carcerazione è un provvedimento di competenza del Pubblico Ministero. L’articolo 656 c.p.p al comma 1 dispone infatti che quando una sentenza di condanna deve essere eseguita il PM emette un ordine di esecuzione con cui dispone la carcerazione del condannato, se non ancora detenuto. Qualora il condannato si trovi già in stato di detenzione l’ordine di esecuzione viene comunicato al Ministero della Giustizia e notificato all’interessato.

Contenuto dell’ordine di carcerazione

Il comma 3 dell’articolo 656 c.p.p stabilisce il contenuto dell’ordine di carcerazione, che deve essere notificato sia al condannato che al suo difensore. Il provvedimento deve contenere in particolare i seguenti dati:

  • le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e qualsiasi altra informazione utile a identificarla;
  • l’imputazione;
  • il dispositivo del provvedimento di condanna e le disposizioni necessarie a darvi esecuzione;
  • l’avviso al condannato che ha il diritto di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
  • l’avviso al condannato (se il processo si è svolto in sua assenza) del diritto di chiedere, entro 30 giorni dalla conoscenza della sentenza, la restituzione dei termini per poter impugnare la decisione o chiedere la rescissione del giudicato.

Ordine di carcerazione per madre di figli minori

Qualora l’ordine di esecuzione venga emanato nei confronti di una madre con figli minori il provvedimento stesso deve essere comunicato anche al Procuratore della Repubblica che opera presso il Tribunale dei Minorenni che ha la competenza nel luogo in cui deve essere eseguita la sentenza.

Modalità di esecuzione dell’ordine di carcerazione

Il comma 4 dell’articolo 656 c.p.p, per quanto riguarda  le modalità di esecuzione dell’ordine di carcerazione, rinvia all’art. 277 c.p.p. La norma, prevista per le misure cautelari, ma estensibile anche all’ordine di carcerazione, stabilisce che l’esecuzione debba avvenire nel rispetto della salvaguardia dei diritti della persona che vi è sottoposta. L’esercizio dei diritti della persona però non deve essere incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto.

Liberazione anticipata

Quando il PM deve emettere l’ordine di carcerazione deve prima effettuare dei controlli.

Qualora il PM rilevi che il soggetto nei cui confronti si deve eseguire l’ordine  di carcerazione, tranne che in casi particolari, computando le detrazioni di cui all’art. 54 Legge n. 354/1975 (che vengono applicate se il detenuto partecipi all’opera di rieducazione), debba ancora scontare una pena detentiva di 4, 5 e 6 anni nei casi e per i reati indicati nel comma 5 dell’art. 656 c.p.p, previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena fungibile, trasmette gli atti al Magistrato di Sorveglianza. Quest’ultimo, in presenza di presupposti di legge, provvede con ordinanza alla liberazione anticipata del soggetto. Il PM può trasmettere gli atti al Magistrato di Sorveglianza per la decisione sulla libertà anticipata anche se il condannato si trova in stato di custodia cautelare in carcere.

Detenzione domiciliare: in quali casi?

Il PM, prima di emettere l’ordine di esecuzione può chiedere al Magistrato di Sorveglianza di disporre in via provvisoria, fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza, la detenzione domiciliare se:

  • il condannato ha un’età pari o superiore a 70 anni e la pena residua da espiare è compresa tra i due e i 4 anni,
  • il condannato si trova agli arresti domiciliari per gravissimi motivi di salute.

Sospensione dell’esecuzione

Il PM, tranne che in casi particolari, se rileva che la pena detentiva da applicare al condannato, anche come residuo di una pena maggiore non supera i 3, 4 e 6 anni, nei casi specificati dal comma 5 dell’art. 656 c.p.p, può sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione.  Se però il condannato si trova agli arresti domiciliari, in presenza dei presupposti specificati dal comma 10, il PM può chiedere al Tribunale di Sorveglianza di applicare una misura alternativa alla detenzione (articolo 47, 47 ter e 50 comma 1 legge n. 354/1975).

 

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Decreto Sicurezza 2024: cosa prevede Il decreto sicurezza, approvato dalla Camera, interviene sul codice penale e prevede novità per detenuti e istituti penitenziari

Decreto sicurezza: novità per detenuti, personale e vittime di usura

Il decreto sicurezza così ribattezzato perché contenente “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” è stato approvato il 19 settembre 2024 dall’assemblea di Montecitorio con 162 voti favorevoli, 91 contrari e tre astenuti.

Il provvedimento A.C 1660-A è stato presentato il 22 gennaio 2024 e dopo una prima lettura alla Camera è passato all’esame delle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia, conclusosi il 6 agosto 2024. Ora, il provvedimento passa al vaglio del Senato.

Il testo si compone di 38 articoli che spaziano dalle modifiche al codice penale, ai benefici per le vittime dell’usura, passando per le norme che tutelano le Forze armate, quelle di Polizia e i Vigili del Fuoco.

Vediamo in concreto che cosa prevede il decreto.

Come cambia il codice penale con il decreto sicurezza

Il decreto introduce nel codice penale l’articolo 270 quinquies 3 che prevede il reato di detenzione di materiale con finalità di terrorismo.

Punito con la reclusione da due a sei anni chi si procura o detiene consapevolmente materiale con relative istruzioni per preparare o usare ordigni bellici o altre “armi”, tecniche o metodi per compiere atti di violenza o sabotare servizi pubblici con finalità terroristiche.

Il procedimento vuole introdurre nel codice penale un nuovo reato attraverso l’articolo 634 bis, che punisce l’occupazione arbitraria degli immobili e delle loro pertinenze, destinati all’altrui domicilio.  Sul punto c’è già stato l’ok della Camera.

Cambiano i reati di truffa. Il decreto sicurezza introduce nell’art. 61 una nuova aggravante comune, che consiste nella commissione del fatto all’interno o nelle immediate vicinanze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all’interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri.

Nuova aggravante per il reato di danneggiamento commesso in occasione di manifestazioni, che consiste nel danneggiamento commesso con violenza o minaccia alle persone.

Il differimento obbligatorio dell’esecuzione della pena di cui all’art. 146 c.p. per le donne incinta e le madri di minori viene abrogato. Questa possibilità permane per le donne incinta o con figli minori di 1 anno.

Pene più severe per chi impiega i minori nell’accattonaggio. Si rischia da uno a 5 anni di reclusione.

Il decreto rafforza le tutele previste per le Forze dell’ordine e le Forze Armate introducendo una nuova aggravante in caso di minaccia o violenza a pubblico ufficiale (art. 336) o di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337).

Il provvedimento introduce una nuova fattispecie di reato, che punisce chi provoca lesioni a un pubblico ufficiale o a un soggetto esercente una professione sanitaria.

Pene più severe per chi deturpa o imbratta cose altrui, con la finalità di tutelare gli immobili pubblici.

Contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata

Il decreto interviene sull’articolo 17 comma 1 del dl n. 113/2018, disponendo l’obbligo per chi noleggia auto, di comunicare i dati del richiedente per il raffronto. Questa operazione viene effettuata dal Centro elaborazione dati istituito presso la Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno. La norma, pensata in origine per contrastare i reati di terrorismo, viene estesa anche ad altri reati di particolare gravità (art. 51 comma 3 bis c.p.p criminalità di tipo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti).

Anche le associazioni, le imprese, le società, i consorzi e i raggruppamenti temporanei di imprese devono acquisire e poi fornire la documentazione antimafia.

Il Tribunale in composizione monocratica può vietare l’utilizzo degli strumenti informatici e dei cellulari ai soggetti maggiorenni se il Questore ha disposto nei loro confronti un avviso orale.

Il decreto amplia la casistica dei benefici previsti dall’art. 4 della legge n. 302/1990, che riguardano le vittime della criminalità organizzata.

Il documento di copertura per i collaboratori di giustizia è esteso anche ai familiari agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare.

Detenuti e istituti penitenziari

Il decreto mira a rafforzare la sicurezza allinterno degli istituti penitenziari, introducendo un’aggravante al reato di istigazione a disobbedire alle leggi di cui all’art. 415 c.p e introduce un nuovo reato che punisce le rivolte all’interno degli istituti penitenziari.

In relazione ai suddetti reati il provvedimento riconosce tuttavia il diritto di accedere ai benefici previsti per i detenuti come il lavoro all’estero, i permessi premio e altre misure alternative, previo accertamento dell’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, eversiva o terroristica.

La novella legislativa estende le agevolazioni contributive (art. 4 comma 3 bis legge n. 381/1991) anche alle aziende, pubbliche o private, che impieghino detenuti anche all’esterno degli istituti penitenziari.

L’art. 36 estende l’assunzione in apprendistato professionalizzante ai condannati e agli internati ammessi alle misure alternative e ai detenuti assegnati al lavoro esterno.

Delega al Governo per l’organizzazione del lavoro

Il Governo, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto dovrà, con regolamento, modificare l’organizzazione del lavoro dei soggetti sottoposti a trattamento penitenziario.

Il decreto sicurezza per le vittime dell’usura

Per sostenere le vittime dell’usura l’articolo 33 del decreto dispone, nel percorso finalizzato a reinserire gli operatori economici vittime di usura che beneficiano dei di mutui a carico del Fondo di solidarietà la presenza un consulente esperto per assistere  i beneficiari da quando il mutuo viene concesso. Il consulente deve ovviamente essere in possesso di specifiche competenze, ogni anno deve presentare una relazione sul suo operato. Al momento della presentazione della relazione annuale il consulente riceve il compenso per l’attività svolta.

Norme dedicate al personale in servizio

L’articolo 21 dispone che le Forze di polizia, compresa quella ferroviaria, possano dotarsi di dispositivi di videosorveglianza indossabili, per registrare l’attività operativa e il suo svolgimento.

Dal 2024 gli ufficiali, gli agenti di pubblica sicurezza, gli agenti di polizia giudiziaria appartenenti alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e coloro che fanno parte delle forze armate, se indagati o imputati per fatti collegati al servizio, possono ottenere una somma non superiore a euro 10.000 per ogni fase del procedimento, se vogliono avvalersi di un libero professionista di fiducia (così come i loro familiari). Prevista la rivalsa se viene accertata la responsabilità dell’ufficiale o dell’agente a titolo di dolo.

Gli agenti di pubblica sicurezza possono portare alcuni tipi di armi, anche senza licenza, quando non sono in servizio.

 

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Addebito della separazione al marito bugiardo Addebito della separazione al marito che mente sulla sua vita, sul suo lavoro e sulle vicende giudiziarie che lo riguardano

Addebito della separazione all’ex che mente

L’addebito della separazione è previsto anche in caso di violazione del dovere di lealtà nei confronti del coniuge. Tale dovere è violato dal marito che racconta bugie sulla sua vita, sul suo lavoro e sulle sue vicende giudiziarie determinando così la crisi coniugale. Lo ha stabilito il Tribunale di Perugia nella sentenza n. n. 939/2024

Richiesta di addebito della separazione al marito

Una donna chiede la separazione dal marito. Il rapporto coniugale è stato compromesso dalle continue bugie del marito. L’uomo le ha fatto credere di essere un avvocato, un giudice e un docente universitario, ha tenuto nei suoi confronti condotte vessatorie e in più le ha sottratto denaro dal conto corrente. La ricorrente narra anche che il marito si è allontanato da casa senza dare più notizie. La donna chiede quindi la separazione con addebito al marito e il mantenimento di 400,00 euro mensili. La stessa lavora come badante, abita in un appartamento in locazione con il figlio e percepisce uno stipendio di 950,00 euro mensili.

Addebito separazione se violazione dovere di lealtà provoca la crisi

Il Tribunale precisa che la richiesta di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri coniugali, è infatti necessario che tali violazioni abbiano causato la crisi coniugale o la stessa sia intervenuta quando era già maturata tra i coniugi una situazione di intollerabilità della convivenza.

Nel caso di specie è emerso che sin dall’inizio della relazione l’uomo ha “fatto credere alla moglie circostanze non vere riguardo la propria vita, la propria attività lavorative e perfino riguardo le proprie vicende giudiziarie.” L’uomo ha inoltre mentito sulle sue condizioni di salute.

Tutte queste circostanze sono state confermate da testimoni e dalla documentazione prodotta in atti.

Bugie inaccettabili: violano il dovere di lealtà coniugale

Le condotte del marito violano il dovere di lealtà coniugale. Esse risultano inaccettabili perché frutto di una capacità di inganno tale da portare il coniuge a ignorare chi sia davvero la persona che ha sposato, a temere per la sua vita e a scoprire, solo dopo una denuncia di scomparsa, vicende giudiziarie di oggettiva gravità.

“… non è dubitabile che integri violazione di un dovere coniugale la condotta di chi tradisca la fiducia personale del coniuge, manipolando grandemente la realtà e fornendo una rappresentazione mendace delle proprie condotte, della propria identità lavorativa, della propria vita.”

Indubbia quindi la responsabilità del coniuge nella disgregazione del vincolo coniugale e nell’intollerabilità della convivenza.

Mantenimento negato: nessuna disparità reddituale

Per quanto riguarda il mantenimento il Tribunale ricorda che per l’insorgenza di questo diritto devono sussistere tutta una serie di presupposti, che nel caso di specie non sussistono. La ricorrente ha sempre fatto fronte da sola alle necessità della famiglia, e si è sempre impegnata per provvedere ai suoi bisogni e a quelli del figlio. La donna è dunque economicamente indipendente e ha redditi propri, esattamente come in costanza di matrimonio. I documenti non rivelano neppure una disparità reddituale rispetto al marito, che ha vissuto anzi, durante il matrimonio, grazie alle sostanze della moglie. La richiesta di mantenimento pertanto non può essere accolta.

 

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consulenza tecnica preventiva

Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite La consulenza tecnica preventiva per comporre la lite prima che venga avviato il processo conserva la sua natura cautelare

Consulenza tecnica preventiva per comporre la lite

La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite è un istituto di diritto processuale previsto e disciplinato dall’articolo 696 bis c.p.c. Si tratta di un istituto giuridico in vigore dal 1° marzo 2006.  Questa consulenza si pone l’obiettivo di deflazionare il processo, evitandolo e componendo la lite prima che il processo abbia inizio. Esso tuttavia rappresenta anche un valido sussidio per istruire la causa giudiziale, che le parti dovessero eventualmente intraprendere.

Differenza rispetto all’accertamento tecnico

L’istituto in esame si distingue dall’istituto similare dell’accertamento tecnico per una differenza fondamentale. L’articolo 696 bis c.pc al comma 1 dispone infatti che “L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696.”

Questo significa che la consulenza tecnica, a differenza dell’accertamento tecnico, non richiede  per il suo svolgimento la sussistenza di un periculum in mora rappresentato dalla dispersione dei mezzi di prova.

Il primo comma dell’articolo 696 c.p.c dispone infatti che l’autorità giudiziale competente possa disporre l’accertamento tecnico, così come l’ispezione, quando c’è l’urgenza di verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la condizione di determinate cose.

Natura della consulenza tecnica preventiva

La natura cautelare della consulenza tecnica preventiva tuttavia non viene meno a causa della sua finalità conciliativa.

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 23976/2019 ha chiarito che: “se è pur vero che, con riferimento alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 669-bis cod. proc. civ., difetta il presupposto del periculum in mora, deve ritenersi – anche alla luce di quanto affermato dalla Consulta con la sentenza n. 26 del 2010 – che la disciplina dettata dagli artt. 692-699 cod. proc. civ. non esclude «la natura cautelare delle relative misure», da intendersi, all’evidenza, latamente cautelare quanto al procedimento di cui all’art. 696-bis cod. proc. civ., evidenziandosi che l’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche in caso di urgenza e ciò trova conferma nello stesso tenore letterale dell’art. 696-bis cod. proc. civ., il quale espressamente prevede che una siffatta consulenza possa essere richiesta «anche» al di fuori (e non solo in difetto) delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 696 cod. proc. civ., il quale fa espresso riferimento al presupposto dell’urgenza.”

Oggetto

La consulenza tecnica preventiva può essere impiegata quando si vuole procedere all’’accertamento e alla determinazione dei crediti che derivano dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o di obblighi scaturenti da fatti illeciti.

Aspetti procedurali

Dal punto di vista procedurale l’articolo 696 bis c.p.c dispone il rinvio al comma 3 dell’articolo 696 c.p.c dedicato all’accertamento tecnico preventivo. Questo comma a sua volta dispone che il Presidente del Tribunale o il Giudice di Pace provvedano nelle forme degli articoli 694 e 695 c.p.c in quanto applicabili.

La consulenza tecnica preventiva presuppone quindi una domanda, che la parte interessata deve proporre con ricorso. In questo atto la parte istante deve esporre sommariamente i fatti, anche se in modo chiaro e preciso.

Dopo che la parte provvede al deposito del ricorso il giudice con decreto fissa il termine perentorio entro l’istante deve notificare il provvedimento con cui ha fissato l’udienza e il ricorso.

Il Giudice provvede quindi alla nomina del consulente tecnico. In seguito stabilisce la data in cui le operazioni avranno inizio. All’udienza, a cui il consulente deve comparire, il giudice verifica la regolarità delle notifiche e specifica i quesiti a cui i consulente deve rispondere. Durante lo svolgimento della consulenza le parti possono essere assistite dai rispettivi consulenti.

Consulenza tecnica preventiva: esiti

La consulenza tecnica preventiva finalizzata a comporre la lite e ad evitare l’avvio della causa può avere due esiti diversi. Vediamo quali.

Conciliazione della controversia

La consulenza tecnica preventiva che si conclude con un esito positivo  prevede la formazione del processo verbale dell’avvenuta conciliazione. Il giudice attribuisce al processo verbale il valore di titolo esecutivo. In questo modo la parte adempiente potrà agire nei confronti della parte che non tiene fede agli impegni presi nell’accordo. Le modalità previste sono due: avviando l’espropriazione forzata o procedendo all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. Il vantaggio di questo processo verbale è che non è soggetto all’imposta di bollo.

Mancata conciliazione della controversia

Nell’ipotesi contraria, ossia se le parti non raggiungono un accordo e quindi non si conciliano, entrambe possono chiedere che la relazione redatta e depositata dal consulente venga acquisita agli atti del processo che verrà avviato.

In caso di mancata conciliazione l’ultimo comma dell’articolo 696 bis c.p.c dispone che a questo punto troveranno applicazioni le norme che regolano la consulenza tecnica nell’ambito dell’istruzione probatoria (art. 191-197 c.p.c).

Legittimo impedimento avvocati: primo sì alla riforma Il Senato ha approvato il ddl sul legittimo impedimento degli avvocati, professionisti ma anche individui meritevoli di tutela

Legittimo impedimento: il Senato approva

Nella giornata di mercoledì 18 settembre 2024, il Senato ha approvato il disegno di legge 729 della senatrice leghista Erika Stefani sul legittimo impedimento del difensore nel testo modificato dalla Commissione Giustizia con un nuovo titolo “Disposizioni in materia di legittimo impedimento del difensore”.

Il testo interviene sull’articolo 153 del codice di procedura civile, sull’articolo 81 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile e sull’articolo 420 ter del codice di procedura penale.

Le modifiche contenute nella proposta della senatrice sono finalizzate a tutelare maggiormente la classe forense in materia di legittimo impedimento. L’avvocatura, fino a oggi, è stata spesso vittima di pregiudizio e discriminazione. Da anni gli avvocati segnalano una grande difficoltà nel ricevere un trattamento equo in presenza di una problematica familiare o di salute improvvisa e fonte di preoccupazione.

Senza pregiudicare il diritto di difesa non si possono obbligare gli avvocati, con gravi difficoltà familiari, personali o di salute, di presenziare alle udienze o “sanzionare” la loro assenza con la decadenza dai termini. Gli avvocati sono professionisti, ma anche individui con un loro privato, spesso difficoltoso da gestire, che meritano quindi rispetto e comprensione al pari di altre categorie, che per motivi meno gravi, non incontrano tutte le difficoltà della classe forense.

Rimessione in termini per l’avvocato impossibilitato

Il nuovo comma dell’articolo 153 del codice di procedura civile, dedicato all’improrogabilità dei termini perentori, prevede la possibilità per l’avvocato, di essere rimesso in termini con provvedimento del giudice, o del presidente del tribunale, prima della costituzione delle parti, quando detti impedimenti non gli permettono di delegare le funzioni nella gestione del proprio mandato. Ciò qualora riesca a dimostrare con idonea certificazione di essere incorso nelle decadenze per cause a lui non imputabili o derivanti da caso fortuito o forza maggiore, malattia improvvisa, infortunio, particolari condizioni di salute legate allo stato di gravidanza, per la necessità di assistere i figli o i familiari con disabilità o con grave patologia o per il bisogno improrogabile di provvedere alla cura della prole in età infantile o in età scolare.

Rinvio d’udienza se l’avvocato è impossibilitato a comparire

Il nuovo comma che invece va ad aggiungersi all’articolo 81 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, che punisce con sanzione disciplinare il difensore che non rispetti i termini fissati nel calendario del giudice, nella formulazione della Commissione, prevede il rinvio a una nuova udienza quando l’assenza dell’avvocato è dovuta a un’impossibilità assoluta di comparire per le seguenti ragioni:

  • caso fortuito;
  • forza maggiore;
  • improvvisa malattia;
  • infortunio;
  • particolari condizioni di salute legate allo stato di gravidanza;
  • necessità di assistere i figli o familiari con disabilità o grave patologia;
  • esigenze improrogabili di cura dei figli in età infantile e scolare. 

Comunicazione via pec

Il rinvio di udienza è concesso quando l’avvocato, per le suddette ragioni, non possa delegare le proprie funzioni e tali necessità siano comprovate da idonea certificazione da produrre “se possibile, prima dell’inizio dell’udienza, o comunicate alla cancelleria del giudice che procede anche a mezzo pec nei medesimi termini, il giudice dispone il rinvio a nuova udienza”.

La norma precisa comunque che l’assenza di una comunicazione anticipata della causa dell’impedimento, se giustificata, non costituisce un valido motivo di rigetto dell’istanza per il rinvio di udienza. La disposizione comunque non si applica in presenza di un mandato congiunto.

Legittimo impedimento nel processo penale

L’ultima norma su cui interviene il disegno di legge è l’articolo 420 ter del codice di procedura penale e precisamente il comma 5, che alla luce delle novità previste dal disegno di legge dovrebbe assumere la seguente formulazione letterale: “Il giudice provvede a norma del comma 1 nel caso di assenza del difensore, quando risulta che l’assenza stessa è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento proprio, della prole o dei fa­ miliari per comprovati motivi di salute prontamente comunicato. Tale disposizione non si applica se l’imputato è assistito da due difensori e l’impedimento riguarda uno dei medesimi ovvero quando il difensore impedito ha designato un sostituto o quando l’imputato chiede che si proceda in assenza del difensore impedito”.

Anche nel processo penale il legittimo impedimento per ragioni proprie del difensore o per problematiche legate alla prole o ai familiari, diventano motivi di rinvio ad una nuova udienza da parte del giudice, che provvede, anche d’ufficio, con ordinanza.

Plauso dell’avvocatura al ddl

Immediato il plauso dell’avvocatura. Per l’OCF, si tratta di “una norma di civiltà”. Per l’Aiga, il ddl consente finalmente agli avvocati e alle avvocate il diritto di chiedere la restituzione in termini e il rinvio dell’udienza qualora siano incorsi in decadenze o siano impossibilitati a presenziare l’udienza per cause a loro non imputabili derivanti da problematiche di salute, cura dei figli minori e dei parenti con disabilità e altre cause che gli impediscano di delegare le funzioni relative alla gestione del mandato.

Il presidente nazionale Carlo Foglieni ritiene che l’approvazione di questo disegno di legge rappresenti “un altro importante passo per la tutela degli avvocati  e delle avvocate anche nelle loro qualità di individui”.

parcheggi strisce bianche

Parcheggi strisce bianche: non sono obbligatori nei centri storici Parcheggi strisce bianche gratuiti: non devono essere istituiti obbligatoriamente dai Comuni in certe aree tutelate e di valore

Parcheggi strisce bianche: non c’è l’obbligo in certe aree

I parcheggi a strisce bianche gratuiti non sono obbligatori all’interno delle aree urbane di carattere storico, artistico o ambientale, comprese le aree circostanti? Su questa domanda di non poco rilievo, soprattutto nei periodi di maggiori afflusso turistico, è intervenuta di recente la Corte di Cassazione.

Gli Ermellini sul punto sono piuttosto chiari, anche perché la Cassazione in diverse occasioni ha già avuto modo di precisare che il DM dei LL.PP n. 1444/1968 suddivide il territorio, per finalità urbanistiche, per aree omogenee. In materia di parcheggi, l’articolo 7 del Codice della Strada stabilisce che spetta ai Comuni il potere di stabilire in quali aree è possibile istituire i parcheggi strisce bianche gratuiti e i parcheggi  a pagamento con strisce azzurre. Per cui se l’area in cui il conducente deve parcheggiare presenta un particolare valore storico o ambientale, il Comune è libero di non prevedere spazi per la sosta gratuita delimitati dalle strisce bianche all’interno di quelle aree e anche nelle zone circostanti se parti integrati degli agglomerati urbani. Questo quanto emerge dall’ordinanza n. 20293/2024.

Parcheggi strisce bianche in proporzione a quelli a pagamento

Una conducente si oppone a tre verbali di accertamento. Il Comune le ha contestato tre violazioni   relative alla mancata esposizione del ticket per la sosta del veicolo a pagamento e con limite orario. La donna fa presente che nelle zone limitrofe al centro della città in cui aveva l’esigenza di recarsi, gli spazi di libera sosta gratuita erano molto limitati. Il Comune ha infatti adottato una delibera, che viola l’articolo 7 del Codice della strada, che impone la presenza di stalli liberi e gratuiti nelle arre in cui sono presenti quelli a pagamento o comunque nelle aree limitrofe.

L’opponente chiede quindi al giudice di disapplicare l’atto comunale perché illegittimo e annullare le sanzioni applicate nei suoi confronti. Il Giudice però rigetta l’opposizione e la donna appella la decisione di fronte al Tribunale. Il Tribunale accoglie l’appello e annulla i verbali, disapplicando la delibera comunale. Il Comune a questo punto ricorre in Cassazione.

Il Comune non è obbligato a prevedere parcheggi gratuiti ovunque

L’ente ricorrente solleva due motivi di doglianza, tra i quali merita particolare attenzione il primo. In esso l’Ente fa presente che l’articolo 7 del Codice della Strada al comma 8 esonera i Comuni dall’obbligo di riservare stalli gratuiti nelle stesse zone o in quelle limitrofe in cui sono presenti quelli a pagamento all’interno delle aree “A” di cui all’articolo 2 del DM dei LL.PP n. 1444/1968.

Si tratta in particolare di “parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di  particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree  circostanti, che possono considerarsi parte  integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi” il Comune non ha lobbligo di prevedere stalli liberi in proporzione a quelli a pagamento. Il Tribunale nell’accogliere le istante della conducente non ha considerato che i verbali erano stati elevati perché l’opponente aveva parcheggiato all’interno di aree ricadenti nella suddetta zona A.

Nessun obbligo di parcheggio a strisce bianche nei centri storici

La Cassazione accoglie quindi il ricorso del Comune ritenendo che “l’inclusione dell’area nella zona A del D.M. 2 aprile 1968 o la sua qualificazione in termini di area urbana di particolare valore storico o di particolare pregio ambientale, costituiscono condizioni alternative per esonerare l’Amministrazione dall’obbligo di predisporre aree di parcheggio libero.” Il cittadino quindi non può pretendere che all’interno di certe aree, com un centro storico, vi siano spazi gratuiti per il parcheggio del proprio mezzo. Meglio cercare un parcheggio a pagamento e sostenerne il costo, piuttosto che fare causa e pagare ancora di più.

 

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decreto salva infrazioni

Decreto Salva Infrazioni In vigore il decreto Salva infrazioni UE approvato dal Governo per risolvere, tra le altre cose, anche il nodo concessioni balneari

Decreto Salva infrazioni UE in vigore

In vigore il decreto Salva infrazioni UE, che si pone l’obiettivo di risolvere le procedure di infrazione e pre-infrazione che gravano sullo Stato Italiano.

Approvato nella giornata di mercoledì 4 settembre 2024 dal Consiglio dei Ministri il testo si propone di risolvere 16 casi di infrazioni contestate. Di questi, almeno 6, potrebbero essere archiviati immediatamente, gli altri invece in tempi comunque brevi.

Il Decreto legge n. 131/2024 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 217 del 16 settembre per entrare in vigore il 17 settembre 2024.

Decreto Salva infrazioni UE: procedure interessate

Le procedure di cui si occupa il decreto infrazioni UE spaziano dal trattamento previdenziale dei magistrati onorari al recepimento della direttiva sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati, fino alle misure adeguate per migliorare la qualità dell’aria.

Le procedure interessate

Tra le procedure interessate dal decreto, spiega il Governo, vi sono: “il trattamento previdenziale dei magistrati onorari (n. 2016/4081), il diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo, il diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e il diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari (n. 2023/2006)”. Inoltre: “l’aumento della dotazione organica del Ministero della giustizia finalizzato alla riduzione dei tempi di pagamento dei debiti commerciali e dei servizi di intercettazione nelle indagini penali (n. 2021/4037), il corretto recepimento della direttiva 2016/800 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali (n. 2023/2090), il completo recepimento della direttiva 2020/1057 relativamente al controllo su strada (n. 2022/0231)”. E ancora: “la procedura in materia di diritto d’autore (n. 2017/4092) e le misure finalizzate al miglioramento della qualità dell’aria (n. 2014/2147, n. 2015/2043 e n. 2020/2299”.

Concessioni balneari

Tra le procedure di infrazione di maggior rilievo ci sono quelle che riguardano le concessioni balneari. La soluzione al problema è il risultato della collaborazione tra Roma e Bruxelles.

Il compromesso raggiunto tiene conto della necessità di aprire il mercato delle concessioni, tutelando nel contempo le aspettative degli attuali concessionari.

Per raggiungere questo obiettivo le concessioni balneari attualmente in essere vengono prorogate fino al 2027. Il decreto prevede però l’obbligo di avviare le gare per le nuove concessioni entro giugno 2027.

Nella valutazione delle offerte di gara si dovrà tenere conto della eventuale titolarità di una concessione della durata minima di 5 anni se la stessa ha rappresentato la forma prevalente di reddito per il titolare e la sua famiglia.

Le nuove concessioni potranno avere una durata minima di 5 anni e massima di 20 anni. In questo modo il concessionario può ammortizzare i costi sostenuti per il personale e gli investimenti sostenuti. Non solo, il concessionario subentrante  sarà tenuto a riconoscere a quello uscente un indennizzo. L’importo dovrà essere commisurato al valore dei beni ammortizzati e dovrà anche remunerare gli investimenti effettuati dal concessionario precedente.

 

Ti interessa l’argomento? Leggi anche “Concessioni balneari: la proroga viola la Bolkestein

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Stalking su Facebook: bastano due post Stalking su Facebook integrato anche con la pubblicazione di due soli post se il profilo dell’autore è aperto e quindi accessibile

Stalking su Facebook

Il reato di stalking su Facebook è integrato anche dalla pubblicazione di due soli post sul profilo aperto dell’imputato se il passato è caratterizzato da condotte persecutorie e se dal contenuto dei post emerge chiaramente a chi sono diretti tanto che persona offesa vien informata del contenuto da persone vicine. La Cassazione lo ha chiarito nella sentenza n. 33986-2024.

Reato di stalking pubblicare due post sul profilo Facebook

La Corte d’appello condanna un soggetto per il reato di atti persecutori art. 612 bis c.p. L’imputato ricorre in Cassazione contestando gli addebiti nei suoi confronti. Il soggetto lamenta l’affermazione di responsabilità anche per fatti anteriori all’inoltre dei due post su Facebook. Questi eventi sono stati infatti oggetto di un procedimento penale relativo sempre al reato di stalking dal quale però era stato assolto. L’imputato rileva inoltre un potenziale contrasto tra giudicati. Costui  infine contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo in relazione al reato di atti persecutori che gli è stato contestato.  Lo stesso si sarebbe realizzato con l’inoltro di due post sulla propria bacheca personale di Facebook a un destinatario privo di un profilo sullo stesso social, sul quale tra l’altro non è mai entrato. Alla luce di questo, l’imputato non comprende in che modo abbia potuto colpire la vittima con i suoi post.

Stalking su Facebook: sufficienti due condotte moleste e lesive

La Cassazione respinge il ricorso, ritenendo le censure in parte inammissibili e in parte infondate.

Dai precedenti penali per il reato di stalking la Corte di appello ha dedotto l’oggettiva capacità persecutoria dell’inoltro dei post su Facebook. La stessa ha fatto una corretta applicazione dei principi in materia affermati dalla giurisprudenza di legittimità. Quest’ultima ritiene in particolare che integrano li delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p., anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la “reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale.” Gli Ermellini ricordano inoltre come “il delitto di atti persecutori sia integrato da un’opera di reiterata delegittimazione della persona offesa realizzata dal soggetto attivo attraverso una serie protratta di condotte diffamatorie e moleste realizzate attraverso l’invio di numerosi “post” diffamatori su “social network.” 

Elemento soggettivo: dolo generico

L’elemento soggettivo di questo reato abituale e di evento è rappresentato dal dolo generico. Lo stesso si traduce nella volontà di porre in essere plurime condotte di minaccia e di molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi richiesti dalla norma come lo stato d’ansia e il cambio di abitudini. Non occorre la preordinazione da parte del reo, ma l’abitualità, che è integrata anche con la mera occasionalità e casualità. La consapevolezza delle più condotte di minaccia o di molestia a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, implica necessariamente la cognizione che tali condotte siano percepibili dai destinatari della minaccia o della molestia.”

Consapevolezza a produrre uno degli eventi ex art. 612 bis c.p.

Il reato di atti persecutori è quindi integrato anche dal reiterato e assillante invio di messaggi persecutori, ingiuriosi, enfatizzanti, minatori e irridenti la persona offesa se diretti a destinatari plurimi legati alla stessa da un rapporto di vicinanza. Tutto purché il reo agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.” 

Conoscibilità scontata se il profilo è accessibile

La Cassazione ritiene che, se è vero che occorre distinguere il caso in cui i messaggi persecutori vengono inviati sul profilo della persona offesa da quello in cui vengono pubblicati sul profilo dell’imputato, nel caso di specie a rilevare è la conoscibilità, certamente scontata quando il profilo sia ampiamente accessibile”.

L’imputato ha fatto uso del proprio profilo Facebook per pubblicare due contenuti diretti chiaramente alle due persone offese. Le modalità utilizzate sono tali da fondare la conoscibilità da parte loro o comunque anche di altre persone a loro legate.” Il contenuto dei post è stato infatti rivelato alla persona offesa da sua sorella, dopo che questa ne è venuta a conoscenza dal social network.

 

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