riforma della professione

Riforma della professione forense: cosa prevede Riforma della professione forense: pronto il testo elaborato da CNF, OCF e altre associazioni per porre rimedio alle difficoltà degli avvocati

Avvocati: in arrivo la riforma della professione

L’avvocatura italiana è in fase di trasformazione, pronta la riforma della professione forense.

I dati evidenziano del resto un calo degli iscritti alla Cassa Forense. Salgono invece l’età media e i redditi, ma non per tutti. Significative poi le disparità di genere e territoriali.

Proprio al fine di migliorare questo stato di cose, il Consiglio Nazionale Forense (CNF), in collaborazione con l’Organismo Congressuale Forense (OCF) e altre associazioni, ha completato una proposta di riforma dell’ordinamento professionale. Come annunciato nel corso dell’illustrazione del Rapporto del Censis sull’avvocatura 2025, l’obiettivo è di portarla in Parlamento entro quindici giorni per l’approvazione. La proposta è stata presentata ufficialmente il 29 aprile 2025 a Roma, nel corso dell’Agorà dei presidenti degli Ordini e delle unioni.

Tra le novità di maggiore rilievo spicca la possibilità per il professionista di accordarsi con il cliente e pattuire un compenso collegato al raggiungimento degli obiettivi, senza tuttavia superare il criterio di proporzionalità e il 20% del tetto massimo stabilito dai parametri in vigore.

Il rapporto Censis sull’avvocatura

Secondo il Rapporto Cassa Forense-Censis, presentato a Roma, gli avvocati iscritti nel 2024 sono  in calo dell’1,6% rispetto all’anno precedente. Dal 2020 la riduzione è di quasi 12.000 unità. Parallelamente, il numero di pensionati è aumentato di circa 5.000 unità, mentre gli iscritti attivi sono diminuiti di 15.000. L’età media degli avvocati ha raggiunto i 49 anni, confermando un progressivo invecchiamento della categoria.

Preoccupante anche il dato relativo alla professione: il 33% degli avvocati intervistati ha dichiarato di valutare l’idea di abbandonare l’attività, principalmente per difficoltà economiche e problemi di conciliazione tra vita professionale e familiare, soprattutto per le donne.

Redditi in crescita ma con forti disparità

Il reddito medio degli avvocati nel 2023 è stato di 47.678 euro, ma le differenze sono evidenti. Gli uomini hanno dichiarato in media 62.456 euro, mentre le donne si sono fermate a 31.115 euro. Le disparità emergono anche su base territoriale: in Lombardia il reddito medio è di 81.115 euro, mentre in Calabria scende a 24.203 euro.

Il nuovo Statuto dellAvvocatura

A tredici anni dalla legge professionale del 2012, il nuovo Statuto dell’Avvocatura è pronto. Tra le misure proposte, spicca l’obbligo per la Pubblica Amministrazione e le autorità giudiziarie di rispettare la parità di genere nell’assegnazione degli incarichi.

Arricchita la disciplina del segreto professionale che si estende ai nuovi supporti informatici, audio e video.

Nuove regole per chi decide di associarsi e disciplina dell’esercizio della professione tramite la partecipazione a contratti di rete tra avvocati o multidisciplinari. Apertura nei confronti delle collaborazioni continuative e coordinate per gli avvocati.

Cambia anche il percorso di formazione per esercitare la professione forense e la disciplina degli albi, degli elenchi e dei registri. Prevista anche una delega al Governo per riformare le difese d’ufficio.

Novità importanti e numerose in ambito disciplinare. Prevista la sospensione del procedimento disciplinare per i medesimi fatti per i quali viene aperta l’azione penale o vengono avviate le indagini penali.

Le comunicazioni, i provvedimenti e le notifiche del CDD avverranno a mezzo PEC, solo in mancanza si continueranno a effettuare a mezzo raccomandata A/R o ufficiale giudiziario. Cambia inoltre la disciplina della riabilitazione dell’avvocato che abbia commesso illeciti disciplinari, la quale verrà annotata nel fascicolo personale dell’iscritto.

La riforma è attesa con grande interesse dalla categoria, con la speranza che possa fornire strumenti concreti per garantire una professione più equa, sostenibile e attrattiva per le nuove generazioni.

 

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intercettazioni telefoniche

Intercettazioni telefoniche: per legge fino a 45 giorni Intercettazioni telefoniche: in vigore dal 24 aprile la legge che ha fissato a 45 giorni il termine di durata massimo, salvo eccezioni

Intercettazioni telefoniche: durata

In vigore dal 24 aprile 2025, la legge n. 47/2025 che impone il limite massimo di 45 giorni per le intercettazioni telefoniche. Il testo era stato approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati nella giornata di mercoledì 19 marzo 2025 con 147 voti favorevoli, 67 contrari e un astenuto.

Durata limitata con eccezioni

La nuova norma stabilisce che le intercettazioni non possano superare il tetto di 45 giorni. Tuttavia, se emergono elementi concreti e specifici che ne rendano indispensabile la prosecuzione, il limite può essere esteso con un’esplicita motivazione. Questa regola si applica a tutte le operazioni di ascolto, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge.

Il provvedimento prevede deroghe infatti per i reati di criminalità organizzata  e minacce telefoniche.

Modifiche al codice di procedura penale

Il provvedimento modifica l’articolo 267 del codice di procedura penale, introducendo il limite temporale alle intercettazioni. Inoltre, l’articolo 13 del decreto-legge n. 152 del 1991 viene aggiornato per escludere dall’applicazione del nuovo limite a reati gravi.

Cosa cambia nelle intercettazioni telefoniche

La nuova legge rappresenta un cambiamento significativo nella disciplina delle intercettazioni. Se da un lato introduce un controllo più stringente sulle operazioni investigative, dall’altro solleva dubbi sulla sua efficacia nel contrastare i reati più gravi. Il dibattito resta aperto tra chi la considera una misura di garanzia e chi, invece, teme un indebolimento delle indagini giudiziarie.

 

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danno emergente e lucro cessante

Danno emergente e lucro cessante Danno emergente e lucro cessante: cosa sono, differenze, normativa, come si provano e sentenze della Cassazione

Danno emergente e lucro cessante: voci di danno

Il danno emergente e il lucro cessante nel diritto civile italiano, rappresentano le voci primarie di danno patrimoniale conseguenti a un illecito o a un inadempimento contrattuale, in favore di chi ha subito un pregiudizio patrimoniale

Queste due voci risarcitorie hanno finalità riparative differenti: il primo risarcisce la perdita già subita, il secondo compensa il guadagno non realizzato a causa dell’evento dannoso.

Normativa danno emergente e lucro cessante

La base normativa per la liquidazione del danno patrimoniale si trova in due disposizioni fondamentali del codice civile:

  • Art. 1223 c.c.: “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore (danno emergente) come il mancato guadagno (lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
  • Art. 2056 c.c., applicabile in materia di responsabilità extracontrattuale, rinvia ai criteri degli articoli precedenti in tema di danno da inadempimento. In dettaglio la norma dispone infatti che: “Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223 12261227.2. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.”

Queste disposizioni richiedono che il danno sia causato direttamente e immediatamente dall’evento lesivo, escludendo i pregiudizi indiretti o meramente eventuali.

Cos’è il danno emergente

Il danno emergente rappresenta la perdita effettiva subita dal patrimonio del danneggiato. È una voce di danno concreto, attuale e dimostrabile, legata a costi sostenuti, spese affrontate o beni danneggiati.

Esempi tipici:

  • spese mediche e farmaceutiche sostenute a seguito di un sinistro;
  • riparazione o sostituzione di beni danneggiati;
  • costi per consulenze tecniche o legali;
  • perdita di beni materiali (es. distruzione di merci, macchinari o strumenti di lavoro);
  • costi per trasferimenti o per rimediare ai danni subiti.

Come si prova

È necessario fornire documentazione probatoria come:

  • fatture, ricevute e scontrini;
  • contratti e perizie tecniche;
  • testimonianze o relazioni di professionisti.

Cos’è il lucro cessante

Il lucro cessante indica invece il mancato guadagno che il danneggiato avrebbe potuto conseguire in assenza dell’illecito o dell’inadempimento. È un danno futuro e potenziale, ma risarcibile purché sia prevedibile e ragionevolmente certo.

Esempi tipici:

  • perdita di ricavi da un’attività commerciale temporaneamente interrotta;
  • mancato profitto derivante da un contratto non concluso;
  • minore fatturato a seguito della lesione di un bene produttivo (es. fermo impianti);
  • perdita di opportunità professionali o di mercato.

Come si prova

La prova del lucro cessante è più complessa, poiché riguarda eventi non verificatisi, ma astrattamente prevedibili. La giurisprudenza richiede una prova rigorosa, basata su:

  • documenti contabili e bilanci pregressi;
  • stime economiche di esperti;
  • contratti sfumati o ordini non evasi;
  • indicatori economici coerenti con il tipo di attività.

Differenze tra danno emergente e lucro cessante

Elemento

Danno emergente

Lucro cessante

Natura

Perdita già subita

Guadagno non realizzato

Temporalità

Attuale e concreta

Futuro e potenziale

Prova

Oggettiva (ricevute, fatture)

Prospettica (stime, dati economici)

Finalità risarcitoria

Ripristino del patrimonio

Compensazione del mancato arricchimento

Esigibilità

Generalmente più semplice

Richiede elevata attendibilità delle previsioni

Come si calcolano

Per il danno emergente, il calcolo è di norma analitico, basato sulle spese effettivamente sostenute.

La quantificazione del danno secondo criteri equitativi riguarda soprattutto il lucro cessante e può essere effettuata dal giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c., quando non sia possibile la prova precisa del danno. Ai fini del calcolo del lucro cessante, si applicano in genere i seguenti criteri:

  • proiezioni storiche (es. media dei profitti passati);
  • studi di settore e perizie economico-finanziarie;
  • elementi oggettivi di confronto tra periodo precedente e successivo all’evento.

Sentenze su danno emergente e lucro cessante

Negli anni la Cassazione ha sancito importanti principi generali in materia di risarcimento del danno:

Cassazione n. 17670/2024

Il danno patrimoniale si articola in danno emergente (perdita effettiva) e lucro cessante (mancato guadagno). Queste categorie generali comprendono una molteplicità di specifiche voci di danno che possono o meno presentarsi in un determinato caso di illecito o inadempimento. Spetta al giudice di merito esaminare attentamente il caso concreto per accertare l’effettiva sussistenza di queste specifiche ripercussioni negative subite dal creditore o danneggiato, a prescindere dall’etichetta che viene loro attribuita. Il suo compito è garantire un integrale risarcimento di tutti i danni effettivamente provati. È fondamentale che il giudice consideri e risarcisca tutte le voci di danno patrimoniale esistenti e provate, senza tralasciarne alcuna, per rispettare il principio del risarcimento integrale. Tuttavia, questo principio è strettamente correlato al fatto che il responsabile è tenuto a risarcire solo i danni direttamente causati dal suo illecito o inadempimento, evitando così ingiustificate duplicazioni risarcitorie.

Cassazione n. 9277/2023

La facoltà del giudice di quantificare il danno in via equitativa (come previsto dagli articoli 1226 e 2056 del Codice Civile) è una manifestazione del suo più ampio potere discrezionale sancito dall’articolo 115 del Codice di Procedura Civile. Il giudice può esercitare questo potere autonomamente, senza bisogno di una specifica richiesta delle parti, basandosi su un principio di “equità giudiziale” che mira a correggere o integrare la valutazione del danno. Tuttavia, questo potere ha un limite fondamentale: non può supplire alla mancanza di prova né della responsabilità del debitore né dell’esistenza stessa del danno. In altre parole, il giudice non può inventare la responsabilità o l’esistenza del danno se queste non sono state provate. L’equità interviene solo nella quantificazione del danno la cui esistenza e la cui responsabilità siano già state accertate.

 

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Patto di quota lite invalido: compenso in base alle tariffe Patto di quota lite invalido se prevede il 40% del compenso in caso di vittoria e nulla in caso di sconfitta, alll'avvocato compenso in base alle tariffe forensi

Patto di quota lite invalido

La Cassazione nella sentenza n. 9359/2025 si è espressa sul patto di quota lite tra avvocato e cliente. L’accordo prevedeva un compenso del 40% in caso di vittoria e non prevedeva alcun compenso in caso di sconfitta. Per gli Ermellini un patto di questo tipo non è valido. La legge vieta infatti questi accordi ai fini del riconoscimento del compenso del legale.

Compenso avvocato pari al 40%

La causa ha inizio perché una donna incarica un avvocato di difenderla in un giudizio. L’accordo relativo al compenso del legale prevede il riconoscimento del 40% della somma che la cliente potrebbe ottenere in giudizio. Accade però che la cliente perde la causa. L’avvocato chiede quindi il pagamento del compenso previsto in base alle tariffe forensi, sostenendo la nullità del patto convenuto. Il Tribunale di Forlì accoglie la domanda dell’avvocato, ritenendo nullo il patto di quota lite e applicando le regole sul compenso del difensore. La cliente nell’impugnare la decisione, sostiene che l’accordo stipulato con il legale non è vietato. Le clausole, a suo dire, hanno portata autonoma. Una clausola commisurava infatti il compenso al 40% del risultato, l’altra prevedeva l’assenza di compenso in caso di sconfitta. Questa seconda clausola deve essere interpretata come una rinuncia preventiva al compenso.

Nullo il patto di quota lite, valido il contratto

La Cassazione però rigetta il ricorso della cliente, affermando che le due clausole formavano in realtà un unico accordo. Questo accordo regolava il compenso del difensore e le clausole in esso contenute prevedevano due ipotesi alternative. In caso di vittoria, il compenso era il 40%, mentre in caso di sconfitta, non spettava alcun compenso. Un’ipotesi dipendeva dall’altra, le stesse non costituivano patti autonomi.

La Cassazione conferma quindi la nullità del patto di quota lite, precisando però che la nullità è parziale e non inficia comunque l’intero contratto di patrocinio. Questo infatti resta valido e il compenso del difensore deve essere calcolato in base alle tariffe forensi. Il tribunale quindi ha correttamente ritenuto la clausola di rinuncia un patto di quota lite, ma la legge vieta questi accordi a tutela del lavoro del difensore.

 

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Allegati

carta per i nuovi nati

Bonus nuovi nati: cos’è e a chi spetta Il bonus per i nuovi nati è destinato alle famiglie che devono affrontare le prime spese per neonati e figli adottivi

Bonus per i nuovi nati

La legge di bilancio 2025 ha introdotto un bonus per i nuovi nati, una nuova misura di sostegno dedicato alle famiglie, con obiettivo primario di incentivare la natalità e alleggerire il peso economico derivante dall’arrivo di un bambino.

Il bonus per i nuovi nati consiste in un importo di 1.000 euro, erogato una tantum, spettante alle famiglie con un ISEE inferiore a 40.000 euro.

La circolare INPS n. 76 del 14 aprile 2025 definisce i requisiti di accesso, le modalità di presentazione delle domande e il regime fiscale della misura.

Bonus per i nuovi nati: come funziona

Il bonus nuovi nati consiste in un importo, che verrà erogato una tantum e che potrà essere utilizzato per l’acquisto di beni e servizi destinati al neonato.

La misura spetta per ogni figlio nato o adottato dopo il 1° gennaio 2025.

Il Bonus non concorre alla formazione del reddito imponibile.

A chi spetta il Bonus per i nuovi nati

Il bonus viene erogato a chi è in possesso dei seguenti requisiti soggettivi e reddituali:

  1. Cittadini italiani, cittadini UE e familiari dei suddetti cittadini, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente;
  2. Cittadini di Stati non UE:
  • Titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; di permesso unico di lavoro autorizzati a svolgere attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi; di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzati a soggiornare in Italia per un periodo superiore a sei mesi.
  • In applicazione della normativa UE e della giurisprudenza della Corte di Giustizia, possono accedere al bonus anche cittadini extracomunitari in possesso di permessi di soggiorno di durata non inferiore a un anno, anche se non espressamente indicati nella legge di Bilancio 2025.
  1. Soggetti equiparati ai cittadini italiani: come apolidi, rifugiati politici e titolari di protezione internazionale.
  2. Cittadini del Regno Unito: sono equiparati ai cittadini UE se residenti in Italia entro il 31 dicembre 2020. La verifica della residenza a tale data avviene tramite l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) o altri archivi anagrafici. In tal caso, non sono richiesti ulteriori titoli di soggiorno. Per i cittadini del Regno Unito residenti in Italia successivamente al 31 dicembre 2020, si applicano le disposizioni previste per i cittadini extracomunitari in materia di documenti di soggiorno.

Requisiti per l’accesso al Bonus:

  • Residenza: il genitore richiedente deve essere residente in Italia al momento della presentazione della domanda e tale requisito deve sussistere dalla data dell’evento (nascita, adozione, affido preadottivo).
  • ISEE: è necessario un Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) del nucleo familiare in cui è presente il figlio per il quale si chiede il contributo, non superiore a 40.000 euro annui. Nel calcolo dell’ISEE minorenni viene neutralizzato l’importo dell’Assegno unico e universale (AUU) erogato ai componenti del nucleo familiare.
  • Data di nascita, adozione o affido preadottivo: il figlio deve essere nato o adottato a partire dal 1° gennaio 2025. Per le adozioni, il contributo può essere richiesto solo per figli minorenni. In caso di affido preadottivo, si considera la data di ingresso del minore nel nucleo familiare su ordinanza del Tribunale per i minorenni. Per le adozioni internazionali, fa fede la data di trascrizione del provvedimento nei registri dello stato civile. In fase di prima attuazione, per i minori adottati a partire dal 1° gennaio 2025 con provvedimento di affido preadottivo antecedente a tale data, è possibile richiedere il bonus con riferimento alla data della sentenza di adozione.

Come richiedere il bonus

Il Bonus nuovi nati 2025 si richiede tramite apposita domanda, presentabile da uno dei genitori (o dal genitore convivente in caso di non convivenza).

Per genitori incapaci o minorenni, la domanda è inoltrata dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o dal tutore, verificando i requisiti del genitore del neonato. La domanda va presentata entro 60 giorni dall’evento (nascita, adozione, affido), pena decadenza.

È necessario possedere un ISEE minorenni valido o aver presentato la DSU per il suo calcolo. La domanda si inoltra tramite il portale INPS (SPID, CIE, CNS, eIDAS), l’app INPS mobile, il Contact Center INPS o gli istituti di patronato.

All’atto della domanda va indicata la modalità di pagamento (accredito su conto IBAN o bonifico domiciliato), con possibilità di utilizzare IBAN già registrati presso l’INPS o indicarne uno nuovo.

L’erogazione avviene in ordine cronologico di ricezione delle domande accolte, nei limiti dei fondi disponibili.

Domande dal 17 aprile 2025

Con il messaggio n. 1303/2025 del 16 aprile 2025, l’INPS ha comunicato che dalle 8:30 del 17 aprile 2025 è possibile presentare la domanda per il Bonus Nuovi Nati.

Il servizio è accessibile sul sito dell’INPS, utilizzando la propria identità digitale. In alternativa, è possibile presentare l’istanza tramite il Contact Center Multicanale o gli istituti di patronato.

Con un successivo messaggio, l’istituto comunicherà la data dalla quale sarà possibile effettuare la domanda tramite l’app INPS Mobile.

 

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uomini violenti

Recupero uomini violenti: i percorsi di riabilitazione Uomini violenti con le donne: definiti con decreto i criteri di accreditamento degli enti che organizzano i percorsi di recupero

Corsi di recupero uomini violenti: il decreto

Il Ministro della Giustizia e la Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità hanno firmato un decreto importante per contrastare la violenza contro le donne attraverso il recupero degli uomini violenti. 

Il provvedimento definisce particolare i criteri e le modalità per riconoscere e accreditare gli enti che organizzano percorsi di recupero per uomini autori di violenza di genere o domestica.

Questi percorsi possono essere svolti solo nei C.U.A.V. (Centri per Uomini autori o potenziali autori di violenza), inseriti in un elenco ufficiale gestito dal Ministero della Giustizia.

I centri possono essere organizzati da enti pubblici, servizi sanitari, organismi del terzo settore o da una loro collaborazione. Solo chi è accreditato potrà realizzare i programmi.

Il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità è responsabile del riconoscimento degli enti e della gestione dell’elenco, pubblicato online.

L’Ispettorato generale del Ministero potrà effettuare controlli e vigilanza sulle attività svolte.

Percorso e sospensione condizionale della pena

La partecipazione a questi percorsi è fondamentale per i condannati che intendono accedere alla sospensione condizionale della pena, ma può coinvolgere anche imputati e indagati, come misura preventiva.

Il decreto introduce anche le linee guida nazionali per i percorsi di recupero, che saranno aggiornate ogni tre anni. Queste indicazioni si baseranno anche sui dati raccolti dall’Osservatorio sulla violenza contro le donne e sulla violenza domestica, con l’obiettivo di garantire interventi efficaci e mirati.

Il provvedimento interministeriale si pone l’obiettivo di combattere la violenza attraverso la prevenzione e la trasformazione comportamentale degli autori dei comportamenti violenti. Offrire loro un’opportunità di cambiamento è un passo fondamentale per proteggere le vittime e ridurre il rischio di recidiva.

Il decreto, se correttamente applicato, potrebbe offrire numerosi vantaggi per la società, il sistema giudiziario e soprattutto per la tutela delle vittime.

 

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decreto coesione legge

Decreto coesione: cosa prevede la legge La legge di conversione del decreto coesione prevede una serie di misure per rimettere in moto il Sud Italia

Decreto coesione e legge di conversione

Il testo della legge (n. 95/2024), di conversione del decreto coesione (decreto legge n. 60/2024) recante “ulteriori disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione” è in vigore dal 7 luglio 2024.

La legge è composta da 50 articoli e al Titolo I contiene le misure di riforma della politica di coesione in materia di utilizzo delle risorse, di semplificazione amministrativa e contabile, di rafforzamento della capacità amministrativa, di sviluppo e coesione territoriale, di lavoro, di istruzione, università e ricerca, di investimenti, di cultura e di sicurezza.

Il Titolo II invece contiene disposizioni ulteriori relative al piano nazionale di ripresa e resilienza.

Vediamo le misure più importanti e significative.

Gli interventi per il lavoro

Il Parlamento ha autorizzato il MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti) ad assumere personale con contratto a tempo indeterminato:

  • 100 unità andranno ad arricchire l’aria elevata professionalità;
  • 300 unità saranno destinate all’area funzionari;
  • 150 unità invece all’area assistenti.

Autorizzata anche la procedura concorsuale per assumere 245 segretari comunali e provinciali.

Iscro

Per accedere all’ISCRO non sarà più necessario partecipare ai vari percorsi di aggiornamento professionale. I beneficiari dell’ISCRO inoltre potranno autorizzare l’INPS a trasmettere i propri dati di contatto alle piattaforme che attivano misure di inclusione sociale e di politica attiva come il SIISL (sistema informativo unitario delle politiche del lavoro) al fine sottoscrivere il patto di attivazione digitale necessario per il successivo patto lavoro e per l’assegno di inclusione sociale.

Scadenze e sgravi

Cambiano le scadenze delle convenzioni per l’utilizzo dei lavoratori socialmente utili, che vengono prorogate al 31 dicembre 2024.

Incrementato di 9 mesi il termine per l’operatività delle agenzie che somministrano il lavoro in porto.

Incrementato il fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e aeroportuale.

Previsti sgravi ed esoneri contributivi per i datori di lavoro che assumeranno stabilmente lavoratori nei settori strategici e donne in difficoltà per favorire le pari opportunità.

Su queste misure, previste dagli articoli 22 e 23 del decreto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia in data 11 aprile 2025 hanno emanato i decreti attuativi dedicati al bonus giovani under 35 e donne. I decreti si occupano di definire i criteri di applicazione e di funzionamento degli sgravi contributivi totali per quei datori che assumeranno a tempo indeterminato gli under 35 che non hanno mai avuto un’occupazione stabile e le donne prive di un’occupazione retribuita regolarmente.

Le misure per gli enti

Istituita la zona logistica semplificata anche nelle aree portuali delle regioni (Marche Umbria e Abruzzo) non comprese nella ZES Unica.

Premi per le Regioni e le Province autonome che porteranno a compimento rapidamente gli interventi nei settori strategici della coesione.

Dal 2024 al 2028 sono previsti contributi annuali di 5 milioni di euro per la fusione dei comuni.

Nuovi stanziamenti per il Ministero dell’Università e della ricerca e per il Ministero dell’interno.

Nuove risorse verranno destinate anche alla perequazione infrastrutturale del Mezzogiorno e in particolare in favore delle seguenti Regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Gli interventi riguarderanno strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, risorse idriche, strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche e deputate alla cura dell’infanzia.

Fonti rinnovabili e bonus

Il provvedimento vuole recuperare importanti siti industriali. A tal fine definisce le procedure per individuare i criteri di selezione degli investimenti da attuare nelle regioni del sud Italia e in particolare in Basilicata, Calabria,  Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia per produrre energia, anche termica da fonti rinnovabili da destinare all’autoconsumo delle imprese, ma anche per incrementare la capacità della rete distributiva, accogliere quote sempre più elevate di energia derivante da fonti rinnovabili e sviluppare i sistemi di stoccaggio sempre più efficienti.

Sicurezza

La nuova legge vuole rafforzare la legalità nelle regioni meno sviluppate. Si autorizza inoltre il Ministero dell’Interno a mettere in atto piani di intervento per completare il servizio di telecomunicazione sull’intero territorio nazionale dando priorità di copertura ai territori che saranno protagonisti dei giochi olimpici invernali del 2026.

Nello stato di previsione del Ministero della difesa inoltre è istituito un fondo per potenziare la cybersicurezza e le tecnologie satellitari.

molestie alla collega

Molestie alla collega: legittimo il licenziamento Molestie alla collega: legittimo il licenziamento, è sufficiente la prova testimoniale della persona offesa

Molestie alla collega: licenziamento legittimo  

Licenziamento per giusta causa legittimo per il lavoratore che, anche in presenza di un solo testimone oculare, rivolge molestie alla collega sul posto di lavoro baciandola sulla bocca, senza il suo consenso. Il tutto accompagnato da frasi a sfondo sessuale. Lo ha stabilito la Corte di Appello di Torino nella sentenza n. 150/2025.

Licenziamento per giusta causa illegittimo

Un addetto alla reception di una università viene licenziato. Il Tribunale però non ritiene provata la giusta causa disciplinare del licenziamento, ritenendo inattendibile la testimonianza del capo squadra del servizio di pulizie. L’uomo è stato accusato nello specifico di avere molestato fisicamente una collega e di aver abbandonato il posto di lavoro. I fatti sarebbero avvenuti in occasione di una festa di pensionamento di un collega. Alla festa il lavoratore avrebbe alzato il gomito e “in grave e visibile stato di ebbrezza” avrebbe rivolto alla collega attenzioni non gradite. La versione dei fatti però non viene condivisa dal Tribunale, tanto che la domanda di accertamento del licenziamento viene respinta. Il Tribunale accoglie invece la domanda riconvenzionale con il quale è stato chiesto l’annullamento del recesso del datore di lavoro, stante la natura ritorsiva della condotta. La decisione però viene impugnata. Per l’appellante infatti il giudice di primo grado ha errato nella valutare le testimonianze e non considerare rilevante dal punto di vista disciplinare l’abbandono della postazione di lavoro.

Testimonianza della collega attendibile

La Corte però ritiene meritevole di accoglimento la doglianza esposta nel primo motivo di appello tanto che accoglie l’impugnazione, dichiarando legittimo il licenziamento. Queste le ragioni della decisione.

Il Collegio concentra la sua attenzione sulle molestie alla collega del dipendente. L’uomo infatti ha abbracciato e baciato sulla bocca la donna contro la sua volontà. Ha anche fatto apprezzamenti sul suo aspetto e ha dichiarato di essere innamorato. La collega ha testimoniato l’accaduto. Ha raccontato che l’uomo l’ha presa per il viso e l’ha baciata, senza giustificare il gesto. Subito dopo, le ha fatto complimenti e le ha detto di essere innamorato di lei. La donna però ha precisato che non c’era mai stato un rapporto confidenziale tra loro. La testimonianza della donna per la Corte è credibile.

Lei ha notato che il collega parlava in modo strano e barcollava. Sentiva odore di alcol. L’uomo stesso ha ammesso di aver bevuto due bicchieri di vino poco prima. Anche se non era ubriaco, l’alcol poteva averlo alterato leggermente. La donna non poteva sapere del brindisi, quindi la sua affermazione sull’alito vinoso è veritiera. La sua deposizione inoltre è in linea con la mail che ha inviato pochi giorni dopo l’episodio. Il fatto che non ricordasse se l’uomo l’avesse anche abbracciata rafforza la sua attendibilità.

La testimonianza della collega insomma è sufficiente come prova. Non serve quella di un’altra persona. Le incongruenze minori evidenziate nella prima sentenza non sminuiscono la sua credibilità sul bacio e sugli apprezzamenti. Anzi, queste piccole differenze rendono la sua testimonianza più genuina. Se avesse voluto mentire, si sarebbe accordata con un’altra collega per una versione perfetta.

Errato colpevolizzare la vittima

Il primo giudice non ha ritenuto credibile la donna perché non ha subito chiesto aiuto. Ha anche criticato il suo comportamento dopo la molestia. Queste argomentazioni però non convincono il Collegio. Il comportamento di una vittima dopo una molestia non toglie veridicità all’evento. Non esiste un modo “giusto” di reagire. Colpevolizzare la vittima è sbagliato. La donna potrebbe non aver voluto denunciare subito per diverse ragioni. La molestia subita non era di estrema violenza. Inoltre, lei stessa non voleva che l’episodio avesse conseguenze.

La Corte si chiede inoltre perché la donna avrebbe dovuto calunniare il collega. Non c’era un motivo plausibile. Non avevano particolari rapporti o ragioni di risentimento. L’unica circostanza menzionata dall’uomo è che la sorella della donna ha preso il suo posto di lavoro dopo il licenziamento. Questa cosa è stata detta però solo in appello e non c’è prova che sia emersa dopo il primo giudizio. Inoltre, il mezzo (calunnia) è sproporzionato rispetto al fine (un posto di lavoro non particolarmente allettante).

La donna stessa ha detto di non voler portare avanti la cosa subito dopo l’accaduto. Questo dimostra che non voleva che la direzione aziendale sapesse della molestia. Se avesse voluto incastrare l’uomo, non avrebbe agito da sola. Avrebbe avuto bisogno della complicità dei vertici aziendali, cosa non plausibile. L’uomo non ha fornito un motivo convincente per cui la donna avrebbe dovuto calunniarlo.

Illecito disciplinare le molestie alla collega

La testimonianza della donna è quindi attendibile riguardo alla molestia sessuale. Questa rientra nella definizione di comportamenti indesiderati a sfondo sessuale che violano la dignità di una lavoratrice. Costituisce anche un illecito disciplinare punibile con il licenziamento senza preavviso. La condotta dell’uomo è oggettivamente offensiva e mina il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. La giusta causa disciplinare accertata giustifica il licenziamento, a prescindere da eventuali ragioni di ritorsione dell’azienda. Il Collegio non esamina l’abbandono del posto di lavoro.

 

 

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interdizione e inabilitazione

Addio a interdizione e inabilitazione? Interdizione e inabilitazione a rischio: un emendamento del Governo al ddl AS n. 1192 vuole superare questi istituti in favore dell'AdS

Interdizione e inabilitazione

Interdizione e inabilitazione a rischio. L’emendamento del Governo alla legge di semplificazione annuale (ddl AS n. 1192) prevede l’accorpamento degli istituti dell’inabilitazione e dell’interdizione nell’amministrazione di sostegno.

L’emendamento delega l’Esecutivo a rivedere gli istituti di tutela suddetti al fine di superarli gradualmente e accorpare la tutela dei disabili nell’amministrazione di sostegno, dopo una attenta rimodulazione.

Interdizione e inabilitazione: deboli a rischio?

Insorge l’avvocatura sottolineando l’importanza dell’assistenza professionale per i soggetti deboli. Il superamento degli istituti tradizionale di tutela pare del tutto inopportuno. Le modifiche al vaglio rischiano inoltre di compromettere la ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Condivisibile l’obiettivo di superare istituti anacronistici, ma occorre considerare anche la possibile regressione delle garanzie dei diritti fondamentali dei soggetto più deboli.

L’emendamento rischia anche di minacciare i patrimoni, appare  quindi necessario proporre livelli di formalità diversi per patrimoni e redditi maggiori.

Gli istituti dell’amministrazione di sostegno, dell’inabilitazione e interdizione inoltre sono diversi. L’amministrazione di sostegno è più elastica e adatta a situazioni temporanee. L’inabilitazione e all’interdizione invece hanno funzione stabile e duratura.

Occorrono criteri stringenti e definiti per l’applicazione dell’Amministrazione di sostegno, garanzie di controllo giurisdizionale e partecipazione attiva del beneficiario. Necessario a tal fine   il coinvolgimento delle professioni legali e del terzo settore.

Aiga: serve una riforma giusta ed equilibrata

Aiga ritiene che l’emendamento comprometta la tutela dei più fragili, ne riduca le garanzie e ne indebolisca la protezione patrimoniale.

Nel suo comunicato stampa del 9 aprile 2025 ricorda anche la propria proposta di legge finalizzata a:

  • riconoscere la professionalità degli amministratori di sostegno;
  • garantire un compenso equo e dignitoso a questi soggetti;
  • definirne chiaramente le responsabilità;
  • rafforzarne la tutela fiscale e legale.

Il legislatore deve adottare un approccio responsabile, tutelare i diritti dei soggetti fragili e garantire la dignità professionale degli amministratori di sostegno.

affettività in carcere

Affettività in carcere: le linee guida Affettività in carcere: dopo la pronuncia della Consulta arrivano le linee guida che riconoscono ai detenuti il diritto all'intimità

Affettività in carcere: linee guida post Consulta

Sull’affettività in carcere arrivano le linee guida sottoscritte dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Lina Di Domenico.

Il documento recepisce le indicazioni della Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 10/2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, nei termini di cui in motivazione, a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.”

Linee guida affettività in carcere: cosa prevedono

Le linee guida, alla luce di quanto sancito dalla Consulta, prevedono che i colloqui intimi saranno consentiti, a meno che non ci sia incompatibilità con l’assenza di un controllo visivo.

Il numero dei colloqui sarà il medesimo di quelli di cui i detenuti e gli internati fruiscono già mensilmente e la durata massima sarà di due ore.

Le amministrazioni penitenziarie dovranno individuare locali da destinare a questi colloqui, che siano in grado di garantire una certa riservatezza. Da preferire le aree vicino all’ingresso dell’istituto, ma la direzione può consentire lo svolgimento dei colloqui in locali distinti.

La stanza destinata ai colloqui intimi sarà arredata con un letto e servizi igienici. La stessa però non potrà essere chiusa dall’interno e sarà sorvegliata soltanto esternamente dalla Polizia penitenziaria equipaggiata per il controllo dei detenuti e dei soggetti ammessi ai colloqui intimi e all’ispezione della stanza prima e dopo l’incontro.

Via preferenziale per i detenuti che non beneficiano di permessi premio o di altri benefici che consentano loro di coltivare rapporti affettivi all’esterno e detenuti e imputati che, a parità di condizioni, devono scontare pene più lunghe e si trovano in uno stato di privazione della libertà da più tempo.

Per quanto riguarda i soggetti ammessi ai colloqui le linee guida indicano il coniuge, la parte dell’unione civile e il convivente, dopo gli opportuni controlli documentali e la firma del consenso informato del soggetto in visita.

Soggetti esclusi e possibili limitazioni

Sono esclusi dai colloqui intimi i detenuti sottoposti a regimi detentivi speciali come quelli previsti dall’artt. 41-bis O.P. e dall’art. 14-bis O.P.

Alle Direzioni il compito di individuare eventuali ragioni ostative per ragioni di sicurezza o per la necessità di mantenere l’ordine e la disciplina.

Colloqui intimi esclusi in ogni caso per i detenuti in isolamento sanitario. I colloqui infine potranno essere negati nelle ipotesi di detenzione, dal parte dell’internato, di sostanze stupefacenti, oggetti atti a offendere e cellulari e nei casi in cui il soggetto abbia manifestato un’indole violenta o tenuto condotte che potrebbero comportare rischi in sede di colloquio.

 

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