certificazione parità di genere

Certificazione parità di genere: le nuove Linee guida Certificazione parità di genere: aggiornate le linee guida per la programmazione e la progettazione della formazione

Certificazione parità di genere: linee guida

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato il Decreto direttoriale n. 115 del 17 marzo 2025, che aggiorna le linee guida per la formazione finalizzata alla certificazione della parità di genere. L’obiettivo è supportare le imprese nel processo di certificazione, evidenziando l’importanza della parità di genere sia per l’equità sia per la competitività aziendale.

Struttura della formazione

Il provvedimento suggerisce un percorso modulare suddiviso in tre livelli:

  1. Formazione introduttiva – Aiuta le imprese a comprendere il sistema di certificazione, i suoi vantaggi e le procedure previste.
  2. Approfondimento sui KPI di parità – Analizza i sei ambiti chiave della certificazione (cultura e strategia, governance, processi HR, equità retributiva, genitorialità e conciliazione vita-lavoro).
  3. Formazione avanzata per il management – Destinata ai dirigenti, garantisce l’efficacia delle politiche aziendali per la parità di genere.

Modalità di attuazione

Le linee guida individuano tre possibili modalità per attuare la formazione:

  • accordi tra Regioni e Camere di Commercio per sfruttare le competenze territoriali.
  • bandi regionali specifici per selezionare progetti di formazione mirati.
  • finanziamenti in sinergia con il Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+).

Certificazione parità di genere: obiettivo linee guida

L’aggiornamento mira a fornire strumenti pratici alle imprese, adattabili alle diverse realtà produttive. La certificazione non solo promuove l’equità, ma consente alle aziende di accedere a incentivi fiscali e premialità. Il documento rappresenta quindi un supporto strategico per integrare la parità di genere nei processi aziendali e migliorare la sostenibilità del sistema economico.

 

Leggi anche l’articolo che definisce la certificazione

avvocato in affitto

L’avvocato in “affitto” L' avvocato in affitto o secondment è una pratica che garantisce alle aziende un’assistenza legale a tempo

L’avvocato in “affitto” rivoluziona il settore legale

Negli ultimi anni, il mondo della consulenza legale ha assistito a una trasformazione significativa. Questo grazie anche al fenomeno del secondment, noto come “avvocato in affitto”. Questo modello, nato nei paesi anglosassoni, ha introdotto maggiore flessibilità nella gestione del personale legale. Esso risponde infatti alle esigenze di aziende e studi professionali con soluzioni innovative e su misura.

Origini del secondment: da dove nasce l’idea

Il concetto di secondment (accordo tra datore e azienda per il distacco di un dipendente) ha origine nel Regno Unito e negli Stati Uniti alla fine del XX secolo. Le grandi multinazionali e i principali studi legali anglosassoni lo hanno adottato per rispondere a una due necessità principali.  Da un lato, offrire ai propri avvocati esperienze diversificate all’interno di aziende clienti. Dall’altro lato consentire alle aziende di avere professionisti qualificati a tempo determinato senza dover ampliare il proprio organico in modo permanente.

Le prime applicazioni del secondment risalgono agli anni ’80 e ’90. In questi anni le grandi law firms iniziarono a distaccare i propri avvocati presso le aziende clienti per periodi definiti, generalmente compresi tra sei mesi e due anni. Il fenomeno si è rapidamente diffuso nel mondo anglosassone. Oggi è una pratica consolidata e strategica per le realtà aziendali e legali.

Come funziona l’avvocato in affitto

Il meccanismo del secondment è relativamente semplice. Uno studio legale o una società di servizi giuridici fornisce un proprio avvocato a un’azienda per un periodo determinato. L’avvocato opera come un membro interno dell’ufficio legale dell’azienda, gestendo questioni legali quotidiane e interfacciandosi direttamente con i dirigenti e il personale. Lo studio legale continua a pagare lo stipendio del professionista, ma l’azienda ospitante rimborsa i costi. Al termine del periodo, l’avvocato può rientrare nello studio di provenienza o, in alcuni casi, essere assunto dall’azienda.

Questa pratica offre alle aziende un accesso immediato a competenze specialistiche senza il vincolo di un’assunzione definitiva e permette agli avvocati di ampliare la loro esperienza direttamente sul campo.

Vantaggi del secondment

Il successo del secondment è legato ai numerosi vantaggi che offre sia alle aziende sia agli avvocati e agli studi legali.

Per le aziende: accesso rapido a professionisti qualificati senza dover ampliare il personale; costi maggiormente prevedibili rispetto all’assunzione di un dipendente a tempo indeterminato; possibilità di testare un avvocato prima di un’eventuale assunzione diretta, maggiore flessibilità nella gestione dei picchi di lavoro e delle esigenze temporanee.

Per gli studi legali: opportunità di consolidare la relazione con i clienti aziendali, esperienza sul campo per i propri avvocati, utile per comprendere meglio le dinamiche aziendali, possibilità di offrire servizi più personalizzati e orientati al business.

Per gli avvocati: formazione diretta in un contesto aziendale; ampliamento delle competenze gestionali e strategiche e maggiore possibilità di carriera e network professionale.

Svantaggi e criticità dell’avvocato in affitto

Nonostante i numerosi benefici, il secondment presenta anche alcune sfide da considerare.

Per le aziende il rischio che l’avvocato distaccato non si integri rapidamente con la cultura aziendale e la dipendenza da personale esterno per questioni strategiche.

Per gli studi legali la possibile perdita di talenti se il cliente decide di assumere l’avvocato e la m minore disponibilità del professionista per le attività dello studio.

Per gli avvocati: la possibile difficoltà nel rientro nello studio legale dopo un’esperienza aziendale e la necessità di adattarsi a due ambienti di lavoro diversi nel corso della carriera.

Il secondment in Italia

In Italia, il secondment è ancora poco diffuso, ma sta iniziando a guadagnare terreno, specialmente nelle grandi aziende con uffici legali strutturati. Il sistema giuridico italiano, più rigido rispetto a quello anglosassone, potrebbe ostacolare una piena implementazione del modello. Tuttavia, con il crescente bisogno di flessibilità nel settore legale, molte aziende stanno esplorando formule alternative simili al secondment, come l’outsourcing legale o l’uso di consulenti esterni a tempo determinato.

Un ostacolo significativo è rappresentato dalla normativa italiana sul lavoro subordinato, che potrebbe rendere complesso il distacco temporaneo di un avvocato senza incorrere in problemi contrattuali. Inoltre, il ruolo dell’Ordine degli Avvocati e le specifiche regole deontologiche potrebbero influenzare l’applicabilità di questa pratica nel nostro paese.

Il secondment rappresenta una soluzione moderna ed efficace per rispondere alle sfide del mondo legale, garantendo flessibilità, formazione e integrazione tra professionisti e aziende. Mentre nei paesi anglosassoni è una realtà consolidata, in Italia la sua diffusione dipenderà dalla capacità di adattare il modello alle normative locali. Se ben strutturato il secondment potrebbe diventare uno strumento prezioso anche per le imprese italiane, offrendo un nuovo modo di gestire le risorse legali con maggiore efficienza e competitività.

 

Leggi anche gli altri articoli del sito dedicati alle professioni 

interessi di mora

Interessi di mora: tasso primo semestre 2025 Interessi di mora: pubblicato in GU il comunicato del MEF che indica la percentuale del tasso del primo semestre 2025

Interessi di mora: tasso 1° semestre 2025

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 marzo 2025 il tasso degli interessi di mora per i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. Il nuovo tasso di riferimento, valido dal 1° gennaio al 30 giugno 2025, è fissato al 3,15%.

Cosa sono gli interessi di mora?

L’interesse di mora è l’importo che il debitore deve versare al creditore in caso di ritardo nel pagamento di un’obbligazione pecuniaria derivante da una transazione commerciale. Questa misura ha lo scopo di compensare il creditore per il mancato incasso nei tempi previsti.

Aggiornamento semestrale del tasso

Il tasso di riferimento viene stabilito ogni sei mesi dal MEF, in base all’art. 5 del D.Lgs. n. 231/2002. Il nuovo valore del 3,15% segna una riduzione rispetto al 4,50% e al 4,25% applicati nei due semestri del 2024.

Regole per l’applicazione

Gli interessi di mora si applicano automaticamente nei contratti tra imprese o tra imprese e Pubblica Amministrazione, salvo diversa pattuizione tra le parti.

Se il ritardo si verifica nel secondo semestre del 2025, il tasso verrà aggiornato a partire dal 1° luglio dello stesso anno.

Obiettivo della normativa

La disciplina sugli interessi di mora mira a contrastare i ritardi nei pagamenti, garantendo maggiore tutela ai creditori. Questo meccanismo incentiva il rispetto delle scadenze e contribuisce a mantenere la liquidità nel sistema economico.

 

Leggi anche gli altri articoli dedicati agli interessi 

Allegati

indennità di malattia

Indennità di malattia ai pensionati lavoratori Indennità di malattia: l'INPS con la circolare n. 57/2025 cambia orientamento e riconosce l'indennità di malattia ai pensionati lavoratori

Indennità di malattia ai pensionati: indicazioni INPS

L’INPS cambia orientamento e riconosce l’indennità di malattia anche ai pensionati che avviano un nuovo rapporto di lavoro dipendente. La novità è contenuta nella circolare n. 57/2025, che chiarisce la compatibilità tra il trattamento pensionistico e la prestazione economica che viene riconosciuta in caso di malattia, in risposta alla disposizioni vigenti che permettono ai pensionati di iniziare un nuovo rapporto lavorativo dipendente, anche se con dei limiti, come vedremo.

Cosa cambia per i pensionati lavoratori

In precedenza, l’INPS negava il riconoscimento dell’indennità ai lavoratori dipendenti già pensionati, ritenendo che la pensione costituisse una fonte di reddito alternativa. Tuttavia, il nuovo orientamento considera il trattamento pensionistico e l’indennità di malattia due prestazioni autonome e quindi cumulabili. Il riconoscimento di questa tutela previdenziale risponde all’esigenza di compensare la perdita di reddito legata alla malattia, perché incide anche sui pensionati che lavorano.

Indennità di malattia: eccezioni

Non tutti i pensionati lavoratori però possono beneficiare dell’indennità. Restano esclusi coloro che percepiscono una pensione di inabilità, in quanto incompatibile con il lavoro, e gli iscritti alla gestione separata, per i quali la legge non prevede tale diritto.

Operai agricoli e limiti temporali

Per gli operai agricoli a tempo determinato (OTD), il diritto all’indennità di malattia si estingue con la scadenza degli elenchi INPS che attestano il diritto alla prestazione, ovvero il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di riferimento. Se l’operaio agricolo è pensionato e non trova un nuovo impiego, perde il diritto all’indennità anche se ancora iscritto negli elenchi.

Un passo verso una maggiore tutela

Con questa revisione, l’INPS garantisce una maggiore tutela ai pensionati che continuano a lavorare. L’indennità di malattia non si configura più come un diritto limitato ai soli lavoratori attivi, ma come una misura di protezione del reddito per tutti i dipendenti, indipendentemente dal loro status pensionistico. Questo adeguamento risponde all’evoluzione del mercato del lavoro, in cui sempre più pensionati scelgono di proseguire l’attività lavorativa.

 

Leggi anche:  Malattia e visite fiscali: tutte le info sul sito INPS

bonus musica

Bonus musica: come si ottiene Bonus musica: cos’è, la normativa di riferimento, a chi spetta, in cosa consiste, e come indicarlo nella dichiarazione dei redditi per averlo

Cos’è il bonus musica

Il Bonus Musica 2025 è una detrazione fiscale del 19% che viene calcolata sulle spese sostenute per l’iscrizione o l’abbonamento a corsi di musica riconosciuti. L’agevolazione si applica ai figli di età compresa tra i 5 e i 18 anni e consente di ottenere un rimborso fino a un massimo di 1.000 euro per ciascun figlio. Il beneficio è riservato alle famiglie con un reddito complessivo non superiore a 36.000 euro annui.

Normativa di riferimento

Il Bonus Musica è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge di bilancio 2020. Esso è disciplinato dall’articolo 15 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), dedicato alle detrazioni degli oneri, che al comma 1, lettera e-quater) così dispone: “le spese, per un importo non superiore a 1.000 euro, sostenute da contribuenti con reddito complessivo non superiore a 36.000 euro per l’iscrizione annuale e l’abbonamento di ragazzi di età compresa tra 5 e 18 anni a conservatori di musica, a istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) legalmente riconosciute ai sensi della legge 21 dicembre 1999, n. 508, a scuole di musica iscritte nei registri regionali nonché a cori, bande e scuole di musica riconosciuti da una pubblica amministrazione, per lo studio e la pratica della musica.” 

La detrazione si applica quindi alle spese sostenute per corsi presso conservatori, istituti di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), scuole di musica registrate nei registri regionali, bande musicali e cori riconosciuti dalla pubblica amministrazione.

A chi spetta il bonus musica

Il Bonus Musica è destinato quindi ai contribuenti con figli di età compresa tra 5 e 18 anni, iscritti a scuole di musica accreditate. Per accedere alla detrazione, il reddito complessivo del nucleo familiare deve essere inferiore a 36.000 euro annui. Sebbene il bonus venga generalmente richiesto dai genitori, anche un minore con reddito proprio e obbligo dichiarativo può beneficiare direttamente della detrazione per le spese sostenute.

In cosa consiste

Il Bonus Musica consente di ottenere una detrazione fiscale pari al 19% sulle spese di iscrizione o abbonamento ai corsi musicali riconosciuti. L’importo massimo detraibile è di 1.000 euro per figlio, con un risparmio massimo di 190 euro per ogni minore iscritto.

La detrazione può essere attribuita a un solo genitore oppure suddivisa tra entrambi se gli accordi lo prevedono.

Cosa si deve indicare nel 730

Per ottenere la detrazione, non è necessaria alcuna domanda preventiva. Il contribuente deve conservare la ricevuta della spesa e riportarla nella dichiarazione dei redditi.

L’importo va inserito:

  • Nel quadro RP del Modello Redditi PF
  • Nel quadro E del Modello 730 (righi da E8 a E10), specificando il codice 45

Se le spese sono state sostenute per più figli, è necessario indicare l’importo relativo a ciascuno di loro nella dichiarazione.

Come richiedere il bonus musica

Per ottenere il Bonus Musica 2025, non è necessario presentare una domanda specifica. La detrazione va richiesta direttamente nella dichiarazione dei redditi tramite il Modello 730 o il Modello Redditi PF.

Per essere ammessi alla detrazione, le spese devono essere state sostenute tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024. Il pagamento deve essere tracciabile e effettuato tramite bonifico bancario, versamento postale, assegni bancari o circolari, oppure carte di pagamento (di debito, di credito o prepagate). Non sono ammessi pagamenti in contanti.

Nel caso in cui il figlio compia 18 anni nel corso dell’anno, il requisito dell’età si considera rispettato se, per una parte dell’anno d’imposta, il figlio risulti ancora minorenne.

 

Leggi anche gli articoli dedicati agli altri bonus per figli e famiglia 

morte animale d'affezione

Morte animale d’affezione: risarcito il danno Morte animale d'affezione: risarcito il danno non patrimoniale, il rapporto con l’animale contribuisce allo sviluppo della personalità

Morte animale: lesione diritto costituzionale

La morte dell’animale d’affezione attribuisce il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. La perdita del proprio animale lede la sfera relazionale e affettiva tutelata a livello costituzionale dall’articolo 2. Il rapporto cane – padrone completa e sviluppa la personalità umana. Lo ha specificato il Tribunale di Prato con la sentenza n. 51/2025.

Danni non patrimoniali: morte animale d’affezione

Una famiglia affida la cagnolina Adel a una pensione per animali. Durante il soggiorno, l’animale muore. La Polizia Municipale li informa del decesso.

Quando i padroni arrivano alla struttura, trovano Adel abbandonata a terra con una coperta. Nessuno li aveva avvisati del peggioramento della cagnolina. La struttura non aveva contattato né loro né un veterinario. Un addetto rivela che Adel stava male da giorni. I volontari l’avevano trovata disidratata per una forte diarrea. La responsabile però non aveva dato indicazioni su come aiutarla.

I padroni, sconvolti, notano anche la scarsa igiene della struttura. Decidono quindi di agire in giudizio. Chiedono la risoluzione del contratto per inadempimento, la restituzione delle somme pagate e il risarcimento dei danni. Ritengono che la pensione abbia violato l’obbligo di custodia.

Per il risarcimento del danno non patrimoniale, invocano l’articolo 2 della Costituzione. Essi sostengono che il rapporto uomo-animale realizza la persona umana. Citano anche l’articolo 42 della Costituzione e l’articolo 6 del Trattato UE, per i danni economici e morali. Chiedono al giudice inoltre di considerare la sofferenza di Adel, lasciata morire senza cure.

La parte convenuta si difende e contesta la versione dei padroni e nega il diritto al risarcimento per la morte di Adel. Si appella a un orientamento della Cassazione, secondo cui la perdita di un animale non costituisce danno esistenziale. Sostiene inoltre che chi chiede il risarcimento deve provare il danno subito e il nesso di causa.

Sviluppo della personalità umana

Il Tribunale ricostruisce i fatti e decide di non seguire l’orientamento della Cassazione. Riconosce infatti agli attori il danno non patrimoniale. Secondo il giudice, la perdita di un animale d’affezione può ledere la sfera affettiva di una persona. Il rapporto tra padrone e animale contribuisce allo sviluppo della personalità. Se provato, il danno deve essere risarcito.

Le prove fotografiche mostrano che Adel era un membro della famiglia. Giocava con i bambini, veniva festeggiata ai compleanni e accompagnava la famiglia nelle gite. Dormiva nel letto con loro. Esisteva insomma un forte legame affettivo.

La morte improvvisa e le modalità dell’abbandono hanno causato ai padroni una grande sofferenza. Non sono stati informati delle condizioni della cagnolina e hanno scoperto il tragico evento solo all’ultimo momento. La sofferenza è stata aggravata dallo stupore e dal senso di tradimento. Si fidavano della struttura, dove avevano già lasciato Adel in passato.

Il Tribunale riconosce quindi il danno non patrimoniale, la padrona riceve 6.000 euro per il suo coinvolgimento diretto, gli altri membri della famiglia invece ottengono 4.000 euro ciascuno.

 

Ti interessa l’argomento?  Leggi anche gli altri articoli dedicati agli animali 

decreto anziani

Decreto anziani: cosa prevede il correttivo Approvato dal CdM il correttivo al “Decreto Anziani”, che promuove la dignità e l’autonomia della popolazione anziana

Correttivo al decreto Anziani

Il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare un decreto legislativo che apporta modifiche al Dlgs 29/2024, riguardante le politiche a favore degli anziani. Queste nuove disposizioni, in attuazione della delega prevista dalla Legge n. 33/2023, mirano a semplificare e accelerare l’accesso ai servizi sanitari e sociali per la popolazione anziana, rendendo il sistema più efficiente e accessibile.

Visita unica presso i SUAP

Una delle principali novità introdotte riguarda la valutazione multidimensionale degli anziani, fondamentale per individuare i loro bisogni assistenziali e sociali. Il decreto prevede la riduzione delle visite medico-legali necessarie per questa valutazione: si passerà da due visite a una sola presso i Punti Unici di Accesso (PUA). Questo cambiamento snellisce le procedure burocratiche e riduce i tempi di attesa per gli anziani che necessitano di supporto.

Rinviati i termini di adozione dei regolamenti

Inoltre, il decreto proroga di sei mesi il termine per l’adozione del regolamento che definirà i criteri per l’individuazione delle priorità di accesso ai PUA, la composizione e le modalità di funzionamento delle unità di valutazione multidimensionale unificata (UVM) e lo strumento della valutazione multidimensionale unificata (VMU) omogeneo a livello nazionale. Questa proroga consentirà una definizione più accurata delle procedure e garantirà una maggiore uniformità nell’erogazione dei servizi su tutto il territorio nazionale.

Politiche anziani: fase pilota di 12 mesi per la VMU

Un’altra iniziativa significativa è l’introduzione di una procedura sperimentale della durata di dodici mesi, a partire dal 1° gennaio 2026. Questa fase pilota prevede l’applicazione provvisoria e a campione delle disposizioni relative alla valutazione multidimensionale unificata, con differenziazioni tra Nord, Centro e Sud Italia. L’obiettivo è testare l’efficacia delle nuove procedure e assicurare che il sistema di valutazione risponda adeguatamente alle esigenze degli anziani nelle diverse aree del paese.

 

Leggi anche gli altri articoli dedicati agli anziani

bonus Tari

Bonus Tari: cos’è e come ottenerlo Bonus TARI 2025: pubblicato in Gazzetta il DPCM che riconosce un aiuto alle famiglie in difficoltà economica per il pagamento dei rifiuti

Bonus Tari 2025: sconto del 25%

Il Governo ha approvato il Bonus Tari  2025, una misura che prevede una riduzione del 25% sulla tassa rifiuti per i nuclei familiari con un ISEE basso. Il decreto (DPCM 24/2025) è presente sulla Gazzetta Ufficiale il 13 marzo 2025 e entrerà in vigore il 28 marzo 2025.

Chi può accedere al bonus

Possono accedere al bonus Tari 2025 i nuclei familiari che rispettano i seguenti requisiti economici e soggettivi:

  • un ISEE inferiore a 9.530 euro annui (che sale fino a 20.000 euro per nuclei familiari in cui sono presenti almeno quattro figli a carico);
  • il richiedente deve essere il titolare dell’utenza Tari ed essere residente nell’immobile per cui paga la tassa;
  • essere in regola con i pagamenti della TARI degli anni precedenti.

Come funziona il bonus TARI 2025

Il bonus sarà applicato automaticamente, senza la necessità di presentare una domanda specifica, sulla base dei dati ISEE che vengono forniti all’INPS. Il taglio del 25% riguarderà però solo i nuclei familiari con un ISEE inferiore a 9.350 euro, mentre per le famiglie con almeno quattro figli a carico, la soglia è stata elevata a 20.000 euro.

Esclusione dei trattamenti assistenziali dal calcolo ISEE

Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri prevede l’esclusione dei trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari dal calcolo del reddito ISEE per i nuclei familiari in cui vi siano persone disabili o non autosufficienti.

Passaggi successivi

Per rendere operativo il bonus, manca ancora l’approvazione del provvedimento da parte dell’Autorità per l’energia (Arera), in accordo con il Garante della privacy, che dovrà definire le modalità di trasmissione dei dati dall’INPS ai Comuni nel rispetto della privacy.

Obiettivo del bonus Tari 2025

Il Bonus Tari o bonus rifiuti rappresenta senza dubbio un sostegno economico importante per le famiglie a basso reddito, al fine di garantire un trattamento equo a livello nazionale.

 

Leggi anche gli altri articoli del sito che si occupano della normativa sui rifiuti

Allegati

vietato divulgare i nomi

Avvocati: vietato divulgare i nomi dei clienti Vietato divulgare i nomi dei clienti: l'avvocato non può divulgarli, neppure utilizzando toni autocelebrativi e promozionali

Vietato divulgare i nomi dei clienti

Vietato divulgare i nomi dei clienti: l’articolo 35, comma 8 del Codice Deontologico Forense vieta all’avvocato di indicare, nelle informazioni al pubblico, i nominativi dei clienti o delle parti assistite, anche con il loro consenso. Tale divieto si applica anche quando i nominativi siano già di dominio pubblico. Inoltre, non è consentito eludere questa norma riproducendo in modo enfatico, autocelebrativo o promozionale informazioni già diffuse da media o terzi non soggetti alle regole deontologiche forensi.

Nel caso specifico, l’avvocato ha violato questa disposizione pubblicando sul proprio sito web e tramite una newsletter uno scritto che riprendeva una notizia di stampa relativa all’assistenza legale prestata in una complessa acquisizione societaria, includendo dettagli sui nominativi delle parti coinvolte. Questo quanto emerge dalla sentenza del CNF n. 294/2024.

Violato il divieto di divulgare i nomi dei clienti

Un esposto anonimo avvia un procedimento disciplinare nei confronti del titolare di uno studio legale perchè ritenuto responsabile di aver divulgato i nomi di clienti e parti assistite.

Il CDD ritiene sussistente la responsabilità disciplinare dell’avvocato tanto che gli irroga la sanzione disciplinare dell’avvertimento.

L’avvocato ritenuto responsabile però, nel ricorso al CNF precisa che “le notizie pubblicate sul sito web del suo studio legale, così come i relativi comunicati stampa, conseguivano alla pubblicazione di identici articoli già diffusi dai media. Laddove, quindi, come nel caso di specie, la “disclosure” del nominativo del cliente sia già stata fatta da terzi e con il consenso del cliente medesimo, non sarebbe ravvisabile la violazione dellart. 35 comma 8 del NCDF essendosi il difensore incolpato solo limitato a pubblicare notizie rese di pubblico dominio da altri”. 

Divieto di divulgazione art. 35 CDF

Il CNF nel respingere il ricorso dell’avvocato fornisce importanti precisazioni sul divieto di divulgazione dei nominativi di clienti e parti assistite. L’interpretazione fornita dal ricorrente dell’articolo 35 comma 8 del Codice deontologico Forense risulta infatti del tutto errata.

In primis occorre ricordare come la formulazione del comma 8 dell’articolo 8 sia rimasta nel tempo pressoché invariata. In secondo luogo il CNF rileva come la pubblicazione in prima istanza sulla stampa non qualificata (newsletter, siti ecc…) potrebbe ben essere utilizzata come escamotage dallo stesso avvocato per ritenersi poi autorizzato a riprodurre le stesse informazioni, eludendo in questo modo ogni divieto.

Vietato divulgare i nomi

Non coglie nel segno la tesi del ricorrente per il quale non sussisterebbe alcuna violazione ogni volta in cui il nominativo delle parti assistite dal legale e diffuso dallo stesso sia stato già reso di dominio pubblico da terzi.

Come chiarito correttamente dal CDD “il rapporto tra cliente e avvocato non è soltanto un rapporto privato di carattere libero-professionale e non può perciò essere ricondotto puramente e semplicemente al contratto dopera ed ad una logica di mercato.” L’avvocato  non è solo un libero professionista, manche un soggetto che partecipa attivamente allo svolgimento della funzione giurisdizionale pubblica.

Il principio di tutela dell’autonomia e del decoro della professione forense giustifica quindi il divieto per gli avvocati di pubblicare i nominativi dei propri clienti a fini pubblicitari, anche con il consenso degli stessi. L’articolo 35, comma 8 del Codice Deontologico Forense vieta questa pratica per prevenire interferenze, condizionamenti e strumentalizzazioni che potrebbero derivare dalla diffusione di tali informazioni.

Il tono autocelebrativo non rileva

Nel caso specifico esaminato dal Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) , l’Avv. ricorrente fondatore dello Studio Legale Omonimo & Associati, ha pubblicato sul sito web dello studio e inviato tramite newsletter comunicazioni relative a incarichi professionali svolti, indicando espressamente i clienti assistiti. Ad esempio, nella pubblicazione di gennaio 2022 si menzionava l’assistenza prestata a un certo Consorzio, mentre nella seconda comunicazione si faceva riferimento all’assistenza fornita a due soggetti specifici nei concordati preventivi.

Il CDD ha ritenuto che tali comunicazioni non si limitassero a riprodurre articoli di stampa o comunicati ufficiali dei clienti, ma fossero redatte in maniera autonoma, con toni promozionali e autocelebrativi. In particolare, l’avvocato ha attribuito il buon esito dell’operazione alla “tecnicalità adottata da ……..” e ha invitato a contattarlo per ulteriori informazioni sul leveraged buyout.

Infine, la newsletter, inviata a destinatari iscritti tramite il sito web dello studio, conferma la natura di informazione pubblica e la responsabilità diretta dello studio legale nella diffusione dei nominativi dei clienti assistiti, in violazione delle norme deontologiche.

 

Leggi anche: Illecito deontologico divulgare i nomi dei clienti

Allegati

licenziamento legittimo

Licenziamento legittimo per il dipendente che discrimina la collega Licenziamento legittimo quello irrogato al dipendente che offende ripetutamente e discrimina la collega per il suo orientamento sessuale

Licenziamento legittimo condotta discriminatoria

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6345 del 10 marzo 2025, conferma il licenziamento legittimo del  dipendente disposto per motivi disciplinari, perché ritenuto responsabile di aver offeso reiteratamente l’orientamento sessuale di una collega.

Offese reiterate di contenuto sessista rivolte alla collega

Un dipendente si rivolge a una collega con frasi disonorevoli e immorali, lesive della sua dignità. Il comportamento, reiterato e aggravato dalla presenza di altri colleghi, ha portato all’espulsione del lavoratore dall’azienda. Il dipendente però ha impugnato il provvedimento davanti all’autorità giudiziaria.

In primo grado, il Tribunale respinge l’impugnazione del lavoratore. La Corte d’Appello invece dichiara illegittimo il licenziamento, ritenendolo una misura sproporzionata, ma risolve comunque  il rapporto di lavoro, condannando l’azienda a pagare 20 mensilità di retribuzione. La società presenta ricorso incidentale in Cassazione, la quale accoglie il primo motivo, rinviando il caso alla Corte d’Appello per riesaminare la sussistenza della giusta causa di licenziamento. In sede di riassunzione, la Corte d’Appello rigetta il reclamo del lavoratore, confermando la legittimità della sanzione disciplinare.

Moleste le offese discriminatorie

I comportamenti offensivi e discriminatori legati all’orientamento sessuale di un collega integrano infatti una forma di molestia. La valutazione si basa sul contenuto oggettivo della condotta e sulla percezione soggettiva della vittima. Non occorre dimostrare lintenzione di arrecare danno da parte dell’autore. In questo caso, il lavoratore ha violato l’articolo 45, punto 6, del DPR 148/1931, che sancisce l’obbligo di mantenere una condotta rispettosa e decorosa nei confronti dei colleghi. Le frasi pronunciate sono state considerate disonorevoli, immorali e discriminatorie, immeritevoli di pubblica stima.

La Cassazione non può rivalutare il merito

La Cassazione respinge quindi i motivi sollevati dal lavoratore nei confronti della sentenza della Corte d’Appello, pronunciatasi in sede di rinvio. I giudici hanno ritenuto inammissibili tali argomentazioni,  perché finalizzate a ottenere una diversa valutazione dei fatti. La Suprema Corte  conferma quindi l’importanza del rispetto della dignità dei colleghi e della tutela contro le discriminazioni sessuali, elemento fondamentale dell’ordinamento giuridico italiano.

 

Leggi anche gli altri articoli dedicati al licenziamento 

Allegati