social card 2024

Social Card: chi ne ha diritto e come ottenerla   Cos'è la carta “Dedicata a te”, a cosa serve, chi ne ha diritto e cosa fare per ottenere la Social Card 2024 per le famiglie in difficoltà

Social Card: cos’è

La Social Card o Carta Dedicata a te misura confermata dalle ultime due leggi di bilancio (2023 per il 2024 e 2024 per il 2025) mira a sostenere le famiglie in difficoltà economica, erogando un contributo sotto forma di carta prepagata per l’acquisto di beni di prima necessità e il pagamento di alcune utenze.

I fondi e il decreto ministeriale

Per il 2024 sono stati stanziati 600 milioni di euro, aggiuntivi rispetto alle risorse inutilizzate del 2023.

Il decreto del ministero dell’agricoltura, di concerto con il Mimit, recante le disposizioni attuative e applicative per la carta “Dedicata a te” è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 giugno 2024 e definisce in 12 articoli l’intervento che consente a più di un milione di famiglie di acquistare beni di prima necessità.

La Manovra di bilancio 2025 ha confermato la carta Dedicata a te stanziando 500 milioni di euro, 100 milioni in meno rispetto al 2024.

Il Dipartimento per il programma di Governo ha comunicato l’adozione, da parte del Ministro del decreto dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, del decreto con cui sono stati individuati i beneficiari e i requisiti per avere diritto alla Carta. Non appena il decreto avrà concluso l’iter dei controlli sarà pubblicato sulla GU. Da segnalare che il primo pagamento avverrà entro il 16 dicembre 2025 con l’obbligo di disporre dell’importo della Carta entro il 28 febbraio 2026.

Requisiti soggettivi e oggettivi

Per avere diritto alla social card “Dedicata a te” è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • essere titolari di un reddito ISEE non superiore a 15.000 euro annui;
  • avere la residenza in Italia;
  • avere la cittadinanza italiana o UE;
  • non essere titolari di altre forme di aiuto;
  • avere un figlio a carico.

Tutti i componenti del nucleo familiare (almeno 3 i componenti) devono essere, inoltre iscritti nell’anagrafe comunale e l’importo complessivo del contributo per ogni nucleo ammonta a 500 euro.

Il contributo non spetta ai nuclei che siano percettori di assegno di inclusione, reddito di cittadinanza o altre misure di inclusione sociale o sostegno alla povertà, Naspi e forme di integrazione salariale o di sostegno nel caso di disoccupazione involontaria, erogata dallo Stato.

Come richiedere la carta Dedicata a te

A differenza di altre misure di sostegno per le famiglie in difficoltà, la social card “Dedicata a te”non deve essere richiesta. Essa viene assegnata d’ufficio direttamente dai Comuni ai cittadini che ne hanno diritto, purché in possesso dei requisiti richiesti dalla legge.

Viene erogata tramite carte elettroniche prepagate e ricaricabili messe a disposizione da Poste Italiane e consegnate agli aventi diritto, previa prenotazione presso gli uffici postali abilitati.

Le carte sono operative con accredito del contributo a partire da settembre 2024 con primo pagamento entro il 16 dicembre 2024, mentre l’intera somma va utilizzata entro il 28 febbraio 2025.

Per avere informazioni sulla spettanza della misura è necessario rivolgersi quindi al proprio Comune, consultare il sito web del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali https://www.lavoro.gov.it/ o il sito dell’INPS https://www.inps.it/it/it.html

A cosa serve

La social card è una carta elettronica che consente al titolare di acquistare beni di prima necessità e di sostenere alcune spese necessarie ossia:

  • generi alimentari;
  • prodotti per l’igiene personale e la casa;
  • farmaci;
  • bollette di luce, gas e acqua;
  • ricariche/abbonamenti servizi di trasporto pubblico;
  • canoni di locazione;
  • assegni di frequenza per studenti.

Importo e modalità di utilizzo

L’importo della Social Card, come anticipato, è di 500 euro per nucleo familiare. La carta viene erogata in un’unica soluzione, salvo diverse disposizioni da parte dei Comuni. È possibile prelevare contanti presso gli sportelli ATM o effettuare pagamenti elettronici presso i negozi e le attività convenzionate.

ape social domanda

Ape social: la guida Cos’è l’Ape social, quali sono i requisiti per ottenerla, i limiti, le modalità e i termini da rispettare per fare domanda

Cos’è l’Ape social

L’Ape social consiste in una indennità che viene erogata dall’INPS e pagata dallo Stato, a cui possono accedere solo determinate categorie di lavoratori che si trovano in situazioni meritevoli di particolare tutela per accompagnarli alla pensione di vecchiaia.

La misura ha subito alcune restrizioni in virtù della legge di bilancio n. 213/2023 per il 2024 ed è stata confermata fino al 31.12.2025 dalla legge di bilancio 2025 fino al 2028.

Per il 2025 in corso e fino al 2028 il decreto legge n. 95/2025, convertito in legge nella giornata di mercoledì 6 agosto 2025, dopo l’approvazione definitiva da parte della Camera, ha previsto i seguenti incrementi autorizzati di spesa:

  • 2025: 55 milioni;
  • 2026: 60 milioni;
  • 2027: 85 milioni;
  • 2028: 50 milioni.

Questo incremento comporterà però la riduzione dei fondi destinati al pensionamento anticipato dei lavoratori precoci e a quelli per la povertà e l’inclusione.

Ape sociale: i destinatari della misura

Il primo requisito che la legge richiede per poter accedere alla misura è quello anagrafico. Per beneficiare dell’Ape social il richiedente deve aver compiuto 63 anni e 5 mesi.

I richiedenti devono appartenere inoltre alle seguenti categorie di lavoratori:

  • invalidi civili con una percentuale minima di invalidità del 74%;
  • lavoratori subordinati, che da almeno 7 anni, nel corso degli ultimi 10, o che negli ultimi 6 durante gli ultimi 7, svolgono attività definite “gravose”;
  • i caregiver che negli ultimi 6 mesi e al momento della richiesta si occupano dell’assistenza del coniuge o di un parente di primo grado che presenti un handicap “grave” o che si prendono cura di un parente di secondo grado che abbia i genitori o il coniuge di età superiore a 70 anni o che siano invalidi o deceduti;
  • soggetti disoccupati a seguito di licenziamento, dimissioni, risoluzione consensuale del contratto, scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato purché abbiano lavorato almeno 18 mesi negli ultimi 3 anni e non beneficino più dell’indennità di disoccupazione.

A questi requisiti si deve accompagnare quello contributivo che è di 36 anni per la categoria dei lavoratori impiegati in attività “gravose”, mentre per gli altri è di 30 anni. Il requisito contributivo per le madri lavoratrici viene ridotto almeno di 12 mesi per ogni figlio, fino a uno sconto massimo di 2 anni.

La misura spetta se l’attività lavorativa è cessata.

Compatibilità con redditi da lavoro

Anche nel 2025, l’Ape sociale può essere riconosciuta altresì a coloro che percepiscano redditi da lavoro autonomo purché svolto in modalità occasionale e purché l’importo non superi i 5000 euro annui.

La misura invece è del tutto incompatibile con la titolarità della pensione diretta.

Domanda Ape social 2025

Per ottenere l’APE Sociale nel 2025, è necessario presentare due domande all’INPS: una per la certificazione del diritto e una per la richiesta della prestazione. La domanda di certificazione può essere inoltrata in tre finestre temporali:

  • entro il 31 marzo, con risposta dall’INPS entro il 30 giugno;
  • entro il 15 luglio, con risposta entro il 15 ottobre.
  • dal 16 luglio al 30 novembre, periodo in cui le domande vengono elaborate solo se ci sono risorse residue per l’anno in corso.

Se i requisiti vengono maturati a marzo, la domanda di certificazione deve essere presentata entro fine mese. È possibile inoltrare contemporaneamente anche la domanda di prestazione, purché tutti i requisiti siano già soddisfatti, accelerando così l’avvio del beneficio.

Secondo la Circolare INPS 100/2017, l’indennità APE Sociale decorre dal mese successivo alla presentazione della domanda. Ad esempio, una richiesta inviata a marzo consentirà di ricevere la prestazione da aprile. Questa strategia può ottimizzare i tempi di approvazione e di erogazione del beneficio.

Erogazione Ape social

Una volta presentata la domanda la misura, che non può comunque superare l’importo massimo di 1.500,00 euro, viene erogata, in genere, a partire dal mese successivo.

E’ bene precisare altresì che l’Ape social non prevede il riconoscimento di tredicesima o rivalutazione dell’importo, la stessa inoltre fa reddito, per cui è sottoposta a imposizione fiscale, infine nel periodo in cui la stessa viene fruita non vengono accreditati contributi.

errore di fatto

Errore di fatto ed errore di diritto Errore di fatto ed errore di diritto: cosa sono, disciplina del codice civile, effetti sul contratto, conservazione e giurisprudenza

L’errore in diritto civile: definizione

Prima di procedere all’analisi dell’errore di fatto e l’errore di diritto è necessario premettere che in diritto civile, l’errore è un vizio del consenso che può provocare l’annullamento del contratto. In questo modo il soggetto che ha espresso la volontà “viziata” viene tutelato. Lo prevede l’articolo 1427 del Codice civile. In base a questa norma infatti il contraente che ha dato il consenso per errore, può chiedere l’annullamento del contratto.

Errore vizio ed errore ostativo

Esistono due tipi di errore: l’errore vizio e l’errore ostativo.

  • L’errore vizio incide sulla formazione della volontà. Chi stipula il contratto ha cioè una falsa rappresentazione della realtà.
  • L’errore ostativo, invece, non riguarda la volontà, che si è formata correttamente, ma si verifica nel momento della sua dichiarazione o trasmissione.

Sebbene i due tipi di errore abbiano origini diverse, la legge li tratta allo stesso modo, stabilendo che entrambi possano portare all’annullamento del contratto, sempre che siano essenziali e riconoscibili.

Riconoscibilità ed essenzialità 

A prescindere dalla sua natura, infatti, affinché l’errore possa provocare l’annullamento del contratto, deve essere essenziale e riconoscibile dall’altra parte, come stabilito dall’articolo 1428 del Codice Civile.

  • L’essenzialità si ha quando l’errore è così determinante da spingere una persona a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato.
  • La riconoscibilità sussiste quando, in base a circostanze specifiche del contratto o alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto accorgersi dell’errore.

Errore di fatto ed errore di diritto

L’errore vizio si distingue a sua volta in errore di fatto ed errore di diritto.

Errore di fatto

L’errore di fatto si ha quando la falsa rappresentazione della realtà riguarda una circostanza materiale o concreta. L’articolo 1429 del Codice Civile elenca i casi in cui un errore di fatto è considerato essenziale, ossia quando lo stesso ricade:

  • sulla natura o sull’oggetto del contratto: credere di stipulare un contratto di locazione quando invece si tratta di un usufrutto;
  • sull’identità o sulle qualità dell’oggetto del contratto: acquistare un terreno credendo che sia edificabile quando in realtà è agricolo;
  • sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente: questo è particolarmente importante nei contratti cosiddetti intuitu personae, dove la persona del contraente è fondamentale per la conclusione del contratto.

Errore di diritto

L’errore di diritto invece si ha quando la falsa rappresentazione riguarda una norma giuridica. L’errore di diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è stata la ragione unica o principale del consenso. Ciò significa che la parte non avrebbe stipulato il contratto se avesse avuto una corretta conoscenza della norma.

Conservazione del contratto

Un aspetto importante della disciplina dell’errore è la possibilità di conservare il contratto rettificato, anche in presenza di un errore. L’articolo 1432 del Codice Civile stabilisce infatti che la parte in errore non possa chiedere l’annullamento del contratto se, prima che le derivi un pregiudizio, l’altra parte si offre di eseguirlo in modo conforme a ciò che la parte in errore intendeva stipulare. Questa disposizione mira a salvaguardare il contratto, in linea con il principio di conservazione del contratto, e di tutela della buona fede contrattuale.

Errore di fatto ed errore di diritto: Cassazione

La Corte di Cassazione ha affrontato il tema dell’errore come vizio del consenso in ambito contrattuale in numerosissime sentenze. Vediamone alcune.

Cassazione n. 2622/2021: per poter annullare un contratto, l’errore deve aver viziato la formazione della volontà del contraente. L’onere della prova di tale vizio spetta a chi lo deduce.

Cassazione n. 20321/2019: riguarda l’errore nella determinazione del canone di locazione per un immobile non abitativo. Per contestare il pagamento è necessario agire per l’annullamento del contratto, dimostrando che l’errore ha viziato il consenso fin dall’inizio.

Cassazione n. 27916/2017: se le parti hanno stipulato un contratto di compravendita ignorando che il terreno non fosse edificabile, si rientra nell’ errore di fatto e il contratto può essere annullato.

 

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Patti lateranensi

Patti Lateranensi Patti Lateranensi: cosa sono, ratio, cosa prevedono, costituzionalizzazione, revisione del 1984 e modificabilità

Patti Lateranensi: cosa sono

I Patti Lateranensi, resi esecutivi con la legge n. 810/1929, sono stati firmati l’11 febbraio 1929 tra il Regno d’Italia e la Santa Sede, al fine di regolamentare i loro rapporti. Questi accordi sono composti da un Trattato, da una Convenzione finanziaria e da un Concordato.

Patti Lateranensi: nasce lo Stato del Vaticano

I Patti Lateranensi sono stati sottoscritti per mettere la parole “fine” alla Questione Romana, nata nel 1870 con la Presa di Roma da parte del Regno d’Italia. Questo evento segnò la fine del potere temporale dei papi e l’annessione degli Stati della Chiesa all’Italia.

L’Italia, nel 1871, tentò di risolvere la questione con la Legge delle Guarentigie, che però non fu mai riconosciuta dalla Santa Sede in quanto atto unilaterale.

Con il passare dei decenni, si fece strada l’idea che la restituzione degli Stati Pontifici fosse irrealizzabile, ma che la sovranità su uno Stato in miniatura avrebbe comunque garantito la libertà d’azione del Papa. Il desiderio di Papa Pio XI di tutelare giuridicamente la Chiesa e la volontà di Benito Mussolini di inserire il cattolicesimo nel movimento fascista furono i motori che portarono alla firma dei Patti. Gli accordi furono siglati nel Palazzo di San Giovanni in Laterano dal Cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri per la Santa Sede e da Benito Mussolini per il Regno d’Italia.

Cosa prevedono i Patti Lateranensi

I Patti Lateranensi si articolano in due documenti principali:

  • Il Trattato riconosceva l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede, dando vita allo Stato della Città del Vaticano. A questo documento era allegata la Convenzione finanziaria, che regolava le questioni legate alla spoliazione degli enti ecclesiastici.  Prevista inoltre l’esenzione da dazi  e imposte sui prodotto importati per il neonato Stato del Vaticano.
  • Il Concordato invece si occupava di definire le relazioni civili e religiose tra la Chiesa e il Governo. Esso stabiliva che il vescovo di Roma, ossia il Papa, non fosse obbligato a giurare fedeltà al governo italiano, in segno di rispetto per la sua indipendenza.

Patti lateranensi nella Costituzione

I Patti Lateranensi furono costituzionalizzati nell’articolo 7 della Costituzione italiana nel 1948. Questa norma sancisce l’indipendenza e la sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica, ciascuno nel proprio ordine. Qualsiasi modifica dei Patti richiede l’accordo preventivo tra lo Stato e la Santa Sede. In questo caso la revisione non necessita di un procedimento di revisione costituzionale.

Le norme dei  Patti Lateranensi possono essere dichiarate incostituzionali solo se contrastano con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale.

La revisione del 1984

Il Concordato è stato sottoposto a revisione nel 1984 con l’Accordo di Villa Madama sottoscritto dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal Cardinale Agostino Casaroli. La modifica principale fu la rimozione della clausola che riconosceva il cattolicesimo come religione di Stato.

Questo nuovo accordo stabilì in finanziamento del clero cattolico con l’otto per mille dell’IRPEF. Per la nomina dei vescovi inoltre non sarebbe più stata necessaria l’approvazione del governo italiano. Furono inoltre stabilite nuove clausole per il riconoscimento dei matrimoni celebrati con rito cattolico e delle sentenze di nullità matrimoniale. L’ora di religione cattolica divenne facoltativa, pur rimanendo curriculare.

Modificabilità dei Patti Lateranensi

Non è possibile proporre un referendum per l’abolizione o la modifica dei Patti Lateranensi o delle leggi a essi collegate, in quanto l’articolo 75 della Costituzione esclude i referendum su trattati internazionali. Sebbene l’articolo 7 della Costituzione permetta modifiche bilaterali con legge ordinaria, le modifiche unilaterali richiedono un procedimento di revisione costituzionale aggravato (ex art. 138 Cost.).

Il dibattito sulla modificabilità dei Patti ha spesso affrontato la possibilità di un atto unilaterale da parte dello Stato. Tuttavia, una denuncia formale sarebbe considerata una violazione del diritto internazionale.

Codice dei beni culturali e del paesaggio

Codice dei beni culturali e del paesaggio: cosa prevede la riforma Codice dei beni culturali e del paesaggio: in Senato il disegno di legge che delega il Governo a rivedere e semplificare le procedure

Codice dei beni culturali e del paesaggio

Il disegno di legge n. 1372 contenente la “Delega al Governo per la revisione del codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di procedure di autorizzazione paesaggistica” è in corso di esame in Commissione al Senato.

Il testo, composto di 4 articoli, vuole cambiare il ruolo delle soprintendenze. L’obiettivo della riforma è doppio: proteggere meglio i beni culturali e semplificare la burocrazia. Oggi, le soprintendenze esaminano troppe pratiche e questo rallenta tutto, bloccando anche lavori semplici, che non riguardano monumenti importanti. Questo sistema rappresenta uno spreco di tempo e risorse.

Il nuovo disegno di legge intende razionalizzare il meccanismo e dare più autonomia ai comuni. Saranno infatti questi I enti a gestire gli interventi più piccoli. La legge fissa anche tempi precisi per i pareri delle soprintendenze per evitare ritardi inutili. Il disegno di legge vuole proteggere il paesaggio in modo più mirato evitando contemporaneamente di bloccare lo sviluppo del Paese.

Tempi della burocrazia ridotti

L’articolo 1 fissa i principi della riforma. L’obiettivo è tagliare i tempi burocratici, rendere più efficaci gli enti locali e dare maggiore certezza al cittadino. La riforma interviene sul codice dei beni culturali contenuto nel decreto legislativo n. 42. Si vogliono gestire le procedure in modo più logico.

Procedure di autorizzazione più rapide

L’articolo 2 introduce modifiche specifiche al codice dei beni culturali e paesaggistici, grazie alle quali le procedure di autorizzazione diventeranno più veloci.

  • Silenzio-assenso: con il nuovo articolo 146, il parere della soprintendenza non può più tardare. Se il parere non arriva entro 30 giorni, si considera favorevole.
  • Pareri non più vincolanti: cambia l’articolo 152. Il parere delle soprintendenze rimane obbligatorio, ma non sarà più vincolante. I comuni avranno così più libertà di decidere.
  • Estensione del silenzio-assenso agli articoli 167 e 181 del Codice. L’inattività della pubblica amministrazione pertanto non bloccherà più i progetti.

Codice dei beni culturali e del paesaggio: il contenuto della delega

L’articolo 3 conferisce una delega al Governo. Entro sei mesi, L’Esecutivo dovrà emanare nuovi decreti con i quali rivedere in modo completo le procedure. Il Ministro della cultura guiderà questo processo e ascolterà anche le Regioni e le Province autonome.

L’articolo 4 stabilisce le modifiche necessarie da apportare al Codice. Verranno abrogate infatti le norme in contrasto e questo assicurerà la coerenza del nuovo sistema.

Revisione Codice dei beni culturali e del paesaggio

Il disegno di legge mira a modernizzare la procedura di rilascio delle autorizzazioni e a proteggere il patrimonio culturale in modo selettivo, senza paralizzare l’attività edile. Le decisioni amministrative saranno più rapide, i compiti saranno distribuiti meglio tra Stato ed enti locali e la tutela del paesaggio sarà di conseguenza più efficace.

 

Leggi anche: Bene culturale: la definizione della Cassazione

decreto fiscale 2025

Decreto Fiscale 2025: le novità della legge In vigore la legge di conversione del decreto fiscale n. 84/2025: novità per autonomi, società, proroghe per regime di vantaggio e forfettari

Decreto Fiscale 2025 è legge: quali novità

In Gazzetta Ufficiale la legge n. 108/2025 di conversione con modificazioni del Decreto fiscale n. 84/2025 approvato in via definitiva da parte del Senato in data 29 luglio 2025.

La nuova legge è in vigore dal 2 agosto 2025.

Il testo, che ha subito qualche modifica in sede di conversione, introduce diverse novità in vari settori. Vediamo le più importanti.

Le modifiche principali

Il decreto fiscale 2025 prevede le seguenti modifiche:

  • Le spese per vitto, alloggio e trasporto purchésostenute nel territorio italiano con mezzi di pagamento tracciabili non concorreranno al reddito da lavoro dipendente. Le spese sostenute all’estero invece non richiederanno pagamenti tracciabili per la detassazione.
  • I rimborsi delle spese sostenute in Italia per, vitto alloggio, trasporto e viaggio saranno inclusi invece nel reddito imponibile da lavoro autonomo se non sono saranno sostenuti con mezzi di pagamento tracciabili. Non è richiesta la tracciabilità invece per i rimborsi spese relativi a trasferte fuori dal territorio italiano.
  • Dal 2025, i dipendenti delle società di partecipazione non finanziaria (c.d. holding industriali) che ricevono compensi sotto forma di bonus e stock option saranno esentati dall’addizionale IRPEF del 10%. Questo chiarisce e restringe l’ambito di applicazione di tale addizionale, che prima includeva anche queste società.
  • Reddito da usufrutto e diritti reali. La nuova interpretazione distingue:

– se si concede l’usufrutto/diritto reale ma si mantiene un diritto sull’immobile (es. nuda proprietà), il reddito è considerato reddito diverso imponibile;

– Se ci si spoglia completamente del diritto, si genera una plusvalenza tassabile.

  • Gli interessi e i proventi derivanti dall’esercizio di arti e professioni non saranno considerati redditi di lavoro autonomo, ma di capitale. Saranno considerati invece redditi diversi le plusvalenze che derivano dalla cessione onerosa di partecipazioni in associazioni e società professionali.
  • L’applicazione del beneficio fiscale è considerato al netto delle sole diminuzioni occupazionali relative a società controllate o comunque riconducibili, anche per interposta persona, allo stesso soggetto. Eliminato il riferimento alle società collegate.
  • Il termine per i versamenti relativi alle dichiarazioni dei redditi (IRPEF e IRES), IRAP e IVA, destinati ai contribuenti soggetti agli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità fiscale) e ad altri soggetti (come quelli in regime forfetario), è stato posticipato dal 30 giugno al 21 luglio 2025. Di conseguenza, per l’anno 2025, questi versamenti potranno essere effettuati entro i 30 giorni successivi al 21 luglio 2025, con l’applicazione di una maggiorazione dello 0,40% a titolo di interesse corrispettivo.
  • Ampliato il regime del reverse charge alle imprese che si occupano di logistica e di trasporto e alle agenzie per il lavoro.
  • È ora obbligatorio specificare, sia nell’atto di autorizzazione che nel processo verbale, le ragioni e le condizioni che rendono necessario un accesso per la verifica fiscale.
  • Nuove regole per la determinazione del reddito in caso di partecipazioni in associazioni e società artistiche o professionali.
  • Semplificata la riduzione delle perdite riportabili, basandosi ora su un criterio più diretto: il doppio della somma dei conferimenti e versamenti effettuati negli ultimi 24 mesi, eliminando il riferimento al patrimonio netto. Questa nuova logica si applica anche alle fusioni, dove la riduzione delle perdite riportabili seguirà lo stesso criterio.
  • La disciplina fiscale delle società estere controllate (CFC) viene allineata agli standard internazionali di tassazione minima globale. A partire dal 1° luglio 2025, lo split payment non si applicherà più alle società quotate FTSE-MIB per le operazioni fatturate.
  • Più tempo per le aliquote Imu 2025. Entro il 15 settembre 2025, i Comuni potranno approvare le delibere con il prospetto delle aliquote, anche se in ritardo rispetto alla scadenza del 28 febbraio 2025 o se hanno approvato le aliquote in modo difforme rispetto al prospetto.
  • Per i debiti oggetto della “Rottamazione-quater”, i giudizi in corso si estinguono automaticamente al momento del pagamento della prima rata della definizione agevolata. Il giudice, su richiesta, dichiarerà l’estinzione, rendendo inefficaci le sentenze non definitive. Le somme già versate in tali giudizi non saranno rimborsabili e rimarranno acquisite.

 

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indennità accompagnamento inps

Indennità accompagnamento INPS e danno biologico Indennità accompagnamento INPS: non si può sottrarre dal risarcimento del danno biologico gli istituti hanno natura e scopi diversi

Indennità accompagnamento INPS

L’indennità di accompagnamento INPS ha una funzione assistenziale, coprendo le spese per l’assistenza continua. Il risarcimento del danno biologico, invece, ha una funzione risarcitoria, mirando a compensare le sofferenze psico-fisiche e la perdita di integrità del danneggiato, non i costi dell’assistenza. Le due prestazioni non sono sovrapponibili. Lo ha chiarito il Tribunale di Bologna nella sentenza n. 944/2025.

Risarcimento del danno per malasanità

Un paziente cita in giudizio un ente ospedaliero per presunta malasanità. L’azione legale viene intrapresa a seguito di un intervento chirurgico al ginocchio avvenuto nel 2013, durante il quale il paziente ha subito un’anestesia spinale. Secondo l’accusa, a causa della negligenza e dell’imperizia nella somministrazione dell’anestesia, il paziente ha sviluppato una grave neuropatia con conseguente paraparesi, disfunzione degli sfinteri e necessità di deambulazione con appoggio.

Nesso di causale: assente tra intervento e danno biologico

La consulenza tecnica d’ufficio (CTU) preventiva esclude inizialmente la responsabilità dell’ospedale, attribuendo la patologia a una preesistente e asintomatica “sindrome del midollo ancorato” che l’anestesia avrebbe solo “slatentizzato”.

Nuova CTU: danno biologico causato dall’intervento

Il giudice però dispone una nuova CTU con un collegio peritale composto da specialisti in medicina legale e anestesia. La nuova perizia ribalta le conclusioni precedenti. I consulenti accertano infatti che la causa più probabile dei sintomi sia un’aracnoidite adesiva, un’infiammazione delle meningi innescata da una lesione meccanica o chimica durante l’anestesia spinale. I periti nella perizia sottolineano che la sindrome del midollo ancorato può avere cause sia congenite che acquisite e, data la totale assenza di sintomi pregressi nel paziente, stabiliscono che l’anestesia sia stata la causa scatenante. La responsabilità dell’ospedale viene confermata anche dalla mancanza di una documentazione completa della procedura anestesiologica nella cartella clinica. Il giudice, accogliendo le conclusioni della seconda CTU, condanna l’ospedale al risarcimento dei danni subiti dal paziente.

Indennità accompagnamento INPS da sottrarre al risarcimento

Un punto cruciale del provvedimento riguarda la relazione tra l’indennità di accompagnamento erogata dall’INPS e il risarcimento del danno biologico richiesto. L’ospedale convenuto in giudizio invoca il principio della compensatio lucri cum damno, sostenendo che il risarcimento debba essere ridotto in considerazione delle indennità pubbliche già percepite dal paziente.

Indennità accompagnamento INPS: funzione assistenziale

Il Tribunale però respinge questa argomentazione, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione e in particolare la sentenza a Sezioni Unite n. 12567/2018, che enuncia il principio della diversa funzione delle due prestazioni.

  • L’indennità di accompagnamento INPS ha una funzione assistenziale. Viene concessa per compensare il pregiudizio di carattere patrimoniale derivante dalla necessità di assistenza continua, ovvero per le spese che il disabile deve sostenere per affrontare le conseguenze della sua condizione. Non è quindi un risarcimento per le lesioni in sé.
  • Il risarcimento del danno biologico, al contrario, ha una funzione risarcitoria. Mira a compensare le sofferenze psico-fisiche subite dal danneggiato e la perdita della sua integrità psicofisica, senza considerare gli aspetti economici legati all’assistenza.

Indennità accompagnamento INPS e risarcimento del danno

Le due somme pertanto non sono sovrapponibili. Le indennità e le pensioni pubbliche servono a coprire i bisogni assistenziali e a integrare il reddito del danneggiato, mentre il risarcimento per danno biologico ha l’obiettivo di reintegrare il patrimonio della persona lesa per le sofferenze e il danno alla salute. Non si può parlare di un “lucro” da sottrarre al risarcimento dovuto. Il tribunale stabilisce pertanto che l’indennità di accompagnamento non può essere detratta dal risarcimento del danno biologico, in quanto le due prestazioni hanno natura, finalità e scopi distinti.

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danno biologico inail

Danno biologico Inail: rivalutazione dal 1° luglio 2025 Danno biologico Inail: il decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali n. 85/2025 rivaluta gli importi dello 0,8% e la circolare Inail fornisce chiarimenti

Danno biologico Inail

Dal 1° luglio 2025, gli importi delle prestazioni economiche per danno biologico erogate dall’Inail saranno rivalutati dello 0,8%. Lo ha stabilito il decreto del Ministro del Lavoro n. 85 del 20 giugno 2025 per adeguare il valore di queste prestazioni al contesto attuale.

Lo conferma anche la circolare Inail n. 45 dell’1 agosto 2025, in cui si specifica dettagliatamente l’ambito di applicazione della rivalutazione decorrente dal 1° luglio 2025.

Normativa di riferimento

Il danno biologico, inteso come lesione dell’integrità psicofisica accertabile medico-legalmente e indipendente dalla capacità lavorativa, trova fondamento nell’articolo 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38.

Questo quadro normativo è stato arricchito dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247, che ha introdotto un aumento straordinario degli indennizzi.

La legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha stabilito infine l’obbligo di una rivalutazione annuale automatica degli indennizzi Inail per danno biologico a partire dal 1° luglio di ogni anno, basata sulla variazione degli indici Istat dei prezzi al consumo.

Il meccanismo di rivalutazione si basa infatti sull’Indice dei Prezzi al Consumo per le Famiglie di Operai e Impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, elaborato annualmente dall’Istat.

Danno biologico 2025: rivalutazione dello 0,8%

Per il 2025, i dati ISTAT hanno registrato una variazione annuale dell’indice FOI dello 0,8% (passando da 118,7 nel 2023 a 119,7 nel 2024, con base 2015 = 100). Questo ha portato all’applicazione di un coefficiente di rivalutazione di 1,008.

Rivalutazione: le prestazioni interessate

La rivalutazione dello 0,8% interessa due tipologie principali di prestazioni economiche Inail per danno biologico:

  • prestazioni in capitale: riguardano gli indennizzi “una tantum” per menomazioni tra il 6% e il 15%. Questi importi fissi, correlati al grado di menomazione, saranno aggiornati annualmente.
  • prestazioni in rendita (quota biologica): si applica alla parte della rendita Inail che compensa il danno biologico per menomazioni permanenti superiori al 15%. La rivalutazione del 2025 riguarda esclusivamente la quota biologica della rendita, garantendo che il suo valore reale non diminuisca a causa dell’inflazione.

Settori interessati dalla rivalutazione

La rivalutazione si applica a diversi settori economici e categorie di lavoratori, tra cui:

  • lavoratori assicurati Inail del settore industriale (privati e pubblici);
  • lavoratori agricoli, inclusi gli autonomi del settore primario;
  • personale medico con esposizione a radiazioni.
  • tecnici operanti in regime autonomo con specifica assicurazione Inail.

 

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Allegati

indennità di esproprio

Indennità di esproprio Indennità di esproprio: definizione, disciplina, procedura di espropriazione, determinazione, calcolo dell'importo

Indennità di esproprio: cos’è

L’indennità di esproprio è un indennizzo che viene riconosciuto al proprietario di un bene, quando questo, per motivi pubblici, ne subisce l’espropriazione.

Disciplina

La disciplina dell’indennità di esproprio è contenuta nel Testo Unico in materia di espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 327/2001). Questa normativa stabilisce una procedura dettagliata per la determinazione e il pagamento dell’indennità di esproprio, che può essere suddivisa in diverse fasi, con la possibilità di una procedura ordinaria o urgente.

Procedura espropriativa e indennità di esproprio

L’indennità di esproprio si inserisce quindi nella procedura di espropriazione che si sviluppa nelle seguenti fasi:

  • uno strumento urbanistico generale un atto di natura ed efficacia equivalente prevede l’opera da realizzare e il bene da espropriare a cui è stato apposto il vincolo all’esproprio;
  • intervenuta dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare;
  • determinazione, anche in via provvisoria, dell’indennità di esproprio da riconoscere al soggetto che subisce l’esproprio.

Leggi l’articolo dedicato: Espropriazione per pubblica utilità

Indennità di espropriazione: determinazione

L’indennità di espropriazione può essere determinata nelle tre seguenti modalità

1. Determinazione provvisoria

Dopo che l’opera è stata dichiarata di pubblica utilità, l’autorità espropriante individua i beni e i proprietari, proponendo un’offerta economica. I proprietari hanno 30 giorni per presentare osservazioni.L’autorità, tenendo conto delle osservazioni, valuta il valore del bene e determina un’indennità provvisoria. Questa viene notificata al proprietario. Il proprietario ha 30 giorni dalla notifica per accettare o meno l’offerta provvisoria. In caso di accettazione il proprietario può ricevere un acconto dell’80% dell’indennità, con il saldo pagato in seguito alla presentazione della documentazione che attesti la piena e libera proprietà del bene. Se il proprietario si rifiuta di stipulare l’atto di cessione volontaria, l’autorità può procedere comunque con il decreto di esproprio. In caso di rifiuto o mancata risposta l’indennità si considera non concordata e l’autorità procede con il deposito della somma presso la Cassa Depositi e Prestiti.

2. Determinazione definitiva

Se non c’è accordo sull’indennità provvisoria, il proprietario ha 20 giorni per richiedere la nomina di un tecnico di fiducia. L’autorità espropriante nominerà due tecnici (di cui uno designato dal proprietario) e il presidente del tribunale civile nominerà un terzo tecnico. I tecnici redigono quindi una relazione di stima entro 90 giorni. Le spese della perizia sono a carico del proprietario solo se la stima finale è inferiore all’offerta provvisoria. L’autorità espropriante notifica la relazione al proprietario. Se l’indennità viene accettata, viene pagata o depositata la differenza rispetto all’acconto già versato. In caso di mancata accettazione, l’autorità ordina il deposito dell’intero importo.

3. Procedure di urgenza

In casi di particolare urgenza, l’autorità può emanare il decreto di esproprio e l’occupazione d’urgenza del bene, basandosi su una determinazione provvisoria dell’indennità. Il proprietario ha 30 giorni dall’immissione in possesso per accettare l’indennità o chiedere la nomina dei tecnici, se poi non condivide la relazione può opporsi alla stima.

Calcolo dell’indennità di esproprio

I criteri per la determinazione dell’indennità variano a seconda del tipo di bene espropriato.

  • Per le opere private di pubblica utilità che non rientrano nell’edilizia residenziale pubblica o in progetti di insediamenti produttivi pubblici, l’indennità di esproprio deve corrispondere all’intero valore di mercato del bene espropriato.
  • Se il bene espropriato è un’area edificabile l’indennità è pari al valore venale del bene, ovvero il suo valore di mercato. Tuttavia, se l’esproprio è per interventi di riforma economico-sociale, l’indennità può essere ridotta del 25%. Non si tiene conto di costruzioni abusive.
  • Se la costruzione è stata realizzata in modo legittimo, l’indennità di esproprio è pari al valore venale (cioè al valore di mercato) del bene. Se la costruzione o una parte di essa è stata realizzata senza permessi edilizi o paesistici, o in difformità, l’indennità si calcola solo sulla superficie del terreno (area di sedime), oppure sulla parte legittimamente realizzata, se presente. Se è in corso una procedura di sanatoria, l’autorità espropriante, sentito il Comune, verifica se la costruzione sia sanabile, ma solo per determinare l’indennità da corrispondere.
  • Se oggetto dell’espropriazione è un’area non edificabile, ad esempio agricola, l’indennità è calcolata in base al valore agricolo, considerando le colture praticate e il valore dei manufatti legittimi.Gli agricoltori diretti, hanno diritto a un’indennità aggiuntiva.
deontologia forense

Deontologia forense: guida generale Deontologia forense: le regole che disciplinano l'attività degli avvocati a tutela della collettività e della clientela

Deontologia forense: definizione

La deontologia forense rappresenta l’insieme delle norme etiche e di comportamento che gli avvocati devono osservare nell’esercizio della loro professione. Queste regole guidano l’agire dell’avvocato nei rapporti con clienti, colleghi, controparti e altre figure professionali. Esse contribuiscono al corretto funzionamento dell’ordinamento giuridico e al raggiungimento degli scopi della giustizia. La deontologia garantisce inoltre la tutela dell’affidamento della collettività e della clientela, assicurando la correttezza dei comportamenti, la qualità e l’efficacia delle prestazioni professionali.

Deontologia forense: il Codice deontologico  

Il Codice Deontologico Forense raccoglie queste regole. Il testo è stato approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 31 gennaio 2014 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 ottobre 2014. Da allora però ha subito diverse modifiche. Una significativa revisione è avvenuta con la seduta amministrativa del CNF del 23 febbraio 2018, il cui comunicato è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 13 aprile 2018.

Il Codice è stato poi modificato nella seduta amministrativa del 23 febbraio 2024, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 3 maggio 2024 ed è entrato in vigore il 2 luglio 2024. Questa modifica è stata particolarmente rilevante perché ha introdotto l’art. 25-bis in materia di rispetto della normativa sull’equo compenso.

Struttura del Codice deontologico

Il Codice Deontologico Forense è strutturato in sette Titoli, ciascuno dei quali disciplina specifici ambiti della professione forense. Questa organizzazione permette una chiara e sistematica trattazione dei doveri e delle regole di condotta. I titoli sono i seguenti:

  1. Principi generali: le fondamenta etiche e i doveri generali dell’avvocato.
  2. Rapporti con il cliente e con la parte assistita: dettaglia i doveri dell’avvocato nei confronti di coloro che rappresenta.
  3. Rapporti con i colleghi: regola le interazioni e la condotta tra avvocati.
  4. Doveri dell’avvocato nel processo: specifica i comportamenti da adottare durante le fasi processuali.
  5. Rapporti con terzi e controparti: definisce le regole di condotta dell’avvocato nei confronti di soggetti diversi dal cliente e dai colleghi.
  6. Rapporti con le Istituzioni forensi: regolamenta i doveri dell’avvocato nei confronti degli organi di autogoverno della professione.
  7. Disposizione finale: precisa l’entrata in vigore del Codice decorsi 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

Deontologia Forense: i principi generali

I principi generali delineano l’essenza della professione forense. L’avvocato tutela la libertà, l’inviolabilità e l’effettività della difesa, assicurando la regolarità del giudizio e del contraddittorio. Le norme deontologiche sono cruciali per garantire l’affidamento della collettività e la qualità della prestazione professionale. Esse si applicano a tutti gli avvocati nell’esercizio della loro attività professionale, nei rapporti reciproci e con i terzi. Dette norme si estendono anche ai comportamenti nella vita privata, qualora compromettano la reputazione personale o l’immagine della professione forense.

Tra i doveri fondamentali elencati nei principi generali figurano il dovere di evitare incompatibilità, il dovere di probità, dignità, decoro e indipendenza, il dovere di fedeltà al mandato, il dovere di diligenza, il dovere di segretezza e riservatezza, il dovere di competenza e aggiornamento professionale, e il dovere di rispettare gli adempimenti fiscali, previdenziali e assicurativi.

Responsabilità disciplinare

La responsabilità disciplinare scaturisce dalla violazione dei doveri e delle regole di condotta imposte dalla legge o dalla deontologia.Essa discende nello specifico dalla inosservanza dei doveri e delle regole di condotta dettate dalla legge e dalla deontologia, nonché dalla coscienza e volontà delle azioni od omissioni. L’avvocato è sottoposto a procedimento disciplinare anche per comportamenti non colposi che abbiano violato la legge penale, ferma restando ogni autonoma valutazione sul fatto commesso. Egli è personalmente responsabile per condotte ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti, determinate da suo incarico, salvo che il fatto integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità. La responsabilità disciplinare riguarda anche le società tra avvocati. Essa concorre con quella del socio quando la violazione è ricollegabile a direttive impartite dalla società.

Potestà disciplinare

Gli organi disciplinari hanno la potestà di applicare sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione deontologica commessa, nel rispetto delle procedure previste. La valutazione del comportamento è complessiva e la sanzione è unica anche in presenza di più addebiti nello stesso procedimento. La sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all’eventuale dolo, al comportamento precedente e successivo dell’incolpato, e alle circostanze soggettive e oggettive della violazione. Si tiene conto anche del pregiudizio subito dalla parte assistita, della compromissione dell’immagine della professione e dei precedenti disciplinari.

Sanzioni: tipologie

Le sanzioni disciplinari sono graduate in base alla gravità dell’infrazione.

  • Avvertimento: informa l’incolpato che la sua condotta non è stata conforme e lo invita a non commettere altre infrazioni. Si applica per fatti non gravi, quando vi è motivo di ritenere che non vi saranno recidive.
  • Censura: consiste nel biasimo formale e si applica quando la gravità dell’infrazione, la responsabilità e i precedenti suggeriscono che l’incolpato non commetterà ulteriori infrazioni.
  • Sospensione: consiste nell’esclusione temporanea dall’esercizio della professione (da due mesi a cinque anni) o dal praticantato. Si applica per infrazioni gravi o quando non sono presenti le condizioni per la sola censura.
  • Radiazione: si traduce nell’esclusione definitiva dall’albo, elenco o registro, impedendo l’iscrizione a qualsiasi altro. Viene inflitta per violazioni molto gravi che rendono incompatibile la permanenza dell’incolpato nella professione.

Nei casi più gravi le sanzioni possono essere aumentate nel loro massimo, mentre in quelli meno gravi possono essere diminuite. Per infrazioni lievi e scusabili, è previsto il richiamo verbale, che non costituisce sanzione disciplinare.

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