decreto liste attesa sanità

Decreto liste d’attesa: legge in vigore La legge di conversione del decreto liste d’attesa in vigore dal 1° agosto 2024 istituisce una piattaforma nazionale delle liste di attesa e per ridurre i tempi prevede visite ed esami nei weekend

Decreto liste d’attesa, legge in vigore dal 1° agosto

La legge n. 107/2024 di conversione del decreto liste d’attesa (dl 73/2024) è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 luglio per entrare in vigore il 1° agosto 2024.

Il testo, che reca le misure necessarie per ridurre i tempi delle liste d’attesa in ambito sanitario è aveva ricevuto il via libera dal Senato il 18 luglio e il sì definitivo della Camera il 24 luglio 2024.

Tante le novità per rendere più efficiente il sistema sanitario, compreso il superamento del tetto di spesa destinato al personale sanitario a partire dal 2025, la piattaforma nazionale per le liste d’attesa e la previsione in agenda per il CUP delle prestazioni offerte dal settore pubblico e privato convenzionato. Visite ed esami potranno essere effettuati anche durante il weekend.

Vediamo più in dettaglio le misure più importanti.

Prenotazioni delle prestazioni sanitarie

Gli erogatori dei servizi sanitari pubblici e quelli privati accreditati avranno come punto di riferimento per le prenotazioni il CUP, che è unico a livello regionale o infraregionale.

Incentivata l’adozione di soluzioni digitali da parte delle regioni e delle province al fine di agevolare la prenotazione delle visite e il pagamento dei ticket in autonomia da parte dei pazienti.

Sanzioni mancato rispetto prenotazioni

Presso i CUP è prevista l’attivazione di un sistema di disdetta delle prenotazioni per ricordare la data dell’erogazione e consentire al paziente di confermare o cancellare l’esame o la visita da remoto almeno due giorni prima.

Per garantire il rispetto delle prenotazioni sarà possibile applicare, salvi casi di impossibilità sopravvenuta o forza maggiore, una sorta di sanzione che corrisponderà alla quota ordinaria di partecipazione al costo.

Visite ed esami anche nei weekend

Per ridurre i tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie le visite diagnostiche e specialistiche saranno effettuate anche il sabato e la domenica e la fascia oraria potrà essere prolungata. Prevista la possibilità di effettuare aperture straordinarie anche dei centri trasfusionali nel pomeriggio e nei giorni festivi. Il decreto mira inoltre a garantire il corretto equilibrio tra attività istituzionale e  libero professionale all’interno delle aziende sanitarie ospedaliere.

Nasce la piattaforma nazionale delle liste d’attesa

Istituita la piattaforma nazionale delle liste dattesa al fine di realizzare l’interoperabilità tra le varie piattaforme regionali e delle province autonome. Questo strumento di governo delle liste di attesa vuole realizzare il potenziamento del portale della trasparenza, come richiesto dal piano nazionale di ripresa resilienza.

Grazie alla piattaforma si potrà garantire maggiore efficienza del monitoraggio a livello nazionale, la piattaforma inoltre potrà orientare la programmazione dell’offerta attraverso il controllo aggiornato delle agende disponibili e di quelle accessibili alla prenotazione tramite il CUP.

Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria

Il provvedimento istituisce l’Organismo di verifica e controllo sullassistenza sanitaria presso il Ministero della salute. Tale organismo svolgerà  le proprie attività sulla base di una programmazione annuale e potrà avvalersi del supporto del comando dei Carabinieri per la tutela della salute tramite l’accesso alle aziende e agli enti del servizio sanitario nazionale, alle aziende ospedaliere universitarie, ai policlinici universitari, agli erogatori di servizi sanitari privati e agli istituti di ricovero e cura di carattere scientifico per verificare eventuali disfunzioni emerse dal controllo dell’agenda di prenotazione. Quanto emergerà dai controlli verrà comunicato al responsabile unico regionale dellassistenza sanitaria che deciderà le modalità di intervento.

Il Ruas

A livello regionale sarà il Ruas ad avere la responsabilità del rispetto dei criteri di efficienza stabiliti per l’erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie e sul funzionamento della gestione delle liste di attesa e dei piani per il recupero delle liste stesse. Ogni tre mesi il Ruas dovrà redigere e inviare un rapporto di monitoraggio delle prestazioni critiche e delle liste d’attesa all’Organismo segnalando le problematiche e indicando gli interventi effettuati.

Assunzione personale sanitario

Nel 2024 e fino all’adozione di decreti specifici l’importo di spesa per il personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale delle regioni già autorizzati per il 2023 saranno incrementati ogni anno del 10% dell’incremento del fondo sanitario regionale rispetto all’anno precedente, e su richiesta di un ulteriore 5%.

Dal 2025 con uno più decreti verrà definita una metodologia per individuare il fabbisogno di personale degli enti che compongono il servizio sanitario nazionale. Alle regioni spetterà il compito di predisporre il piano dei fabbisogni triennali.

Più assistenza e più attenzione alla salute mentale

Per le regioni destinatarie del Programma Nazionale Equità nella Salute 2021-2027, il Dl Sanità definisce un piano che si pone l’obiettivo di rafforzare le capacità di erogazione dei servizi sanitari e incrementare i servizi sanitari e sociosanitari sul territorio.

Detto piano d’azione individua, in relazione ai servizi sanitari e sociosanitari erogati presso il domicilio o in ambulatorio e alle attività svolte dai Dipartimenti di salute mentale, iniziative destinate al rafforzamento e all’ammodernamento dei servizi dedicati alla cura della salute mentale e agli screening oncologici.

Leggi anche Liste d’attesa: il piano del Governo

Allegati

Reddito di cittadinanza: discriminante chiedere la residenza Per la Corte UE, il requisito della residenza di 10 anni richiesto per ottenere  il reddito di cittadinanza discrimina i cittadini stranieri

Reddito cittadinanza: discriminante la residenza per gli stranieri

Il requisito della residenza di 10 anni (di cui gli ultimi due necessariamente continuativi), richiesto dalla legge che disciplina il reddito di cittadinanza (decreto legge n. 4/2019 convertito dalla legge n. 26/2020) è discriminante per gli stranieri. Incompatibili con la disciplina UE anche le sanzioni penali previste per le false dichiarazioni relative al suddetto requisito della residenza. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia UE nella sentenza emessa in relazione alle cause C-112/22 e C-223/22.

Reddito di cittadinanza: accusa di falso per il requisito della residenza

La vicenda ha inizio perché due cittadine straniere vengono accusate di aver dichiarato il falso in relazione al requisito della residenza di 10 anni necessario per ottenere il reddito di cittadinanza.

Per il Tribunale di Napoli competente la normativa italiana sul reddito di cittadinanza, che richiede il requisito della residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, è discriminante per gli stranieri, anche se titolari di un permesso per soggiornanti di lungo periodo, rispetto ai cittadini italiani.

Il requisito della residenza per lo straniero viola la parità di trattamento?

Il Tribunale di Napoli, nell’ambito dei procedimenti penali a carico delle due donne, si rivolge quindi alla quindi Corte di Giustizia UE per chiedere la corretta interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d) della Direttiva UE 2003/109 sullo status dei cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo, in quanto lo stesso prevede che: “Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda: d) le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale.” 

Il Tribunale ha il dubbio che la normativa italiana sul reddito di cittadinanza, nel richiedere il requisito della residenza di 10 anni, di cui gli ultimi due continuativi ai cittadini stranieri per accedere alla misura, sia contraria all’articolo 11 della Direttiva UE 2003/109, dedicato alla “parità di trattamento” se letto anche alla luce dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che garantisce l’accesso alle prestazioni sociali a coloro che risiedono o si spostino legalmente sul territorio dell’Unione Europea.

Requisito della residenza discrimina gli stranieri

In risposta alla questione sollevata dal Tribunale di Napoli la Corte UE chiarisce che il requisito della residenza di 10 anni, di cui gli ultimi due continuativi rappresenta in effetti una forma di disseminazione indiretta nei confronti dei cittadini stranieri, che colpisce comunque anche i cittadini italiani che fanno ritorno in Italia dopo un periodo di residenza in un altro paese UE.

Risulta incompatibile con il diritto UE però anche la norma che prevede sanzioni penali nei confronti di coloro che dichiarano il falso in relazione al requisito della residenza necessario per accedere al reddito di cittadinanza.

Per questo la Corte UE, nel rispondere al quesito del Tribunale di Napoli dichiara che “Larticolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, letto alla luce dellarticolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, devessere interpretato nel senso che: esso osta alla normativa di uno Stato membro che subordina laccesso dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, lassistenza sociale o la protezione sociale al requisito, applicabile anche ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in detto Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, e che punisce con sanzione penale qualsiasi falsa dichiarazione relativa a tale requisito di residenza”. 

licenziato stampa troppo ufficio

Va licenziato chi stampa troppo in ufficio? Per la Cassazione, scatta la sanzione conservativa per la dipendente che usa la stampante dell'ufficio per uso personale

Stampa troppo in ufficio: esagerato il licenziamento

Va licenziato chi stampa troppo in ufficio per motivi personali? Ebbene no, la Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento, ma attenzione la condotta non resta impunita.

Nel caso posto all’attenzione degli Ermellini il contratto collettivo nazionale contempla la misura conservativa della multa per mancato adempimento dell’obbligo di osservare scrupolosamente i doveri d’ufficio e conservare con la dovuta diligenza il materiale dell’azienda. Illegittimo quindi il licenziamento perché non rispettoso del principio di proporzionalità. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 20698/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la dipendente di una fondazione viene licenziata perché, senza alcuna autorizzazione, ha usato la stampante aziendale per scopi personali.

Il Tribunale accoglie il ricorso, dichiara illegittimo il licenziamento, conferma la risoluzione del rapporto di lavoro e dispone in favore della donna l’indennità risarcitoria da 12 a 18 mensilità dell’ultima retribuzione.

Licenziamento illegittimo per la Corte d’Appello

La Corte d’Appello, pur rilevando la violazione dell’art. 220 CCNL, conferma l’illegittimità del licenziamento e quantifica in 18 mesi l’indennità dovuta alla lavoratrice perché la condotta tenuta non è così grave da giustificare l’espulsione.

Parola alla Cassazione

La decisione viene impugnata dalla dipendente in sede di legittimità per contestare la mancata applicazione della sanzione conservativa della multa.

La datrice di lavoro resiste con controricorso, contestando l’affermata illegittimità del licenziamento irrogato.

Principio di proporzionalità e sanzione conservativa

Per gli Ermellini, è fondato il terzo motivo del ricorso principale sollevato dalla lavoratrice. La sentenza impugnata non è infatti conforme al principio di diritto in base al quale “in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dallarticolo 18 commi 4 e 5 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, come novellata dalla legge numero 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca lillecito con sanzione conservativa anche laddove si espressa attraverso clausole generali o elastiche”.  

Riprendendo la pronuncia della Cassazione n. 13744/2022 la condotta del lavoratore che esegue con negligenza il lavoro affidato non rientra tra quelle caratterizzate da una gravità tale da comportare il licenziamento disciplinare contemplato dall’art. 225 del CCNL Terziario, Distribuzione e servizi del 18 luglio 2008.

Tale condotta deve quindi essere sanzionata in via conservativa con una multa, nei limiti di attuazione del principio di proporzionalità eseguito dalle parti sociali con la previsione indicata.

Dello stesso avviso gli Ermellini, la condanna non è talmente grave da giustificare il licenziamento, con la conseguente operatività della tutela prevista dal comma 4 dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Vedi gli altri articoli di diritto del lavoro

Allegati

cane chiuso casa reato

Cane chiuso in casa senz’acqua: è reato Lasciare soli per ore tre cani in una casa sporca e senza dar loro dell’acqua sono indizi del reato di abbandono che legittimano il sequestro degli animali

Lasciare il cane chiuso in casa senz’acqua è abbandono di animali

Lasciare tre cani soli e chiusi in casa per ore, nella sporcizia e senz’acqua è una condotta che giustifica il sequestro degli animali perché rappresentano indizi coerenti e logici del reato di abbandono di animali. Il reato contemplato dall’art. 727 comma 2 del codice penale precisa infatti che non serve lo stato di malattia dell’animale affinché si configuri lo stato di abbandono, è sufficiente che l’animale patisca una sofferenza ingiusta. Queste le ragioni per le quali la Cassazione con la sentenza n. 30369-2024 ha rigettato il ricorso della padrona dei cani contro l’ordinanza di sequestro degli animali.

Il sequestro preventivo

Un’ordinanza conferma il sequestro preventivo di tre cani disposto con decreto dal giudice per indagini preliminari. La padrona è indagata per il reato di abbandono di animali contemplato dall’art. 727 comma 2 c.p. Gli animali sono stati rinvenuti in condizioni incompatibili con le esigenze minime, in stato di abbandono, scarsa igiene e incuria nella somministrazione dell’acqua e nella cura delle malattie.

Il ricorso

La padrona, nel ricorrere avverso l’ordinanza, fa presente che dalla relazione del medico veterinario intervenuto al momento del sequestro emerge che lo stato di salute degli animali non faceva desumere l’incuria e l’abbandono di cui la stessa è stata accusata.

Gli animali non avevano zecche, presentavano una buona massa muscolare e le unghie erano in buone condizioni. La contestazione è del tutto generica e non emergono elementi oggettivi di sofferenza patita dagli animali. Insussistente quindi il fumus commissi delicti perché i fatti a lei contestati non sono stati provati adeguatamente e sono il frutto di annotazioni relative più allo stato dei luoghi che al benessere degli animali. La ricorrente lamenta inoltre la mancata valutazione della relazione del veterinario, che ha rilevato solo la presenza di malattie pregresse, normali in cani anziani. La trasmissione tempestiva di questa relazione avrebbe permesso di smentire i reati ipotizzati e contrastare gli elementi indiziari del fumus.

Il reato di abbandono di animali

Per la Cassazione le argomentazioni che hanno condotto alla decisione invece risultano puntuali, coerenti e logiche. Il giudice ha ritenuto sussistente il fumus commissi delicti del reato di abbandono di animali contemplato dall’art. 727 c.p. perché i  militari intervenuti sul posto hanno rilevato uno stato di abbandono dei tre cani di proprietà dell’indagata perché detenuti in condizioni igieniche incompatibili con i bisogni minimi che devono essere assicurati agli animali domestici. Dalle testimonianze è emerso che l’ambiente in cui i cani venivano detenuti era in pessime condizioni igieniche, le deiezioni erano diffuse, non era stato rimosso il cibo sparso per terra e non c’era acqua per gli animali, che venivano lasciati soli in casa per molte ore o in uno spazio esterno stretto e pieno di rifiuti.

Reato di abbandono: è sufficiente l’ingiusto patimento

La Cassazione ricorda che affinché si configuri il reato di abbandono di animali la detenzione degli stessi in condizioni capaci di recare loro gravi sofferenze non è solo quella che provoca una malattia, ma anche quella che produce un patire ingiusto. Non è necessaria la malnutrizione e il pessimo stato di salute, sono sufficienti quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale provocando sofferenza e afflizione. In queste condotte rientrano i comportamenti colposi di abbandono ed incuria. Il Gip ha disposto il sequestro nel timore di una reiterazione del reato poiché, nonostante ripetute segnalazioni e diversi accessi all’abitazione, l’indagata non ha messo in atto nessun comportamento finalizzato a migliorare le condizioni di detenzione degli animali. La stessa ha infatti mantenuto inalterate nel tempo le condizioni di incuria e di degrado della propria abitazione in cui deteneva i cani chiusi per diverse ore.

La decisione relativa al sequestro si è fondata sull’annotazione della polizia giudiziaria e sulla relazione dell’ENPA, successiva al sopralluogo. La relazione del medico veterinario incaricato dall’indagata non è stata acquisita perché non presente nel fascicolo al momento della pronuncia oggetto di impugnazione. La stessa è stata infatti acquisita in data successiva.

 

Vedi gli altri articoli di diritto penale

Allegati

decreto legge sport e scuola

Decreto legge sport e scuola: in vigore la legge La legge di conversione del dl sport e scuola, in vigore dal 31 luglio 2024, prevede nuove misure specifiche per studenti disabili e stranieri e aiuti per gli affitti dei fuori sede

Decreto legge sport e scuola: legge in GU

Il decreto legge sport e scuola ha concluso il suo iter di approvazione. Dopo il sì della Camera, il 17 luglio, al disegno di legge di conversione del decreto n. 71/2024, il testo è passato al Senato dove ha ricevuto l’ok definitivo il 23 luglio 2024.

La legge di conversione n. legge-106-2024 è stata pubblicata il 30 luglio in Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore il giorno successivo.

Scarica il dossier della Camera sul decreto

Il testo, recante “Disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità, per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di università e ricerca” si compone di 26 articoli suddivisi in quattro capi:

  1. misure in materia di sport, lavoro sportivo e relativa disciplina fiscale;
  2. disposizioni urgenti in materia di sostegno didattico per gli alunni con disabilità;
  3. disposizioni urgenti per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024- 2025;
  4. elementi di novità in materia di università e ricerca.

Docente per gli studenti stranieri

Un docente di italiano si occuperà dell’insegnamento della lingua agli studenti stranieri se almeno il 20% degli alunni ha problemi in questa materia. Questa figura di supporto agli altri insegnanti, che agevolerà il lavoro in classe a partire dall’anno scolastico 2025/2026, sarà destinata agli studenti stranieri che si iscrivono nelle scuole italiane per la prima volta e che non possiedono le competenze base nella lingua italiana. Nel frattempo, a partire dall’anno scolastico 2024/2025, le scuole avranno la possibilità di attivare un potenziamento linguistico per gli stranieri all’interno dell’orario extracurricolare attingendo alle risorse del programma nazionale PN Scuola e competenze 2021-2027.

Studenti disabili: docenti più specializzati

Il testo potenzia i percorsi di specializzazione per gli insegnanti di sostegno degli studenti disabili.

Possibilità di iscrizione ai percorsi di formazione attivati da Indire o dalle università anche per coloro che hanno superato o hanno in corso un percorso di formazione per il sostegno all’estero.

Per garantire e facilitare la continuità didattica, su richiesta della famiglia un docente in servizio nell’anno precedente e in possesso dell’abilitazione all’insegnamento degli alunni con disabilità può essere confermato con priorità nel posto destinato al sostegno.

Incrementato in fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità. Tra le finalità del fondo viene aggiunto il finanziamento e il potenziamento del trasporto scolastico per gli studenti disabili delle scuole secondarie di secondo grado.

Più docenti nelle scuole

Per immettere in ruolo il personale docente all’interno delle scuole saranno indetti concorsi e si potrà attingere alle graduatorie a esaurimento e alle graduatorie per le supplenze qualora dopo procedura ordinaria dovessero risultare posti ancora vacanti.

Sport: nasce la commissione per la verifica di conti

In materia di sport viene istituita la commissione indipendente per la verifica dellequilibrio economico finanziario delle società sportive professionistiche. La commissione svolgerà il ruolo di organismo di controllo e di vigilanza su quelle società professionistiche che prenderanno parte ai campionati degli sport di squadra anche al fine di verificare il corretto funzionamento  dei controlli interni.

Il testo riconosce alla Lega di serie A un rilievo maggiore. Le leghe sportive che si occupano dei professionisti dovranno avere una rappresentanza equa all’interno degli organi di direzione delle federazioni sportive, che dovranno prendere in considerazione anche il contributo economico che viene apportato al sistema sportivo.

Incrementato il fondo per aiutare gli studenti fuori sede

Il fondo per corrispondere un contributo alle spese di locazione abitativa degli studenti fuori sede per l’anno 2024 viene incrementato i 10,3 milioni di euro. L’aiuto è riconosciuto agli studenti iscritti nelle università statali purché appartengano a un nucleo familiare con ISEE non superiore ai 20.000 euro e non percepiscano ulteriori contributi pubblici per l’alloggio.

Razionalizzata e potenziata anche la struttura di supporto del commissario straordinario per gli alloggi straordinari per assicurare il raggiungimento degli obiettivi previsti dal PNRR in materia.

compensi avvocato inesigibili

Compensi avvocato inesigibili se soggetti a condizione Compensi avvocato: se il pagamento è soggetto a condizione mista perché dipende dall’adempimento di un terzo si applica l’art. 1358 c.c.

Inesigibilità compensi avvocato se sottoposti a condizione

Un avvocato non può esigere il pagamento dei propri compensi da un cliente quando la loro corresponsione è subordinata all’adempimento di un terzo. Questa situazione configura una condizione mista, regolata dall’art. 1358 del codice civile, che impone alle parti di agire nel rispetto del principio della buona fede durante la pendenza della condizione. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19022-2024.

Azione per il pagamento del compenso

Un avvocato, che assiste due clienti in diverse cause, stipula con loro un patto di quota lite a causa delle difficoltà previste nella causa originale. Dopo la sentenza di primo grado e il ricorso in appello, le parti raggiungono un accordo per risolvere l’intera questione, firmato da tutti i soggetti coinvolti. Alla scadenza del termine previsto per il pagamento, gli assistiti non provvedono però al pagamento del preavviso dell’avvocato. Al legale non resta che richiedere il versamento dell’importo a lui dovuto stabilito in sentenza o concordato nel patto do quota lite o in ultimo quello concordato nell’accordo di transazione.

Compenso residuo: condizionato al pagamento del Condominio

Gli assistiti si oppongono alla richiesta, sostenendo di aver già provveduto al pagamento di quanto stabilito dalla sentenza. Il pagamento dell’importo residuo del compenso è infatti condizionato  dall’incasso delle somme dovute dal condominio, che però non ha ancora provveduto.

Compenso Avvocato: accoglimento parziale della domanda

Il Tribunale di Napoli accoglie in parte la domanda dell’avvocato e condanna i clienti a pagare una somma inferiore a quella richiesta.

Condizione causale o mista, non meramente potestativa

I clienti ricorrono quindi in Cassazione, poiché a loro dire la clausola relativa all’esigibilità dei compensi è stata interpretata in maniera erronea.

Essi sostengono che la clausola dell’accordo transattivo obbliga al pagamento dei compensi entro dieci giorni dall’incasso delle somme dal condominio, che non ha ancora pagato. Essi precisano inoltre che l’importo indicato nell’accordo si riferisce al saldo e non all’acconto già versato. Per loro infine la condizione deve considerarsi casuale, al massimo mista, ma non meramente potestativa come interpretato dal Tribunale.

Condizione “Potestativa” e “Meramente Potestativa”

La Cassazione in motivazione ricorda che una condizione è “meramente potestativa” quando il suo avveramento dipende esclusivamente dall’arbitrio di parte.

La condizione è invece “potestativa” quando dipende da valutazioni di interesse e convenienza, influenzate da fattori esterni che incidono sulla volontà del contraente, anche se la decisione finale è a discrezione dell’interessato.

Condizione mista: buona fede in pendenza della condizione art. 1358 c.c.

Nel caso di specie non sussiste una condizione meramente potestativa, come sostenuto dal Tribunale, il pagamento delle competenze professionali dell’avvocato è condizionato dall’adempimento del condominio terzo, trattasi quindi di una condizione mista poiché il suo avveramento dipende dal caso o dal terzo e in parte dalla volontà di uno dei contraenti.

La disciplina dell’art. 1358 del Codice Civile, che impone la buona fede durante la pendenza della condizione, si applica anche in questo caso.

La Cassazione accoglie quindi il primo e il secondo motivo del ricorso, con conseguente assorbimento del terzo motivo e con rinvio al Tribunale in diversa composizione per riconsiderare la pretesa dell’avvocato alla luce dell’accordo transattivo e delle pattuizioni in esso contenute.

 

Vedi tutti gli articoli della categoria Professioni

Allegati

autovelox non omologati sequestro

Autovelox non omologati sotto sequestro in tutta Italia Autovelox non omologati: disposto il sequestro, 10 le Regioni interessate. Le multe potrebbero essere tutte annullate

GIP di Cosenza: sotto sequestro gli autovelox illegittimi

Autovelox sequestrati in tutta Italia. Illegittimo il sistema di rilevazione della velocità effettuato con lo strumento T-Exspeed 2.0. Il provvedimento con cui è stato disposto il sequestro dei misuratori di velocità è stato emesso dal GIP di Cosenza nel corso dell’indagine disposta dalla Procura locale. Dagli accertamenti effettuati la strumentazione T-Exspeed 2.0 installata nelle postazioni fisse per rilevare sia la velocità media che quella specifica è illegittima così come lo sono le sanzioni che sono state elevate in seguito ai rilevamenti effettuati per mezzo della stessa.

Autovelox senza omologazione: 10 le regioni interessate

Il problema riguarda 10 regioni italiane (Veneto, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Basilicata, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia). Le apparecchiature infatti sono state installate su diverse strade statali e provinciali della penisola. Immediata la denuncia per frode in pubblica fornitura per il legale rappresentante della società che si era aggiudicata l’appalto per la fornitura.

Dagli accertamenti è emerso che le apparecchiature non sono state omologate e che era assente anche il prototipo del sistema per il rilevamento della velocità. Il prototipo che è stato depositato presso il Ministero è risultato essere diverso dalla versione modificata che la società ha fornito poi ai Comuni.

Autovelox illegittimi: multe nulle

Apparecchiature illegittime, multe illegittime. Le multe irrogate con le apparecchiature incriminate potrebbero essere annullate. Si ricorda che la questione è stata affrontata di recente anche dagli Ermellini. L’ordinanza n. 10505-2024 della Cassazione ha infatti sancito che devono considerarsi nulle le multe elevate con apparecchi autovelox non omologati e che la mera approvazione non può considerarsi equipollente all’’omologazione ministeriale. L’omologazione infatti è un procedimento molto più importante perché autorizza la riproduzione in serie del prototipo dell’autovelox, mentre l’approvazione non prevede la comparazione del prototipo con le caratteristiche necessarie dello strumento o previste dal regolamento.

Omologazione: controllo tecnico garanzia di perfetta funzionalità

Come precisa del resto la Cassazione nella citata ordinanza l’omologazione consiste in una procedura che non ha solo carattere  amministrativo, ma anche tecnico e “tale specifica connotazione risulta finalizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento elettronico da utilizzare per l’attività di accertamento da parte del pubblico ufficiale legittimato, requisito, questo, che costituisce l’indispensabile condizione per la legittimità dell’accertamento stesso, a cui pone riguardo la norma generale di cui al comma 6 dell’art. 142 c.d.s.” 

Mancato deposito del prototipo

Il mancato deposito del prototipo è l’altra questione di rilievo emersa nel corso delle indagini e sulla quale il dibattito è ancora aperto. L’articolo 192 de del regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, al comma 2  dispone che “L’ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale del Ministero dei Lavori  Pubblici accerta, anche mediante prove, e avvalendosi, quando ritenuto necessario, del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la rispondenza e lefficacia delloggetto di cui si chiede lomologazione alle prescrizioni stabilite dal presente regolamento, e ne omologa il prototipo quando gli accertamenti abbiano dato esito favorevole. Linteressato è tenuto a fornire le ulteriori notizie e certificazioni che possono essere richieste nel corso dellistruttoria amministrativa di omologazione e acconsente a che uno dei prototipi resti depositato presso lIspettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale.” 

Negli anni il mancato deposito del prototipo per l’omologazione non ha mai condotto a pronunce di condanna gravi. In genere le motivazioni del mancato deposito sono riconducibili a problemi di gestione e di custodia dei luoghi di deposito del ministero. C’è poi chi ritiene che le varianti di un modello che configurano meri aggiornamenti del software non rilevanti non andrebbero depositate. A complicare il quadro della questione ci sono poi due voti del Consiglio superiore dei lavori pubblici in cui si afferma che il prototipo comprende la strumentazione i documenti relativi alla parte che non può essere depositata fisicamente.

avvocato trascurato abbandono difesa

Avvocato “trascurato”: è abbandono della difesa Cassazione a Sezioni Unite: abbandono della difesa, illecito disciplinare che comporta la violazione di diversi principi sanciti dalle norme deontologiche

Abbandono della difesa: plurimi i principi violati

L’ingiustificato abbandono della difesa è una condotta a cui consegue la violazione di plurimi e fondamentali principi deontologici: il diligente adempimento del mandato (articolo 26), il dovere di probità e dignità (articolo 9), il dovere di fedeltà (articolo 10) e il dovere di coscienziosa diligenza (articolo 12). Lo hanno chiarito le sezioni unite della Cassazione nella sentenza n. 20877-2024.

Abbandono della difesa per l’avvocato che salta due udienze

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina competente per territorio dispone la sanzione disciplinare della censura nei confronti di un avvocato. Il legale ricorre al CNF che però respinge il ricorso.

L’avvocato è incolpato di aver violato gli articoli 1, 10, 12 e 26 comma 3 del Codice Deontologico Forense perché dapprima ha assunto l’incarico di difensore di un privato, poi però non ha adempiuto fedelmente al proprio incarico. Il professionista non avrebbe preso parte ad alcuna udienza, trascurando in questo modo gli interessi del suo assistito.

Le accuse mosse all’avvocato

L’avvocato è accusato di aver abbandonato la difesa del suo assistito, imputato in un processo penale, non prendendo parte a due udienze. Il CNF ha concluso infatti che:

  • l’avvocato ha avuto conoscenza, a mezzo notifica, della data delle due udienze penali disertate;
  • lo stesso non può invocare l’errore inevitabile per il fatto di aver assunto la difese del cliente in due processi con imputazioni diverse, ma con un tratto comune a entrambi;
  • per integrare l’illecito disciplinare è sufficiente la suitas della condotta, non essendo necessario dimostrare la consapevolezza della illegittimità delle proprie azioni;
  • la censura è una sanzione corretta perché prevista per la violazione dell’art. 26 comma 3 del Codice Deontologico;
  • non rileva la nomina successiva dell’avvocato da parte dello stesso cliente per scontare la pena in forma alternativa.

Il ricorso in Cassazione

L’avvocato nel ricorrere in Cassazione contro la decisione del CNF nel primo motivo evidenzia la possibilità di richiedere la sospensione della esecutorietà della decisione nel ricorso, non essendo necessario proporla in forma autonoma.

Con il secondo motivo invece lamenta la violazione dell’art. 26 comma 3 del Codice deontologico evidenziando che il mero errore non integrerebbe la colpa, di cui non sussiste prova alcuna. Il legale sottolinea inoltre come la trascuratezza di cui è stato accusato non avrebbe cambiato l’esito del giudizio penale del suo assistito. La responsabilità per colpa lieve che gli è stata addebitata avrebbe potuto assumere rilievo solo sotto il profilo civilistico, non deontologico.

Per il difensore la trascuratezza non integra quindi l’illecito disciplinare previsto dall’art. 26 comma 3 del Codice deontologico.

Abbandono della difesa e violazioni deontologiche

La Cassazione rigetta il ricorso precisando che il Codice Deontologico non ha carattere normativo. Esso è composto da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono dati per dare attuazione ai valori che caratterizzano la professione e per garantire la libertà, la sicurezza e l’inviolabilità della difesa. La violazione del Codice  Deontologico rileva in sede giurisdizionale solo quando è ricollegabile all’incompetenza, all’eccesso di potere o alla violazione di legge come previsto dall’articolo 56 comma 3 del r.d.l n. 1578/1933.

Nessuno di questi vizi però è stato riscontrato in relazione ai motivi di impugnazione del secondo motivo. La coscienza e la volontà sono nel dominio anche solo potenziale dell’azione o dell’omissione. Vi è quindi una presunzione di colpa per l’atto sconveniente vietato a carico di chi lo commette. Spetta all’accusato dimostrare l’errore inevitabile, non superabile con l’uso della normale diligenza oppure il sopravvenire di una causa esterna. Non è invece configurabile l’imperizia incolpevole perché il professionista legale è tenuto a conoscere il sistema delle fonti. Anche per quanto riguarda l’entità della trascuratezza riscontrata dal giudice disciplinare la Cassazione esclude la sussistenza del vizio censurabile.

La responsabilità deontologica dell’avvocato

L’articolo 26 del Codice Deontologico forense al comma 3 dispone “Costituisce violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita.” L’avvocato si è reso responsabile di mancata assistenza e difesa nel procedimento. Il giudizio sulla trascuratezza spetta all’organo disciplinare e non è sindacabile in sede di Cassazione. Non rileva, come sostenuto dall’avvocato ricorrente, che l’azione non porti a conseguenze pregiudizievoli per il cliente. Tale affermazione è del tutto estranea alla formulazione della norma e ai principi di decoro e dignità della professione forense. Privo di fondamento è anche il motivo con cui il ricorrente ha contestato la sanzione applicata. La sentenza impugnata ha spiegato che lingiustificato abbandono della difesa lede diversi e fondamentali principi deontologici:

  • il diligente adempimento del mandato (articolo 26);
  • il dovere di probità e di dignità (articolo 9);
  • il dovere di fedeltà (articolo 10);
  • il dovere di coscienziosa diligenza (articolo 12).

Insindacabile il giudizio sulla gravità della condotta espresso dal giudice disciplinare.

 

Vedi tutti gli articoli della categoria professioni

Allegati

decreto salva casa

Decreto Salva casa: legge in vigore In vigore dal 28 luglio 2024 la legge di conversione del decreto “Salva casa” pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 27 luglio - Il testo coordinato con le modifiche

Decreto Salva casa, legge in GU

Il decreto “Salva casa” in vigore dal 30 maggio 2024 ha concluso il suo iter di conversione in legge. Il disegno di legge con modificazioni per la conversione del dl-69-2024 recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica” dopo l’approvazione della Camera ha ricevuto il sì definitivo del Senato il 24 luglio.

Diverse le novità introdotte nei passaggi parlamentari (vedi il Dossier della Camera sulla conversione del Dl salva-casa).

Vediamo che cosa prevede la nuova legge-105-2024, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 27 luglio (insieme al testo coordinato con le modifiche) e in vigore dal 28 luglio 2024.

Sottotetti recuperabili

Per incentivare l’offerta abitativa, senza occupare nuovo suolo, si prevede la possibilità di recuperare i sottotetti  nei limiti e nel rispetto delle procedure dettate dalle leggi regionali anche qualora le opere di recupero non consentano di rispettare le distanze minime tra gli edifici e dai confini. Il tutto però deve avvenire nel rispetto delle seguenti condizioni:

  • rispetto dei limiti di distanza che erano vigenti quando è stato realizzato l’immobile;
  • divieto di apportare modifiche alla superficie e alla forma del sottotetto come delimitato dalle pareti del perimetro;
  • rispetto dell’altezza massima dell’immobile prevista dal titolo che ha previsto la costruzione dell’edificio.

Vedi Dossier ANCE “Sottotetti: le discipline sul territorio

Aumentano le opere in edilizia libera

Attraverso alcune modifiche al D.P.R 380/2001 “Testo Unico dell’edilizia” aumentano le opere rientranti nell’edilizia libera, che possono essere eseguite quindi senza alcun titolo abilitativo:

  • installazione di vetrate panoramiche amovibili e trasparenti (VEPA) ai porticati per proteggere l’immobile dagli agenti atmosferici, migliorare le prestazioni acustiche ed energetiche, ridurre la dispersione termica e impermeabilizzare, anche solo in parte, dalle acque piovane dei balconi aggettanti;
  • strutture fisse per sostenere le opere destinate alla protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, come le tende, le tende da sole, le tende da esterno e a pergola con telo retrattile, con elementi di protezione solare o regolabili purché dette strutture non creino spazi chiusi in modo stabile, abbiano caratteristiche, anche estetiche, poco impattanti visivamente e risultino armoniose rispetto alle linee architettoniche precedenti.

Strutture amovibili Covid senza limiti di tempo

Alcune disposizioni sono finalizzate inoltre a mantenere in modo permanente le strutture amovibili che sono state realizzate per finalità sanitarie, assistenziali ed educative durante l’emergenza sanitaria da Covid-19.

Stato legittimo degli immobili e delle unità immobiliari

Lo stato legittimo dell’immobile non dipende più dalla coesistenza del titolo che ha permesso la costruzione dell’immobile e di quello che ha legittimato l’ultimo intervento che ha riguardato l’edificio per intero e a condizione che in sede di rilascio l’amministrazione abbia verificato la legittimità dei titoli precedenti.

E’ sufficiente quindi la sussistenza di uno dei due titoli, integrati da titoli successivi che abbiano abilitato le opere. Tra i titoli idonei a stabilire lo stato legittimo dell’immobile il decreto comprende alcune sanzioni pagate perché ad esempio sono stati realizzati interventi difformi dal permesso di costruire od opere di ristrutturazione effettuate senza il permesso di costruire o in modo totalmente diverso da quanto previsto dallo stesso.

In relazione ai condomini, per la dimostrazione dello stato di legittimità delle singole unità non rilevano le difformità sulle parti comuni dell’edificio indicate dall’articolo 1117 c.c ossia quelle necessarie per l’uso comune, quelle destinate a parcheggio, i locali per i servizi comuni e le opere, le installazioni e i manufatti destinati all’uso comune. Per dimostrare lo stato legittimo dell’intero edificio non rilevano invece le difformità delle singole unità abitative.

Destinazione d’uso di singole unità

Ammessi i mutamenti di destinazione d’uso delle singole unità immobiliari con o senza opere se rientrano nella stessa categoria funzionale, purché rispettosi della normativa vigente di settore. I Comuni possono comunque stabilire condizioni specifiche attraverso i propri strumenti urbanistici. Per quanto riguarda le unità situate al piano terra o seminterrato il cambio di destinazione d’uso deve rispettare la normativa regionale.

Tolleranze costruttive per le opere realizzate entro il 24.05.2024

Introdotte deroghe, anche in misura percentuale, alle misure indicate dal titolo abilitativo e che riguardano l’altezza, la cubatura, i distacchi, la superficie coperta e altri parametri.

Nel computo della superficie utile per applicare le deroghe si tiene conto solo di quella approvata con il titolo edilizio che ha autorizzato l’intervento, al netto dei frazionamenti eseguiti nell’immobile o nelle unità nel corso del tempo.

Agibilità: requisiti minimi di altezza e superficie

Il certificato di agibilità può essere rilasciato se l’immobile presenta:

  • un’altezza minima interna di 2,40 metri;
  • una superficie minima di 20 metri quadrati per una persona;
  • una superficie minima di 28 metri quadrati per due persone.

La conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie richiede che sia soddisfatta anche una delle seguenti condizioni:

  • i locali devono far parte di edifici soggetti a recupero e miglioramento edilizio degli aspetti igienico sanitari;
  • contestualmente viene presentato un progetto di ristrutturazione per garantire condizioni idonee dal punto di vista igienico sanitarie, ottenibili tramite una superficie maggiore dell’alloggio, una adeguata ventilazione naturale, sistemi di ventilazione naturali di supporto e risconti d’aria trasversali.

Vajont: certificati di agibilità e abitabilità più facili

Per le unità immobiliari e gli edifici che sono stati costruiti grazie agli aiuti previsti dalla legislazione nazionale nelle zone colpite dalla tragedia del Vajont, il decreto prevede che il rilascio del certificato di collaudo, di regolare esecuzione o l’accertamento dello stato dei lavori in base ai quali è stata riconosciuta la rata a saldo del contributo,  sostituisca a tutti gli effetti il certificato di agibilità o di abitabilità, a condizione che le opere risultino rispettose della normativa vigente al tempo della loro realizzazione.

Leggi anche Veranda abusiva: si può sanare?

matrimonio breve niente mantenimento

Matrimonio breve? Niente mantenimento Per la Cassazione, la breve durata del matrimonio deve essere valutata per stabilire la spettanza del diritto e quantificare l’assegno di mantenimento

Durata matrimonio e assegno di mantenimento

Se il matrimonio è di breve durata l’assegno di mantenimento può non spettare al coniuge richiedente. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 20507-2024. 

La vicenda

La vicenda nasce nell’ambito di un giudizio di separazione giudiziale relativa a un rapporto coniugale da cui non sono nati i figli. La Corte d’Appello respinge l’impugnazione del marito gravato dal dover contribuire al mantenimento della moglie corrispondendo un assegno mensile di 3000 euro. Respinta la richiesta del marito di addebito della separazione alla moglie la Corte conferma il mantenimento in favore della donna alla luce dello squilibrio economico delle parti.

L’uomo nel ricorrere in Cassazione solleva quattro motivi di doglianza, tra i quali assume particolare rilievo e interesse il terzo, con il quale invoca la nullità della sentenza per l’omesso esame di due fatti storici decisivi come la breve durata del matrimonio e la giovane età della richiedente, al fine di stabilire la spettanza e il quantum dell’assegno di mantenimento.

Esclusione diritto al mantenimento

La Cassazione dichiara inammissibile il primo, il secondo e il quarto motivo sollevati dal ricorrente, accoglie invece il terzo perché fondato.

Sull’assegno di mantenimento conseguente alla separazione la Cassazione a Sezioni Unite, nella pronuncia n. 32914/2022 ha osservato che “La separazione personale tra i coniugi non estingue il dovere reciproco di assistenza materiale, espressione del dovere, più ampio, di solidarietà coniugale, ma il venir meno della convivenza comporta significativi mutamenti:

  1. a) il coniuge cui non è stata addebitata separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento, qualora non abbia mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacita concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato, che può essere liquidato in via provvisoria nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 708 del codice di procedura civile;
  1. b) il coniuge separato cui è addebitata la separazione perde, invece, il diritto al mantenimento e può pretendere solo la corresponsione di un assegno alimentare se versa in stato di bisogno”. 

Ai fini della corresponsione dell’assegno di mantenimento rileva anche la durata del matrimonio, anche se la Cassazione fino al 2017 ha circoscritto questo profilo alla quantificazione dell’assegno di mantenimento.

Con pronunce successive a questa data però la Corte ha stabilito che la breve durata del rapporto coniugale, se da una parte non esclude automaticamente il diritto all’assegno, dall’altra può non instaurare una comunione spirituale e materiale tra i coniugi. In queste ipotesi può quindi rappresentare una causa di esclusione del diritto al mantenimento.

La decisione

La decisione impugnata dal marito in effetti non ha preso in considerazione la durata estremamente breve del rapporto coniugale sotto il profilo della spettanza e della quantificazione, anche se in sede di merito era stato accertato che la donna si era allontanata dalla casa coniugale a pochi mesi dal matrimonio. La sentenza va quindi cassata affinché la Corte d’appello riesamini la decisione alla luce dei principi suddetti relativi al mantenimento conseguente alla separazione, tra i quali assume rilievo la breve durata del matrimonio.

Leggi le notizie sul diritto di famiglia

Allegati