bonus spesa 2025

Bonus spesa 2025: cosa c’è da sapere Il Bonus spesa 2025 è una misura che potrebbe essere inserita nella legge di bilancio di cui però non si hanno conferme

Bonus spesa 2025: un aiuto per le famiglie

Il governo italiano ha intenzione di introdurre un nuovo bonus spesa 2025 da 1.000 euro, riservato alle famiglie in difficoltà economiche. Questa misura, che potrebbe entrare in vigore nel 2025, mira a sostenere chi fatica a sostenere le spese quotidiane, in un periodo come questo, caratterizzato da un alto costo della vita. Non esistono tuttavia documenti ufficiali che confermano questa misura di cui tutti parlano. E’ bene precisare in ogni caso che si tratta di una misura nuova, da non confondere con bonus similari come la Carta dedicata a te per famiglie con ISEE inferiori ai 15.000 euro o con la Carta Acquisti riservata agli ultra 65enni e ai genitori di bimbi di età inferiore ai tre anni.

Bonus spesa: a chi spetta

Dalle poche notizie che si hanno sulla misura, per accedere al bonus, i nuclei familiari dovranno soddisfare i seguenti requisiti:

  • unico reddito familiare;
  • ISEE inferiore a 10.000 euro;
  • minori a carico.
  • almeno uno dei genitori disoccupato;
  • residenza in una regione ad alto tasso di disoccupazione.

Domanda: come presentarla

Chi è interessato al bonus deve presentare la domanda online. A tal fine il richiedente deve:

  • accedere al sito dell’INPS, utilizzando le credenziali SPID, CIE o CNS;
  • compilare il modulo di richiesta predisposto.

I soggetti che non hanno dimestichezza con la tecnologia possono chiedere assistenza per l’invio della domanda ai Caf. La scadenza per presentare la domanda sembra essere fissata, per il momento, a febbraio 2025.

Erogazione bonus spesa 2025: come funziona

Il bonus spesa 2025 potrebbe essere erogato nelle solite modalità:

  • tramite il rilascio di una carta elettronica precaricata con l’importo del bonus;
  • accreditando l’importo direttamente sul conto bancario del beneficiario;
  • riconoscendo dei bonus digitali spendibili presso gli esercizi commerciali che aderiranno all’iniziativa.

Erogazione: decorrenza

Il bonus dovrebbe essere disponibile a partire da gennaio 2025 fino al febbraio dello stesso anno. Il governo però potrebbe decidere di prorogare la misura dopo averne valutato l’effettiva necessità.

Importo e scadenza

Come anticipato, per il momento l’importo massimo del bonus non dovrebbe superare i 1.000 euro, anche se lo stesso potrebbe essere commisurato all’ISEE del singolo nucleo familiare.

Prima di inoltrare la domanda sarà necessario verificare di essere in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla legge.

Il bonus spesa 2025 potrebbe rappresentare un sostegno importante per le famiglie in difficoltà economica. Grazie a questa misura, molte famiglie potranno infatti affrontare serenamente le spese quotidiane, migliorando la propria qualità di vita.

 

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convocazione via whatsapp

Convocazione via WhatsApp: delibera condominiale annullabile Convocazione via WhatsApp all’assemblea condominiale: annullabile la delibera adottata, i messaggi sono informali e con valore preparatorio

Convocazione via WhatsApp: annullabile la delibera adottata

La convocazione via WhatsApp all’assemblea condominiale rende annullabile la delibera assunta. Questa modalità di convocazione viola l’articolo 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile. La norma prevede infatti che la convocazione debba essere effettuata solo a mezzo posta raccomandata, pec, fax o consegna a mano. Lo ha chiarito il Tribunale di Avellino nella sentenza n. 1705/2024.

Impugnazione delibera nomina nuovo amministratore

La proprietaria di un’unità immobiliare impugna una delibera assembleare, chiedendo al giudice di dichiararne la nullità/annullabilità.

La donna riferisce di essere venuta conoscenza della nomina del nuovo amministratore avvenuta con delibera del 20 novembre 2023 tramite convocazione ricevuta in data 03 gennaio 2024. La stessa contesta la validità della suddetta delibera di nomina in quanto tenutasi in modo del tutto illegittimo. Questo perchè la convocazione degli aventi diritto non è avvenuta nei modi previsti dalla legge.

Annullabile o nulla la delibera condominiale

In giudizio la donna contesta la legittimità e l’efficacia della delibera assembleare per il mancato rispetto delle regole di convocazione previste dall’articolo 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Fa presente al riguardo che i condomini hanno provveduto legittimamente all’auto

convocazione per la nomina del nuovo amministratore, tramite il modulo predisposto e consegnato da uno di loro all’amministratore dimissionario. La convocazione dell’assemblea fissata per il 19/20 novembre 2023 però è stata inoltrata ai condomini a mezzo WhatsApp.

Questo metodo di comunicazione è stato utilizzato anche per concordare la data dell’assemblea del 20 novembre 2023, a cui l’amministratore non ha preso parte, perchè affetto da Covid, tanto che l’assemblea è stata rinviata.

Per il convenuto le richieste della condomina devono essere respinte perché la delibera impugnata di fatto è stata sostituita da quella successiva del 22 marzo 2024 avente lo stesso oggetto di quella contestata in giudizio.

Informale e preparatoria la convocazione con WhatsApp

Il Giudice ricorda prima di tutto che l’articolo 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile prevede che l’avviso di convocazione vada comunicato almeno 5 giorni prima della data dell’assemblea, per la prima convocazione e che lo stesso debba contenere tutta una serie di informazione necessarie a consentire ai singoli condomini di partecipare con cognizione di causa.

Per quanto riguarda le modalità di convocazione dell’assemblea lo stesso articolo stabilisce che debba essere comunicata ai condomini a mezzo raccomandata, fax, pec o consegna a mano.

Nel caso di speciele comunicazioni intervenute tra le parti mediante l’applicativo di messaggistica WhatsApp sono da considerarsi informali e di natura meramente preparatoria e non certo idonee a determinare una legittima convocazione dell’assemblea condominiale. I messaggi prodotti hanno tutti carattere preliminare; tutti fanno riferimento ad una successiva convocazione formale che poi non c’è stata, quanto meno con riferimento all’opponente.”

Questa modalità di comunicazione non garantisce la certezza della ricezione del messaggio. Essa non è un mezzo di comunicazione ufficiale come la pec o la raccomandata. Non c’è prova agli atti della convocazione ufficiale dei condomini all’assemblea del 20 novembre 2023. Vero però che la delibera successiva del 22 marzo 2024 avente il medesimo ordine del giorno di quella impugnata la sostituisce. Questo determina il venir meno dell’interesse della ricorrente all’impugnazione e la cessazione della materia del contendere.

 

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testamento no interpretazione

Testamento: no all’interpretazione troppo “tecnica” No a un’interpretazione troppo tecnica del testamento, occorre valutare cultura, mentalità e ambiente di vita del de cuius

Disputa tra eredi e interpretazione del testamento

Testamento, no a un’interpretazione troppo “tecnica”, quando si deve individuare la volontà espressa dalla de cuius. Si deve andare oltre il dato letterale se si vogliono rispettare i veri desideri della testatrice. A tal fine è necessario tenere conto anche della sua cultura, della sua mentalità e dell’ambiente in cui è vissuta. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 26951/2024.

Riparto delle quote tra eredi come da supplemento della CTU

Gli eredi testamentari di una donna agiscono in giudizio affinché il giudice dichiari la validità di tre schede testamentarie redatte dalla de cuius. Gli stessi chiedono anche l’accertamento, la dichiarazione di apertura della successione e lo scioglimento della comunione ereditaria per procedere alla formazione del progetto divisionale e all’attribuzione a ciascuno della quota spettante.

Gli attori nell’agire in giudizio contestano all’esecutore di aver svincolato dei buoni fruttiferi per pagare il premio unico di una assicurazione. Gli stessi criticano poi la condotta del nipote, unico erede testamentario. Costui infatti avrebbe annullato una polizza, per mettere a sua disposizione la liquidazione e stipularne una nuova intestata a se stesso. Detta somma però, per gli attori, doveva essere restituita alla massa ereditaria e distribuita tra gli eredi.

Il giudice di primo grado stabilisce che il riparto dell’eredità debba avvenire nel rispetto delle quote indicate nel supplemento della CTU. La decisione viene appellata, ma la Corte respinge l’appello. Si giunge così in sede di Cassazione.

Errata l’interpretazione troppo tecnica del giudice di primo grado

Il ricorrente solleva 5 motivi di doglianza, lamentando in sostanza l’errata interpretazione delle disposizioni testamentarie e la conseguente errata attribuzione delle quote della de cuius.

La Cassazione, tra tutti i motivi sollevati, accoglie solo il secondo perché fondato. Dichiara invece infondati il quarto e il quinto, inammissibili il primo e il terzo.

Per verificare però la fondatezza del secondo motivo gli Ermellini fanno riferimento alla quarta censura in appello. In questa censura l’appellante ha contestato al giudice di primo grado l’errata applicazione delle norme sull’interpretazione del testamento.

Occorre andare oltre il significato delle parole

Per l’appellante, nel rispetto della volontà della testatrice, il giudice avrebbe dovuto andareoltre il significato letterale delle espressioni adoperate (logicamente non avrebbe senso pensare che il de cuius sia sempre un tecnico del diritto da cui si possa pretendere l’uso, con cognizione di causa, del linguaggio giuridico)” e di valorizzare, riconoscendo all’interprete ampia libertà d’indagine, una valutazione globale della volontà del de cuius, tenendo conto di elementi di carattere sia testuale che extratestuale“, come /a cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore medesimo.

Tenendo conto di questi elementi l’appellante ha fornito in effetti una diversa lettura delle schede testamentarie. D’altro canto il giudice  ha ignorato il rapporto particolare, anche di natura lavorativa, che legava l’appellante alla de cuius, così come la cultura modesta della donna, tutti elementi che avrebbero dovuto condurre a una lettura non troppo tecnica delle espressioni usate.

 

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settimana corta

Settimana corta: cosa prevede la proposta di legge Settimana corta: cosa prevede la proposta di legge che vuole ridurre l’orario di lavoro settimanale per portarlo da 40 a 32 ore

Settimana corta: la pdl alla Camera

La settimana corta è confluita nel testo base della proposta di legge n. 2067 presentata alla Camera dei deputati. Il testo presentato il 1° ottobre su iniziativa dei deputati Fratoianni, Conte, Bonelli, Schlein e altri vuole favorire la stipulazione di contratti di lavoro con orari di lavoro ridotti. La proposta però non sta incontrando il favore della maggioranza di Governo. Il centrodestra  avrebbe presentato infatti una proposta interamente soppressiva.

Settimana corta: ratio della proposta di legge

Il testo nasce dalle istanze degli operai, che da più di un secolo chiedono uno stipendio più elevato a fronte di una riduzione delle ore di lavoro. Una richiesta che si scontra con le esigenze crescenti di produzione favorite anche dallo sviluppo della tecnologia.

In Italia la flessibilità necessaria a coniugare il lavoro con la vita privata sembra un sogno irraggiungibile ormai da decenni. Il prodotto del lavoro aumenta, non le retribuzioni. In Italia i lavoratori lavorano in media più ore rispetto a quello che accade in molti paesi dell’Unione Europea. I dati rivelano che in Italia non è infrequente che le ore lavorate settimanalmente siano superiori a 40.

C’è poi il lavoro part-time, destinato quasi esclusivamente alle donne e che raramente è una scelta, considerato che lo stipendio è notevolmente più basso delle retribuzioni di coloro che lavorano a tempo pieno. Alla disparità lavorativa di genere si aggiunge quella generazionale. Gli interventi finalizzati a contenere il costo del lavoro non hanno avuto riflessi positivi sulle retribuzioni. Per non parlare dei fenomeni di sfruttamento lavorativo e  della disoccupazione, soprattutto giovanile.

Vantaggi della settimana corta

Durante il lockdown alcuni paesi europei hanno sperimentato nuove modalità organizzative del lavoro. L’idea dei 4 giorni di lavoro settimanali però è nata grazie a un esperimento risalente agli anni 2015 e 2016, che ha portato benefici ai lavoratori senza conseguenze negative sulla produttività. Questo esempio è stato seguito in diversi paesi di tutto il mondo con risultati sorprendenti. In Italia alcune aziende stanno sperimentando la settimana corta, altre si dimostrano interessate a sperimentarla.

La settimana corta potrebbe avere effetti favorevoli sulla produttività, la qualità del lavoro, l’occupazione, la riduzione dello stress, la vita individuale e sociale dei lavoratori, l’organizzazione del lavoro, la concorrenza tra le imprese, l’aumento della domanda di beni e servizi, il rapporto tra capitale e lavoro, l’equilibrio di genere, i consumi e sui costi legati al pendolarismo e al carburante.

Organizzazione del lavoro con riduzione a 32 ore settimanali

Il testo della proposta di legge è composto da 7 articoli. L’articolo 1 che descrive le finalità della proposta e precisa che, per conciliare i tempi della vita con quelli del lavoro e perseguire le altre finalità descritte nella norma, si favoriscono i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali che definiscano modelli organizzativi finalizzati a ridurre lorario di lavoro fino a 32 ore settimanali.

Incentivi per la riduzione dell’orario di lavoro

Per incentivare la riduzione dell’orario di lavoro la proposta prevede l’esonero dal versamento del 30% contributi, per i 3 anni successivi all’entrata in vigore della legge, in proporzione alla riduzione oraria. Esonero che sale al 50% per i datori delle piccole e medie imprese. Il beneficio non è previsto per il lavoro agricolo e domestico.

Fondo per la riduzione dell’orario di lavoro

Il Fondo nuove competenze diventa il Fondo nuove competenze, riduzione dell’orario di lavoro, Nuove forme di prestazione lavorativa. La dotazione è incrementata di “50 milioni di euro per l’anno 2024 e di 275 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026″ per incentivare la stipula di contratti collettivi che contemplino la riduzione dell’orario di lavoro.

Osservatorio Nazionale sull’orario di lavoro

La proposta prevede l’istituzione, presso l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, dell’ Osservatorio nazionale sull’orario di lavoro, presieduto dal Ministro del lavoro. L’Osservatorio dovrà:

  • monitorare gli effetti dei contratti che prevedono la riduzione oraria del lavoro;
  • valutare l’efficacia della formazione e riqualificazione delle aziende che applicano i contratti con orario ridotto;
  • monitorare e valutare l’impatto degli investimenti in nuove tecnologie nelle imprese che applicano orari di lavoro ridotti.

Referendum proposta contrattuale settimana corta

In assenza di contratti collettivi che prevedano la riduzione orario del lavoro, le rappresentanze sindacali territoriali che aderiscono a quelle maggiormente rappresentative a livello nazionale potranno presentare proposte di contratto per la riduzione dellorario di lavoro. Il personale dovrà approvare la proposta contratto entro 90 giorni dalla comunicazione con un referendum. La proposta si considera approvata se si esprime a favore la maggioranza dei dipendenti. Il referendum negativo non impedisce di ripresentare la proposta decorsi 180 giorni.

Orario di lavoro: rideterminazione

Decorsi tre anni dall’entrata in vigore della legge, alla luce delle analisi dell’Osservatorio e acquisto il parere delle Commissioni parlamentari competenti, la durata dell’orario di lavoro normale dei contratti collettivi è determinata in misura inferiore alle attuali 40 ore settimanali.

Nei settori i cui contratti abbiano previsto la riduzione dell’orario per almeno 20% dei lavoratori, la rideterminazione dell’orario ridotto è prevista in misura non inferiore al 10%.

 

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opere abusive al comune

Opere abusive al Comune se l’ordine di demolizione non è eseguito entro 90 giorni Acquisizione comunale delle opere costruite abusivamente se l’ordine di demolizione non è stato ottemperato nel 90 giorni dalla notifica 

Acquisizione comunale se ordine di demolizione non è eseguito

Opere abusive al comune se l’ordine di demolizione non viene eseguito entro 90 giorni dalla notifica. Questo quanto emerge dalla sentenza n. 37948/2024 della Corte di Cassazione. Nella motivazione, precisazioni sulle caratteristiche dell’ordine di demolizione e dei suoi rapporti con alcuni provvedimenti amministrativi e giurisdizionali.

Ordine di demolizione eseguito in ritardo: acquisizione comunale

Il Tribunale territoriale revoca l’ordine di demolizione disposto con sentenza del Pretore per opere abusive. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ricorre in Cassazione contro la sentenza. Nell’impugnazione sottolinea lavvenuta acquisizione comunale delle opere a causa del mancato rispetto dellordine di demolizione entro il termine di 90 giorni dalla notifica. Il permesso di costruire in sanatoria rilasciato in relazione alle opere stesse è quindi illegittimo perché rilasciato dopo l’acquisizione comunale.

I fatti e la vicenda processuale

Nel 1997 il Pretore accerta la realizzazione di alcune opere abusive compiute nel gennaio 1995 in violazione di due titoli edilizi del 1994. Alla sentenza segue l’ordinanza sindacale di demolizione. A questa sopravviene un’istanza di condono delle opere, prima della maturazione dei 90 giorni entro i quali ottemperare l’ordine demolitorio.

Nel 1998 interviene il condono edilizio, ma solo per alcune opere. Nel 2001 si accerta che le opere abusive non sono ancora state demolite. Si provvede quindi a notificare al proprietario la distinta ingiunzione di demolire della Procura. Il proprietario nell’aprile del 2001 per alcune opere presenta istanza di sanatoria e a queste segue la concessione edilizia. Viene quindi avviato un procedimento d’annullamento in autotutela della precedente concessione perché la stessa è stata rilasciata dopo i 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza del 1994 e dopo l’ingiunzione a demolire o ripristinare.

Mancata ottemperanza dell’ordine di demolizione

La Cassazione accoglie il ricorso del Procuratore e annulla la decisione di revoca dell’ordine di demolizione disposto da oltre vent’anni e mai eseguito. Alla luce dei fatti descritti la Cassazione rileva prima di tutto che nel gennaio 1995 è stato emesso un ordine di demolizione, che non è stato ottemperato. Nel 1998 alcune opere sono state condonate, ma decorsi i 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione, il  provvedimento non risulta ancora ottemperato.

Ne consegue la acquisizione di diritto al patrimonio comunale dell’opera perché nonostante il decorso di 90 giorni dalla notifica del provvedimento di demolizione, l’ordine non è stato eseguito. Non rileva ai fini della acquisizione comunale l’ingiunzione a demolire della Procura del 2001.

Ordine di demolizione: profili, natura e finalità

La Cassazione si addentra quindi nell’analisi dell’ordine di demolizione per motivare al meglio la sua decisione.

A tal fine afferma prima di tutto che “l’ordine di demolizione delle opere abusive, emesso con la sentenza passata in giudicato, può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione.”

Per gli Ermellini è quindi necessario precisare i profili dell’ordine di demolizione, che nel caso di specie è stato revocato e quali sono gli atti di altre autorità che possono venire in contrasto con lo stesso.

L’ordine di demolizione è un provvedimento che viene adottato dal giudice penale quando emette sentenza di condanna per il reato previsto dall’art. 44 del DPR  n. 380/2001, sempre che le opere non siano già state demolite.

Questo provvedimento presuppone quindi la condanna penale per abuso edilizio accertato giudizialmente. L’ordine però non può essere disposto per qualsiasi abuso, ma solo per le opere edilizie costruite in totale difformità del permesso di costruire.

La Cassazione precisa poi che l’ordine di demolizione ha natura sanzionatoria amministrativa. Esso infatti non persegue finalità punitive e produce effetti nei confronti del soggetto che è in rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso.

Esso persegue la finalità di ripristinare la legalità violata. L’ordine infatti persiste anche se interviene la morte del reo. Esso inoltre  è una misura ad rem, che non si prescrive. 

Revocabilità e rapporti con provvedimenti giurisdizionali amministrativi

Questo provvedimento è revocabile solo quando “risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività.”

Questo tema per la Cassazione impone di esaminare i rapporti tra l’esecuzione dell’ordine di demolizione e le decisioni dell’autorità giurisdizionale amministrativa. In particolare rileva il rapporto tra giudicato penale e amministrativo “nella misura in cui involga, in particolare, il tema della abusività della medesima opera” dal cui esame emerge che: “non ogni tipo di decisione del giudice amministrativo può incidere sull’ordine di demolizione adottato dal giudice penale, con sentenza di condanna irrevocabile. Ma solo quelle che abbiano esaminato li profilo di abusività di un intervento” e non si siano limitate a valutazioni procedurali, come quella che il giudice dell’esecuzione ha valorizzato nel caso di specie, per revocare l’ordine di demolizione.

Quest’ultimo infatti ha preso in considerazione le due pronunce con cui il Tar “in ragione del lungo lasso di tempo intercorso dalla sanatoria all’auto-annullamento della stessa e della assente esplicazione di un interesse pubblico prevalente a base dell’auto-annullamento esercitato dal Comune, ha annullato i provvedimenti di annullamento in autotutela adottati dal Comune in relazione alle opere interessate dal predetto ordine ex art. 31 cit. qui in esame. Si è trattato, infatti, di una decisione estranea ad ogni profilo di merito degli abusi in questione, come tale inidonea a sancire un contrasto che, nei termini finora illustrati, possa giustificare la revoca o sospensione dell’ordine di demolizione ex art. 31 citato.”

Annullamento con rinvio

Si tratta di una decisione che evidentemente non riguarda la sostanza dell’abuso e che trascura la natura ripristinatoria dell’ordine di demolizione, che giustifica l’assenza di un termine di prescrizione.  Da qui la decisione degli Ermellini di annullare l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi sanciti.

 

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spid obbligatorio

Spid obbligatorio per accedere a siti porno e scommesse Spid obbligatorio dal 2025 per verificare l’età degli utenti che accedono a siti di contenuti pornografici, scommesse o giochi d’azzardo

Dal 2025 Spid obbligatorio per accedere a siti porno e scommesse

Dal 2025 Spid obbligatorio per verificare l’età degli utenti che accedono a siti pornografici, di giochi e di scommesse.

L’Agcom ha infatti  comunicato di aver approvato nel corso della seduta del 24 settembre 2024 uno schema di decreto per accertare la maggiore età di coloro che accedono a determinati contenuti online. Il provvedimento, ancora in bozza, contiene le linee guida per la tutela dei minori in attuazione di alcune disposizione contenute nel decreto Caivano. Si tratta infatti di contenuti potenzialmente dannosi per lo sviluppo psico fisico dei più giovani.

Spid obbligatorio, ma non solo

Il testo predisposto è il frutto della collaborazione di Agcom con diverse associazioni di consumatori, piattaforme e il Garante della Privacy.

Esso stabilisce che i siti di contenuto pornografico, così come quelli dedicati ai giochi d’azzardo e alle scommesse, saranno obbligati a verificare la maggiore età degli utenti che vi faranno accesso.

Per accertare che l’utente abbia compiuto effettivamente la maggiore età si potrà utilizzare lo Spid. Questo sistema di autenticazione però non è l’unico strumento utilizzabile.

Agcom infatti lascia liberi fornitori di scegliere il sistema di verifica dell’età degli utenti. Alcuni potrebbero utilizzare il futuro l’IT Wallet, altri la Carta di identità elettronica, già impiegata per accedere a molti servizi della Pubblica Amministrazione.

Il metodo utilizzato, qualunque esso sia, dovrà rispettare però la privacy e la sicurezza dell’utente.

E’ anche possibile che i fornitori sviluppino metodi propri come applicazioni o altro. L’importante, anche in questo caso, è che vengano rispettate le regole fissate da Agcom e dal Garante della Privacy.

Tutela del minore: Digital service Act

Il provvedimento, che deve essere ancora sottoposto al vaglio della Commissione Europea, attua in sostanza anche quanto previsto dal Digital Service Art ossia il Regolamento UE 2022/2065.

L’art 28 dedicato alla protezione online dei minori, dispone che i fornitori di piattaforme online a cui possono accedere i minori debbano adottare misure adeguate e proporzionate per tutelare la loro vita privata e la loro sicurezza. I fornitori non devono presentare nell’interfaccia pubblicità basate sulla profilazione, se sono consapevoli che l’utente destinatario del servizio è un minorenne.

L’articolo 35 invece, sull’attenuazione dei rischi, prevede che i fornitori di piattaforme online di grandi dimensioni debbano adottare misure di attenuazione dei rischi ragionevoli, efficaci e proporzionate, che devono comprendere, se opportuno “j) l’adozione di misure mirate per tutelare i diritti dei minori, compresi strumenti di verifica dell’età e di controllo parentale, o strumenti volti ad aiutare i minori a segnalare abusi o ottenere sostegno, a seconda dei casi.” 

Il Regolamento però tutela i minori anche nei considerando che fanno da premessa agli articoli.

Nel considerando n. 12 del Regolamento, ad esempio, tra le attività illegali che si possono compiere online compaiono anche  “la condivisione di immagini che ritraggono abusi sessuali su minori.”

Nel considerando n. 40 invece i minori sono tra i destinatari degli obiettivi di sicurezza e fiducia degli destinatari del servizio.

Si tratta di specificazioni del considerando n. 71 che tratta il tema specifico della tutela dei minori, precisando che: “I fornitori di piattaforme online utilizzate dai minori dovrebbero adottare misure adeguate e proporzionate per proteggere i minori, ad esempio progettando le loro interfacce online o parti di esse con il massimo livello di privacy, sicurezza e protezione dei minori per impostazione predefinita, a seconda dei casi, o adottando norme per la protezione dei minori, o aderendo a codici di condotta per la protezione dei minori.”

 

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coerede risponde dei debiti

Coerede risponde dei debiti solo per la sua quota Per la Cassazione, il coerede deve rispondere pro quota dei debiti del cuius in presenza di altri eredi o di un litisconsorzio

Coerede: risponde pro quota dei debiti del defunto

Il coerede deve rispondere dei debiti ereditari pro-quota o come litisconsorte in presenza di altri coeredi. Se però questa qualità sopravviene durante il processo introdotto nei confronti del de cuius tra i coeredi si realizza un litisconsorzio necessario. Deve quindi applicarsi l’art. 754 c.c, che prevede che ogni coerede risponda dei debiti nei limiti della propria quota ereditaria. Questo in sintesi il principio sancito dalla Cassazione nella sentenza n. 26833/2024.

Decreto ingiuntivo e pagamento pro quota a carico degli eredi

Una S.p.a chiede e ottiene un decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento pro-quota a carico degli eredi del debitore di 139.697,07 euro oltre interessi. La somma è dovuta a titolo di anticipazione su crediti in conto corrente per obbligazioni contratte dalla fallita S.n.c, dal suo amministratore e dal suo fideiussore.

Opposizione al decreto: coerede con beneficio di inventario

Gli eredi si oppongono al decreto, dichiarando di aver accettato l’eredità con beneficio di inventario. La S.p.a però, nel costituirsi in giudizio, chiede il rigetto delle opposizioni ed eccepisce che l’accettazione è intervenuta tardivamente, perché gli eredi erano già nel possesso dei beni. In ogni caso, anche qualora l’accettazione con beneficio sia intervenuta tempestivamente, gli eredi sono ormai decaduti dal beneficio. Gli stessi infatti non hanno iniziato la procedura nel termine dei tre mesi dal decesso, come previsto dalla legge.

Succede poi che nel corso del giudizio un altro debitore viene a mancare. Gli eredi portano avanti la causa con atto di costituzione volontaria, ma uno degli eredi rinuncia alla propria quota.

Il Tribunale istruisce la causa, accoglie in parte le opposizioni, revoca il decreto ingiuntivo opposto e condanna gli opponenti al pagamento della somma di 94.718,41 euro e della somma di euro 37.029,96 per sconto delle cambiali presentate. Gli eredi di uno dei debitori devono considerarsi accettanti l’eredità con beneficio di inventario perché non decaduti dallo stesso.

Appello: mancata notifica a tutti gli eredi

La società appella la decisione sollevando tre motivi di doglianza, ma gli eredi eccepiscono che l’appello non è stato notificato a tutti gli eredi dei debitori. La sentenza quindi deve considerarsi passata in giudicato nei confronti di questi eredi e l’effetto favorevole della limitazione di responsabilità derivante dal beneficio di inventario deve estendersi agli altri eredi. La corte d’appello però rigetta l’impugnazione e conferma integralmente la sentenza di primo grado.

Litisconsorzio necessario anche se ogni erede risponde pro quota

La società soccombente contesta la decisione della corte d’appello ricorrendo in Cassazione. La società con il primo motivo di impugnazione denuncia la violazione degli articoli 102 e 331 c.p.c per error in procedendo. La sentenza inoltre è nulla per omessa integrazione del contraddittorio e falsa applicazione dell’articolo 752 c.c. La Corte ha infatti escluso una situazione di litisconsorzio necessario, richiamando il principio secondo il quale ogni erede è tenuto a soddisfare i debiti ereditari pro quota anche se l’oggetto del contendere è rappresentato dall’accertamento della circostanza relativa alla qualità di erede puro e semplice o beneficiato. Dopo il decesso si è creata una situazione di litisconsorzio necessario. La corte d’appello però ha negato questa condizione in virtù del principio per il quale ogni erede risponde dei debiti pro quota, anche se l’oggetto del contendere è rappresentato dalla necessità di accertare le qualità di eredi puri e semplici (per aver proceduto tardivamente all’accettazione o per essere decaduti dal beneficio) o beneficiati.

Coerede obbligato pro quota

La Cassazione accoglie il primo motivo perché fondato. Assorbiti tutti gli altri.

Gli Ermellini precisano che il coerede convenuto in giudizio per il pagamento di un debito ereditario deve eccepire la propria qualità di obbligato pro-quota in presenza di altri coeredi. Qualora tale qualità sopravvenga nel corso di un processo introdotto in origine nei confronti del de cuius, tra i coeredi si instaura un litisconsorzio necessario processuale. Va quindi applicata la regola di quell’articolo 754 c.c. secondo la quale ciascuno degli eredi risponde nei confronti del creditore nei limiti della propria quota ereditaria. Nel caso di specie la morte di uno dei debitori si è verificata in corso di causa. Tale evento interruttivo ha determinato la trasmissione della legittimazione processuale attiva e passiva agli eredi, che si sono trovati in una posizione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali. In fase di appello doveva  essere ordinata d’ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti di chi non si era costituito nel giudizio di gravame a differenza degli altri eredi.

 

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bannati dai social

Bannati dai social? In arrivo l’Appeals Center Europe I bannati dai social come Facebook, Tik Tok e YouTube da dicembre potranno rivolgersi all’Appeals Center Europe

Per i bannati dai social arriva il Centro Europeo per le controversie

I bannati dai social potranno rivolgersi all’Appeals Center Europe, il Centro Europeo per le controversie. Questo organo di controllo dei social media, che sarà operativo da dicembre 2024, ha ricevuto l’ok per essere certificato come piattaforma dell’Unione Europea per la gestione dei reclami.

Il Centro dovrà esaminare le decisioni delle piattaforme e verificare la loro conformità alle politiche interne dei social e il rispetto contestuale dei diritti umani. All’inizio il Centro si occuperà di monitorare le dispute interne all’Unione Europea che riguarderanno You Tube, Facebook  e Tik Tok. Con il tempo però c’è l’intenzione di ampliare le competenze di questo organismo.  Il tutto in base a quanto previsto dal Digital Service Act, contenuto nel Regolamento Europeo 2022/2065.

Primo step: gestione interna dei reclami

L’utente bannato, infatti, ai sensi dell’articolo 20 del Regolamento UE, in prima battuta, può opporsi ad esempio al provvedimento di espulsione dalla piattaforma social, presentando un reclamo alla stessa. L’articolo 20 del Digital Service Act prevede infatti che i fornitori di piattaforme online forniscano ai destinatari del servizio, comprese le persone o gli enti che hanno presentato una segnalazione, per un periodo di almeno sei mesi dalla decisione di cui al presente paragrafo, l‘accesso a un sistema interno di gestione dei reclami efficace, che consenta loro di presentare per via elettronica e gratuitamente reclami contro la decisione presa dal fornitore della piattaforma online all’atto del ricevimento di una segnalazione o contro le seguenti decisioni adottate dal fornitore della piattaforma online.” 

Reclamo respinto: organismo extragiudiziale di risoluzione delle controversie

Il reclamo, una volta inoltrato, può essere accolto o respinto. In questo secondo caso l’utente ha un’altra possibilità per contestare la decisione. L’articolo 21 del Regolamento UE 2022/2065 prevede infatti che coloro che abbiano presentato segnalazioni e che siano stati destinatari delle decisioni assunte dal sistema interno di gestione dei reclami della piattaforma, possano rivolgersi a un organismo di risoluzione extragiudiziale delle controversie.

In questo modo l’utente può appellare la decisione che ha respinto il reclamo davanti a un organismo certificato.

La piattaforma potrà rifiutarsi di adire l’organismo se la controversia è già stata risolta.

L’utente però ha ancora una carta da giocarsi se in sede stragiudiziale il suo reclamo non viene preso in considerazione o respinto. Il comma 3 dell’art. 21 del regolamento prevede infatti che resta impregiudicato il diritto del destinatario del servizio in questione di avviare, in qualsiasi fase, procedimenti per contestare tali decisioni da parte dei fornitori di piattaforme online dinanzi a un organo giurisdizionale conformemente al diritto applicabile.”

 

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animali domestici e separazione

Animali domestici e separazione: senza accordo a chi spettano? Animali domestici e separazione: cosa accade in caso di mancato accordo? Chi e come decide il loro destino

In caso di separazione cosa succede agli animali domestici?

Animali domestici e separazione sono i due termini di un problema spesso difficile da risolvere. Quando una coppia si separa può litigare perché entrambi si contendono lo stesso animale o perché al contrario, nessuno dei due vuole assumersi gli stessi impegni del matrimonio una volta riacquistata la propria libertà. Cosa fare in questi casi? Tutto dipende dal percorso di separazione che le parti hanno deciso di intraprendere.

Separazione consensuale e animali domestici

Nel caso in cui i coniugi abbiano optato per una separazione consensuale, con l’assistenza dei loro avvocati e tanta buona volontà possono inserire nell’accordo anche le condizioni di assegnazione dell’animale domestico, la suddivisione delle spese di cura, mantenimento e dei compiti quotidiani di accudimento.

In questo caso il giudice non farà altro che omologare l’accordo e la questione, anche se modificabile, in futuro, può dirsi temporaneamente risolta.

Animali domestici e separazione giudiziale: la decisione al giudice?

Le cose cambiano quando la separazione è conflittuale e i coniugi sono protagonisti di una separazione giudiziale. In questo caso è molto difficile che il Tribunale prenda una posizione sugli animali domestici.

In Italia però ci sono stati dei Tribunali che hanno preso decisioni coraggiose su questo tema.

Il tribunale di Cremona ad esempio ha optato per l’affido condiviso di un cane e la conseguente suddivisione a metà delle spese per il mantenimento dell’animale.

Il Tribunale di Foggia invece ha stabilito l’assegnazione esclusiva di un cane a uno dei coniugi, riconoscendo all’altro un diritto di visita regolare.

Il Tribunale di Sciacca infine ha deciso di assegnare il gatto di casa a un coniuge e il cane a entrambi, senza tenere conto dell’intestazione risultante dal microchip.

In questa decisione il criterio discriminante è stata la valutazione della capacità dei soggetti  coinvolti di garantire il miglior sviluppo e le migliori condizioni di cura all’animale.

Animali domestici: l’affidamento segue l’interesse dei figli

Nel rispetto di quanto stabilito dal Codice civile in caso di separazione giudiziale, il Giudice potrebbe rifarsi però anche a un altro criterio per stabilire le sorti dell’animale domestico.

In una famiglia con figli gli animali spesso e volentieri vengono acquistati o adottati soprattutto se sono presenti dei bambini. Il Giudice deve quindi indagare, prima di tutto, quale tipo di rapporto lega l’animale di casa ai figli. Il Tribunale infatti quando assume le decisioni che riguardano la coppia in presenza di figli minori, deve tenere conto dell’interesse primario di questi ultimi, per cui se i bambini sono particolarmente affezionati all’animale, allora il giudice, nel loro interesse morale e materiale può decidere di assegnare l’animale al genitore a cui vengono anche assegnati i figli.

Benessere dell’animale domestico

Un altro criterio però che può far propendere il giudice per l’affidamento di un animale a uno solo dei due coniugi è rappresentato dal benessere dell’animale. Chi dei due per spazio, tempo e possibilità è in grado di garantire un maggior benessere all’animale? Anche in questo caso la proprietà formale dell’animale viene messa in secondo piano per dare priorità al pet, alle sue esigenze fisiche e psicologiche.

Se poi l’animale è affezionato a entrambi, i coniugi se ne occupano con la stessa amorevole attenzione, la custodia a settimane alterne o a giorni alterni potrebbe essere la soluzione migliore. In questo modo  infatti l’animale manterrebbe il contatto con entrambe le figure di riferimento.

La custodia condivisa ovviamente deve includere tutti gli aspetti di vita dell’animale, dalle vacanze, alle cure mediche, dall’alimentazione alle passeggiate quotidiane. In questi casi è importante anche definire a priori chi, in caso di difficoltà o impossibilità di gestire l’animale, se ne deve occupare.

La mediazione per gestire i conflitti

La mediazione è una procedura stragiudiziale di risoluzione delle controversie che può risultare molto utile in caso di conflitti che hanno per protagonisti gli animali domestici. Il percorso si basa sulla collaborazione delle parti e sulla guida di un mediatore, che è un soggetto terzo, ed estraneo che, in caso di difficoltà, può intervenire con una proposta conciliativa soddisfacente per entrambi. In sede di mediazione è possibile anche avvalersi dell’aiuto e dell’esperienza di consulenti come veterinari ed esperti del comportamento. Se le parti hanno a cuore il benessere dell’animale non avranno problemi a seguire le indicazioni sull’ambiente e sulla persona più adatta a prendersi cura dell’amato pet.

 

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cedolino della pensione

Cedolino della pensione: cos’è e come funziona Cedolino della pensione: documento che permette al pensionato di visionare la pensione mensile e conoscere i motivi di eventuali variazioni

Cedolino della pensione: il servizio INPS

Il cedolino della pensione è il documento che riporta tutta una serie di informazioni relative alla pensione che viene erogata mensilmente dall’INPS. Grazie a questo documento i pensionati possono controllare in particolare l’importo che l’INPS eroga ogni mese e, in presenza di eventuali variazioni, di conoscerne i motivi.

Contenuto del cedolino della pensione

Il cedolino della pensione è suddiviso graficamente in tre parti.

  1. Nella prima parte il documento contiene tutta una serie di informazioni di carattere generale.

In alto compare il numero della rata della pensione, la data a cui si riferisce il cedolino, l’importo in pagamento e la valuta. Il cedolino riporta poi i dati anagrafici del beneficiario e il suo codice fiscale.

Seguono le modalità di pagamento della pensione, ossia a mezzo conto corrente bancario o postale.

Il documento riporta poi i dati dell’Ufficio pagatore, seguito dallo stato del pagamento e dalla data della valuta. In ultimo compaio la categoria della pensione e il numero della prestazione.

  1. Nella seconda parte, il documento riporta invece i dati del cedolino, ossia:
  • la pensione lorda del mese di riferimento;
  • il contributo fisso EX-ONPI;
  • le trattenute IRPEF mensili sulla base delle aliquote in vigore;
  • le trattenute addizionali IRPEF regionali a debito dell’anno precedente;
  • le trattenute addizionali IRPEF comunali a debito del pensionato dell’anno precedente;
  • l’acconto dell’Addizionale IRPEF comunale;
  • l’eventuale contributo associativo del sindacato;
  • l’importo netto della pensione messo in pagamento’
  1. Nella terza e ultima parte del cedolino compare infine l’importo lordo dellIRPEF dovuta dal pensionato e le detrazioni di imposta applicate come quelle relative al lavoro, al nucleo familiare o al reddito.

Servizio Inps: come si usa

Per poter consultare il proprio cedolino mensile della pensione l’INPS ha messo a disposizione un servizio on line, disponibile 24 ore su 24, a cui si può accedere anche da un dispositivo mobile.

Nella homepage, scorrendo verso il basso, è disponibile un link che porta alla pagina descrittiva del cedolino in cui, a fondo pagina è presente l’accesso al servizio cliccando sulla voce “utilizza lo strumento”.

Cliccando su questo link compare la schermata del servizio a cui il pensionato potrà accedere previa autenticazione (SPID, PIN INPS, CIE, CNS).

Grazie alla formulazione di domande relative ai vari argomenti di interesse, il servizio consente di:

  • confrontare i cedolini;
  • visualizzare l’elenco dei vari prospetti di liquidazione;
  • gestire le deleghe sindacali;
  • vedere le comunicazioni INPS;
  • cambiare l’ufficio pagatore;
  • recuperare e stampare la certificazione unica;
  • visualizzare il riepilogo dei dati anagrafici e di pagamento;
  • chiedere il duplicato del libretto della pensione;
  • verificare i conguagli IRPEF;
  • gestire la cessione del Quinto;
  • recuperare gli indebiti;
  • verificare il bonus 14° e il bonus da 154 euro.

Aumentare l’importo della pensione

Dalla pagina che consente l’ accesso allo strumento del cedolino è possibile anche avvalersi di un consulente digitale per verificare se esistono le condizioni per avere diritto a prestazioni integrative per far aumentare l’importo della pensione.

Basta cliccare sulla voce “Approfondisci” contenuta nell’apposito riquadro in fondovalle pagina e si apre subito una pagina dedicata alla consulenza, dalla quale si può accedere allo strumento cliccando sulla voce “Utilizza lo strumento”. Subito si apre una pagina con una serie di domande a cui rispondere per la consulenza personalizzata sulla propria posizione pensionistica.

 

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