responsabilità precontrattuale

Responsabilità precontrattuale: risarcito l’interesse negativo Responsabilità precontrattuale: se una delle parti si ritira dall’accordo l’altra parte ha diritto al risarcimento del danno emergente

Responsabilità precontrattuale e danno emergente

La responsabilità precontrattuale ricollegabile al contratto non concluso comporta il risarcimento del danno emergente (interesse negativo) non delle utilità (interesse positivo) che il contraente adempiente avrebbe conseguito se l’altra parte avesse concluso l’accordo. Lo ha precisato il Consiglio di Stato nella sentenza n. 8668/2024, ribadendo anche l’importanza della prova del danno richiesto.

Procedura di gara annullata

Una società specializzata nella gestione di impianti di depurazione propone alla Regione Campania un progetto per il completamento e la gestione dell’impianto di depurazione di Napoli Est. Dopo una serie di valutazioni positive e l’assegnazione di un termine per adeguare la proposta, la Regione  avvia una procedura di gara. In seguito a una rivalutazione delle proprie priorità in materia di depurazione, la Regione decide però di revocare la delibera iniziale, che aveva ammesso la proposta della società e, di conseguenza, annulla la procedura di gara. La società, sentendosi danneggiata da queste decisioni, presenta ricorso al TAR, sostenendo che l’amministrazione aveva agito illegittimamente. La società chiede quindi il risarcimento dei danni. Il TAR respinge il ricorso, ma la società  presenta appello, di cui la Regione chiede il respingimento.

Richiesta risarcitoria legittima

Una sezione del Consiglio di Stato riconosce la responsabilità precontrattuale della Regione Campania per aver interrotto un accordo contrattuale in corso, causando un danno economico alla società. Legittima quindi la richiesta risarcitoria. Viene però ordinata una perizia contabile per accertare i costi sostenuti dalla società per il progetto, definire il valore dell’investimento, e gli altri costi sostenuti.

Il Consiglio di Stato in via definitiva rileva che la controversia verte sul risarcimento del danno subito dalla società a seguito dell’annullamento, da parte della Regione Campania, di una gara d’appalto per la gestione di un impianto di depurazione. Il focus della vicenda richiede nello specifico la verifica della sussistenza del danno da lesione dellinteresse negativo (danno emergente) derivante dalla accertata responsabilità contrattuale. Respinta invece la richiesta risarcitoria derivante da lucro cessante.

Responsabilità precontrattuale: il danno richiesto va provato

Per accertare il danno emergente il perito stima alcuni costi, come quelli per le fideiussioni, ma trova difficoltà nel quantificare con precisione i costi di preparazione del progetto a causa della mancanza di documentazione dettagliata e del tempo trascorso. La società giustifica questa mancanza di documentazione dettagliata sostenendo che gran parte dei costi risalgono a prima del 2003 e che, a causa dei termini di conservazione previsti dalla legge, non è più in possesso di tutta la documentazione. La società propone quindi un metodo di calcolo alternativo.

Il Consiglio di Stato ritiene che sia però necessario stabilire se questo metodo di calcolo sia sufficiente a dimostrare in modo convincente l’entità del danno subito dalla società, in assenza di una documentazione contabile più precisa. La Regione, dal canto suo, contesta la validità del metodo proposto e ritiene che la società non abbia fornito prove sufficienti per quantificare il danno. Il giudice dell’appello ritiene quindi opportuno valutare le argomentazioni di entrambe le parti e decidere se il metodo proposto dalla società sia accettabile per determinare l’ammontare del risarcimento.

Danno emergente: risarcito nei limiti della spesa provata

Fatta questa premessa il Consiglio di Stato precisa che la responsabilità precontrattuale si basa sul principio di buona fede e correttezza nelle trattative. Essa tutela il contraente leso da comportamenti scorretti altrui, limitando il risarcimento all’interesse negativo.

Nel caso in esame, il Collegio esclude tuttavia il risarcimento di spese relative alla predisposizione del progetto, perché non supportate da documentazione probatoria adeguata. Non è sufficiente infatti fornire un principio di prova generico; è necessario dimostrare in modo rigoroso il danno subito, come stabilito dall’art. 2697 c.c. e ribadito da recenti decisioni (Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2022, n. 10092).

Il verificatore non ha riscontrato prove documentali sufficienti per diverse voci di costo, tra cui spese per consulenze (€ 178.000), trasferte (€ 4.000), e redazione del progetto (€ 900.000). Questi importi non risultano verificabili né giustificabili con documenti amministrativi o contabili. Inoltre, non emergono elementi che attestino il loro riconoscimento da parte della Regione Campania.

L’unica eccezione riguarda i costi della polizza fideiussoria, pari a 62.100. Per tale voce di costo, la documentazione depositata ha dimostrato l’effettivo sostenimento della spesa, consentendo al Collegio di riconoscere il risarcimento.

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assegno di divorzio

Assegno di divorzio: vale anche il sacrificio della moglie straniera Assegno di divorzio: nel riconoscerlo e quantificarlo non si può ignorare il sacrificio della moglie che ha lasciato paese e carriera

Assegno di divorzio

L’assegno di divorzio deve tenere conto del sacrificio compiuto dalla moglie che ha lasciato il suo Paese d’origine per seguire il marito. Questo sacrificio assume un ruolo di rilievo nella valutazione dell’assegno divorzile, confermando il principio perequativo-compensativo. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 31709/2024.

Valorizzato il contributo della moglie alla carriera del marito

Il Giudice di primo grado, in una causa di divorzio, riconosce alla ex moglie un assegno divorzile di 750 euro mensili, annualmente rivalutabile. Il Tribunale nella decisione valorizza la situazione economica delle parti e altri elementi cruciali. Tra questi emerge il sacrificio della donna, che ha lasciato il Turkmenistan, rinunciando a un incarico presso il Ministero dell’Economia, per trasferirsi in Italia e dedicarsi alla famiglia.

Il marito, professionista affermato con una carriera di lunga durata, nel tempo ha accumulato notevoli risorse economiche anche grazie al supporto della moglie. Il giudice ha infatti sottolineato che le conoscenze linguistiche della donna hanno senza dubbio favorito le attività professionali del coniuge. Il giudice dell’impugnazione conferma la decisione del Tribunale. Entrambi i coniugi però impugnano la sentenza: il marito contesta l’esistenza dei presupposti per l’assegno, mentre la moglie chiede un importo maggiore, pari a 5.000 euro mensili.

Il ruolo compensativo dell’assegno divorzile

La Cassazione rigetta il ricorso del marito, riconoscendo ancora una volta la funzione perequativa-compensativa dell’assegno divorzile. L’assegno spetta in presenza di uno squilibrio reddituale tra le parti e quando il coniuge richiedente dimostra l’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive. Nel caso di specie la moglie ha dimostrato di non avere un’occupazione stabile e di trovarsi in una fase avanzata della vita, con difficoltà di reinserimento lavorativo. La rinuncia al proprio lavoro nel Paese d’origine rappresenta un sacrificio significativo, adottato per condividere un progetto familiare comune.

Il sacrificio della moglie: un elemento determinante

Secondo la Corte di Cassazione, il sacrificio compiuto dalla moglie assume in effetti un peso decisivo nella valutazione dell’assegno divorzile. Abbandonare il proprio Paese d’origine e un’occupazione stabile per seguire il marito rappresenta una scelta che ha influenzato profondamente la vita della donna. Tale scelta, condivisa da entrambi i coniugi, non può essere ignorata al momento della quantificazione dell’assegno. La decisione si colloca nel solco dei principi espressi dalle Sezioni Unite nel 2018 (sentenza n. 18287), secondo cui l’assegno di divorzio ha una duplice funzione: assistenziale e compensativa. Quest’ultima serve a riequilibrare i sacrifici fatti dal coniuge economicamente più debole durante la vita matrimoniale.

Criteri di valutazione ed equilibrio patrimoniale

La Corte d’Appello aveva comunque già valutato con attenzione lo squilibrio reddituale esistente tra le parti. Pur considerando i prelievi della moglie dal conto cointestato per un totale di 160.000 euro, aveva ritenuto che tale somma non fosse sufficiente a compensare lo squilibrio patrimoniale. L’importanza della valutazione globale della situazione economica dei coniugi al fine di determinare l’assegno di divorzio emerge chiaramente dalla sentenza.

ddl sicurezza

Ddl Sicurezza: dall’UE l’invito a modificare il testo Ddl Sicurezza: il Commissario per i Diritti Umani Europeo invita i senatori a rivedere il testo, troppi limiti alla libertà di pensiero

Ddl Sicurezza: l’invito dell’UE

Il Ddl Sicurezza continua a sollevare polemiche e opposizioni, con rilievi significativi provenienti dal Consiglio d’Europa e dalla politica italiana. Michael O’Flaherty, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, ha espresso preoccupazioni in una lettera indirizzata al Presidente del Senato, Ignazio La Russa.

O’Flaherty sottolinea come diversi articoli del Ddl limitino il diritto alla manifestazione e alla libertà di espressione ed esorta i senatori a modificare profondamente il testo prima di procedere all’approvazione.

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Le disposizioni sotto accusa del Ddl Sicurezza

Gli articoli contestati includono:

  • Articolo 11: introduce un’aggravante per reati commessi vicino a infrastrutture ferroviarie.
  • Articolo 13: estende il Daspo urbano e amplia l’arresto in flagranza differita.
  • Articolo 14: trasforma in reato penale il blocco stradale o ferroviario attuato con il corpo.
  • Articolo 24: aggrava le pene per imbrattamento di beni pubblici, con reclusione fino a tre anni in caso di recidiva.
  • Articolo 26: introduce un’aggravante per istigazione a disobbedire alle leggi e nuovi reati per disordini in carceri e centri di accoglienza.
  • Articolo 27: colpisce le proteste violente di stranieri irregolari nei centri di trattenimento.

Secondo il Consiglio d’Europa, queste norme, formulate in termini vaghi, potrebbero portare a un’applicazione arbitraria, minando il legittimo esercizio dei diritti fondamentali.

La risposta istituzionale e le reazioni

La Russa ha trasmesso la lettera alle commissioni competenti. La sua reazione pubblica ha definito l’intervento di O’Flaherty come un’ingerenza inaccettabile. Intanto, le opposizioni si sono schierate contro il Ddl, con oltre 1.500 emendamenti presentati e manifestazioni che hanno visto migliaia di partecipanti. La Rete nazionale “No Ddl Sicurezza” annuncia ulteriori proteste.

Ddl sicurezza: un percorso accidentato

Il Ddl, composto da 38 articoli, è stato approvato alla Camera nel settembre 2023, ma incontra difficoltà al Senato. Restano da discutere i due terzi del testo, comprese norme controverse come il divieto di vendere SIM ai migranti senza permesso di soggiorno e lo stop al rinvio della pena per madri con figli minori. Segnalazioni critiche sono giunte anche dal Quirinale, rendendo necessario un rinvio della discussione a gennaio 2025.

Il Ddl Sicurezza rappresenta un banco di prova per il Governo, che cerca di bilanciare misure restrittive e rispetto dei diritti fondamentali. Le pressioni del Consiglio d’Europa e le critiche interne rendono indispensabile una revisione del testo per garantire la conformità agli standard democratici e costituzionali.

 

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società di avvocati

Società di avvocati: vietati gli investitori finanziari Società di avvocati: la Corte UE vieta la detenzione di quote da parte di investitori finanziari, la professione deve essere indipendente

Società di avvocati e investitori finanziari

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ribadito l’importanza dell’indipendenza degli avvocati con una sentenza del 19 dicembre 2024. Nella causa C-295/23, la Corte ha stabilito che gli investitori finanziari non possono detenere partecipazioni in società di avvocati, sancendo un principio fondamentale per la tutela della professione forense.

La decisione mira infatti a proteggere l’integrità e l’indipendenza della professione legale, valori essenziali per garantire la fiducia dei clienti. Secondo la Corte, solo chi esercita la professione di avvocato può detenere quote in una società legale. Questa limitazione è giustificata da motivi imperativi di interesse generale, che prevalgono sulla libertà di stabilimento e sulla libera circolazione dei capitali.

 Società di avvocati tedesca e Ordine Forense di Monaco

La sentenza nasce da una controversia tra una società di avvocati tedesca e l’Ordine forense di Monaco. La società aveva ceduto il 51% delle proprie quote a un investitore austriaco non autorizzato a offrire servizi legali. L’Ordine di Monaco ha annullato l’iscrizione della società all’albo, sostenendo che solo i professionisti legali possono possedere quote di una società di avvocati in Germania. La società ha contestato la decisione, ritenendo il divieto contrario alla direttiva 2006/123/CE, che vieta requisiti discriminatori per l’accesso alle attività di servizi. La Corte UE però ha ritenuto la restrizione proporzionata e giustificata al fine di salvaguardare l’indipendenza professionale.

Indipendenza: tutela dei clienti e rispetto della deontologia

La Corte ha sottolineato che l’indipendenza è essenziale per garantire il rispetto degli obblighi deontologici e la tutela dei clienti. La presenza di investitori finanziari potrebbe compromettere queste prerogative. Interessi economici esterni rischiano di prevalere sugli interessi dei clienti, alterando la missione primaria dell’avvocato. Gli avvocati devono agire esclusivamente per il bene del cliente e rispettare il segreto professionale. L’ingresso di investitori puramente finanziari potrebbe mettere a rischio questi doveri.

Restrizioni: proporzionalità e non discriminazione

La Corte ha specificato anche che le restrizioni devono rispettare i principi di proporzionalità e non discriminazione. Le normative nazionali non possono discriminare società estere o basarsi sulla cittadinanza dei soci. Devono essere applicate in modo uniforme a tutti i soggetti che non siano avvocati. Inoltre, queste limitazioni devono essere proporzionate, ovvero strettamente necessarie a garantire l’obiettivo perseguito. Nonostante ciò, in questo caso, la Corte ha confermato che il divieto agli investitori finanziari è conforme al diritto dell’UE.

Stati Membri: quali implicazioni?

La sentenza avrà effetti significativi sui sistemi normativi nazionali. Paesi con regole più flessibili per le partecipazioni nelle società legali potrebbero doverle rivedere. L’obiettivo è evitare che soggetti esterni alla professione possano influenzare le decisioni operative delle società di avvocati. In Italia, la normativa già impone che i soci delle STP (società tra professionisti) siano iscritti agli albi professionali. Tuttavia, il dibattito sull’ammissione di soci finanziari è ancora acceso.

 

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lecito dare cibo

Lecito dare cibo ai gatti randagi Illegittima l'ordinanza che vieta ai cittadini di dare cibo agli animali randagi. Vanno però rimossi i contenitori utilizzati

Illegittimo divieto di sfamare randagi

Lecito dare cibo ai gatti randagi. Illegittima, dunque, l’ordinanza che vieta ai cittadini di somministrare alimenti a questi animali. Chi li sfama però deve utilizzare appositi contenitori e rimuoverli successivamente. La mancata rimozione costituisce abbandono di rifiuti e può essere sanzionata.Lo ha affermato il TAR Sicilia nella sentenza n. 3844/2024.

La vicenda

L’ordinanza contestata vietava indiscriminatamente la somministrazione di cibo ad animali vaganti, come cani e gatti, oltre ad altri animali selvatici. Una delle associazioni per la protezione degli animali ha impugnato il provvedimento, sottolineando che il divieto contrasta con le normative nazionali e regionali per la tutela degli animali d’affezione. Secondo l’associazione, la misura era eccessiva, priva di fondamento logico e in contrasto con il principio di protezione degli animali sancito dalla legge.

Crudele esporre i randagi alla fame

Il TAR ha sottolineato che il randagismo è un problema sociale da affrontare con umanità e rispetto per gli animali. Privare i randagi del cibo fornito da cittadini sensibili alle loro condizioni significa esporli alla fame e a comportamenti potenzialmente pericolosi, come rovistare nei rifiuti o diventare aggressivi per sopravvivere. Questo approccio, secondo il giudice amministrativo, risulta crudele e contrario alla legge.

Inoltre, nessuna norma vieta di alimentare animali randagi nei luoghi dove trovano rifugio. Al contrario, la legge quadro nazionale del 1991 promuove la tutela degli animali d’affezione e condanna ogni atto di crudeltà, maltrattamento o abbandono. Questi principi mirano a favorire una convivenza equilibrata tra esseri umani e animali, tutelando anche la salute pubblica e l’ambiente.

Ordinanza illegittima e ingiustificata

Il TAR ha anche evidenziato l’assenza di ragioni straordinarie che potessero giustificare l’adozione dell’ordinanza. Non sono emerse situazioni di emergenza igienico-sanitaria o pericoli per la pubblica incolumità tali da richiedere un intervento straordinario. Secondo il giudice, le circostanze citate erano fisiologiche e prevedibili. Inoltre, con le dovute precauzioni, non rappresentavano un rischio immediato per l’igiene pubblica.

La sentenza ribadisce quindi che è possibile alimentare i randagi, ma occorre rispettare alcune regole. Gli alimenti devono essere posti in contenitori idonei, che devono poi essere rimossi per evitare la dispersione di rifiuti. La mancata osservanza di questo obbligo può essere sanzionata, poiché si configura come abbandono di rifiuti. Il TAR in questo modo afferma i principi di tutela degli animali sanciti dalla legge. Cani e gatti randagi non possono essere lasciati morire di fame o essere abbandonati a sé stessi. Le autorità devono promuovere soluzioni rispettose e conformi alle normative vigenti, evitando misure che ignorano il benessere degli animali e i diritti dei cittadini.Occorre quindi un approccio equilibrato e responsabile nella gestione del randagismo, in linea sia con il quadro normativo italiano che con il senso civico.

 

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Portale libretto famiglia

Portale Libretto Famiglia: tutto quello che c’è da sapere Portale Libretto Famiglia: disponibile sul sito INPS e sulla APP INPS Mobile il servizio dedicato agli utenti

Portale Libretto Famiglia: cos’è

L’INPS ha lanciato il nuovo portale dedicato al Libretto Famiglia, disponibile sulla piattaforma telematica e sull’app “INPS Mobile”. L’accesso è semplice: basta utilizzare una identità digitale (SPID, CIE o CNS) e cercare “Prestazioni di lavoro occasionale: Libretto Famiglia” sul sito INPS.

Per tutti i dettagli leggi il messaggio INPS n. 4360 del 19.12.2024

Cosa offre il nuovo portale libretto famiglia

Gli utenti possono registrarsi come utilizzatori del Libretto Famiglia e accedere alla “Scrivania Utilizzatore”. Questo spazio consente di:

  • visualizzare i lavoratori associati;
  • consultare le ultime prestazioni registrate;
  • monitorare le attività in corso;
  • controllare il portafoglio elettronico, con i limiti economici.

La “Scrivania Utilizzatore” offre una panoramica completa, rendendo più agevole la gestione delle prestazioni occasionali. La sezione “Documenti” fornisce un manuale utente aggiornato per orientarsi tra le funzionalità del portale.

Libretto di famiglia: come funziona

Si ricorda brevemente che il Libretto Famiglia è stato pensato per gestire piccoli lavori domestici, assistenza domiciliare o insegnamento privato.

Le prestazioni occasionali di soggetti privati verso altri soggetti privati devono ritenersi escluse dalle attività di impresa e alle regole che ne conseguono se rispettano i seguenti limiti annuali:

  • un massimo di 5.000 euro per prestatore (sommando tutti gli utilizzatori);
  • un massimo 10.000 euro per utilizzatore (sommando tutti i prestatori);
  • fino a 2.500 euro per singolo prestatore presso lo stesso utilizzatore.

Il compenso per ogni ora di lavoro è fissato a 10 euro, non frazionabili.

Al termine di ogni prestazione, entro il terzo giorno del mese successivo, l’utilizzatore deve comunicare:

  • i dati del prestatore;
  • il luogo, durata e ambito della prestazione;
  • il costo complessivo.

Queste operazioni possono essere fatte tramite il portale o il Contact Center INPS. 

App “INPS Mobile”

Il servizio è disponibile anche su app per dispositivi Android e iOS. Gli utenti possono gestire le operazioni del Libretto Famiglia direttamente dal proprio smartphone, purché abbiano SPID di livello 2 o CIE 3.0. Grazie a questo nuovo strumento, l’INPS punta a semplificare la gestione del lavoro occasionale, offrendo un’esperienza multicanale e accessibile a tutti.

 

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fermo amministrativo

Fermo amministrativo illegittimo: l’ansia non è risarcibile Fermo amministrativo illegittimo: la Cassazione esclude il risarcimento per il danno non patrimoniale

Fermo amministrativo illegittimo e risarcimento danno

Il fermo amministrativo è l’oggetto dell’ordinanza n. 27343/2024 della Corte di Cassazione. Gli Ermellini si sono dovuti occupare in particolare della legittimità del fermo e della possibilità di ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dal proprietario del veicolo.

Violata l’ordinanza di sospensione

Si ricorda brevemente che il fermo amministrativo è un provvedimento che impedisce l’utilizzo di un veicolo per il mancato pagamento di tributi o altre somme. In questo caso specifico, un cittadino ha contestato la legittimità del fermo amministrativo sul suo veicolo. Il provvedimento era stato emesso infatti in violazione di un’ordinanza giurisdizionale che ne disponeva la sospensione. Il ricorrente ha chiesto quindi il risarcimento per il danno subito a causa dell’illegittimità del fermo disposto. Il Giudice però ha respinto la richiesta, ritenendo che non fosse stata fornita la prova necessaria.

Ansia e preoccupazioni non sono risarcibili

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione impugnata e ha sottolineato che il danno non patrimoniale, derivante da un fermo amministrativo illegittimo, non è automaticamente risarcibile. È necessario dimostrare che il fermo ha comportato una vera e propria impossibilità di utilizzare il veicolo. In altre parole, il danno deve essere provato in modo specifico. Non è sufficiente lamentarsi di disagi o fastidi. Elementi come ansie o preoccupazioni non costituiscono un danno risarcibile. La responsabilità civile, infatti, non deve essere utilizzata come strumento sanzionatorio. Questo principio è fondamentale per garantire che sia applicata in modo equo e giusto.

Onere della prova a carico dell’attore

Un aspetto cruciale della sentenza riguarda l’onere della prova. La Cassazione ha ribadito che spetta sempre all’attore fornire la prova del danno subito. Se la persona non dimostra in modo adeguato il danno, la sua richiesta deve essere respinta. La semplice indisponibilità del veicolo non basta; è necessario dimostrare anche eventuali spese sostenute per un mezzo sostitutivo o la perdita di guadagni. La Corte ha anche evidenziato che non esistono danni in re ipsa. Il danno deve sempre essere correlato a conseguenze concrete e dimostrabili. Questo principio garantisce che il sistema giuridico non si basi su richieste infondate.

Danno non patrimoniale e lesione di diritti

La Cassazione ha esaminato anche la richiesta risarcitoria del lamentato danno non patrimoniale, legato alla lesione di diritti fondamentali. Secondo la Corte, il risarcimento per danno non patrimoniale è possibile solo in circostanze specifiche. È necessario che ci sia una lesione grave, che superi una soglia minima di tollerabilità. Inoltre, il danno non deve essere futile o limitarsi a meri disagi. Nel caso in esame, il ricorrente non ha presentato prove sufficienti per dimostrare la gravità del danno non patrimoniale. Ha descritto solo disagi generici e preoccupazioni, che non giustificano un risarcimento. La Corte ha quindi ritenuto che tali disagi non fossero meritevoli di tutela risarcitoria.

La decisione della Corte di Cassazione chiarisce in sostanza che il fermo amministrativo illegittimo non comporta automaticamente il diritto al risarcimento. È fondamentale fornire prove concrete e dettagliate in caso di richieste risarcitorie.

 

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adempimento collaborativo

 Adempimento collaborativo: requisiti e adesione Adempimento collaborativo: pubblicato sulla GU il decreto del MEF che stabilisce i requisiti soggettivi e oggettivi di accesso al regime

Adempimento collaborativo, il decreto

Il regime di adempimento collaborativo rappresenta un modello avanzato di trasparenza fiscale tra contribuenti e amministrazione finanziaria. Istituito dal Decreto legislativo n. 128/2015, esso promuove la certezza del diritto e riduce il rischio di controversie tributarie.

Sulla GU n. 295 del 17 dicembre 2024 è stato pubblicato il decreto del MEF del 6 dicembre 2024  che stabilisce i requisiti soggettivi e oggettivi per accedere a questo regime.

Requisiti soggettivi

I contribuenti possono aderire se soddisfano specifici parametri di volume d’affari o ricavi, progressivamente ridotti nel tempo:

  • 750 milioni di euro dal 2024.
  • 500 milioni di euro dal 2026.
  • 100 milioni di euro dal 2028.

Possono accedere anche contribuenti che effettuano nuovi investimenti e ricevono parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate, membri di un gruppo societario che include almeno un soggetto conforme, o appartenenti a un gruppo IVA già ammesso al regime.

Requisiti oggettivi

Per accedere, è indispensabile disporre di un sistema integrato di controllo del rischio fiscale conforme ai criteri stabiliti. Questo sistema deve:

  • essere certificato da esperti indipendenti;
  • basarsi su una strategia fiscale chiara, approvata dai vertici aziendali;
  • garantire una gestione e un controllo puntuali dei rischi fiscali;
  • integrare una mappatura dei processi aziendali e dei rischi correlati;
  • adattarsi dinamicamente ai cambiamenti interni ed esterni.

Adesione all’adempimento collaborativo

La domanda di adesione si presenta esclusivamente in via telematica tramite un modello fornito dall’Agenzia delle Entrate. Gli indirizzi PEC e, per i soggetti non residenti, di posta elettronica ordinaria, sono indicati nel decreto.

I richiedenti devono allegare una documentazione dettagliata, che comprende:

  • la descrizione delle attività svolte;
  • la strategia fiscale approvata;
  • la certificazione del sistema di controllo del rischio fiscale;
  • la mappatura dei processi e rischi aziendali.

Per chi presenta domanda nel 2024, la certificazione può essere integrata entro il 31 dicembre 2025.

 

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assegno di inclusione

Assegno di inclusione: le date dei pagamenti Assegno di inclusione: l’INPS comunica le prossime date di pagamento della misura che contrasta povertà ed esclusione sociale

Assegno di inclusione contro povertà ed esclusione

L’assegno di inclusione (ADI), si ricorda, è una misura di contrasto alla povertà  e all’esclusione sociale. Promuove l’inserimento lavorativo e la formazione. L’ADI è attivo dal 1° gennaio 2024 (Decreto-Legge 4 maggio 2023, n. 48).
Esso offre sostegno economico e inclusione sociale ed è vincolato alla prova dei mezzi e alla sottoscrizione di un percorso personalizzato. L’ADI rappresenta un’integrazione al reddito familiare fino a una certa soglia e una misura di supporto per le famiglie in affitto con un contratto registrato.
Il beneficio è efficace dal mese dopo alla sottoscrizione del Patto di Attivazione Digitale (PAD), previa istruttoria positiva. Per le domande presentate entro gennaio 2024, il beneficio decorre da gennaio stesso. La durata massima è di 18 mesi, rinnovabili per altri 12 mesi con sospensione di un mese.Il pagamento avviene mensilmente tramite Carta di Inclusione (Carta ADI). L’importo può essere diviso tra i membri adulti della famiglia.

Date dei pagamenti assegno di inclusione

Con il messaggio n. 4326 del 18.12.2024 l’INPS rende note le prossime date di pagamento della misura che sostiene le famiglie vulnerabili con percorsi personalizzati, garantendo stabilità economica e inclusione lavorativa e sociale.

Date di pagamento 2024

  • 13 dicembre 2024: primo pagamento e arretrati per domande approvate entro novembre 2024.
  • 21 dicembre 2024: rinnovi per beneficiari con requisiti confermati.

Calendario pagamenti 2025

  • Primi pagamenti ed eventuali arretrati: 15 gennaio, 15 febbraio, 15 marzo, 15 aprile, 15 maggio, 14 giugno, 15 luglio, 14 agosto, 15 settembre, 15 ottobre, 15 novembre, 15 dicembre 2025.
  • Rinnovi mensili: 27 gennaio, 27 febbraio, 27 marzo, 26 aprile, 27 maggio, 27 giugno, 28 luglio, 27 agosto, 27 settembre, 27 ottobre, 27 novembre, 20 dicembre 2025.

 

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interessi legali 2025

Interessi legali 2025 Interessi legali 2025: il decreto del MEF del 10 dicembre pubblicato in GU stabilisce il nuovo tasso nella misura del 2%

Interessi legali 2025: cosa cambia

Dal 1° gennaio 2025 gli interessi legali scendono al tasso del  2%. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha stabilito questa modifica con il Decreto del 10 dicembre 2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 294 del 16 dicembre 2024.

Variazione annua interessi legali articolo 1284 c.c.

L’aggiornamento annuale del saggio degli interessi legali è disciplinato dall’articolo 1284, primo comma, del Codice Civile. Questo prevede che il tasso sia rivisto in base al rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata fino a dodici mesi, considerando anche il tasso di inflazione registrato.

Interessi legali 2025 più bassi rispetto al 2024

Nel 2024 il tasso era fissato al 2,5%, ma la nuova valutazione del rendimento dei titoli e dell’inflazione ha portato a una riduzione per il 2025. Questa variazione avrà impatti significativi in ambito fiscale e giuridico.

Effetti della modifica

Uno degli ambiti in cui la variazione incide maggiormente è il ravvedimento operoso. Chi regolarizza posizioni fiscali tramite questa procedura deve calcolare gli interessi legali giorno per giorno, applicando il tasso in vigore nei diversi periodi. Questo significa che, in caso di operazioni che coprono più anni, potrebbe essere necessario considerare tassi differenti.

Il nuovo tasso del 2% si applicherà a tutti i conteggi dal 1° gennaio 2025. È quindi importante che professionisti, aziende e cittadini adeguino i calcoli ai nuovi parametri per evitare errori e sanzioni.

Il decreto rappresenta un punto di riferimento essenziale per chi opera nel campo legale, fiscale e amministrativo. Monitorare questi aggiornamenti consente infatti di mantenersi conformi alle normative e di pianificare con precisione le proprie attività.

 

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