patente a crediti

Patente a crediti: le novità dal 1° novembre 2024 Per la patente a crediti, dal 1° novembre 2024 informazioni disponibili sul portale, per operare in cantiere serve la ricevuta della richiesta

Cosa cambia per la patente a crediti dal 1° novembre 2024

Dal 1° novembre 2024, il mondo del lavoro nei cantieri subisce una significativa trasformazione con l’entrata in vigore della nuova normativa sulla patente a crediti. Questa innovativa misura, introdotta dal Decreto Ministeriale n. 132 del 18 settembre 2024, mira a garantire un maggiore livello di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili.

Le ultime novità

Vediamo le novità in vigore dal 1° novembre 2024.

  • Tutte le informazioni relative alla patente a crediti sono consultabili online attraverso un portale dedicato. Questo significa che sarà possibile verificare in qualsiasi momento lo stato della propria patente, il punteggio aggiornato e l’eventuale presenza di provvedimenti disciplinari.
  • Per poter accedere ai cantieri, non sarà più sufficiente l’autocertificazione. Sarà obbligatoria la ricevuta di richiesta della patente a crediti, scaricabile direttamente dal portale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
  • Chiunque abbia richiesto la patente è tenuto a informare entro cinque giorni il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) o il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale (RLST).

Le informazioni disponibili online dal 1° novembre 2024

Il portale dedicato mette a disposizione una serie di dati dettagliati per ciascuna patente, tra cui:

  • dati identificativi del titolare;
  • dati anagrafici del richiedente;
  • data di rilascio e numero della patente;
  • punteggio iniziale e aggiornato;
  • eventuali provvedimenti disciplinari;
  • esito di eventuali ricorsi.

Chi può accedere ai dati

Oltre al titolare della patente e ai suoi delegati, possono accedere ai dati anche:

  • le pubbliche amministrazioni;
  • i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
  • gli organismi paritetici;
  • i responsabili dei lavori e i coordinatori per la sicurezza;
  • i soggetti che intendono affidare lavori a imprese operanti nei cantieri mobili o temporanei.

L’importanza della patente a crediti

E’ uno strumento fondamentale per garantire la sicurezza nei cantieri. Grazie a questo sistema, è possibile monitorare costantemente la professionalità dei lavoratori e intervenire tempestivamente in caso di problemi. I crediti della patente rappresentano infatti un indicatore del livello di professionalità e sicurezza.

 

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limite uso contante

Limite uso contante: dal 2027 a 10.000 euro Limite uso contante: il regolamento UE n. 1624/2024 fissa il limite a 10.000 euro a partire dal 10 luglio 2027

Limite uso contante UE

Limite uso contante fino a 10.000 euro a partire dal 10 luglio 2027. Lo stabilisce il regolamento UE n. 1624/2024. Il regolamento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea e in vigore dal 9 luglio stabilisce nuove regole per l’uso del contante in Europa.

Dal 10 luglio anche l’Italia dovrà rispettare il nuovo tetto dei 10.000 euro per quanto riguarda l’uso dei contanti. Le finalità di queste misure, come sempre, sono principalmente due: ostacolare il reato di riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.

Attualmente in Italia il tetto massimo stabilito per l’utilizzo dei contanti è di 5.000 euro, la metà rispetto a quello che l’Unione Europea vuole introdurre nel 2027.

Art. 80 Regolamento UE: uso contanti fino a 10.000 euro

A fissare il limite dei 10.000 euro è l’articolo 80 del regolamento UE 1624/2024 dedicato proprio ai “Limiti ai pagamenti in contanti di importo elevato in cambio di beni o servizi.”

Il comma 1 stabilisce infatti che: Le persone che commerciano beni o forniscono servizi possono accettare o effettuare un pagamento in contanti fino a un importo di 10 000 EURO o importo equivalente in valuta nazionale o estera, indipendentemente dal fatto che la transazione sia effettuata con un’operazione unica o con diverse operazioni che appaiono collegate.” 

Il comma 2 non vieta agli Stati dell’UE di adottare limiti inferiori a quello di 10.000 euro previsto dal comma 1. Gli stessi devono però consultare preventivamente la Banca Centrale Europea.

Per quanto riguarda invece gli Stati che già applicano limiti inferiori,  potranno continuare ad adottarli con l’obbligo di notificare questi limiti alla Commissione UE entro, l’oramai trascorso, 10 ottobre 2024.

Eccezioni al limite dei 10.000 euro

Il comma 4 dell’articolo 80 stabilisce che il limite dei 10.000 euro non si applica:

a) ai pagamenti tra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di una professione;

  1. b) ai pagamenti o ai depositi effettuati presso i locali degli enti creditizi, degli emittenti di moneta elettronica quali definiti all’articolo 2, punto 3), della direttiva 2009/110/CE e dei prestatori di servizi di pagamento quali definiti all’articolo 4, punto 11), della direttiva (UE) 2015/2366.”

Sanzioni nel caso in cui vi sia il sospetto che persone fisiche o giuridiche che agiscano nell’esercizio della loro professione violino i limiti imposti all’utilizzo del contante.

 

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non punibile chi copia

Non punibile chi copia senza citare la fonte Non punibile chi copia senza menzionare la fonte da cui ha attinto e chi offende  su Facebook se i fatti sono particolarmente tenui

Particolare tenuità del fatto per chi copia

Non punibile chi copia senza citare la fonte da cui ha attinto e chi rivolge frasi ingiuriose alla persona offesa su Facebook se i fatti si caratterizzano per la particolare tenuità prevista dall’art. 131 bis c.p. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 39647/2024.

Imputati assolti per particolare tenuità dei fatti commessi

La Corte d’appello riformando la sentenza di primo grado assolve uno degli imputati dal reato previsto dall’articolo 171 della legge n. 633/1941. Il soggetto agente è stato ritenuto responsabile di avere trascritto e diffuso senza autorizzazione e senza citare la fonte la parte di un libro, opera dell’ingegno tutelata dalla normativa sul diritto d’autore. L’imputata invece è stata assolta “per la particolare tenuità del fatto” dal reato di cui all’art. 595 commi 1 e 3. La stessa è stata accusata di aver offeso la persona offesa su Facebook rivolgendole frasi ingiuriose. La sentenza revoca inoltre le statuizioni civili del giudice di primo grado con cui aveva condannato le parti a risarcire la parte civile con l’importo complessivo di 5.500,00 euro.

Errato ritenere non punibile chi copia e chi offende

La parte civile ricorre la decisione in Cassazione lamentando principalmente l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’articolo 131 bis c.p e contestando la revoca delle statuizioni civili.

Assoluzione per particolare tenuità

La Cassazione però ritiene inammissibile l’impugnazione della parte civile relativa alla concessione agli imputati del beneficio della non punibilità per la particolare tenuità del fatto.

Per la S.C. il ricorso della parte civile è inammissibile per carenza di interesse considerato che il pubblico ministero non ha impugnato la sentenza che ha dichiarato la non punibilità per particolare tenuità del fatto. La statuizione della non punibilità non produce infatti alcun effetto pregiudizievole per il danneggiato nel giudizio civile in base a quanto sancito dall’articolo 652 bis c.p.p Il comma 1 di questa norma dispone infatti che: “La sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.”

 

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responsabilità disciplinare avvocato

Responsabilità disciplinare avvocato per culpa in vigilando La responsabilità disciplinare dell’avvocato per culpa in vigilando si configura anche in assenza di dolo specifico o generico

Responsabilità disciplinare avvocato

Non servono il dolo specifico o generico per l’addebito della responsabilità disciplinare avvocato. A rilevare è la volontarietà dell’azione o dell’omissione, anche quando l’omissione si riferisce all’obbligo di controllare l’operato dei propri dipendenti o collaboratori. E’ quindi responsabile l’avvocato che, alla riscossione del compenso, non fa seguire la immediata o tempestiva fatturazione. Il legale pertanto, a sua discolpa, non può affermare che l’omessa fatturazione è imputabile a malintesi di segreteria. Lo ha affermato il CNF nella sentenza n. 219/2024.

Omessa fatturazione dopo la riscossione dei compensi

Due avvocati vengono sottoposti a procedimento disciplinare e tra le varie incolpazioni, vengono ritenuti responsabili di aver incassato compensi per l’importo di 68. 500,00 euro senza il rilascio delle regolari fatture. Il Consiglio distrettuale di disciplina applica a uno dei due professionisti la sanzione della censura, all’altro la sospensione dall’attività per 8 mesi.

I due legali ricorrono innanzi al CNF e si difendono dall’accusa della mancata emissione delle fatture sostenendo tra l’altro che “i documenti fiscali non sono stati emessi per “malintesi di segreteria” e che dunque difetta l’elemento soggettivo del reato in capo all’avvocato che, per ragioni contabili e fiscali, avrebbe dovuto provvedere alla contabilizzazione e alla fatturazione. Lo stesso evidenzia inoltre, come la condotta non sia a lui imputabile anche in ragione del tempo trascorso, che rende impossibile reperire tutti i documenti fiscali emessi, conservati presso il proprio commercialista.

Non serve il dolo basta la volontarietà dell’omissione

Il CNF ritiene infondati i motivi di doglianza che l’avvocato espone in ordine alla contestazione della mancata emissione delle fatture relative ai compensi incassati. Per il CNF non rileva l’eventuale attribuzione dell’illecito della omissione della fatturazione alla segreteria dello Studio legale. Per costante giurisprudenza “l’attribuzione a dimenticanza della segretaria della omessa fatturazione della somma indicata nella ricevuta rilasciata al cliente non muta la valutazione disciplinarmente rilevante del comportamento dell’avvocato come lesivo del dovere di vigilanza e di diligenza, cui è tenuto l’esercente la professione legale su collaboratori e dipendenti del proprio studio.”

Il CNF precisa che per ritenere un libero professionista responsabile della violazione, ai fini dell’addebito disciplinare non è necessario che lo stesso lo abbia commesso con dolo specifico o con dolo generico. Ciò che rileva è la volontarietà con cui l’atto è stato commesso od omesso, anche quando l’azione o l’omissione si configuri nel mancato adempimento dell’obbligo di controllare il comportamento dei dipendenti o dei collaboratori. “Il mancato controllo costituisce, infatti, piena e consapevole manifestazione della volontà di porre in essere una sequenza causale che in astratto potrebbe dar vita ad effetti diversi da quelli voluti, che però ricadono sotto forma di volontarietà sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto”.

Fatturazione immediata o tempestiva

Non rileva neppure l’affermato, ma non dimostrato, tentativo di adempiere a tale obbligo tardivamente o di voler rimediare all’omissione della fatturazione con il ravvedimento operoso all’Agenzia delle Entrate. Diverse norme del Codice deontologico, come l’art. 16 e 29 e l’art. 15 del cod. previdenziale prevedono che l’avvocato abbia l’obbligo di emettere la fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione dei compensi. L’eventuale ritardo con cui l’avvocato provvede a tale adempimento non viene preso in considerazione dal Codice deontologico. Il tutto senza dimenticare che “la violazione di tale obbligo costituisce illecito permanente, sicché la decorrenza del termine prescrizionale ha inizio dalla data della cessazione della condotta omissiva.”

 

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demolizione ricostruzione

Demolizione, ricostruzione e nuova opera: il Tar fa chiarezza Demolizione, ricostruzione e nuova opera si distinguono per l’entità delle modifiche apportate rispetto all’edificio preesistente demolito

Demolizione, ricostruzione e nuova opera

La ricostruzione dopo la demolizione si distingue dalla nuova opera in ragione dell’entità delle modifiche apportate. Si ha ricostruzione quando i volumi, l’altezza e la sagoma non subiscono variazione, si ha nuova opera, assoggettabile quindi alle regole della attività corrispondente, quando gli interventi vanno a modificare la sagoma, i volumi e le superfici. Il TAR delle Marche lo chiarisce nella sentenza n. 809/2024.

Contributo di costruzione se è nuova opera

Una S.R.L agisce nei confronti di un Comune per chiedere l’annullamento di una determina. Il provvedimento le richiede il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di “costruzione” relativo a un permesso di costruire in sanatoria per la demolizione e ricostruzione di due fabbricati con cambio di destinazione d’uso. Le opere in effetti hanno dato vita a una nuova costruzione.

Durante i lavori di ristrutturazione da parte della società gli agenti della polizia municipale accertano infatti la difformità delle opere rispetto al permesso di costruire. Essi rilevano la quasi integrale demolizione del fabbricato B, atteso che ne sono rimasti conservati tronconi di muratura in misura non significativa rispetto alla sagoma originaria dell’edificio originario e tra l’altro non incluse nella nuova struttura ricostruita, contravvenendo alla prescrizione contenuta nel titolo rilasciato che ne prevedeva la conservazione al fine di ricondurre l’intervento proposto nell’ambito della ristrutturazione edilizia”.

Il tutto si è verificato in violazione dei limiti del titolo abilitativo e previsti per salvaguardare alcune porzioni di uno dei fabbricati.

Ricostruzione e nuova opera: differenze

Ai fini del decidere il TAR distingue lintervento di demolizione con successiva ricostruzione da quello con cui si realizza una nuova costruzione. A questo proposito lo stesso chiarisce che, dopo una demolizione, la distinzione tra ricostruzione e nuova costruzione si basa in particolare sul grado di variazione rispetto all’opera precedente.

Si parla quindi di ricostruzione quando l’intervento non  modifica il volume, la sagoma e l’altezza della costruzione precedente. L’edificio conserva in sostanza le caratteristiche fondamentali dell’edificio demolito.

Si realizza al contrario una nuova opera quando l’edificio viene demolito e al suo posto viene edificato un edificio nuovo e diverso, anche se parzialmente, rispetto a quello originario.

Il TAR ricorda che: Per costante giurisprudenza, non può essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria assoggettati a concessione gratuita una ristrutturazione c.d. pesante, se non addirittura una nuova costruzione, realizzata con la demolizione dell’edificio preesistente e l’edificazione di un organismo edilizio nuovo e diverso, almeno in parte, da quello originario; ne consegue che in questo caso il rilascio della concessione in sanatoria è correttamente sottoposto al pagamento dell’oblazione in misura pari al doppio del contributo di costruzione.”

 

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Addio al mantenimento per la figlia adulta: ha diritto solo agli alimenti La Cassazione chiarisce che alla figlia adulta spettano solo gli alimenti, non il mantenimento dei genitori, ci sono le misure sociali di sostegno al reddito

Mantenimento figli maggiorenni

Mantenimento figli: la figlia adulta, maggiorenne da tempo, che ha concluso un suo percorso di studi,  convive e ha una bambina non può soddisfare l’esigenza di una vita dignitosa con il mantenimento dei genitori. È preferibile che la stessa faccia ricorso agli ausili sociali di sostegno al reddito. I genitori possono essere tenuti, al limite, a corrispondere gli alimenti in presenza di uno stato di bisogno. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 27818/2024.

Separazione giudiziale: 200 euro mensili per la figlia adulta

Una coppia si separa giudizialmente. Il Tribunale accoglie la domanda di addebito dell’attrice e dispone a carico del marito l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia, diventata nel frattempo maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, tramite il versamento dell’importo mensile di 200,00 euro e del 50% delle spese straordinarie.

L’uomo appella la decisione, ma la Corte respinge l’impugnazione per intero, condannando il soccombente al pagamento delle spese di giudizio.

Cessazione o riduzione del mantenimento per la figlia

Nel ricorso in Cassazione con il quarto motivo il padre contesta alla Corte d’Appello il rigetto della domanda con cui ha chiesto la cessazione o la riduzione dell’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia. La stessa è oramai da tempo maggiorenne, ha concluso un suo percorso di studi, ma non si è mai impegnata nella ricerca di un lavoro.  Essa inoltre convive con un compagno, che lavora e da cui ha avuto una figlia.

Solo gli alimenti, basta mantenere la figlia adulta

La Cassazione accoglie il quarto motivo del ricorso del padre. Per stabilire la spettanza o meno del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne il giudice deve valutare diversi elementi come l’età, il raggiungimento di un effettivo livello di competenza tecnica e professionale e l’impegno investito nella ricerca di un lavoro.

Nel caso di specie la figlia, superata abbondantemente la maggiore età, non ha ancora reperito un’occupazione stabile o in grado comunque di remunerarla in misura da renderla economicamente autosufficiente e adeguata alle competenze acquisite. Il mantenimento dei genitori non può soddisfare le esigenze di una vita dignitosa e a cui ogni giovane adulto deve aspirare. La giovane donna deve quindi ricorrere preferibilmente ai diversi strumenti di ausilio sociale finalizzati a sostenere il reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare per provvedere alle esigenze di vita essenziali se si trova in uno stato di bisogno.

 

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cambio di sesso

Cambio di sesso: il matrimonio non va annullato Cambio sesso: negato l'annullamento del matrimonio per errore essenziale sull'identità del coniuge, è solo un adeguamento alla personalità

Cambio di sesso e annullamento del matrimonio

Il cambio di sesso non causa l’annullamento del matrimonio. Nel soggetto che presenta una disforia di genere questo cambiamento non muta l’identità. Esso si limita ad adeguare i caratteri esterni a quelli percepiti e sentiti come propri dalla persona. Se il marito non è a conoscenza della rettificazione di sesso da uomo a donna, questa mancata conoscenza non si può ricondurre a un errore essenziale sull’identità della persona, se l’uomo non ha mai approfondito le cause dell’incapacità a procreare della moglie. Questa la decisione del Tribunale di Livorno nella sentenza del 12 luglio scorso.

Cambio sesso da uomo a donna: marito chiede annullamento

Un uomo si rivolge al Tribunale di Livorno per chiedere l’annullamento del matrimonio. L’attore narra di aver contratto matrimonio civile con la convenuta e che da detta unione non sono nati i figli. Questo perché, in base a quanto riferito dalla moglie, la stessa avrebbe subito l’asportazione dell’utero a causa di una malattia. L’attore racconta poi che dopo la richiesta di adozione di un minore la coppia è entrata in crisi tanto che si sono separati.

Nel giugno del 2022, però, mentre il marito procedeva a un’ispezione ipotecaria e catastale degli immobili intestati alla moglie, scopriva che  la stessa in passato era un uomo. I riferiti problemi di infertilità sono quindi da ricondurre a questa circostanza.

Errore sull’identità del coniuge art. 122 c.c.

L’uomo sarebbe quindi incorso in quell’errore essenziale sull’identità della persona che ai sensi dell’articolo 122 del codice civile rende annullabile il matrimonio. Se infatti l’attore avesse saputo fin dall’inizio che la moglie in passato era stato un uomo e che le difficoltà a procreare erano riconducibili al cambio di sesso, sicuramente non si sarebbe sposato.

Costituitasi in giudizio la moglie chiede il rigetto della domanda attorea, stante l’impossibilità di ricondurre il loro caso all’errore invocato dal marito di cui all’articolo 122 del codice civile. La donna afferma infatti che l’attore era   al corrente, prima di contrarre matrimonio, del procedimento di rettificazione di sesso a cui si era sottoposta.

Errore sull’identità della persona se il marito sposa una donna che prima era uomo?

Il Tribunale, conclusa l’istruttoria ritiene che la domanda dell’attore debba essere rigettata. Nel caso di specie è emerso che l’attore in realtà non era stato informato dell’avvenuta rettificazione di sesso della moglie. Vero però che tale mancata conoscenza non è riconducibili giuridicamente all’errore previsto dall’articolo 122 del codice civile. L’uomo infatti, da parte sua, non ha mai  approfondito le vere cause dell’incapacità a procreare della convenuta. L’errore eccepito dal marito non ricade né sull’identità della persona né sulle sue qualità personali.

“Non vi è stato errore sulla identità della persona in quanto il (…) a tutti gli effetti, si è unito in matrimonio con la persona che intendeva e riteneva di sposare (….), che all’epoca già risultava donna, tanto anagraficamente quanto sotto l’aspetto dei caratteri sessuali (…) l’identità (di genere) della (moglie) si è sempre identificata con quella femminile e non con quella maschile, tanto che, la stessa (…) in modo particolarmente significativo” in una conversazione telefonica … “per più di una volta, nel rispondere alle domande incalzanti del (marito) relative al fatto se fosse o se fosse stata in passato un uomo, ha ribadito “io non sono un uomo”, “io non ero un uomo”.

Il cambio di sesso infatti non modifica l’identità sessuale della persona, ma adegua  i caratteri somatici e le risultanze anagrafiche alla identità reale dell’individuo.

Il marito quindi non è caduto in alcun errore essenziale sulle qualità personali del coniuge, per cui la richiesta di annullamento del matrimonio va rigettata.

 

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Reato di contrabbando estinto con il ravvedimento operoso Il reato di contrabbando punito solo con la multa si estingue con il pagamento, anche in misura ridotta grazie al ravvedimento operoso

Reato di contrabbando e ravvedimento operoso

Il reato di contrabbando si estingue con il ravvedimento operoso. Lo chiarisce la circolare n. 22/2024 dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

La circolare ricorda infatti che il decreto legislativo n. 141/2024 ha introdotto importanti novità in materia sanzionatoria per quanto riguarda gli illeciti in materia doganale.

L’articolo 79 del suddetto decreto legislativo punisce in particolare il contrabbando per dichiarazione infedele. La norma infatti così dispone: Chiunque dichiara qualità, quantità, origine e valore delle merci, nonché ogni altro elemento occorrente per l’applicazione della tariffa e per la liquidazione dei diritti in modo non corrispondente all’accertato è punito con la multa dal 100 per cento al 200 per cento dei diritti di confine dovuti o dei diritti indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione.” Questo tipo di reato, come emerge dalla norma, è punito solo con la multa.

Reato di contrabbando estinto se si paga la multa

Questa precisazione è molto importante perché l’articolo 112 dello stesso decreto legislativo n. 141/2024 disciplina l’estinzione dei delitti di contrabbando punibili con la sola multa.

La norma prevede infatti che “1. Per i delitti di contrabbando punibili con la sola pena della multa, l’autore della violazione può effettuare il pagamento, oltre che del tributo eventualmente dovuto, di una somma determinata dall’Agenzia in misura non inferiore al 100 per cento e non superiore al 200 per cento dei diritti previsti per la violazione commessa. 2. Il pagamento della predetta somma e del tributo estingue il reato. 3. L’estinzione del reato non impedisce l’applicazione della confisca, la quale è disposta con provvedimento dellAgenzia.” 

Da segnalare poi l’articolo 88 sulle circostanze aggravanti del reato di contrabbando.

Il comma 3 è di particolare interesse perché precisa che, per i delitti di cui all’art. 79 (contrabbando per dichiarazione infedele) e 83 (contrabbando nell’esportazione temporanea e nei regimi di uso particolare e di perfezionamento) alla multa si somma la pena della reclusione fino a tre anni se lammontare di almeno uno dei diritti di confine dovuti supera i 50mila euro, ma non i 100.000 euro.

Diritti sotto i 50.000: estinzione con il ravvedimento operoso

Alla luce delle disposizioni analizzate la circolare n. 22/2024 chiarisce quindi che per i reati di contrabbando per i quali nessuno dei diritti di confine dovuti superi i 50.000 euro, in assenza di aggravanti, sia possibile accedere all’istituto contemplato dall’art. 112 del decreto, che prevede l’estinzione dei delitti di contrabbando punibili con la sola multa.

L’accesso all’istituto non è soggetto a termini di decadenza, per cui la parte può procedere al pagamento anche in pendenza del procedimento penale.

Ma non è tutto, la parte interessante della circolare è quella in cui ricorda che l’articolo 104 del decreto legislativo prevede lapplicabilità alle violazioni e alle sanzioni delle disposizioni contenute nei decreti legislativi n. 471/1997 e 472/1997, purché compatibili e salvo sia diversamente previsto.

Ne consegue che la parte potrà definire la propria posizione ed estinguere il reato di contrabbando anche ricorrendo all’istituto del ravvedimento operoso contemplato dall’art. 13 del decreto legislativo n. 472/1997. Grazie a questo istituto il soggetto multato potrà beneficiare inoltre di una riduzione pari a un decimo del minimo della sanzione se provvede al pagamento entro il termine di 30 giorni dalla commissione.

 

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conciliazione obbligatoria

Conciliazione obbligatoria: stop per voli cancellati e ritardi Stop alla conciliazione obbligatoria in caso di voli cancellati o ritardi, i passeggeri potranno rivolgersi subito al giudice

Addio conciliazione obbligatoria per ritardi e voli cancellati

Il tentativo di conciliazione obbligatoria previsto per i passeggeri aerei, vittime di ritardi e voli cancellati non sarà più vincolante. In presenza di questi inadempimenti i passeggeri potranno rivolgersi direttamente all’autorità giudiziaria. Lo ha deciso il TAR Piemonte nella sentenza n. 1093-2024, annullando la delibera dell’Autorità di regolazione dei trasporti n. 21/2023 nella parte in cui prevede l’obbligo del tentativo di conciliazione prima di ricorrere in giudizio. Procedura che, come sostenuto anche dal ricorrente, aggrava le spese e causa un’inutile perdita di tempo.

Volo cancellato:  richiesta compensazione e rimborso spese

Un privato ricorre al TAR Piemonte, facendo presente che in data 18 febbraio 2023 lo stesso, lavorando a Verona, avrebbe dovuto raggiungere la sua famiglia, residente a Lucera, in provincia di Foggia.

Per arrivare rapidamente dal suo nucleo familiare l’uomo aveva prenotato un volo che gli avrebbe consentito di arrivare a destinazione entro la mattinata.

Pochi minuti prima del decollo però il ricorrente veniva a sapere che il suo volo era stato cancellato. L’uomo, dopo avere trovato in autonomia un mezzo di trasporto su strada, raggiungeva la famiglia in serata.

Il mese successivo l’uomo inviava un reclamo al vettore aereo, chiedendo la compensazione pecuniaria forfettaria di 250,00 euro (regolamento CE n. 261/2004 art. 7 par. 1, lett. a), il rimborso del biglietto aereo e il rimborso delle spese ulteriori sostenute. La Compagnia però non forniva alcun riscontro alle sue richieste.

La conciliazione aumenta i costi per il passeggero

Il ricorrente, che a questo punto avrebbe dovuto risolvere la controversia in via stragiudiziale, ne contesta l’obbligatorietà perché, a suo dire, il tentativo di conciliazione si risolve in un inutile perdita di tempo e in un aggravio di spese. Per il ricorrente la procedura conciliativa preventiva e obbligatoria impedisce infatti di ricorrere immediatamente in giudizio per far valere le proprie ragioni.

Per tutti questi motivi il ricorrente chiede l’annullamento della delibera dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti dell’8 febbraio 2023, n. 21 (compreso l’allegato A e tutti gli atti presupposti) perché impone la conciliazione obbligatoria preventiva in presenza di una controversia tra gli operatori economici che gestiscono servizi di trasporto e gli utenti o consumatori.

Conciliazione obbligatoria: viola il diritto di agire in giudizio

Il TAR accoglie il ricorso perché fondato. In effetti, come rileva il Tribunale amministrativo, la procedura conciliativa preventiva e obbligatoria costituirebbe un inutile e ingiustificato aggravio, viste lirrinunciabilità dei diritti previsti dal Regolamento e la predeterminazione forfettaria dellimporto della compensazione. Inoltre, essa, impedendo al passeggero di rivolgersi immediatamente a un tribunale in caso di rigetto del reclamo o di esercitare una scelta tra rivolgersi ad un tribunale o ad un altro organismo competente, precluderebbe laccesso alla giustizia, ponendosi in contrasto con il Regolamento europeo e con i principi costituzionali in materia di diritto di azione (cfr. art. 24 Cost)”. 

Il TAR fa presente inoltre che il passeggero potrebbe scoraggiarsi e rinunciare a far valere i propri diritti perché la piattaforma per la conciliazione obbligatoria prevede un accesso digitale di cui non tutti dispongono e con il quale non tutti hanno dimestichezza. Il passeggero potrebbe sentirsi costretto a chiedere  assistenza a un legale, che dovrebbe comunque pagare e a cui dovrebbe anticipare le spese necessarie per avviare la procedura. Senza dimenticare i costi che tutti i passaggi (reclamo, conciliazione ed eventuale giudizio) comportano.

 

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bacio a sfioro

Bacio a sfioro: è violenza sessuale Per la Cassazione, il bacio a sfioro integra il reato di violenza sessuale, basta il contatto delle labbra per ledere la libertà sessuale

Reato di violenza sessuale

Il bacio a sfioro integra il reato di violenza sessuale. Questo illecito penale è infatti integrato da qualsiasi atto che si risolve in un contatto fisico, anche fugace e repentino tra il soggetto agente e la persona offesa. La Cassazione ha ribadito questo principio nella sentenza n. 39488/2024.  

Il bacio a sfioro integra il reato di violenza sessuale

Un soggetto viene assolto in primo grado dal reato violenza sessuale previsto dall’articolo 609 bis c.p. La parte civile impugna la decisione. La Corte riforma la sentenza e condanna l’imputato per il reato ascritto e lo condanna a risarcire la persona offesa con l’importo di 2000 euro.

La confidenza con la collega giustificava il bacio

L’imputato ricorre in Cassazione e con il primo motivo contesta la condanna. Il ricorrente sottolinea come lo stesso fosse ragionevolmente convinto del consenso della persona offesa. Con la donna si era infatti instaurato un rapporto di confidenza e di complicità. Solo dopo il bacio si è reso conto della erroneità delle sue convinzioni.

La Corte territoriale inoltre ha travisato il senso della domanda “potevo” rivolta alla persona offesa dopo il fatto. Il giudice dell’impugnazione ha errato anche quando ha ritenuto la condotta improntata a dolo o a colpa. Il reato di violenza sessuale infatti deve essere necessariamente doloso. Per l’imputato infine il caso di specie configurerebbe un’ipotesi di delitto putativo per errore sul fatto di reato, come contemplato dall’articolo 47 codice penale.

Il solo contatto con le labbra viola la libertà sessuale

Per la Cassazione però il ricorso è inammissibile. L’agente ha commesso senza dubbio un atto di natura sessuale. Costante giurisprudenza ritiene infatti che “il «bacio» anche nel caso in cui si risolva nel semplice contatto delle labbra” è comunque idoneo a ledere la libertà e lintegrità sessuale della vittima. Dal racconto attendibile della persona offesa emerge che la donna, dopo aver scambiato cordiali convenevoli con l’imputato davanti alla macchinetta del caffè, aveva ripreso il suo lavoro indossando delle cuffiette. L’imputato a quel punto l’aveva afferrata da tergo, buttata contro il muro e baciata sulla bocca.

Non può sussistere nel caso di specie il reato putativo per le circostanze di luogo e di tempo e per la condotta incontestata dell’imputato. Indubbio che l’imputato abbia agito nella consapevolezza del mancato consenso della donna. Dopo l’atto infatti le ha chiesto: “potevo?”.

Infondata anche la convinzione che la Corte d’Appello abbia ritenuto colposa la violenza sessuale. Quando la Corte d’appello ha affermato che l’imputato avesse realizzato un illecito con dolo o colpa grave non riferiva alle responsabilità dell’illecito penale, ma alla liquidazione delle pretese civili effettuata in via equitativa.

 

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