intercettazioni telefoniche

Intercettazioni telefoniche: per legge fino a 45 giorni Intercettazioni telefoniche: in vigore dal 24 aprile la legge che ha fissato a 45 giorni il termine di durata massimo, salvo eccezioni

Intercettazioni telefoniche: durata

In vigore dal 24 aprile 2025, la legge n. 47/2025 che impone il limite massimo di 45 giorni per le intercettazioni telefoniche. Il testo era stato approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati nella giornata di mercoledì 19 marzo 2025 con 147 voti favorevoli, 67 contrari e un astenuto.

Durata limitata con eccezioni

La nuova norma stabilisce che le intercettazioni non possano superare il tetto di 45 giorni. Tuttavia, se emergono elementi concreti e specifici che ne rendano indispensabile la prosecuzione, il limite può essere esteso con un’esplicita motivazione. Questa regola si applica a tutte le operazioni di ascolto, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge.

Il provvedimento prevede deroghe infatti per i reati di criminalità organizzata  e minacce telefoniche.

Modifiche al codice di procedura penale

Il provvedimento modifica l’articolo 267 del codice di procedura penale, introducendo il limite temporale alle intercettazioni. Inoltre, l’articolo 13 del decreto-legge n. 152 del 1991 viene aggiornato per escludere dall’applicazione del nuovo limite a reati gravi.

Cosa cambia nelle intercettazioni telefoniche

La nuova legge rappresenta un cambiamento significativo nella disciplina delle intercettazioni. Se da un lato introduce un controllo più stringente sulle operazioni investigative, dall’altro solleva dubbi sulla sua efficacia nel contrastare i reati più gravi. Il dibattito resta aperto tra chi la considera una misura di garanzia e chi, invece, teme un indebolimento delle indagini giudiziarie.

 

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danno emergente e lucro cessante

Danno emergente e lucro cessante Danno emergente e lucro cessante: cosa sono, differenze, normativa, come si provano e sentenze della Cassazione

Danno emergente e lucro cessante: voci di danno

Il danno emergente e il lucro cessante nel diritto civile italiano, rappresentano le voci primarie di danno patrimoniale conseguenti a un illecito o a un inadempimento contrattuale, in favore di chi ha subito un pregiudizio patrimoniale

Queste due voci risarcitorie hanno finalità riparative differenti: il primo risarcisce la perdita già subita, il secondo compensa il guadagno non realizzato a causa dell’evento dannoso.

Normativa danno emergente e lucro cessante

La base normativa per la liquidazione del danno patrimoniale si trova in due disposizioni fondamentali del codice civile:

  • Art. 1223 c.c.: “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore (danno emergente) come il mancato guadagno (lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
  • Art. 2056 c.c., applicabile in materia di responsabilità extracontrattuale, rinvia ai criteri degli articoli precedenti in tema di danno da inadempimento. In dettaglio la norma dispone infatti che: “Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223 12261227.2. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.”

Queste disposizioni richiedono che il danno sia causato direttamente e immediatamente dall’evento lesivo, escludendo i pregiudizi indiretti o meramente eventuali.

Cos’è il danno emergente

Il danno emergente rappresenta la perdita effettiva subita dal patrimonio del danneggiato. È una voce di danno concreto, attuale e dimostrabile, legata a costi sostenuti, spese affrontate o beni danneggiati.

Esempi tipici:

  • spese mediche e farmaceutiche sostenute a seguito di un sinistro;
  • riparazione o sostituzione di beni danneggiati;
  • costi per consulenze tecniche o legali;
  • perdita di beni materiali (es. distruzione di merci, macchinari o strumenti di lavoro);
  • costi per trasferimenti o per rimediare ai danni subiti.

Come si prova

È necessario fornire documentazione probatoria come:

  • fatture, ricevute e scontrini;
  • contratti e perizie tecniche;
  • testimonianze o relazioni di professionisti.

Cos’è il lucro cessante

Il lucro cessante indica invece il mancato guadagno che il danneggiato avrebbe potuto conseguire in assenza dell’illecito o dell’inadempimento. È un danno futuro e potenziale, ma risarcibile purché sia prevedibile e ragionevolmente certo.

Esempi tipici:

  • perdita di ricavi da un’attività commerciale temporaneamente interrotta;
  • mancato profitto derivante da un contratto non concluso;
  • minore fatturato a seguito della lesione di un bene produttivo (es. fermo impianti);
  • perdita di opportunità professionali o di mercato.

Come si prova

La prova del lucro cessante è più complessa, poiché riguarda eventi non verificatisi, ma astrattamente prevedibili. La giurisprudenza richiede una prova rigorosa, basata su:

  • documenti contabili e bilanci pregressi;
  • stime economiche di esperti;
  • contratti sfumati o ordini non evasi;
  • indicatori economici coerenti con il tipo di attività.

Differenze tra danno emergente e lucro cessante

Elemento

Danno emergente

Lucro cessante

Natura

Perdita già subita

Guadagno non realizzato

Temporalità

Attuale e concreta

Futuro e potenziale

Prova

Oggettiva (ricevute, fatture)

Prospettica (stime, dati economici)

Finalità risarcitoria

Ripristino del patrimonio

Compensazione del mancato arricchimento

Esigibilità

Generalmente più semplice

Richiede elevata attendibilità delle previsioni

Come si calcolano

Per il danno emergente, il calcolo è di norma analitico, basato sulle spese effettivamente sostenute.

La quantificazione del danno secondo criteri equitativi riguarda soprattutto il lucro cessante e può essere effettuata dal giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c., quando non sia possibile la prova precisa del danno. Ai fini del calcolo del lucro cessante, si applicano in genere i seguenti criteri:

  • proiezioni storiche (es. media dei profitti passati);
  • studi di settore e perizie economico-finanziarie;
  • elementi oggettivi di confronto tra periodo precedente e successivo all’evento.

Sentenze su danno emergente e lucro cessante

Negli anni la Cassazione ha sancito importanti principi generali in materia di risarcimento del danno:

Cassazione n. 17670/2024

Il danno patrimoniale si articola in danno emergente (perdita effettiva) e lucro cessante (mancato guadagno). Queste categorie generali comprendono una molteplicità di specifiche voci di danno che possono o meno presentarsi in un determinato caso di illecito o inadempimento. Spetta al giudice di merito esaminare attentamente il caso concreto per accertare l’effettiva sussistenza di queste specifiche ripercussioni negative subite dal creditore o danneggiato, a prescindere dall’etichetta che viene loro attribuita. Il suo compito è garantire un integrale risarcimento di tutti i danni effettivamente provati. È fondamentale che il giudice consideri e risarcisca tutte le voci di danno patrimoniale esistenti e provate, senza tralasciarne alcuna, per rispettare il principio del risarcimento integrale. Tuttavia, questo principio è strettamente correlato al fatto che il responsabile è tenuto a risarcire solo i danni direttamente causati dal suo illecito o inadempimento, evitando così ingiustificate duplicazioni risarcitorie.

Cassazione n. 9277/2023

La facoltà del giudice di quantificare il danno in via equitativa (come previsto dagli articoli 1226 e 2056 del Codice Civile) è una manifestazione del suo più ampio potere discrezionale sancito dall’articolo 115 del Codice di Procedura Civile. Il giudice può esercitare questo potere autonomamente, senza bisogno di una specifica richiesta delle parti, basandosi su un principio di “equità giudiziale” che mira a correggere o integrare la valutazione del danno. Tuttavia, questo potere ha un limite fondamentale: non può supplire alla mancanza di prova né della responsabilità del debitore né dell’esistenza stessa del danno. In altre parole, il giudice non può inventare la responsabilità o l’esistenza del danno se queste non sono state provate. L’equità interviene solo nella quantificazione del danno la cui esistenza e la cui responsabilità siano già state accertate.

 

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Patto di quota lite invalido: compenso in base alle tariffe Patto di quota lite invalido se prevede il 40% del compenso in caso di vittoria e nulla in caso di sconfitta, alll'avvocato compenso in base alle tariffe forensi

Patto di quota lite invalido

La Cassazione nella sentenza n. 9359/2025 si è espressa sul patto di quota lite tra avvocato e cliente. L’accordo prevedeva un compenso del 40% in caso di vittoria e non prevedeva alcun compenso in caso di sconfitta. Per gli Ermellini un patto di questo tipo non è valido. La legge vieta infatti questi accordi ai fini del riconoscimento del compenso del legale.

Compenso avvocato pari al 40%

La causa ha inizio perché una donna incarica un avvocato di difenderla in un giudizio. L’accordo relativo al compenso del legale prevede il riconoscimento del 40% della somma che la cliente potrebbe ottenere in giudizio. Accade però che la cliente perde la causa. L’avvocato chiede quindi il pagamento del compenso previsto in base alle tariffe forensi, sostenendo la nullità del patto convenuto. Il Tribunale di Forlì accoglie la domanda dell’avvocato, ritenendo nullo il patto di quota lite e applicando le regole sul compenso del difensore. La cliente nell’impugnare la decisione, sostiene che l’accordo stipulato con il legale non è vietato. Le clausole, a suo dire, hanno portata autonoma. Una clausola commisurava infatti il compenso al 40% del risultato, l’altra prevedeva l’assenza di compenso in caso di sconfitta. Questa seconda clausola deve essere interpretata come una rinuncia preventiva al compenso.

Nullo il patto di quota lite, valido il contratto

La Cassazione però rigetta il ricorso della cliente, affermando che le due clausole formavano in realtà un unico accordo. Questo accordo regolava il compenso del difensore e le clausole in esso contenute prevedevano due ipotesi alternative. In caso di vittoria, il compenso era il 40%, mentre in caso di sconfitta, non spettava alcun compenso. Un’ipotesi dipendeva dall’altra, le stesse non costituivano patti autonomi.

La Cassazione conferma quindi la nullità del patto di quota lite, precisando però che la nullità è parziale e non inficia comunque l’intero contratto di patrocinio. Questo infatti resta valido e il compenso del difensore deve essere calcolato in base alle tariffe forensi. Il tribunale quindi ha correttamente ritenuto la clausola di rinuncia un patto di quota lite, ma la legge vieta questi accordi a tutela del lavoro del difensore.

 

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Allegati

uomini violenti

Recupero uomini violenti: i percorsi di riabilitazione Uomini violenti con le donne: definiti con decreto i criteri di accreditamento degli enti che organizzano i percorsi di recupero

Corsi di recupero uomini violenti: il decreto

Il Ministro della Giustizia e la Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità hanno firmato un decreto importante per contrastare la violenza contro le donne attraverso il recupero degli uomini violenti. 

Il provvedimento definisce particolare i criteri e le modalità per riconoscere e accreditare gli enti che organizzano percorsi di recupero per uomini autori di violenza di genere o domestica.

Questi percorsi possono essere svolti solo nei C.U.A.V. (Centri per Uomini autori o potenziali autori di violenza), inseriti in un elenco ufficiale gestito dal Ministero della Giustizia.

I centri possono essere organizzati da enti pubblici, servizi sanitari, organismi del terzo settore o da una loro collaborazione. Solo chi è accreditato potrà realizzare i programmi.

Il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità è responsabile del riconoscimento degli enti e della gestione dell’elenco, pubblicato online.

L’Ispettorato generale del Ministero potrà effettuare controlli e vigilanza sulle attività svolte.

Percorso e sospensione condizionale della pena

La partecipazione a questi percorsi è fondamentale per i condannati che intendono accedere alla sospensione condizionale della pena, ma può coinvolgere anche imputati e indagati, come misura preventiva.

Il decreto introduce anche le linee guida nazionali per i percorsi di recupero, che saranno aggiornate ogni tre anni. Queste indicazioni si baseranno anche sui dati raccolti dall’Osservatorio sulla violenza contro le donne e sulla violenza domestica, con l’obiettivo di garantire interventi efficaci e mirati.

Il provvedimento interministeriale si pone l’obiettivo di combattere la violenza attraverso la prevenzione e la trasformazione comportamentale degli autori dei comportamenti violenti. Offrire loro un’opportunità di cambiamento è un passo fondamentale per proteggere le vittime e ridurre il rischio di recidiva.

Il decreto, se correttamente applicato, potrebbe offrire numerosi vantaggi per la società, il sistema giudiziario e soprattutto per la tutela delle vittime.

 

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decreto coesione legge

Decreto coesione: cosa prevede la legge La legge di conversione del decreto coesione prevede una serie di misure per rimettere in moto il Sud Italia

Decreto coesione e legge di conversione

Il testo della legge (n. 95/2024), di conversione del decreto coesione (decreto legge n. 60/2024) recante “ulteriori disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione” è in vigore dal 7 luglio 2024.

La legge è composta da 50 articoli e al Titolo I contiene le misure di riforma della politica di coesione in materia di utilizzo delle risorse, di semplificazione amministrativa e contabile, di rafforzamento della capacità amministrativa, di sviluppo e coesione territoriale, di lavoro, di istruzione, università e ricerca, di investimenti, di cultura e di sicurezza.

Il Titolo II invece contiene disposizioni ulteriori relative al piano nazionale di ripresa e resilienza.

Vediamo le misure più importanti e significative.

Gli interventi per il lavoro

Il Parlamento ha autorizzato il MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti) ad assumere personale con contratto a tempo indeterminato:

  • 100 unità andranno ad arricchire l’aria elevata professionalità;
  • 300 unità saranno destinate all’area funzionari;
  • 150 unità invece all’area assistenti.

Autorizzata anche la procedura concorsuale per assumere 245 segretari comunali e provinciali.

Iscro

Per accedere all’ISCRO non sarà più necessario partecipare ai vari percorsi di aggiornamento professionale. I beneficiari dell’ISCRO inoltre potranno autorizzare l’INPS a trasmettere i propri dati di contatto alle piattaforme che attivano misure di inclusione sociale e di politica attiva come il SIISL (sistema informativo unitario delle politiche del lavoro) al fine sottoscrivere il patto di attivazione digitale necessario per il successivo patto lavoro e per l’assegno di inclusione sociale.

Scadenze e sgravi

Cambiano le scadenze delle convenzioni per l’utilizzo dei lavoratori socialmente utili, che vengono prorogate al 31 dicembre 2024.

Incrementato di 9 mesi il termine per l’operatività delle agenzie che somministrano il lavoro in porto.

Incrementato il fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e aeroportuale.

Previsti sgravi ed esoneri contributivi per i datori di lavoro che assumeranno stabilmente lavoratori nei settori strategici e donne in difficoltà per favorire le pari opportunità.

Su queste misure, previste dagli articoli 22 e 23 del decreto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia in data 11 aprile 2025 hanno emanato i decreti attuativi dedicati al bonus giovani under 35 e donne. I decreti si occupano di definire i criteri di applicazione e di funzionamento degli sgravi contributivi totali per quei datori che assumeranno a tempo indeterminato gli under 35 che non hanno mai avuto un’occupazione stabile e le donne prive di un’occupazione retribuita regolarmente.

Le misure per gli enti

Istituita la zona logistica semplificata anche nelle aree portuali delle regioni (Marche Umbria e Abruzzo) non comprese nella ZES Unica.

Premi per le Regioni e le Province autonome che porteranno a compimento rapidamente gli interventi nei settori strategici della coesione.

Dal 2024 al 2028 sono previsti contributi annuali di 5 milioni di euro per la fusione dei comuni.

Nuovi stanziamenti per il Ministero dell’Università e della ricerca e per il Ministero dell’interno.

Nuove risorse verranno destinate anche alla perequazione infrastrutturale del Mezzogiorno e in particolare in favore delle seguenti Regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Gli interventi riguarderanno strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, risorse idriche, strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche e deputate alla cura dell’infanzia.

Fonti rinnovabili e bonus

Il provvedimento vuole recuperare importanti siti industriali. A tal fine definisce le procedure per individuare i criteri di selezione degli investimenti da attuare nelle regioni del sud Italia e in particolare in Basilicata, Calabria,  Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia per produrre energia, anche termica da fonti rinnovabili da destinare all’autoconsumo delle imprese, ma anche per incrementare la capacità della rete distributiva, accogliere quote sempre più elevate di energia derivante da fonti rinnovabili e sviluppare i sistemi di stoccaggio sempre più efficienti.

Sicurezza

La nuova legge vuole rafforzare la legalità nelle regioni meno sviluppate. Si autorizza inoltre il Ministero dell’Interno a mettere in atto piani di intervento per completare il servizio di telecomunicazione sull’intero territorio nazionale dando priorità di copertura ai territori che saranno protagonisti dei giochi olimpici invernali del 2026.

Nello stato di previsione del Ministero della difesa inoltre è istituito un fondo per potenziare la cybersicurezza e le tecnologie satellitari.

molestie alla collega

Molestie alla collega: legittimo il licenziamento Molestie alla collega: legittimo il licenziamento, è sufficiente la prova testimoniale della persona offesa

Molestie alla collega: licenziamento legittimo  

Licenziamento per giusta causa legittimo per il lavoratore che, anche in presenza di un solo testimone oculare, rivolge molestie alla collega sul posto di lavoro baciandola sulla bocca, senza il suo consenso. Il tutto accompagnato da frasi a sfondo sessuale. Lo ha stabilito la Corte di Appello di Torino nella sentenza n. 150/2025.

Licenziamento per giusta causa illegittimo

Un addetto alla reception di una università viene licenziato. Il Tribunale però non ritiene provata la giusta causa disciplinare del licenziamento, ritenendo inattendibile la testimonianza del capo squadra del servizio di pulizie. L’uomo è stato accusato nello specifico di avere molestato fisicamente una collega e di aver abbandonato il posto di lavoro. I fatti sarebbero avvenuti in occasione di una festa di pensionamento di un collega. Alla festa il lavoratore avrebbe alzato il gomito e “in grave e visibile stato di ebbrezza” avrebbe rivolto alla collega attenzioni non gradite. La versione dei fatti però non viene condivisa dal Tribunale, tanto che la domanda di accertamento del licenziamento viene respinta. Il Tribunale accoglie invece la domanda riconvenzionale con il quale è stato chiesto l’annullamento del recesso del datore di lavoro, stante la natura ritorsiva della condotta. La decisione però viene impugnata. Per l’appellante infatti il giudice di primo grado ha errato nella valutare le testimonianze e non considerare rilevante dal punto di vista disciplinare l’abbandono della postazione di lavoro.

Testimonianza della collega attendibile

La Corte però ritiene meritevole di accoglimento la doglianza esposta nel primo motivo di appello tanto che accoglie l’impugnazione, dichiarando legittimo il licenziamento. Queste le ragioni della decisione.

Il Collegio concentra la sua attenzione sulle molestie alla collega del dipendente. L’uomo infatti ha abbracciato e baciato sulla bocca la donna contro la sua volontà. Ha anche fatto apprezzamenti sul suo aspetto e ha dichiarato di essere innamorato. La collega ha testimoniato l’accaduto. Ha raccontato che l’uomo l’ha presa per il viso e l’ha baciata, senza giustificare il gesto. Subito dopo, le ha fatto complimenti e le ha detto di essere innamorato di lei. La donna però ha precisato che non c’era mai stato un rapporto confidenziale tra loro. La testimonianza della donna per la Corte è credibile.

Lei ha notato che il collega parlava in modo strano e barcollava. Sentiva odore di alcol. L’uomo stesso ha ammesso di aver bevuto due bicchieri di vino poco prima. Anche se non era ubriaco, l’alcol poteva averlo alterato leggermente. La donna non poteva sapere del brindisi, quindi la sua affermazione sull’alito vinoso è veritiera. La sua deposizione inoltre è in linea con la mail che ha inviato pochi giorni dopo l’episodio. Il fatto che non ricordasse se l’uomo l’avesse anche abbracciata rafforza la sua attendibilità.

La testimonianza della collega insomma è sufficiente come prova. Non serve quella di un’altra persona. Le incongruenze minori evidenziate nella prima sentenza non sminuiscono la sua credibilità sul bacio e sugli apprezzamenti. Anzi, queste piccole differenze rendono la sua testimonianza più genuina. Se avesse voluto mentire, si sarebbe accordata con un’altra collega per una versione perfetta.

Errato colpevolizzare la vittima

Il primo giudice non ha ritenuto credibile la donna perché non ha subito chiesto aiuto. Ha anche criticato il suo comportamento dopo la molestia. Queste argomentazioni però non convincono il Collegio. Il comportamento di una vittima dopo una molestia non toglie veridicità all’evento. Non esiste un modo “giusto” di reagire. Colpevolizzare la vittima è sbagliato. La donna potrebbe non aver voluto denunciare subito per diverse ragioni. La molestia subita non era di estrema violenza. Inoltre, lei stessa non voleva che l’episodio avesse conseguenze.

La Corte si chiede inoltre perché la donna avrebbe dovuto calunniare il collega. Non c’era un motivo plausibile. Non avevano particolari rapporti o ragioni di risentimento. L’unica circostanza menzionata dall’uomo è che la sorella della donna ha preso il suo posto di lavoro dopo il licenziamento. Questa cosa è stata detta però solo in appello e non c’è prova che sia emersa dopo il primo giudizio. Inoltre, il mezzo (calunnia) è sproporzionato rispetto al fine (un posto di lavoro non particolarmente allettante).

La donna stessa ha detto di non voler portare avanti la cosa subito dopo l’accaduto. Questo dimostra che non voleva che la direzione aziendale sapesse della molestia. Se avesse voluto incastrare l’uomo, non avrebbe agito da sola. Avrebbe avuto bisogno della complicità dei vertici aziendali, cosa non plausibile. L’uomo non ha fornito un motivo convincente per cui la donna avrebbe dovuto calunniarlo.

Illecito disciplinare le molestie alla collega

La testimonianza della donna è quindi attendibile riguardo alla molestia sessuale. Questa rientra nella definizione di comportamenti indesiderati a sfondo sessuale che violano la dignità di una lavoratrice. Costituisce anche un illecito disciplinare punibile con il licenziamento senza preavviso. La condotta dell’uomo è oggettivamente offensiva e mina il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. La giusta causa disciplinare accertata giustifica il licenziamento, a prescindere da eventuali ragioni di ritorsione dell’azienda. Il Collegio non esamina l’abbandono del posto di lavoro.

 

 

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interdizione e inabilitazione

Addio a interdizione e inabilitazione? Interdizione e inabilitazione a rischio: un emendamento del Governo al ddl AS n. 1192 vuole superare questi istituti in favore dell'AdS

Interdizione e inabilitazione

Interdizione e inabilitazione a rischio. L’emendamento del Governo alla legge di semplificazione annuale (ddl AS n. 1192) prevede l’accorpamento degli istituti dell’inabilitazione e dell’interdizione nell’amministrazione di sostegno.

L’emendamento delega l’Esecutivo a rivedere gli istituti di tutela suddetti al fine di superarli gradualmente e accorpare la tutela dei disabili nell’amministrazione di sostegno, dopo una attenta rimodulazione.

Interdizione e inabilitazione: deboli a rischio?

Insorge l’avvocatura sottolineando l’importanza dell’assistenza professionale per i soggetti deboli. Il superamento degli istituti tradizionale di tutela pare del tutto inopportuno. Le modifiche al vaglio rischiano inoltre di compromettere la ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Condivisibile l’obiettivo di superare istituti anacronistici, ma occorre considerare anche la possibile regressione delle garanzie dei diritti fondamentali dei soggetto più deboli.

L’emendamento rischia anche di minacciare i patrimoni, appare  quindi necessario proporre livelli di formalità diversi per patrimoni e redditi maggiori.

Gli istituti dell’amministrazione di sostegno, dell’inabilitazione e interdizione inoltre sono diversi. L’amministrazione di sostegno è più elastica e adatta a situazioni temporanee. L’inabilitazione e all’interdizione invece hanno funzione stabile e duratura.

Occorrono criteri stringenti e definiti per l’applicazione dell’Amministrazione di sostegno, garanzie di controllo giurisdizionale e partecipazione attiva del beneficiario. Necessario a tal fine   il coinvolgimento delle professioni legali e del terzo settore.

Aiga: serve una riforma giusta ed equilibrata

Aiga ritiene che l’emendamento comprometta la tutela dei più fragili, ne riduca le garanzie e ne indebolisca la protezione patrimoniale.

Nel suo comunicato stampa del 9 aprile 2025 ricorda anche la propria proposta di legge finalizzata a:

  • riconoscere la professionalità degli amministratori di sostegno;
  • garantire un compenso equo e dignitoso a questi soggetti;
  • definirne chiaramente le responsabilità;
  • rafforzarne la tutela fiscale e legale.

Il legislatore deve adottare un approccio responsabile, tutelare i diritti dei soggetti fragili e garantire la dignità professionale degli amministratori di sostegno.

affettività in carcere

Affettività in carcere: le linee guida Affettività in carcere: dopo la pronuncia della Consulta arrivano le linee guida che riconoscono ai detenuti il diritto all'intimità

Affettività in carcere: linee guida post Consulta

Sull’affettività in carcere arrivano le linee guida sottoscritte dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Lina Di Domenico.

Il documento recepisce le indicazioni della Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 10/2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, nei termini di cui in motivazione, a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.”

Linee guida affettività in carcere: cosa prevedono

Le linee guida, alla luce di quanto sancito dalla Consulta, prevedono che i colloqui intimi saranno consentiti, a meno che non ci sia incompatibilità con l’assenza di un controllo visivo.

Il numero dei colloqui sarà il medesimo di quelli di cui i detenuti e gli internati fruiscono già mensilmente e la durata massima sarà di due ore.

Le amministrazioni penitenziarie dovranno individuare locali da destinare a questi colloqui, che siano in grado di garantire una certa riservatezza. Da preferire le aree vicino all’ingresso dell’istituto, ma la direzione può consentire lo svolgimento dei colloqui in locali distinti.

La stanza destinata ai colloqui intimi sarà arredata con un letto e servizi igienici. La stessa però non potrà essere chiusa dall’interno e sarà sorvegliata soltanto esternamente dalla Polizia penitenziaria equipaggiata per il controllo dei detenuti e dei soggetti ammessi ai colloqui intimi e all’ispezione della stanza prima e dopo l’incontro.

Via preferenziale per i detenuti che non beneficiano di permessi premio o di altri benefici che consentano loro di coltivare rapporti affettivi all’esterno e detenuti e imputati che, a parità di condizioni, devono scontare pene più lunghe e si trovano in uno stato di privazione della libertà da più tempo.

Per quanto riguarda i soggetti ammessi ai colloqui le linee guida indicano il coniuge, la parte dell’unione civile e il convivente, dopo gli opportuni controlli documentali e la firma del consenso informato del soggetto in visita.

Soggetti esclusi e possibili limitazioni

Sono esclusi dai colloqui intimi i detenuti sottoposti a regimi detentivi speciali come quelli previsti dall’artt. 41-bis O.P. e dall’art. 14-bis O.P.

Alle Direzioni il compito di individuare eventuali ragioni ostative per ragioni di sicurezza o per la necessità di mantenere l’ordine e la disciplina.

Colloqui intimi esclusi in ogni caso per i detenuti in isolamento sanitario. I colloqui infine potranno essere negati nelle ipotesi di detenzione, dal parte dell’internato, di sostanze stupefacenti, oggetti atti a offendere e cellulari e nei casi in cui il soggetto abbia manifestato un’indole violenta o tenuto condotte che potrebbero comportare rischi in sede di colloquio.

 

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assegno di maternità 2025

Assegno di maternità 2025: importi aggiornati Novità in materia di assegno di maternità 2025: La circolare INPS n. 72/2025 comunica gli importi di riferimento per il calcolo dell'indennità

Assegno di maternità 2025: importi aggiornati

Novità in materia di assegno di maternità 2025. La circolare INPS n. 72/2025 comunica gli importi di riferimento per calcolare le contribuzioni dovute a lavoratori e lavoratrici per erogare l’indennità di maternità e di paternità.

Per calcolare l’indennità di maternità o di paternità si prende come riferimento la retribuzione del mese che precede l’evento, se il lavoratore è dipendente. Per le altre categorie invece si prendono come riferimento gli importi convenzionali. I valori sono adeguati al costo della vita ISTAT.

La circolare indica inoltre i valori di calcolo per le indennità di tubercolosi e malattia.

Assegno maternità 2025: retribuzioni giornaliere 

Per il calcolo delle indennità di maternità e paternità si prendono come riferimento le retribuzioni delle diverse categorie di lavoratori interessati: Questi gli importi:

  • lavoratori soci di società e di enti cooperativi anche di fatto: retribuzione di riferimento del mese precedente non inferiore al minimale di 57,32euro;
  • lavoratori agricoli a tempo determinato: valore non inferiore al minimale di legge pari a Euro 50,99;
  • compartecipanti familiari e piccoli coloni: importo non inferiore a 63,06 euro, da utilizzare in via temporanea e salvo conguaglio;
  • lavoratori italiani operanti all’estero in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale: retribuzioni previste dal decreto 16 gennaio 2025 per il calcolo delle contribuzioni ai fini della liquidazione anche delle prestazioni economiche di maternità e paternità;
  • lavoratori italiani e stranieri addetti ai servizi domestici e familiari:
  • 8,40 euro per retribuzioni orarie effettive fino a 9,48 euro;
  • 9,48 euro per retribuzioni orarie effettive superiori a 9,48 euro e fino a 11,54 euro;
  • 11,54 euro per retribuzioni orarie effettive superiori a 11,54 euro;
  • 6,11 euro per rapporti di lavoro con orario superiore a 24 ore settimanali.
  • lavoratori autonomi: artigiani e commercianti 57,32; pescatori 31,85 euro;
  • assegno di maternità dei Comuni riconosciuto per le categorie non coperte da un altro sistema previdenziale (disoccupate, prive di tutela previdenziale con ISEE inferiore a 20.382,90 euro): 2037,00 euro (importo complessivo per 5 mesi);
  • assegno statale una tantum per lavoratrici precarie, con contratti a termine o part time ciclici: 2.508,04 euro.

Come fare domanda

Per richiedere gli assegni, è necessario accedere al portale INPS tramite SPID, CIE o CNS, oppure rivolgersi direttamente al proprio Comune di residenza per l’assegno comunale. Chi supera i limiti ISEE stabiliti non ha diritto all’assegno, ma può valutare misure di sostegno alternative come il Reddito di Inclusione Familiare.

Congedo parentale retribuito 2025

Le recenti modifiche legislative hanno ridefinito i criteri reddituali per accedere al congedo parentale retribuito. In particolare, il diritto all’indennità del 30% è ora subordinato a un reddito individuale del genitore lavoratore dipendente che non superi i 19.610,50 euro annui. Questo limite è stato calcolato in base a 2,5 volte il trattamento minimo di pensione previsto per il 2025, fissato a 7.844,20 euro. Per poter beneficiare dell’indennità durante il congedo parentale, è necessario rientrare quindi in una specifica fascia di reddito.

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codice Ateco prostituzione

Codice ATECO anche per prostitute ed escort Codice ATECO prostituzione dal 1° aprile 2025: porte aperte a condotte illegali, l'ISTAT però assicura "solo attività legali"

Codice ATECO prostituzione

Codice ATECO prostituzione in vigore dal 1° aprile 2025. Lo prevede la nuova classificazione ISTAT delle attività economiche ATECO operativa nel Registro Imprese. Tra le novità, c’è il codice 96.99.92, che include infatti i “Servizi di incontro ed eventi simili“, comprendendo esplicitamente escort e sex worker. Il codice va ovviamente segnalato quando si avviano queste attività economiche.

ATECO 2025: una classificazione aggiornata

La nuova classificazione ATECO 2025 sostituisce quella del 2022. Essa descrive in modo più accurato le attività economiche, considerando le innovazioni e le trasformazioni recenti dell’economia e della società. L’ISTAT e il sistema camerale hanno collaborato all’elaborazione della  tabella di riclassificazione e hanno integrato diverse informazioni disponibili.

Aggiornamento automatico e implicazioni fiscali

Il codice ATECO di ogni impresa si aggiorna automaticamente: in “Visura” saranno visibili quindi sia il nuovo codice ATECO che quello vecchio. Le nuove attività adottano invece subito il nuovo Codice ATECO 2025 e spetta alla Camera di Commercio l’attribuzione del nuovo codice. Il sistema fiscale non riclassifica quindi d’ufficio e i contribuenti possono  usare il codice ATECO nelle proprie scadenze fiscali.

Codice ATECO prostituzione 96.99.92  

Come anticipato, l’elenco ATECO aggiornato al 2025 include il codice 96.99.92 per “Servizi di incontro ed eventi simili”.

Le note esplicative specificano che il codice attività include:

  • attività di accompagnatori (escort) e agenzie di incontro;
  • fornitura o organizzazione di servizi sessuali;
  • organizzazione di eventi di prostituzione e gestione di locali.

Regolarità fiscale e illiceità penali

La nuova classificazione permette così l’iscrizione alla Camera di Commercio ai sex worker e alle escort. La regolarizzazione fiscale però potrebbe collidere, per ovvi motivi, con le attività illecite. Il codice include infatti anche l’organizzazione di servizi sessuali e locali di prostituzione, tutte attività che, come noto,  possono configurare reati di sfruttamento della prostituzione.

Reato di sfruttamento della prostituzione

Lo sfruttamento della prostituzione del resto è un reato grave per nostro ordinamento e punito in base alle legge n. 75/1958.

Chi organizza o dirige la prostituzione altrui, traendone profitto, rischia infatti la reclusione e multe salate. La nuova classificazione ATECO 2025 sembra però legittimare queste attività.

Precisazioni ISTAT codice ATECO prostituzione

L’ISTAT precisa tuttavia che il nuovo codice ATECO riguarda solo le attività legali in Italia. Il codice 96.99.92 include in particolare le agenzie matrimoniali e di speed dating.

L’ISTAT tiene a precisare inoltre che la nuova classificazione non fa che recepire la classificazione europea NACE Rev. 2.1. In Europa infatti, alcune attività legate alla prostituzione, sono legali.

Implicazioni e controversie  

La nuova classificazione ATECO 2025 solleva indubbiamente questioni giuridiche complesse. Non c’è dubbio che la regolarizzazione fiscale di alcune attività possa entrare in conflitto con le leggi penali. La distinzione tra attività legali e illegali richiede un’analisi approfondita. E’ necessario monitorare l’applicazione della nuova classificazione al fine di valutarne l’impatto sul piano giuridico e sociale.

 

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