antiriciclaggio ue

Antiriciclaggio: al via il “grande fratello” europeo In Gazzetta Ufficiale il pacchetto UE approvato a maggio 2024 per la lotta al riciclaggio del denaro sporco (Anti Money Laundering) e al finanziamento del terrorismo

In GU il pacchetto UE sull’antiriciclaggio

Il 30 maggio 2024 il Consiglio UE ha approvato il pacchetto antiriciclaggio AML (Anti Money Laundering), con il quale viene riscritta e ampliata la disciplina sulla lotta al riciclaggio del denaro sporco e al finanziamento del terrorismo. I testi del nuovo pacchetto di norme antiriciclaggio sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 19 giugno 2024.

Questo pacchetto rappresenta un significativo passo avanti nella protezione del sistema finanziario europeo dalle attività illecite. Le nuove norme mirano a colmare le lacune esistenti e a garantire una maggiore trasparenza e cooperazione tra gli Stati membri.

Vediamo i punti salienti del pacchetto AML e le sue implicazioni per le istituzioni finanziarie e le imprese.

Punti centrali della riforma

Il regolamento, applicabile direttamente all’interno degli Stati membri dopo tre anni dall’entrata in vigore, contiene le norme dedicate al settore privato e armonizza tutte le regole antiriciclaggio nell’unione europea.

La normativa viene estesa al settore delle criptovalute, a chi commercia beni di lusso e agli agenti di calcio.

La direttiva definisce la collaborazione tra le varie autorità di informazione finanziaria nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. Il provvedimento armonizza inoltre i formati degli estratti conto bancari, per individuare e confiscare più agevolmente i proventi degli illeciti penali.

Autorità antiriciclaggio

Nasce l’Autorità Antiriciclaggio, con funzione di vigilanza e supporto al settore finanziario e alle unità di informazione finanziaria. L’Autorità migliorerà anche l’efficienza della lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, grazie alla collaborazione con le Autorità nazionali di vigilanza, per fare in modo che i soggetti obbligati rispettino le regole. All’Autorità, che sarà operativa a partire dalla metà del 2025, spetterà inoltre il compito di sanzionare i soggetti obbligati in caso di trasgressione.

Registro titolari effettivi

Prevista la creazione di un registro dei titolari effettivi di beni immobiliari e di un database sulle cassette di sicurezza, le criptovalute e i conti correnti.

Tetto contanti 10mila euro

Il pacchetto prevede anche un tetto ai contanti di 10.000 euro, lasciando liberi però gli Stati membri di imporre tetti di importo inferiore. Prevista in ogni caso l’adeguata verifica dell’identità di quei soggetti che compiono operazioni in contanti per importi compresi tra i 3000 e i 10.000 euro,

Se le operazioni vengono compiute invece in criptovaluta, i soggetti obbligati dovranno procedere alla due diligence sui clienti che compiono transazioni di importo superiore ai 1000 euro.

Obiettivi del pacchetto AML

Il pacchetto AML si concentra su alcuni obiettivi chiave:

  • rafforzamento della cooperazione internazionale: la nuova normativa prevede una maggiore cooperazione e scambio di informazioni tra le autorità nazionali e internazionali. Questo include la creazione di una banca dati centralizzata per facilitare il monitoraggio delle transazioni sospette;
  • aumento della trasparenza: il pacchetto introduce requisiti più stringenti per la trasparenza delle operazioni finanziarie e la tracciabilità dei fondi. Le imprese saranno obbligate a fornire informazioni dettagliate sui beneficiari effettivi e sulle transazioni internazionali;
  • miglioramento della vigilanza: viene rafforzato il ruolo delle autorità di vigilanza con l’introduzione di nuovi strumenti e poteri per monitorare e sanzionare le attività illecite. Questo include la creazione di una nuova agenzia europea dedicata al contrasto del riciclaggio di denaro.

Impatto su istituzioni finanziarie e imprese

Le nuove normative AML avranno un impatto significativo sulle istituzioni finanziarie e sulle imprese in tutta l’UE. Le aziende dovranno adattare i loro processi e sistemi per conformarsi ai nuovi requisiti di segnalazione e trasparenza. Questo potrebbe comportare investimenti significativi in tecnologia e formazione del personale.

Le istituzioni finanziarie, in particolare, dovranno rafforzare i loro programmi di conformità e migliorare la loro capacità di rilevare e segnalare transazioni sospette.

criptofonini intercettazioni Cassazione

Criptofonini: i chiarimenti della Cassazione Le Sezioni Unite della Cassazione forniscono importanti chiarimenti in materia di acquisizione dei contenuti di comunicazioni scambiate con i criptofonini

Criptofonini: i principi di diritto delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite penali con la sentenze n. 23755/2024 e 23756-2024 mettono un punto fermo in materia di acquisizione di contenuti scambiati con i criptofonini, ossia smartphone dotati di sistemi di cifratura che ostacolano eventuali intercettazioni. Le decisioni, parzialmente sovrapponibili, sono state emesse in relazione a due procedimenti penali intrapresi nei confronti di soggetti nei cui confronti erano stati rilevati gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Con i principi sanciti dalle SU la Cassazione facilita lo scambio di prove digitali tra Italia e altri Stati UE, semplificando le procedure e tutelando i diritti fondamentali.

Prove digitali e ordini europei di indagine

Le Sezioni Unite penali n. 23755/2024 stabiliscono importanti principi in materia di prove digitali e ordini europei di indagine.

  • Il contenuto di comunicazioni scambiate per mezzo dei criptofonini, già acquisito e decifrato da un’autorità giudiziaria straniera, può essere trasmesso in Italia tramite ordine europeo di indagine. Non è necessaria la procedura di collaborazione tra autorità giudiziarie, ma valgono le norme sulla circolazione delle prove (artt. 238, 270 c.p.p. e 78 disp. att. c.p.p.).
  • Il Pubblico Ministero italiano può richiedere direttamente all’estero, tramite ordine europeo di indagine, le prove già in possesso delle autorità competenti, senza bisogno di autorizzazione preventiva dal giudice italiano.
  • L’autorizzazione del giudice italiano non è necessaria per acquisire il contenuto di comunicazioni già acquisite all’estero, neanche se si tratta di comunicazioni criptate. Questo vale sia per la disciplina nazionale che per quella europea (Direttiva 2014/41/UE).
  • La disciplina sui dati di traffico e ubicazione (art. 132 Decreto legislativo n. 196/2003) si applica solo alle richieste ai fornitori di servizi, non a quelle dirette ad altre autorità giudiziarie che già detengono tali dati. Il PM può quindi accedervi senza autorizzazione del giudice.
  • Il giudice italiano può escludere l’utilizzo di prove acquisite all’estero se rileva una violazione dei diritti fondamentali. La parte interessata deve però dimostrare tale violazione.
  • Non c’è violazione dei diritti fondamentali se la difesa non può accedere all’algoritmo di criptazione utilizzato. Il rischio di alterazione dei dati è escluso perché ogni messaggio è associato alla sua chiave di cifratura, che ne impedisce la decrittazione anche parziale.

Acquisizione prove digitali estere

Le Sezioni Unite penali n. 23756/2024 hanno chiarito le regole per l’acquisizione di prove digitali ottenute all’estero, in particolare tramite intercettazioni:

  • L’acquisizione di intercettazioni effettuate all’estero su piattaforme criptate o criptofonini non rientra nella collaborazione tra autorità giudiziarie (art. 234-bis c.p.p.), ma è disciplinata dall’art. 270 c.p.p.
  • Il Pubblico Ministero italiano può richiedere direttamente all’estero le prove già in possesso delle autorità competenti, senza bisogno di autorizzazione preventiva dal giudice italiano.
  • Le intercettazioni estere effettuate con un captatore informatico su un server criptato sono ammissibili.. Non è necessaria l’autorizzazione del giudice italiano, come previsto dalla Direttiva 2014/41/UE, perché la disciplina nazionale non la richiede.
  • Il giudice italiano può escludere l’utilizzo di intercettazioni esterne se rileva una violazione dei diritti fondamentali. La parte interessata deve però dimostrare tale violazione.
  • Non vi è violazione dei diritti fondamentali se la difesa non può accedere all’algoritmo di criptazione utilizzato. Il rischio di alterazione dei dati è escluso perché ogni messaggio è associato alla sua chiave di cifratura, che ne impedisce la decrittazione anche parziale.

Allegati

metadati mail lavoratori garante

Mail lavoratori: le indicazioni del Garante Il Garante Privacy aggiorna il documento sul trattamento dei metadati degli account e-mail utilizzati dei dipendenti

Metadati e-mail lavoratori: il provvedimento del Garante Privacy

Con il provvedimento n. 364 del 6 giugno 2024 il Garante Privacy ha provveduto ad aggiornare il documento “programmi e servizi informatici di gestione della posta elettronica nel contesto lavorativo e trattamento dei metadati”. Questo documento, che costituisce l’allegato 1 del provvedimento 3634, ne costituisce parte integrante.

Definizione e tempi conservazione metadati

Il provvedimento si occupa in particolare della definizione dei meta dati e della durata di conservazione dei meta dati degli account di posta elettronica utilizzati dei dipendenti. Questo perché c’è il rischio che i programmi di servizi informatici per la gestione della posta elettronica, anche in modalità cloud, possano procedere alla raccolta preventiva e generalizzata, per impostazione predefinita, dei meta dati degli account.

Cosa sono i metadati

I metadati a cui si riferisce il provvedimento sono informazioni registrate nei log che vengono generati dai sistemi server che gestiscono lo smistamento della posta elettronica e delle postazioni relative alle interazioni tra i server interagenti e tra questi ultimi e i client. Ne costituiscono un esempio gli indirizzi email di mittente e destinatario, gli indirizzi IP dei server o dei client, gli orari  di invio, di trasmissione, ritrasmissione e ricezione, la dimensione dei messaggi e gli allegati.

I metadati di cui si occupa il provvedimento non vanno confusi con il contenuto del messaggio di posta elettronica. Questi dati infatti restano a disposizione dell’utente lavoratore. In relazione al contenuto testuale della e-mail pertanto non sono previsti nuovi adempimenti o responsabilità a carico del titolare del trattamento.

Conservazione dei metadati

Detto questo, il Garante della Privacy fornisce le informazioni necessarie ai datori di lavoro per consentire il funzionamento corretto e l’utilizzo regolare della posta elettronica, comprese le garanzie necessarie di sicurezza informatica.

In particolare,  quanto riguarda la disciplina dei controlli a distanza precisa il Garante precisa che lattività di raccolta e conservazione dei soli mercati/log necessari ad assicurare il funzionamento delle infrastrutture del sistema della posta elettronica, allesito di valutazioni tecniche nel rispetto del principio di responsabilizzazione, si ritiene che possa essere effettuata, di norma, per un periodo limitato a pochi giorni; a titolo orientativo, tale conservazione non dovrebbe comunque superare i 21 giorni… Eventuale conservazione per un termine ancora più ampio e sì potrà essere effettuata, solo in presenza di particolari condizioni che ne rendano necessario lestensione, comprovando adeguatamente (…) le specificità della realtà tecnica e organizzativa del titolare. Spetta in ogni caso il titolare adottare tutte le misure tecniche organizzative per assicurare il rispetto del principio di limitazione della finalità, laccessibilità selettiva da parte dei soli soggetti autorizzati e adeguatamente istruiti e la tracciatura degli accessi effettuati”.  

Responsabilità dei datori di lavoro

Sulle eventuali responsabilità dei datori di lavoro  il Garante ricorda che la raccolta generalizzata e la conservazione dei meta dati che si riferiscono all’utilizzo della posta elettronica da parte dei dipendenti, per lunghi periodi di tempo, in mancanza di idonei requisiti giuridici, può consentire al datore di lavoro di acquisire informazioni personali e relativi alle opinioni del dipendente che non rilevano per valutarne l’attitudine professionale.

I titolari dei trattamenti sono tenuti ad effettuare la raccolta e la conservazione dei log nel rispetto dei principi di correttezza e di trasparenza. I lavoratori pertanto devono essere adeguatamente informati sul trattamento dei loro dati se si riferiscono a comunicazione elettroniche che li riguardano. A tal fine gli stessi devono essere resi edotti delle caratteristiche del trattamento, con particolare riguardo alla durata della conservazione dei dati e ad eventuali controlli.

I tempi di conservazione dei meta dati devono essere proporzionati alle finalità da perseguire. La mancata definizione in misura proporzionale dei tempi di conservazione comportano la violazione del principio di limitazione della conservazione, contemplato dall’articolo 5 del GDPR.

I datori di lavoro pubblici e privati per evitare responsabilità amministrative e penali devono quindi adottare tutti gli accorgimenti necessari per conformare i trattamento dei dati dei dipendenti alla disciplina di protezione dei dati e a quella di settore. Il datore di lavoro è tenuto quindi, in relazione ai servizi forniti in modalità cloud o as a service, a rispettare la normativa di protezione dei dati personali anche con riferimento al periodo di conservazione dei metadati.

Allegati

bonus mobili ed elettrodomestici

Bonus mobili: cos’è e come si ottiene Come funziona il bonus mobili 2024: caratteristiche dei beni, limiti di spesa e requisiti temporali per beneficiare dell’agevolazione

Bonus mobili: cos’è

Il bonus mobili è un’agevolazione fiscale introdotta dall’articolo 16, comma 2, del decreto legge n. 63/2013. La misura è stata prorogata negli anni successivi, subendo alcune modifiche.

Bonus mobili: come funziona

Il bonus mobili consiste in una detrazione del 50% delle spese sostenute per l’acquisto di arredi e grandi elettrodomestici all’interno di immobili oggetto di intervento di recupero del patrimonio edilizio. La detrazione, fruibile in 10 rate di pari importo, viene applicata su una spesa massima di 5.000 euro.

Opere collegate al bonus mobili

La detrazione è collegata alle seguenti opere:

  • interventi in economia di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle parti comuni degli edifici residenziali;
  • di restauro e di risanamento conservativo su parti comuni di edifici residenziali e su singole unità abitative,
  • necessarie alla ricostruzione e ripristino di immobili danneggiati da eventi calamitosi qualora sia stato dichiarato lo stato di emergenza;
  • di restauro, risanamento, conservazione e ristrutturazione di fabbricati interi eseguiti da imprese o cooperative edilizie nel rispetto di determinate condizioni.

L’Agenzia delle Entrate ha precisato che per beneficiare della agevolazione l’intervento di ristrutturazione non deve essere finalizzato all’acquisto di mobili o elettrodomestici e che lo stesso può avere ad oggetto anche le unità pertinenziali degli immobili, anche se i beni e gli elettrodomestici servono per arredare l’abitazione.

Beni mobili agevolabili

Beneficiano dell’agevolazione gli acquisti di mobili (letti, cassettiere, armadi, tavoli, divani, materassi, scrivanie, sedie, librerie) o di grandi elettrodomestici, i quali possono beneficiare della detrazione solo se appartenenti a determinate classi energetiche che non devono essere inferiori alle seguenti:

  • classe non inferiore alla A per i forni;
  • classe non inferiore alla E per lavatrici, lavasciugatrici, lavastoviglie;
  • classe F per frigoriferi e congelatori.

Requisiti temporali

Per il 2024 l’agevolazione spetta in relazione agli acquisti che vengono effettuati entro il 31 dicembre 2024 e collegati a interventi di ristrutturazione iniziati dal 1 gennaio dell’anno precedente a quelli in cui si è provveduto all’acquisto degli arredi o dei grandi elettrodomestici, ossia a partire dal 1° gennaio 2023.

Modalità di pagamento

Per poter beneficiare del bonus mobili i contribuenti devono effettuare i pagamenti degli arredi e dei grandi elettrodomestici con bonifici bancari o postali, carte di credito, carte di debito. Vanno pagate nello stesso modo anche le spese per il trasporto e il montaggio dei beni. L’agevolazione spetta anche se i beni vengono acquistati a rate purché il pagamento della rata venga effettuato con i mezzi di pagamento tracciabili e il contribuente conservi debitamente la ricevuta di pagamento.

Trasmissione dati all’Enea

Dal 1 gennaio del 2018 i dati relativi agli acquisti di elettrodomestici di classe non inferiore alla F, e alla classe A per forni e per apparecchiature per le quali è richiesta l’etichetta della classe energetica, devono essere trasmessi in via telematica all’Enea nel termine di 90 giorni dal completamento dei lavori. L’omessa o tardiva trasmissione dei dati non causa tuttavia la perdita del diritto  al bonus mobili.

Documenti da conservare

Ai fini dell’agevolazione è necessario conservare le ricevute di pagamento effettuate con bonifico, carta di credito o debito, i documenti da cui risulta l’addebito sul conto corrente, le fatture di acquisto di arredi ed elettrodomestici nei quali deve essere indicata nel dettaglio la quantità, la natura, e la qualità dei beni e dei servizi acquistati.

pensione estero domanda inps

Pensione: come fare domanda se si risiede all’estero Chi risiede all’estero può fare la domanda online per la pensione INPS, l’erogazione è soggetta però all’accertamento dell’esistenza in vita

Come fare domanda per la pensione se si risiede all’estero

Quando mancano tre mesi alla maturazione del requisito anagrafico, ossia il compimento di 67 anni e di quello contributivo ossia 20 anni di contributi versati è possibile presentare all’INPS la domanda per la  pensione di vecchiaia.

La residenza all’estero del soggetto richiedente non prevede il rispetto di procedure particolari. La domanda di pensione di vecchiaia può essere presentata in modalità telematica anche da chi risiede all’estero, utilizzando le opzioni di credenziali digitali come la CIE o lo SPID. Seguire attentamente le istruzioni fornite e preparare i documenti necessari snellirà l’iter di richiesta.

Calcolo dell’importo e decorrenza pensione online

Per la richiesta della pensione di vecchiaia ordinaria, è disponibile una procedura web semplificata sul sito dell’INPS. Il richiedente che vuol fare domanda deve cliccare, in ordine, sulle voci seguenti per completare la procedura:

  1. Pensione e Previdenza
  2. Domanda di pensione
  3. Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, Certificazioni, APE Sociale e Beneficio precoci
  4. Nuova prestazione pensionistica
  5. Pensione di vecchiaia

Pensione di vecchiaia: le credenziali per fare domanda

Anche se si è residenti all’estero, è possibile ottenere le credenziali per inoltrare la richiesta online. Per farlo, si possono seguire queste opzioni:

  1. CIE (Carta d’identità elettronica): da richiedere presso il consolato;
  2. SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale): per ottenerla è necessario seguire la procedura specifica prevista per i residenti all’estero. Le indicazioni e le informazioni complete si trovano sul portale gov.it.

SPID: quali documenti servono

Per ottenere lo SPID è necessario essere muniti dei seguenti documenti:

  • documento di identità in corso di validità;
  • codice fiscale;
  • numero di cellulare (anche estero);
  • indirizzo di posta elettronica.

Per ulteriori informazioni sul rilascio delle credenziali digitali, è possibile contattare anche il Contact center integrato dell’INPS.  Con le credenziali ottenute, si potrà procedere alla domanda per la pensione.

Pensioni all’estero: pagamento

L’INPS gestisce il pagamento delle pensioni ai beneficiari residenti all’estero affidando il servizio a un istituto di credito selezionato tramite una gara d’appalto, che viene rinnovata ogni tre anni. La banca incaricata collabora con istituti di credito locali per effettuare i pagamenti mensili delle pensioni.

Solitamente, i pagamenti sono accreditati direttamente sul conto corrente del pensionato. La banca incaricata, che a diversi anni è Citibank, deve anche verificare annualmente l’esistenza in vita, l’indirizzo e la residenza dei pensionati.

Accertamento esistenza in vita 2024-2025

Con il messaggio n. 4071 del 16.11.2023 l’INPS ha reso noti i tempi della verifica dell’esistenza in vita dei soggetti che percepiscono la pensione all’estero. La finalità principale della campagna di accertamento è finalizzata alla prevenzione e al contrasto dell’eventuale percezione indebita delle prestazioni previdenziali.

Detta procedura di accertamento si svolgerà in due fasi distinte:

  • nella prima, iniziata a marzo 2024 con termine a luglio 2024 verranno effettuati gli accertamenti relativi ai pensionati residenti in America, Asia, Estremo Oriente, Paesi Scandinavi, Stati dell’est Europa e paesi limitrofi;
  • la seconda fase della verifica avrà inizio a settembre 2024 e terminerà nel gennaio 2025 e riguarderà i pensionati residenti in Europa, Africa e Oceania.

Ai fini della verifica dell’esistenza in vita Citybank invierà una lettera esplicativa e un modulo standard di attestazione. Le lettere esplicative conterranno:

  • le istruzioni per procedere alla compilazione del modulo di esistenza in vita;
  • la richiesta della documentazione di supporto, come una copia di un documento d’identità del pensionato in corso di validità e con fotografia;
  • le indicazioni necessarie per contattare il servizio di assistenza dedicato ai pensionati di Citybank.

I pensionati dovranno inviare il modulo di attestazione dell’esistenza in vita debitamente compilato datato e sottoscritto, nonché munito della documentazione di supporto richiesta nel termine indicato nella lettera esplicativa al seguente indirizzo PO Box 4873, Whorthing BN99 3BG, United Kingdom.

Il modulo sarà quindi restituito a Citybank, controfirmato da un “testimone accettabile“ ossia un rappresentante di un’ambasciata, di un consolato italiano o di un’autorità locale autorizzata ad avallare la firma dell’attestazione dell’esistenza in vita.

licenziamento collettivo tipologia procedure

Licenziamento collettivo: tipologia e procedure Il licenziamento collettivo disciplinato dalla legge n. 223/1991 è previsto in casi specifici e richiede il rispetto di una determinata procedura

Licenziamento collettivo: quadro normativo di riferimento

Il legislatore italiano, spinto anche dalle direttive comunitarie, ha disciplinato il licenziamento collettivo nel corso degli anni. Il punto di arrivo è rappresentato dalla Legge n. 223/1991, che ha introdotto un sistema più organico, distinguendo tra licenziamento collettivo per messa in mobilità e per riduzione del personale.

Gli articoli 4 e 24 della legge regolano rispettivamente queste due fattispecie, imponendo procedure specifiche che devono essere seguite per garantire la legittimità dei licenziamenti.

Negli anni successivi, vari interventi normativi hanno ampliato e modificato la portata della disciplina. Tra questi, la Riforma Fornero (L. 92/2012), che ha eliminato la tutela reintegratoria per le violazioni procedurali, mantenendola solo per i licenziamenti senza forma scritta effettuati in violazione dei criteri di scelta. Il Jobs Act (D.lgs. n. 23/2015) ha ulteriormente cambiato il panorama, eliminando la tutela reintegratoria per i licenziamenti economici illegittimi e sostituendola con una tutela indennitaria, successivamente modificata dal Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018) e da una pronuncia della Corte Costituzionale.

La normativa italiana sui licenziamenti collettivi comunque continua ad evolversi, con interventi che cercano di bilanciare le esigenze delle imprese con la protezione dei diritti dei lavoratori, in un contesto sempre più influenzato dalle direttive europee.

Tipologie di licenziamento collettivo

Dalla breve analisi normativa sul licenziamento collettivo emergono due tipologie di licenziamento collettivo, che meritano un’analisi distinta e dettagliata.

Licenziamento collettivo per messa in mobilità

Il licenziamento collettivo per messa in mobilità, disciplinato dall’art. 4 della L. 223/1991, si applica alle imprese con più di 15 dipendenti, che hanno usufruito del trattamento straordinario di integrazione salariale (CIGS). Questo tipo di licenziamento si verifica quando l’impresa non è in grado di rioccupare tutti i dipendenti coinvolti nella riorganizzazione aziendale e non può ricorrere a misure alternative come contratti di solidarietà o altre forme flessibili di gestione del lavoro. La procedura di mobilità prevede fasi conciliative finalizzate a trovare soluzioni che possano evitare i licenziamenti.

Dal punto di vista soggettivo, la norma non si applica agli esuberi di personale derivanti dalla fine di attività stagionali, contratti a termine, lavori edili e contratti di solidarietà difensivi. La disciplina della messa in mobilità non dipende dai requisiti spaziali, numerici e temporali richiesti per i licenziamenti per riduzione del personale.

Licenziamento collettivo per riduzione del personale

Questa procedura consente alle aziende con più di 15 dipendenti di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni, in una o più unità produttive nella stessa provincia, per motivi legati alla riduzione o alla trasformazione di attività o di lavoro (motivi economici o di riorganizzazione).

La disciplina del licenziamento collettivo per riduzione del personale non si applica nei seguenti casi:

  • licenziamenti per motivi disciplinari o di incapacità lavorativa;
  • cessazioni del rapporto di lavoro diverse dai licenziamenti (dimissioni, risoluzioni consensuali, prepensionamenti volontari);
  • lavoratori delle agenzie di somministrazione.

A differenza del  licenziamento collettivo per mobilità il licenziamento collettivo per riduzione del personale non richiede la previa fruizione della cassa integrazione straordinaria; i requisiti numerico-spaziali e temporali sono meno restrittivi; l’azienda deve fornire una informativa più dettagliata sui motivi dei licenziamenti.

La procedura di mobilità

La procedura di mobilità prevista sia per la messa in mobilità che per il licenziamento collettivo per riduzione del personale è un complesso iter che viene attivato quando un’azienda si trova in una situazione di eccedenza di personale e non può adottare misure alternative ai licenziamenti.

Trattasi si una procedura complessa e delicata che mira a minimizzare l’impatto sociale dei licenziamenti collettivi. Per questo è importante che tutte le parti coinvolte collaborino per trovare la soluzione migliore per i lavoratori e per l’azienda.

Essa si snoda attraverso le seguenti fasi:

  • comunicazione di avvio: il datore di lavoro invia una comunicazione scritta alle organizzazioni sindacali e all’Ispettorato del lavoro, specificando i motivi dell’esubero, il numero dei lavoratori coinvolti e i tempi di attuazione del programma di mobilità;
  • confronto sindacale: le organizzazioni sindacali hanno 10 giorni per presentare osservazioni e proposte alternative al licenziamento collettivo;
  • accordo sindacale: se le parti raggiungono un accordo, questo definisce i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e le misure di assistenza per i lavoratori in esubero;
  • mancato accordo: in assenza di accordo, il datore di lavoro redige un piano di licenziamenti che definisce i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. I lavoratori licenziati hanno diritto a una serie di tutele, tra cui l’indennità di preavviso, la NASPI e la mobilità.

L’esame congiunto

Il momento cruciale dei licenziamenti collettivi è rappresentato dall’incontro tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali per discutere i motivi del licenziamento collettivo e trovare soluzioni alternative ai licenziamenti. L’esame congiunto è un importante strumento per favorire il dialogo tra le parti e trovare soluzioni che tutelino i posti di lavoro. È importante che tutte le parti coinvolte partecipino al confronto con spirito costruttivo e collaborativo.

Anche questa fase della procedura deve seguire un iter ben preciso:

  • le organizzazioni sindacali possono richiedere l’esame congiunto entro 7 giorni dalla comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo;
  • il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali discutono le cause del licenziamento collettivo e cercano soluzioni alternative, come contratti di solidarietà, lavoro flessibile o riqualificazione professionale;
  • l’esame congiunto deve concludersi entro 45 giorni dalla richiesta, con possibilità di proroga in casi complessi;
  • l’esame congiunto può concludersi con un accordo tra le parti o con un mancato accordo;
  • in caso di mancato accordo, l’Ispettorato del lavoro può tentare di conciliare le parti entro 30 giorni;
  • se non si raggiunge un accordo entro 30 giorni dal tentativo di conciliazione, il datore di lavoro può procedere ai licenziamenti.

Criteri di scelta dei lavoratori da licenziare

I criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, in presenza di un contratto collettivo, possono essere stabiliti dallo stesso. In mancanza, la legge fissa i seguenti criteri, in ordine di importanza:

  • carico di famiglia;
  • anzianità di servizio;
  • esigenze tecnico-produttive ed organizzative.

La scelta dei lavoratori da licenziare è un processo complesso che deve essere condotto nel rispetto di criteri oggettivi e ragionevoli. Il datore di lavoro deve comunicare chiaramente i criteri utilizzati e rispettare i termini di preavviso per i licenziamenti.

Chiusura della procedura

Il datore di lavoro comunica per iscritto a ciascun lavoratore il licenziamento, con il rispetto dei termini di preavviso, provvede poi a comunicare all’Ispettorato del lavoro, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria l’elenco dei lavoratori licenziati, specificando le modalità di applicazione dei criteri di scelta. L’Ispettorato del lavoro può verificare la correttezza dell’operato del datore di lavoro poiché ha il compito di vigilare sulla regolarità della procedura.

Impugnazione licenziamento collettivo

Gli ex dipendenti hanno il diritto di contestare una decisione di licenziamento collettivo entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione scritta. Le motivazioni per impugnare il licenziamento possono essere tre:

  1. mancanza della forma scritta: il datore di lavoro deve informare i lavoratori e le parti coinvolte per iscritto. Se non lo fa, il dipendente ha diritto al reintegro e a un’indennità pari a tutte le mensilità dal momento del licenziamento fino alla reintegrazione. In alternativa, può richiedere un’indennità di 15 mensilità senza tornare al lavoro;
  2. mancato rispetto delle procedure: se il datore di lavoro non segue le procedure legali durante la procedura di licenziamento collettivo, il lavoratore ha diritto a ricevere un’indennità che varia dalle 12 alle 24 mensilità;
  3. mancato rispetto dei criteri di scelta: se il datore di lavoro non rispetta i criteri di scelta stabiliti per legge o pattuiti, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione del posto (o a un’indennità sostitutiva) e a un’indennità non superiore alle 12 mensilità.
affitti brevi decreto turismo

Affitti brevi: cosa cambia con il nuovo decreto Emanato il decreto del ministero del Turismo sulla interoperabilità tra banche dati turistiche e strutture ricettive

Decreto del ministero del turismo

Il 6 giugno 2024, il Ministero del Turismo ha emanato il decreto ministeriale che mette in pratica le disposizioni dell’articolo 13-ter, comma 13, del Decreto legge del 18 ottobre 2023, n. 145, trasformato in Legge con modifiche il 15 dicembre 2023, n. 191. Questo provvedimento definisce le modalità di coordinamento tra le banche dati nazionali delle strutture turistico-ricettive e delle unità immobiliari affittate per brevi periodi o scopi turistici con quelle delle regioni e delle Province autonome.

Il Decreto ministeriale del 6 giugno 2024 segna un passo significativo verso una maggiore trasparenza e coordinamento nel settore turistico italiano. La BDSR e il CIN rappresentano strumenti cruciali per garantire la correttezza e la legalità delle attività ricettive, tutelando al contempo consumatori e operatori del settore.

Dettagli del decreto: Allegati A e B

Le specifiche tecniche per l’interoperabilità tra queste banche dati sono descritte negli allegati A e B del decreto, che ne costituiscono parte integrante.

BDSR e CIN: novità 2024

La Banca Dati nazionale delle Strutture Ricettive e degli immobili per locazioni brevi o scopi turistici (BDSR), istituita dall’articolo 13-quater, comma 4, del Decreto-legge del 30 aprile 2019, n. 34, convertito con modifiche nella legge del 28 giugno 2019, n. 58, è un elemento chiave per garantire la protezione dei consumatori, la concorrenza leale e la trasparenza nel mercato turistico.

Funzionalità della BDSR

La BDSR facilita il coordinamento delle informazioni tra amministrazioni statali e locali, offrendo una mappatura dettagliata delle strutture ricettive a livello nazionale e contribuendo a combattere l’ospitalità irregolare. I dati raccolti includono:

  • la tipologia tipo di alloggio;
  • l’ubicazione;
  • la capacità di accoglienza;
  • il gestore dell’alloggio;
  • il codice identificativo regionale, se presente, o codice alfanumerico unico.

La BDSR permette anche l’emissione del Codice Identificativo Nazionale (CIN), come previsto dalla normativa sulle locazioni turistiche e brevi.

Interoperabilità banche dati nazionali, regionali e province

Il Decreto del 6 giugno 2024 definisce due fasi principali per l’attivazione e il funzionamento della BDSR.

Fase 1: Pilota

Durante la fase “Pilota”, il Ministero del Turismo, in collaborazione con le Regioni e le Province autonome, prepara la BDSR per il funzionamento completo. I dati essenziali sono trasmessi entro 15 giorni dalla pubblicazione del decreto tramite un file CSV standardizzato e il Ministero fornisce supporto tecnico per risolvere eventuali criticità. In questa fase viene assegnato un Codice Identificativo Nazionale provvisorio (CIN 1).

Fase 2: Messa in esercizio

La Fase 2 prevede la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, entro il 1° settembre 2024, di un avviso che conferma l’attivazione della BDSR e del portale telematico del Ministero del Turismo per l’assegnazione del CIN.

Procedura di integrazione dati obbligatori

Una volta attivata la BDSR, i titolari e i gestori delle strutture ricettive, nonché i locatori, devono completare e aggiornare le informazioni relative alle loro proprietà per avere il CIN. L’accesso alla piattaforma avviene tramite SPID, e il sistema riconosce automaticamente le strutture associate all’utente, permettendo l’inserimento o la correzione dei dati mancanti.

Gestione delle anomalie

Se una struttura non è presente nella BDSR o se non si riesce ad accedere al database, è necessario segnalare il problema alle Regioni e Province autonome competenti tramite una procedura telematica. Le autorità hanno 30 giorni per verificare la conformità della struttura alle normative. Se la verifica è positiva, il dato viene aggiornato e il CIN verificato rilasciato. In caso contrario, il CIN non sarà rilasciato o sarà revocato se successivamente risulta non conforme.

Leggi anche: 

Affitti brevi: legittimo il limite di 6 mesi per le prime case

ragionevole durata procedimento amministrativo

Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo Principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo: se il procedimento è ablatorio o sanzionatorio  il termine non deve superare i 10 anni

Termini del procedimento amministrativo: legge 241/1990

Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo è sancito dagli articoli 1 e 2 della legge n. 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. L’azione della PA deve essere infatti improntata ai criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza e ai sensi dell’articolo 2, in base alla tipologia di provvedimento da adottare,  il procedimento deve concludersi entro il termine di 30 giorni, 90 giorni, 180 giorni, che decorrono “dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte”.   

Ragionevole durata dei procedimenti ablatori e sanzionatori

Come ricordato però dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 408/2022 anche “lart. 97 Cost. contiene in sé limplicita valorizzazione (o addirittura formulazione) del principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo; principio operante nellordinamento quale diritto vivente, soprattutto per i casi di procedimenti ablatori, sanzionatori e/o di procedimenti di controllo volti alladozione di atti di ritiro.” 

Questo perché il rispetto dei termini assicura  anche il rispetto del principio di certezza del diritto in quando il decorso eccessivo del tempo crea incertezza e incide  sulle scelte di vita delle persone e delle imprese.

Termine decennale

Sul principio di ragionevole durata del processo amministrativo in presenza di un atto di revoca della PA si è espresso di recente il TAR della Campania, nella sentenza n. 1876/2024. La decisione ha posto fine alla controversia avente ad oggetto la revoca del beneficio amministrativo, affermando che il procedimento è stato eccessivamente lungo. La concessione provvisoria del beneficio è avvenuta nel 2004, mentre la procedura di revoca è iniziata solo nel 2018, concludendosi definitivamente nel 2019. Questo lungo intervallo di tempo è stato ritenuto in violazione del principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo.

Secondo la giurisprudenza, l’amministrazione deve rispettare la durata ragionevole del procedimento, soprattutto quando si tratta di procedimenti sanzionatori o ablatori che incidono sui diritti dei privati. La legge prevede che ogni procedimento amministrativo debba concludersi entro un termine prefissato, con conseguenze per la responsabilità dell’amministrazione in caso di ritardo.

La riforma Madia del 2014 e il Decreto Semplificazioni del 2020 hanno ulteriormente rafforzato questo principio, stabilendo termini perentori per l’adozione dei provvedimenti di secondo grado e prevedendo l’inefficacia di provvedimenti tardivi in determinate ipotesi.

In questo caso, la clausola di provvisorietà del provvedimento che aveva accordato la concessione del contributo va interpretata come una condizione risolutiva, che permette all’amministrazione di recuperare le somme erogate in caso di esito negativo del controllo. Tuttavia, tale clausola non può essere utilizzata per procrastinare sine die il potere di controllo dell’amministrazione, in quanto contraria ai principi di buona fede, correttezza e ragionevole durata del procedimento. Di conseguenza, la clausola in questione deve essere considerata illegittima nella parte in cui consente una durata indefinita del procedimento di verifica.

La giurisprudenza

Il TAR esamina varie possibili soluzioni per determinare un termine ragionevole per la conclusione del procedimento di controllo:

  1. applicare il termine generale di 30 giorni previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990;
  2. applicare l’art. 21 quinquies della stessa legge, che consente la revoca dei provvedimenti senza limiti di tempo, ma con obbligo di indennizzo;
  3. applicare l’art. 21 nonies, che prevede un termine massimo di 12 mesi per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti;
  4. applicare il termine quinquennale previsto dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 per i procedimenti sanzionatori.

Il Collegio ritiene che né l’art. 21 quinquies né l’art. 21 nonies siano applicabili in questo caso, poiché il provvedimento revocato non era illegittimo. Neanche il termine generale di 30 giorni è ritenuto applicabile, poiché non è perentorio.

Pertanto, la durata ragionevole del procedimento deve essere determinata considerando altri parametri, come il termine di prescrizione decennale per l’azione di ripetizione di indebito o il termine quinquennale per i procedimenti sanzionatori.

La giurisprudenza europea sottolinea che il superamento del termine ragionevole può costituire un motivo di annullamento delle decisioni amministrative solo se pregiudica i diritti della difesa.

Inoltre, la Corte Costituzionale italiana ha affermato che la durata del procedimento deve essere contenuta entro limiti temporali ragionevoli per garantire la certezza giuridica e l’effettività del diritto di difesa.

Al termine delle suddette considerazioni il Collegio stabilisce che per i procedimenti afflittivi, come quello di revoca del caso di specie, il termine ragionevole può essere il termine decennale, che corrisponde al termine di prescrizione per l’azione di ripetizione di indebito.

adempimento collaborativo riforma fiscale

Adempimento collaborativo: il nuovo codice di condotta In Gazzetta Ufficiale i decreti del ministero dell'economia e delle finanze che, nell'ambito della riforma fiscale, modificano il regime dell'adempimento collaborativo

Decreti adempimento collaborativo

Nella Gazzetta Ufficiale n. 132 del 7 giugno 2024 sono stati pubblicati due decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, incentrati sull’adempimento collaborativo:

  • il Decreto del 29 aprile 2024, intitolato “Approvazione del codice di condotta per i contribuenti aderenti al regime di adempimento collaborativo”;
  • il Decreto del 20 maggio 2024, che introduce modifiche significative al decreto del 15 giugno 2016 sull’interpello per i contribuenti che aderiscono a questo regime.

Le nuove disposizioni mirano a rafforzare la trasparenza e la collaborazione tra contribuenti e Amministrazione finanziaria, favorendo un ambiente fiscale basato sulla fiducia reciproca e sulla certezza del diritto. Questi cambiamenti rappresentano un passo significativo verso un sistema fiscale più equo e trasparente, promuovendo una cultura di compliance responsabile e proattiva.

Adempimento collaborativo e riforma fiscale

Il Decreto Legislativo n. 221/2023, in vigore dal 18 gennaio 2024, ha riformulato il Decreto Legislativo n. 128/2015, ridefinendo il regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance). Questo regime, riservato ai contribuenti con un volume di affari o ricavi non inferiore a 750 milioni di euro per l’anno 2024, vedrà una progressiva riduzione della soglia fino a 100 milioni di euro entro il 2028.

Questi cambiamenti, introdotti dall’articolo 17 della Legge 9 agosto 2023, n. 111, mirano a consolidare un rapporto di fiducia e collaborazione tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti. Il nuovo regime enfatizza un dialogo costante e preventivo con l’Agenzia delle Entrate, promuovendo un ambiente di maggiore trasparenza e certezza del diritto.

Nuovo Codice di condotta contribuenti

Il Decreto Ministeriale del 29 aprile 2024 introduce il nuovo Codice di condotta per i contribuenti aderenti al regime di adempimento collaborativo. Questo codice, conforme al Decreto Legislativo n. 221/2023, stabilisce gli impegni reciproci tra i contribuenti e l’amministrazione finanziaria. La sottoscrizione del Codice avviene al momento dell’ammissione al regime e vincola le parti dal periodo d’imposta in cui viene inviata la domanda di adesione.

I principali impegni includono:

  • cessazione delle politiche di riduzione del carico fiscale: i contribuenti devono abbandonare pratiche aziendali finalizzate principalmente alla minimizzazione delle imposte;
  • adozione di pratiche di trasparenza e cooperazione: le aziende devono promuovere una cultura di trasparenza e cooperazione con l’Amministrazione finanziaria.

Le società già aderenti al regime devono conformarsi al Codice entro il 5 ottobre 2024, come previsto dalle disposizioni transitorie del decreto.

Doveri dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate, nel contesto del regime di adempimento collaborativo, deve rispettare rigorosi obblighi di riservatezza. Le informazioni raccolte nel corso del rapporto con i contribuenti sono protette dal segreto d’ufficio e trattate con la massima cautela.

L’Agenzia si impegna a collaborare in modo trasparente, proteggere i dati acquisiti e utilizzare le informazioni sui rischi fiscali solo per le verifiche relative al regime collaborativo. Inoltre, evita di avviare controlli basati su informazioni acquisite per periodi antecedenti all’ingresso nel regime.

Impegni dei contribuenti

I contribuenti che vengono ammessi al regime di adempimento collaborativo devono aderire a standard elevati di legalità e di trasparenza, includendo:

  • trasparenza fiscale e comportamento etico: promuovere una cultura aziendale fondata sul rispetto delle regole in materia fiscale;
  • bassa propensione al rischio fiscale: rispettare le regole fiscali, della trasparenza e prevenzione della frode fiscale;
  • gestione efficace del rischio fiscale e della Tax compliance: implementare sistemi di controllo del rischio fiscale integrati nella governance aziendale;
  • rapporto trasparente con le autorità fiscali: favorire un dialogo costruttivo e trasparente con l’Amministrazione finanziaria.

Interpello: le novità

Il Decreto Ministeriale del 20 maggio 2024 apporta importanti novità al procedimento di interpello, rafforzando il contraddittorio e assicurando maggiore trasparenza.

Esso introduce ex novo l’articolo 9-bis, che prevede una procedura dettagliata per l’invito al contraddittorio in caso di risposta sfavorevole all’istanza di interpello.Prima di procedere alla notifica di una decisione sfavorevole, l’ufficio deve comunicare al contribuente una sorta di schema di risposta preliminare, concedendo al contribuente almeno 30 giorni per presentare osservazioni.

Il nuovo articolo 9-ter regola infine il contraddittorio nelle comunicazioni di rischio fiscale, garantendo al contribuente un termine di trenta giorni per le osservazioni.

autovelox tutor telelaser decreto

Autovelox, tutor e telelaser: cosa cambia  Il decreto sulle modalità e la collocazione degli autovelox e dei dispositivi di rilevazione della velocità assicura sicurezza e trasparenza

Decreto autovelox: trasparenza e sicurezza

Il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dell’11 aprile 2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 maggio 2024, introduce importanti cambiamenti per autovelox, tutor e telelaser, a tutela degli automobilisti.

Il provvedimento si occupa della segnalazione preventiva dei sistemi di rilevazione della velocità e dei luoghi di installazione di queste apparecchiature. Queste modifiche mirano a migliorare la sicurezza stradale e a garantire una maggiore trasparenza e correttezza nell’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità, al fine di accertare le violazioni di cui all’articolo 142 del Codice della Strada.

La normativa rappresenta un passo avanti significativo nel controllo della velocità sulle strade italiane, limitando gli abusi e focalizzando l’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità in aree veramente critiche.

Vediamo quali sono le principali novità introdotte dal provvedimento.

Autovelox: uso limitato

Gli autovelox non possono essere installati sulle strade urbane che presentano limiti di velocità inferiori a 50 km/h, tranne il caso in cui non sia prevista la contestazione immediata da parte delle Forze dell’Ordine. Questo per evitare sanzioni ingiuste in aree urbane caratterizzate da un andamento a bassa velocità.

Sotto i 50 km contestazione immediata

Per velocità inferiori ai 50 km/h, è prevista la contestazione immediatamente per mezzo di dispositivi mobili nei contesti urbani. Qualora non sia  possibile collocare postazioni fisse o mobili visibili, si possono impiegare dispositivi a bordo di veicoli in movimento. Questo cambiamento assicura che le sanzioni siano immediate e verificabili sul posto.

Collocazione: parola ai Prefetti

Le decisioni relative alla collocazione degli autovelox spetta ai dai prefetti, non ai comuni come prima della riforma. Questo sposta il potere decisionale a un livello superiore, limitando l’installazione degli autovelox in quei tratti di strada ad alto tasso di incidenti o nei quali è problematico eseguire contestazioni immediate. Questa centralizzazione mira a ridurre gli abusi da parte dei comuni.

Misurazione media

Per le strade extraurbane, ove possibile, si predilige la misurazione della velocità media su un tratto di strada prestabilito, anziché quella istantanea.

Dispositivi a bordo dei veicoli

L’utilizzo di autovelox a bordo di veicoli in movimento è consentito solo su strade o tratti di strada dove non sia possibile installare postazioni fisse o mobili. In tal caso, la segnaletica di preavviso deve essere integrata da un pannello luminoso con la scritta “Autovelox mobile in servizio”.

Segnalazione

I limiti di velocità devono essere segnalati a una distanza non inferiore a 1 km, prima della postazione dell’autovelox. Questa misura, che ribadisce una normativa già esistente, garantisce agli automobilisti il tempo sufficiente per adeguare la velocità prima di incontrare un dispositivo di rilevazione. Il dispositivo deve essere posizionato inoltre in modo tale da essere ben visibile agli automobilisti, anche in condizioni di scarsa illuminazione.

Omologazione

Il decreto non risolve completamente la questione dell’omologazione degli autovelox, anche se ribadisce l’importanza di avere dispositivi omologati per evitare controversie legali. Gli autovelox dovranno infatti essere omologati, e i Comuni e le Province avranno 12 mesi per disinstallare quelli non conformi. I dispositivi devono essere sottoposti inoltre a taratura periodica con cadenza stabilita dal Ministero.

Distanze minime di segnalazione

Previste distanze minime da rispettare tra il cartello di segnalazione del limite di velocità e il dispositivo di rilevazione della velocità:

  • 200 metri nelle strade di scorrimento urbane.
  • 75 metri nelle altre strade urbane.
  • 1 chilometro nelle strade extraurbane.

Gli automobilisti possono contare in questo modo su una segnalazione posta a una distanza adeguata e avere il tempo necessario per adottare la condotta più corretta, riducendo sia il rischio di sinistri che di sanzioni amministrative.

Multa unica per infrazioni ravvicinate

Se un automobilista viene multato da più autovelox entro un’ora sullo stesso tratto di strada gestito da un unico ente, deve pagare una sola multa, quella più severa. Questo evita la sovrapposizione delle sanzioni in brevi intervalli di tempo.

Gestione alle Forze di polizia

Le spese di accertamento devono essere documentabili e includere solo i costi per l’individuazione del trasgressore nelle banche dati pubbliche. La gestione delle apparecchiature è riservata alle forze di polizia, con attività minori affidate ai privati.

Rispetto della privacy

I dispositivi di autovelox devono rispettare la normativa sulla privacy (GDPR e Codice Privacy). Il titolare del trattamento (es. la Polizia Stradale) deve adottare misure di sicurezza per proteggere i dati personali. I dati devono essere trattati solo per l’accertamento delle infrazioni stradali e conservati per il tempo strettamente necessario.

Le immagini che costituiscono prove di infrazione non devono essere inviate al domicilio del proprietario del veicolo con il verbale. Il proprietario del veicolo può richiedere di visionare le immagini per conoscere l’effettivo autore della violazione. In tal caso, i volti e le targhe di altri veicoli ripresi saranno oscurati.

I dati personali possono essere trattati solo per le finalità previste dalla legge e nel rispetto dei principi di minimizzazione e riservatezza.

È vietato l’utilizzo di autovelox che effettuino la ripresa frontale del veicolo se l’apparecchiatura memorizza immagini delle persone a bordo. Sono consentiti solo dispositivi che oscurano automaticamente i volti.

 

Leggi anche: