attestato opere d'arte

Attestato opere d’arte: il termine annuale non viola la Costituzione La Consulta conferma la legittimità del limite di un anno per l’annullamento d’ufficio di un’autorizzazione all’esportazione di un’opera d’arte

Attestato opere d’arte: termine annuale non viola la Costituzione

Attestato opere d’arte: con la sentenza n. 88/2025, la Corte costituzionale ha escluso che il termine di un anno previsto dall’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 per l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo illegittimo sia in contrasto con i principi costituzionali.

Nel caso concreto, l’amministrazione aveva annullato, a distanza di sei anni, un attestato di libera circolazione rilasciato per un quadro poi riconosciuto come opera d’autore di particolare interesse culturale. La tardività del provvedimento era stata contestata in giudizio. Sollevando dubbi di legittimità costituzionale sul limite temporale, considerato troppo rigido a fronte dell’obiettivo di protezione del patrimonio culturale.

Tutela del patrimonio culturale garantita nel procedimento originario

La Consulta ha chiarito che l’interesse culturale è ampiamente protetto nella fase di primo grado. Sia grazie alle previsioni della legge sul procedimento amministrativo che attribuiscono specifiche cautele agli “interessi sensibili”, sia in virtù delle regole del Codice dei beni culturali.

Pertanto, il termine annuale per l’annullamento d’ufficio non compromette la tutela del patrimonio storico e artistico. Ciò in quanto la disciplina è già adeguata a prevenire illegittimità nel momento in cui l’autorizzazione viene rilasciata.

Ragionevolezza e certezza giuridica: un bilanciamento necessario

La Corte ha ribadito che il potere di annullamento è distinto dal potere originario di rilascio dell’autorizzazione e si caratterizza per finalità diverse. Nel valutare se revocare l’atto, l’amministrazione deve considerare non solo l’interesse pubblico al ripristino della legalità, ma anche l’affidamento del destinatario purché meritevole di tutela.

Di conseguenza, non è irragionevole che anche gli atti relativi a interessi di rango costituzionale, come la protezione del patrimonio culturale, siano soggetti al termine ordinario di decadenza. La disciplina mira infatti a bilanciare l’efficienza amministrativa con la stabilità dei rapporti giuridici.

Termine di decadenza garanzia di buon andamento e sicurezza giuridica

Secondo la Corte, la previsione di un termine certo rafforza il principio di buon andamento dell’amministrazione, stimolando una maggiore attenzione nella fase di rilascio del provvedimento e garantendo la certezza delle relazioni tra cittadini e pubblici poteri.

In quest’ottica, il limite temporale tutela sia l’interesse pubblico al corretto esercizio dell’azione amministrativa sia l’esigenza di affidabilità giuridica per i destinatari degli atti e i terzi che su questi fanno legittimo affidamento.

lesioni permanenti al viso

Lesioni permanenti al volto: pene troppo rigide La Corte costituzionale dichiara parzialmente illegittimo l'art. 583-quinquies c.p.: necessaria una “valvola di sicurezza” per punire con proporzionalità le lesioni permanenti al volto

La Consulta interviene sull’art. 583-quinquies c.p.

Lesioni permanenti al volto: con la sentenza n. 83/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 583-quinquies del codice penale, introdotto dalla legge n. 69/2019 (cd. “codice rosso”). La norma disciplina il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, prevedendo una pena detentiva molto severa e una sanzione accessoria automatica.

Pene troppo rigide: violati i principi costituzionali

La Corte ha censurato la disposizione per eccessiva rigidità sanzionatoria, ritenendola in contrasto con gli articoli 3 e 27, commi 1 e 3, della Costituzione. In particolare, è stata giudicata incostituzionale:

  • la mancata previsione di una diminuzione di pena nei casi di lieve entità del fatto;

  • l’automatismo e la perpetuità dell’interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno.

Lesioni permanenti al volto: necessaria clausola di flessibilità

Secondo la Consulta, sebbene la ratio della norma sia condivisibile – tutelare l’identità personale legata all’aspetto del volto – essa non può prescindere da una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di adattare la pena alle circostanze concrete del caso.

La formulazione attuale, infatti, rischia di equiparare comportamenti molto diversi tra loro, anche privi di dolo intenzionale, imponendo sanzioni sproporzionate e inidonee alla funzione rieducativa della pena.

La pena accessoria deve essere discrezionale

Infine, è stato ritenuto incostituzionale il secondo comma dell’articolo, nella parte in cui prevede l’interdizione perpetua e automatica. Tale pena accessoria – osserva la Corte – deve essere discrezionalmente applicabile dal giudice, entro un limite massimo di dieci anni, in coerenza con i principi costituzionali.

appalti pubblici

Appalti pubblici: no a costi e sicurezza solo per il primo concorrente La Corte costituzionale boccia la norma della Provincia di Bolzano che richiede i costi della manodopera e sicurezza solo al primo classificato nelle gare pubbliche

Appalti pubblici: la bocciatura della Consulta

Appalti pubblici: con la sentenza n. 80/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 22, comma 13, della legge provinciale di Bolzano n. 2 del 2024. La norma prevedeva che soltanto il primo concorrente in graduatoria fosse tenuto a indicare i costi della manodopera e della sicurezza nei contratti pubblici.

Violazione del codice dei contratti pubblici

La Corte ha evidenziato il contrasto con gli articoli 108, comma 9, e 110, comma 1, del d.lgs. n. 36/2023 (nuovo codice dei contratti pubblici), i quali impongono:

  • l’indicazione obbligatoria dei costi della manodopera e degli oneri di sicurezza da parte di tutti i concorrenti, a pena di esclusione;

  • la verifica delle offerte sospettate di anomalia da parte della stazione appaltante in base a questi costi.

La norma provinciale, limitando l’obbligo al solo primo classificato, vanifica gli strumenti di controllo e trasparenza previsti a tutela del lavoro e della concorrenza.

Tutela del lavoro e trasparenza nelle gare

L’obbligo dichiarativo previsto dal codice ha una finalità precisa: garantire la protezione dei lavoratori, responsabilizzare gli operatori economici e facilitare i controlli della stazione appaltante. La violazione di questo impianto normativo compromette tali obiettivi, aprendo la strada a offerte opache e potenzialmente dannose per i diritti dei lavoratori.

Norme di riforma economico-sociale prevalenti

Secondo la Corte, le disposizioni del codice dei contratti pubblici rientrano nella materia della tutela della concorrenza e costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale, con rilievo anche sovranazionale, in quanto attuative di obblighi derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

Pertanto, anche la Provincia autonoma di Bolzano, pur dotata di competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse provinciale, è tenuta a rispettarle in virtù dell’articolo 8 dello statuto speciale e del richiamo all’articolo 4.

ingresso illegale

Ingresso illegale: legittima la mancata depenalizzazione La Corte costituzionale ha ritenuto legittima la mancata depenalizzazione del reato di ingresso e soggiorno illegale. Nessuna violazione della delega legislativa

Reato di ingresso e soggiorno illegale

Con la sentenza n. 81/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione sollevata dal Tribunale di Firenze in merito alla mancata depenalizzazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. La questione era stata posta con riferimento all’articolo 76 della Costituzione e all’articolo 3 del decreto legislativo n. 8 del 2016.

Delega legislativa non violata

Secondo la Corte, l’omessa depenalizzazione rappresenta un’ipotesi di “delega in minus”, ovvero una parziale attuazione della delega conferita con la legge n. 67 del 2014. Non essendo stato alterato il disegno complessivo del legislatore delegante, non si configura alcuna violazione dell’articolo 76 della Costituzione.

Depenalizzazione ampia ma selettiva

La Consulta ha sottolineato che la legge di delegazione aveva previsto una depenalizzazione “cieca” e nominativa, rivolta a una vasta gamma di reati. L’omessa attuazione per una singola fattispecie – quella dell’ingresso e soggiorno illegale – non può considerarsi uno stravolgimento del progetto complessivo.

Conferma anche dalla Commissione giustizia

A rafforzare l’orientamento della Corte, la sentenza richiama il parere espresso a suo tempo dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati. Quest’ultima aveva osservato che la scelta del Governo costituiva un mancato esercizio della delega limitato a un singolo e autonomo punto, privo di incidenza sull’efficacia generale della riforma.

permessi negati ai detenuti

Permessi negati ai detenuti: troppo breve il termine per il reclamo La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il termine di 24 ore per il reclamo contro i permessi negati ai detenuti

Permessi negati ai detenuti

Con la sentenza n. 78/2025, la Corte costituzionale ha ritenuto illegittimo il termine di 24 ore previsto per la proposizione del reclamo da parte del detenuto contro il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza nega un permesso, anche nei casi di grave emergenza familiare, come il pericolo imminente di vita di un familiare o convivente.

Il giudizio di legittimità è scaturito da una questione sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, che ha espresso dubbi circa la compatibilità di tale termine con l’art. 24 della Costituzione, che tutela il diritto di difesa.

Il caso concreto esaminato dalla Corte

Nel procedimento oggetto della pronuncia, un detenuto aveva chiesto un permesso per visitare la sorella affetta da tumore. Il Magistrato di sorveglianza aveva respinto la richiesta e il detenuto aveva presentato reclamo lo stesso giorno della notifica del provvedimento, riservandosi però di motivarlo successivamente.

Solo dopo aver ottenuto la documentazione medica acquisita d’ufficio dal Magistrato, il difensore del detenuto aveva potuto reiterare il reclamo, corredandolo dei motivi. Tuttavia, il termine previsto dall’art. 30-bis dell’ordinamento penitenziario (legge n. 354/1975) per impugnare il diniego è di sole 24 ore.

Tutela effettiva del diritto di difesa

La Corte costituzionale ha accolto i dubbi di legittimità, osservando che il termine di 24 ore non consente al detenuto né di ottenere adeguata assistenza legale né di accedere alla documentazione necessaria per motivare il reclamo in modo efficace.

Richiamando un precedente orientamento (sentenza n. 113/2020, relativa ai permessi premio), la Corte ha stabilito che il termine debba essere elevato a 15 giorni, in analogia con quanto previsto dall’art. 35-bis dell’ordinamento penitenziario per altri reclami.

Il legislatore può intervenire

Pur fissando in via provvisoria un termine di 15 giorni, la Corte ha sottolineato che resta ferma la facoltà del legislatore di stabilire un termine diverso, purché questo rispetti il diritto alla difesa e sia coerente con la natura urgente del provvedimento.

Codice dei contratti pubblici

Codice dei contratti pubblici e soglia di anomalia: salva l’invarianza La Consulta ha rigettato le questioni di legittimità sollevate sull'art. 108, comma 12, del nuovo Codice dei contratti pubblici

Codice dei contratti pubblici: l’intervento della Consulta

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 77 del 2025, ha rigettato le questioni di legittimità sollevate sull’art. 108, comma 12, del D.lgs. n. 36/2023 (nuovo Codice dei contratti pubblici), confermando la legittimità della norma che consente l’applicazione del principio di invarianza della soglia di anomalia anche in presenza di inversione procedimentale.

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La questione era stata sollevata nel contesto di un ricorso proposto al TAR Campania in merito a una procedura di gara aggiudicata secondo il criterio del minor prezzo, nella quale era stata utilizzata l’inversione procedimentale, disciplinata dall’art. 107, comma 3, del Codice. In tale modello procedurale, l’analisi delle offerte economiche precede la verifica del possesso dei requisiti da parte degli operatori economici.

Nel caso concreto, l’amministrazione aveva applicato due volte il calcolo della soglia di anomalia: la prima dopo l’apertura delle offerte economiche e, successivamente, in seguito all’esclusione di taluni concorrenti per documentazione irregolare. Secondo i ricorrenti, questa dinamica violerebbe i principi costituzionali di buon andamento, eguaglianza e libertà di iniziativa economica.

La decisione della Consulta

La Corte ha invece ritenuto infondate tali censure. In particolare, ha precisato che il mantenimento della possibilità di ricalcolare la soglia di anomalia fino all’aggiudicazione definitiva, anche in presenza di inversione procedimentale, non lede il principio di buon andamento dell’amministrazione. Al contrario, garantisce che la graduatoria finale si basi solo su offerte presentate da operatori in possesso dei requisiti, evitando che l’aggiudicazione venga congelata su presupposti ormai superati.

Quanto alla presunta violazione degli altri principi costituzionali, la Corte ha ricordato che le stazioni appaltanti devono predisporre meccanismi idonei a salvaguardare la par condicio tra i partecipanti, come ad esempio il sorteggio per la verifica dei requisiti. Inoltre, eventuali comportamenti collusivi sono già sanzionati dalle normative in materia di concorrenza e penale.

In sintesi, la pronuncia conferma che la disciplina attuale, pur ammettendo l’inversione procedimentale, tutela l’efficienza dell’azione amministrativa e la regolarità della gara, attraverso un corretto bilanciamento tra esigenze di rapidità e garanzie di trasparenza e legalità.

tso

TSO: la persona va informata sul trattamento La Corte costituzionale dichiara illegittima la norma sul TSO che non garantisce comunicazione, audizione e notifica al soggetto coinvolto

Nuove tutele per chi è sottoposto a TSO

Con la sentenza n. 76/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 35 della legge n. 833/1978 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), nella parte in cui non garantisce tre fondamentali garanzie procedurali a chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (TSO) in regime di ricovero:

  1. Comunicazione del provvedimento del sindaco al diretto interessato o al suo legale rappresentante;

  2. Audizione della persona sottoposta a TSO da parte del giudice tutelare prima della convalida;

  3. Notifica del decreto di convalida al soggetto interessato o al suo rappresentante.

Le ragioni della decisione

La Corte ha sottolineato che le garanzie costituzionali, in particolare quelle di cui agli articoli 13, 24 e 111 della Costituzione, impongono che ogni limitazione della libertà personale sia accompagnata da adeguate tutele del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.

Nemmeno una condizione di incapacità naturale può giustificare la privazione dei diritti fondamentali: chi è affetto da infermità, fisica o psichica, non può essere escluso dalle garanzie costituzionali.

Funzioni dell’audizione

L’audizione preventiva del soggetto da parte del giudice tutelare:

  • costituisce un presidio minimo di legalità in caso di restrizioni della libertà personale;

  • assicura il rispetto del divieto di violenza fisica e morale (art. 13, comma 4, Cost.);

  • consente di valutare condizioni personali e reti familiari o sociali di supporto, utili anche per adottare provvedimenti provvisori urgenti ai sensi dell’art. 35, comma 6, legge n. 833/1978.

I punti dichiarati incostituzionali

La norma è stata ritenuta illegittima:

  • al primo comma, per non prevedere che il provvedimento del sindaco sia “comunicato alla persona interessata o al suo legale rappresentante, ove esistente”;

  • al secondo comma, per l’omissione dell’obbligo di audizione del soggetto (“sentita la persona interessata”) e di notifica della convalida;

  • al quarto comma, in riferimento alla proroga del TSO, per analogo difetto di comunicazione alla persona o al suo rappresentante.

voto domiciliare disabili

Voto domiciliare disabili: cosa prevede la legge Voto domiciliare disabili: quali sono le fonti, anche recenti, che riconoscono e disciplinano il diritto di voto del disabile domicilio

Voto domiciliare disabili: legge 46/2009

La prima fonte che da tempo riconosce il voto domiciliare ai disabili di cui all’articolo 3 della legge 104/1992 è la legge n. 46/2009.

L’articolo 1 di questa legge però riconosce questo diritto solo agli elettori “affetti da gravissime infermità, tali che l’allontanamento dall’abitazione in cui dimorano risulti impossibile, anche con l’ausilio dei servizi di cui all’articolo 29 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e gli elettori affetti da gravi infermità che si trovino in condizioni di dipendenza continuativa e vitale da apparecchiature elettromedicali tali da impedirne l’allontanamento dall’abitazione in cui dimorano, sono ammessi al voto nelle predette dimore.”

Il voto dal domicilio è consentito su richiesta espressa del soggetto, previa presentazione di una dichiarazione da recapitare al Sindaco del Comune tra il quarantesimo e il ventesimo giorno anteriore alla data della votazione e un certificato medico entro il termine di 45 giorni precedenti la votazione.

Voto domiciliare disabili: sentenza della Consulta

La sentenza n. 3/2025 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il comma 3 dell’articolo 9 della legge n. 108/1968 nella parte in cui non permette all’elettore impossibilitato a causa di un impedimento fisico di poter firmare la lista dei candidati in un modo alternativo.

Ministero dell’Interno: circolare n. 17/2025

Con la circolare n. 17/2025 il Ministero dell’Interno ha precisato che il principio sancito dalla pronuncia delle Consulta, riguardante le elezioni regionali, è applicabile anche ad altri tipi di elezioni. Il tutto anche nel rispetto del principio di uguaglianza.

Quando sancito dalla Consulta deve quindi ritenersi applicabile a tutte le elezioni. Il disabile impossibilitato a votare nelle forme ordinarie, potrà quindi esercitare legittimamente il proprio diritto di voto apponendo la propria firma digitale  sulle liste dei candidati. Si ricorda infatti che la firma digitale rappresenta un accomodamento ragionevole, come definito dalla Convenzione ONU sui diritti dei disabili, per garantire loro l’esercizio dei diritti umani e delle libertà.

 

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recidiva semplice

Recidiva semplice: la Consulta limita aumento automatico pena Stop all’aumento automatico della pena per recidiva semplice. La Consulta dichiara incostituzionale l’art. 63 co. 3 c.p. in caso di concorso con attenuanti

Recidiva: l’intervento della Consulta

Con la sentenza n. 74 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 63, comma 3, del codice penale, nella parte in cui consente l’aumento obbligatorio di un terzo della pena in presenza di recidiva semplice e di un’altra circostanza aggravante autonoma o a effetto speciale.

Automatismo irragionevole

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tribunale di Firenze, in un procedimento per minaccia aggravata commessa con armi, dove all’imputato era stata contestata anche la recidiva semplice ai sensi dell’art. 99, primo comma, c.p. In base alla norma censurata, la pena – già aumentata per l’aggravante a effetto speciale – avrebbe dovuto essere automaticamente incrementata di un terzo per effetto della recidiva.

La Consulta ha invece affermato che tale automatismo viola il principio di ragionevolezza e proporzionalità sancito dall’articolo 3 della Costituzione, evidenziando come l’aumento obbligatorio della pena, previsto per la recidiva semplice, risulti più gravoso rispetto alla disciplina più favorevole applicabile nei casi di recidiva aggravata o qualificata, che consente al giudice di aumentare la pena solo fino alla metà e in via facoltativa.

Le motivazioni della Corte costituzionale

Pur riconoscendo l’ampia discrezionalità del legislatore nella definizione della politica criminale e nella determinazione delle pene, la Corte ha ribadito che le norme sanzionatorie devono comunque essere sottoposte al controllo di legittimità costituzionale, specialmente quando incidono sulla libertà personale.

Secondo la Corte, la disciplina censurata determinava un trattamento sanzionatorio sproporzionato e non coerente con il disvalore effettivo della condotta. In particolare, si veniva a creare una irragionevole disparità: mentre in presenza di recidiva aggravata il giudice può decidere se aumentare la pena, nel caso di recidiva semplice tale aumento era obbligatorio, anche se la condotta non era più grave.

straniero detenuto

Espulsione straniero detenuto: la misura è amministrativa La Corte costituzionale chiarisce che l’espulsione dello straniero detenuto ha natura amministrativa e non trattamentale, escludendo automatismi e tutelando i soggetti vulnerabili

Espulsione straniero detenuto

Espulsione straniero detenuto: con la sentenza n. 73 del 2025, la Corte costituzionale ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Palermo, confermando la natura amministrativa dell’espulsione disposta nei confronti di cittadini stranieri irregolari in stato di detenzione. La norma oggetto del giudizio è l’art. 16, comma 5, del D.lgs. n. 286/1998 (Testo unico sull’immigrazione).

Espulsione anticipata non è alternativa alla detenzione

La Consulta ha chiarito che l’espulsione applicata durante l’esecuzione della pena – nei confronti di stranieri irregolari con pena residua inferiore a due anni per reati non gravi – non costituisce una misura trattamentale, né può essere assimilata alle misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario.

Si tratta, piuttosto, di un provvedimento amministrativo che anticipa l’espulsione già prevista a causa dell’irregolarità del soggiorno e che, comunque, sarebbe intervenuta al termine della pena detentiva.

Valutazione individuale e garanzie contro automatismi

La Corte ha escluso qualsiasi automatismo nell’applicazione di tale misura, sottolineando che il magistrato di sorveglianza è tenuto a valutare caso per caso, operando un bilanciamento tra l’interesse pubblico all’espulsione e le condizioni personali e familiari del soggetto. Restano salvi, in ogni caso, i divieti di espulsione previsti per situazioni di vulnerabilità oggettiva o soggettiva, ai sensi dell’art. 19 del D.lgs. 286/1998, cui rinvia espressamente anche l’art. 16, comma 9, dello stesso testo unico.