abuso d'ufficio

Abuso d’ufficio: l’abrogazione non è incostituzionale La Consulta all'esito dell'udienza pubblica ha ritenuto che l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio non è incostituzionale

Abrogazione reato di abuso d’ufficio

Non è incostituzionale l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. All’esito dell’udienza pubblica svoltasi il 7 maggio 2025, la Consulta ha esaminato in camera di consiglio le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione, sull’abrogazione del reato di cui all’art. 323 del codice penale ad opera della legge numero 114 del 2024.

Convenzione di Merida

La Corte, si legge nel comunicato stampa ufficiale, ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la cosiddetta Convenzione di Merida).

Nel merito, la Corte ha dichiarato infondate tali questioni, ritenendo che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso di ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale.

La motivazione della sentenza sarà pubblicata nelle prossime settimane.

 

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addizionale provinciale

Addizionale provinciale energia elettrica: incostituzionale La Consulta dichiara illegittima costituzionalmente l'addizionale provinciale sull'energia elettrica

Addizionale provinciale sull’energia elettrica

Con la sentenza n. 43 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, già abrogata nel 2012. La norma istitutiva, infatti, è stata ritenuta in contrasto con i principi del diritto dell’Unione europea, in quanto priva di una finalità specifica e trasparente per l’utilizzo del gettito.

Mancanza di finalità specifica: contrasto con UE

Secondo la Consulta, la destinazione generica del tributo “in favore delle province” non soddisfa il requisito della finalità specifica, come richiesto dalle direttive comunitarie in materia di imposizione indiretta. Tale orientamento è coerente con la giurisprudenza della Corte di cassazione (sentenza n. 27101/2019 e ordinanza n. 24373/2024), che aveva già evidenziato la natura meramente generica della destinazione delle somme, ritenendola assimilabile a una finalità di bilancio ordinaria.

Rilevanza sentenza Corte UE nel caso C-316/22

Nell’esaminare la questione, la Corte costituzionale ha tenuto conto anche della recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’11 aprile 2024 (causa C-316/22, Gabel industria tessile spa e Canavesi spa). In tale decisione, la CGUE ha ribadito che, in una controversia tra privati, il giudice nazionale non può disapplicare direttamente una norma nazionale in contrasto con una direttiva. Tuttavia, ha riconosciuto il diritto del cliente del servizio di fornitura di energia elettrica di agire direttamente nei confronti dello Stato, quando non sia giuridicamente possibile agire contro il fornitore.

contributi tv locali

Contributi tv locali: lo scalino preferenziale garantisce il pluralismo La Corte Costituzionale conferma la legittimità dello scalino preferenziale nei contributi pubblici alle tv locali

Meccanismo “scalino preferenziale”

Contributi tv locali: con la sentenza n. 44/2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato riguardanti il sistema di assegnazione dei contributi pubblici alle emittenti televisive locali. In particolare, è stata confermata la legittimità del cosiddetto scalino preferenziale, meccanismo che prevede una ripartizione delle risorse in base alla posizione in graduatoria.

Nessuna violazione dell’art. 77 Cost.

La Corte ha anzitutto escluso che gli emendamenti, con cui sono state legificate le norme regolamentari in materia di contributi, abbiano violato l’articolo 77 della Costituzione. Non sussiste, infatti, il difetto di omogeneità tra il contenuto originario dei decreti-legge e le disposizioni successivamente introdotte.

Irrilevante interferenza con giudizi

Sono state inoltre dichiarate infondate le censure relative all’interferenza con l’esercizio del potere giurisdizionale. Il meccanismo in esame non compromette né i giudicati formatisi né i giudizi ancora in corso, risultando compatibile con il principio di separazione dei poteri.

Lo “scalino preferenziale” non lede il pluralismo

La Corte ha chiarito che il criterio che assegna il 95% dei contributi alle prime cento emittenti in graduatoria e solo il 5% alle restanti non viola i principi del pluralismo informativo e della concorrenza.

Panorama informativo e ruolo della qualità

Nel motivare la decisione, la Consulta ha evidenziato il profondo mutamento del sistema dell’informazione, oggi fortemente influenzato dalla digitalizzazione, che ha eliminato molte barriere tecniche ed economiche, permettendo una moltiplicazione delle fonti. In questo contesto, l’obiettivo diventa la salvaguardia della qualità dell’informazione, più che l’aumento delle voci presenti nello spazio pubblico.

Contributi tv locali e scalini preferenziale

Il meccanismo dello scalino preferenziale mira a premiare le emittenti più strutturate, promuovendo l’uso di tecnologie avanzate e la produzione di contenuti informativi di qualità. La Corte ha ritenuto tale scelta non irragionevole, poiché orientata a sostenere imprese editoriali capaci di affrontare il mercato e garantire occupazione stabile nel settore.

furto in abitazione

Furto in abitazione: sì all’attenuante sulla recidiva Ravvedimento post delictum e furto in abitazione: la Corte costituzionale dichiara illegittimo il divieto di prevalenza dell'attenuante sulla recidiva reiterata

Furto in abitazione e attenuante

La Corte costituzionale, con sentenza n. 56/2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui vieta di riconoscere prevalente l’attenuante della collaborazione del reo (art. 625-bis cod. pen.) rispetto alla circostanza aggravante della recidiva reiterata.

La qlc

La questione era stata sollevata dal Tribunale di Perugia nell’ambito di un procedimento per furto in abitazione, in cui l’imputato aveva contribuito in maniera determinante all’individuazione del correo. Il giudice rimettente contestava che il divieto previsto dalla norma censurata violasse i principi di ragionevolezza e di finalità rieducativa della pena, sanciti dall’art. 27, terzo comma, della Costituzione.

La Consulta, richiamando precedenti pronunce in materia, ha accolto la questione, osservando che il divieto di prevalenza neutralizza la funzione incentivante dell’attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen., attribuendo alla recidiva reiterata un rilievo assoluto, senza considerare il comportamento collaborativo successivo del reo e i rischi personali e familiari da esso derivanti.

Ravvedimento post delictum

Secondo la Corte, tale preclusione impedisce che il ravvedimento post delictum produca pienamente i suoi effetti, privando di efficacia lo strumento voluto dal legislatore per favorire la dissociazione dal contesto criminale. Inoltre, irrigidendo il giudizio sulla capacità a delinquere, la norma contestata si pone in contrasto con il principio di rieducazione della pena, facendo percepire la sanzione come ingiusta e, pertanto, inefficace ai fini previsti dalla Carta costituzionale.

La decisione

La decisione conferma l’orientamento volto a valorizzare la condotta successiva al reato, anche in presenza di precedenti penali, nel rispetto della funzione rieducativa che deve connotare l’esecuzione della pena.

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maltrattamenti in famiglia

Maltrattamenti in famiglia: no a sospensione automatica responsabilità genitoriale Maltrattamenti in famiglia, la Corte costituzionale limita l’automatismo: il giudice deve valutare l’interesse del minore nella sospensione della responsabilità genitoriale

Maltrattamenti in famiglia, no all’automatismo

Con la sentenza n. 55/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’articolo 34, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui impone automaticamente la sospensione della responsabilità genitoriale a seguito della condanna per maltrattamenti in famiglia (articolo 572, secondo comma, c.p.) commessi in presenza o a danno di minori.

L’intervento della Consulta

La questione di legittimità era stata sollevata dal Tribunale di Siena, che, pur avendo riconosciuto la responsabilità penale di due genitori per maltrattamenti nei confronti dei figli conviventi, aveva evidenziato l’incompatibilità tra l’applicazione automatica della pena accessoria e la necessità di tutelare, in concreto, l’interesse del minore.

Secondo l’articolo 34, secondo comma, c.p., la condanna per reati commessi abusando della responsabilità genitoriale comporta automaticamente la sospensione dall’esercizio della stessa, per una durata pari al doppio della pena principale. Tuttavia, questo meccanismo, secondo la Corte, si pone in contrasto con i principi espressi dagli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, che pongono al centro la tutela effettiva dell’interesse del minore.

L’automatismo censurato

La Consulta ha rilevato che l’applicazione rigida della sospensione non consente una valutazione concreta della situazione familiare e del rapporto tra genitore e figlio, impedendo al giudice di considerare se, in casi specifici, mantenere la responsabilità genitoriale possa meglio garantire il benessere del minore.

La pronuncia richiama l’orientamento consolidato secondo cui l’interesse del minore è il parametro fondamentale nella regolazione dei rapporti familiari, e sottolinea che l’automatismo previsto dalla norma censurata crea una presunzione assoluta di incompatibilità tra la condanna e la prosecuzione del rapporto genitoriale, presunzione che risulta irragionevole e lesiva della dignità e dei diritti del minore stesso.

Il ruolo del giudice nella tutela concreta del minore

La Corte costituzionale ha quindi affermato che spetta al giudice, caso per caso, valutare se la sospensione della responsabilità genitoriale sia effettivamente conforme al preminente interesse del minore. Tale valutazione deve tener conto non solo della gravità del reato, ma anche dell’evoluzione del rapporto genitoriale successivamente ai fatti oggetto di condanna.

In particolare, la responsabilità genitoriale comporta obblighi e diritti che non devono essere compressi senza una attenta ponderazione degli effetti concreti sull’equilibrio e sulla crescita del minore.

avvocato d'ufficio

Avvocato d’ufficio: anche per il genitore insolvente paga lo Stato La Corte Costituzionale estende le garanzie anche al difensore del genitore insolvente nei procedimenti di adottabilità

Difesa d’ufficio nei procedimenti di adottabilità

Con la sentenza n. 58 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 143, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevedeva l’anticipazione da parte dello Stato dei compensi spettanti al difensore d’ufficio del genitore insolvente nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, regolati dalla legge 4 maggio 1983, n. 184.

Il caso

La questione è nata da un ricorso presentato da un avvocato, nominato difensore d’ufficio della madre in un procedimento minorile. Dopo aver adempiuto al mandato difensivo e tentato senza esito il recupero del credito professionale, l’avvocato aveva chiesto al Tribunale per i minorenni la liquidazione del compenso a carico dell’erario, vedendosi rigettare la richiesta.

La Corte di cassazione ha quindi sollevato la questione di legittimità costituzionale, rilevando una violazione dell’articolo 3 della Costituzione, in ragione della disparità di trattamento rispetto:

  • al difensore d’ufficio del genitore irreperibile;

  • al difensore d’ufficio dell’imputato insolvente nei procedimenti penali.

Il richiamo alla sentenza n. 135/2019

Nel motivare la decisione, la Consulta ha richiamato la propria sentenza n. 135 del 2019, con cui era già stata censurata la mancata previsione dell’anticipazione del compenso per il difensore del genitore irreperibile.

La Corte ha ribadito che i procedimenti civili minorili e quelli penali presentano profili di omogeneità in relazione agli interessi tutelati e alla funzione del difensore d’ufficio, che interviene in entrambi i casi a garanzia di diritti fondamentali.

Diritto all’anticipazione del compenso

La difesa d’ufficio obbligatoria, comportando l’irrinunciabilità dell’incarico, implica il diritto del professionista all’anticipazione del compenso da parte dello Stato anche in caso di insolvenza del genitore assistito, analogamente a quanto già previsto per:

  • l’imputato insolvente nel processo penale (art. 116 T.U. spese di giustizia),

  • il genitore irreperibile nei procedimenti per l’adottabilità.

Possibile recupero delle somme da parte dell’erario

La Corte ha precisato che resta ferma la facoltà per l’erario di recuperare le somme anticipate, qualora il genitore assistito torni reperibile o solvibile e non chieda l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

L’onere probatorio del difensore d’ufficio

Infine, la Corte ha sottolineato che spetta al difensore d’ufficio dimostrare l’infruttuosità del tentativo di recupero del credito, allegando gli esiti negativi della procedura esecutiva. Solo in tal caso, il magistrato potrà disporre, con decreto, la liquidazione degli onorari e delle spese nella misura prevista dal Testo unico sulle spese di giustizia.

Vaccino anti-hpv

Vaccino anti-HPV: la Consulta legittima la legge della Puglia Per la Corte, la legge della Puglia sul vaccino anti-papilloma virus non viola la Costituzione

Vaccino anti-HPV e percorsi scolastici

Vaccino anti-HPV: con la sentenza n. 48 del 2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito all’articolo 1 della legge della Regione Puglia n. 22/2024, che ha introdotto l’articolo 4-bis nella legge regionale n. 1/2024. Tale disposizione stabilisce che, per accedere ai percorsi formativi nella fascia 11-25 anni, inclusi quelli universitari, è necessario presentare una delle seguenti documentazioni alternative:

  • Attestazione della somministrazione del vaccino contro il Papilloma Virus Umano (HPV);

  • Certificazione dell’avvio del programma vaccinale;

  • Dichiarazione di rifiuto della vaccinazione;

  • Partecipazione a un colloquio informativo sui benefici del vaccino;

  • In alternativa, è possibile esprimere un “formale rifiuto” di produrre qualsiasi documento.

La Consulta conferma la legittimità della norma

Il ricorso era stato presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, che contestava la norma regionale per presunta violazione della competenza statale esclusiva in materia di “norme generali sull’istruzione” e di livelli essenziali delle prestazioni (LEP) relativi ai diritti civili e sociali, in base all’articolo 117, secondo comma, lettere n) ed m) della Costituzione.

Venivano inoltre richiamati presunti contrasti con:

  • Gli articoli 3 e 34 della Costituzione (principio di uguaglianza e diritto all’istruzione);

  • L’articolo 117, primo comma, in relazione all’articolo 9 del Regolamento UE 2016/679 (GDPR), per il trattamento dei dati personali sanitari.

La Corte ha però dichiarato inammissibile la questione relativa ai LEP per insufficienza della motivazione, e ha ritenuto non fondate le altre censure.

Promuovere la consapevolezza vaccinale

La Consulta ha riconosciuto la legittimità della legge regionale pugliese in quanto esercizio coerente delle competenze concorrenti in materia di tutela della salute e istruzione, previste dalla Costituzione. Il provvedimento non introduce un obbligo vaccinale vero e proprio, ma mira a promuovere la vaccinazione anti-HPV o, almeno, a favorire una scelta informata da parte degli studenti e delle famiglie.

L’obiettivo è quello di stimolare la riflessione consapevole, senza imporre in modo coercitivo la presentazione di attestati sanitari. Viene, infatti, espressamente prevista la possibilità di rifiutare formalmente la produzione di qualsiasi documentazione, salvaguardando così il diritto all’istruzione e il rispetto della libertà individuale.

La decisione

La Corte costituzionale ha confermato, dunque, che la normativa regionale che prevede, ai fini dell’iscrizione ai percorsi di istruzione per i giovani tra 11 e 25 anni, l’obbligo di documentare la propria posizione vaccinale rispetto al virus HPV – anche mediante un semplice rifiuto formale – è costituzionalmente legittima. La misura rispetta il principio di proporzionalità, non vìola il diritto allo studio e rappresenta uno strumento efficace per promuovere la prevenzione sanitaria in ambito educativo, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona.

fondo di solidarietà comunale

Fondo di solidarietà comunale legittimo Fondo di solidarietà comunale: legittimo per la Consulta il trasferimento di risorse ai comuni per i servizi essenziali

Fondo di solidarietà comunale

Con la sentenza n. 45 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Liguria contro alcune disposizioni della legge n. 213 del 2023 (legge di Bilancio per l’anno 2024), in particolare l’articolo 1, commi 494, 497, 533, 534 e 535.

Le norme impugnate prevedono il trasferimento di risorse dal Fondo di solidarietà comunale al nuovo Fondo per l’equità del livello dei servizi, con vincolo di destinazione in favore dei comuni che non abbiano ancora raggiunto i livelli essenziali di prestazione (LEP) nei settori dei servizi sociali, degli asili nido e del trasporto scolastico per alunni con disabilità.

Rispetto dei livelli essenziali di prestazione

La scelta legislativa recepisce quanto già affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 71 del 2023, in cui è stato ribadito che, ai sensi dell’art. 120, secondo comma, della Costituzione, lo Stato può esercitare poteri sostitutivi qualora un ente territoriale non garantisca adeguatamente i diritti civili e sociali riconducibili ai livelli essenziali di prestazione.

Secondo la Corte, tale potere si collega in modo sistemico all’art. 119, quinto comma, Cost., che consente la creazione di fondi perequativi speciali, strutturati in modo distinto e trasparente, diversi dal fondo perequativo ordinario previsto dal terzo comma dello stesso articolo.

Distinzione fondi perequativi ordinari e speciali

La Consulta ha ribadito che, mentre il Fondo di solidarietà comunale, in quanto unico fondo perequativo riferito ai comuni, non può contenere quote vincolate, le risorse destinate al raggiungimento dei LEP possono invece essere correttamente allocate in fondi separati e dedicati, come nel caso del nuovo Fondo per l’equità del livello dei servizi.

Tale collocazione deve rispettare criteri di:

  • autonomia finanziaria regionale;

  • trasparenza amministrativa;

  • coerenza con la finalità costituzionale di riequilibrio territoriale.

Priorità alla spesa pubblica essenziale

La Corte ha sottolineato che il criterio adottato dal legislatore mira ad attuare il principio della spesa costituzionalmente necessaria, secondo cui, in un contesto di risorse pubbliche limitate, devono essere prioritariamente garantite le spese connesse alla tutela della salute, dei diritti sociali e delle politiche per la famiglia, rispetto ad altre voci di bilancio prive di specifica finalizzazione.

imu dovuta

Imu dovuta solo per la possibilità di avvalersi dell’immobile La Corte Costituzionale ha chiarito che l'IMU è dovuta anche se l'immobile non è utilizzato, rileva la titolarità dello stesso

IMU dovuta anche se l’immobile non è utilizzato

Imu dovuta anche se l’immobile non è utilizzato. Con la sentenza n. 49 del 2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità sollevate in relazione all’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, che disciplina l’Imposta Municipale Unica (IMU). I dubbi interpretativi riguardavano la presunta violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, relativi ai principi di uguaglianza e capacità contributiva.

IMU anche in assenza di utilizzo effettivo

Secondo quanto stabilito dalla Consulta, l’obbligo di pagamento dell’IMU non dipende dall’uso concreto dell’immobile, bensì dalla mera titolarità del diritto reale su di esso. Anche gli immobili posseduti da imprese e destinati alla vendita, purché non locati, costituiscono indice rilevante di capacità contributiva.

Il criterio utilizzato è quello dell’“astratta possibilità di utilizzo” del bene: non è dunque necessaria la fruizione effettiva, essendo sufficiente che il possessore mantenga il controllo giuridico e materiale dell’immobile.

Il presupposto dell’IMU è il possesso

La Corte ha ribadito che l’IMU è un’imposta patrimoniale fondata sul possesso di immobili (proprietà, usufrutto o altro diritto reale). Solo in casi eccezionali può essere esclusa, ad esempio quando l’immobile sia oggettivamente inutilizzabile e il contribuente abbia adottato comportamenti diligenti per recuperarne la disponibilità.

Questo principio è stato chiarito anche nella sentenza n. 60 del 2024, con cui è stata dichiarata l’incostituzionalità della norma nella parte in cui non esclude dal tributo gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata regolare denuncia all’autorità giudiziaria.

Discrezionalità del legislatore

La Corte ha altresì richiamato il principio di discrezionalità legislativa, secondo cui spetta al Parlamento decidere in merito all’introduzione, quantificazione e condizioni delle agevolazioni fiscali, purché le scelte operate non risultino manifestamente irragionevoli.

In tal senso si colloca anche la sentenza n. 72 del 2018, in cui è stato ribadito che il legislatore è chiamato a trovare un equilibrio tra le esigenze di finanza pubblica e la capacità contributiva dei cittadini, contribuendo in modo equo al sostegno delle spese collettive.

aggio della riscossione

Aggio della riscossione: no a intervento retroattivo Per la Corte Costituzionale, il legislatore non era obbligato a eliminare retroattivamente l’aggio della riscossione

Aggio della riscossione

Con la sentenza n. 46 del 2025, la Corte costituzionale ha chiarito che il legislatore non era tenuto a intervenire retroattivamente in materia di aggio di riscossione, confermando la legittimità della scelta di prevederne l’abolizione solo a decorrere dal 1° gennaio 2022, come disposto con la legge di Bilancio 2022.

La pronuncia è intervenuta a seguito di una questione sollevata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, che lamentava una presunta lesione di vari principi costituzionali, connessa al mantenimento dell’aggio per i periodi antecedenti alla riforma.

Riforma dell’aggio: principio di discrezionalità

Secondo quanto affermato dalla Corte, l’intervento normativo che ha riformato il sistema di remunerazione dell’agente della riscossione dà seguito all’invito formulato con la sentenza n. 120 del 2021, ma senza necessità di retroattività. Quella decisione – ha spiegato la Corte – rientra tra le pronunce di “inammissibilità di sistema”, vale a dire quelle che, pur rilevando profili critici di compatibilità costituzionale, non comportano l’immediata declaratoria di incostituzionalità, ma rimettono al legislatore il compito di intervenire in maniera congrua e ponderata.

In questo ambito, si è quindi riconosciuto al Parlamento un ampio margine di discrezionalità, anche nella scelta del “quando” e del “come” intervenire. Il legislatore, pertanto, era legittimato a stabilire un termine di decorrenza futura per la nuova disciplina, senza dover incidere sui rapporti pregressi.

Il principio della non retroattività

La Corte ha sottolineato che anche la disciplina dell’efficacia temporale delle leggi rientra nella discrezionalità del legislatore, purché non violi principi di ragionevolezza o di tutela dell’affidamento legittimo. La scelta di applicare la riforma dell’aggio di riscossione solo per il futuro, come avvenuto dal 2022, risponde dunque a un criterio legittimo e conforme alla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 130 e n. 71 del 2023, n. 22 del 2022, che confermano la facoltà del legislatore di adottare soluzioni diverse, purché non manifestamente irragionevoli, per eliminare eventuali criticità costituzionali).