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Pene sostitutive escluse per i reati ostativi La Consulta conferma la legittimità dell’esclusione dei condannati per reati ostativi dalle pene sostitutive, ma richiama il dovere costituzionale di garantire condizioni carcerarie rispettose della dignità e della rieducazione

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Reati ostativi: legittima l’esclusione dalle pene sostitutive

Con la sentenza n. 139 del 2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito all’articolo 59 della legge n. 689/1981, come modificata dalla riforma Cartabia. La norma preclude l’applicazione delle pene sostitutive alla detenzione per i soggetti condannati per i cosiddetti reati ostativi, ovvero quelli elencati all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario.

La discrezionalità del legislatore e i limiti della riforma

Secondo la Corte, rientra nella discrezionalità del legislatore decidere quali reati escludere dalle misure alternative alla detenzione, purché la scelta rispetti i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Non è quindi irragionevole, né costituzionalmente censurabile, escludere in via generale l’applicazione delle pene sostitutive per reati di maggiore gravità e allarme sociale, come quelli oggetto dei giudizi da cui è nata la questione: violenza sessuale e pornografia minorile.

La riforma Cartabia e la coerenza con la legge delega

La sentenza chiarisce che il decreto legislativo attuativo della riforma non ha violato i criteri stabiliti dalla legge delega, che prevedeva espressamente il coordinamento con le preclusioni già previste dall’ordinamento penitenziario. Il legislatore ha dunque rispettato il mandato ricevuto dal Parlamento.

Nessuna violazione dell’eguaglianza

La disparità di trattamento denunciata dai rimettenti – tra condannati per reati ostativi e non ostativi – è stata esclusa. Per la Consulta, non si tratta di una discriminazione, poiché la gravità del reato può giustificare un trattamento differenziato in fase esecutiva, anche in relazione all’accesso alle misure alternative al carcere.

La pena resta strumento di rieducazione, ma non solo

Il principio della funzione rieducativa della pena, sancito dall’art. 27, comma 3, della Costituzione, non esclude che essa possa rispondere anche a finalità di prevenzione generale e speciale. Pertanto, l’esecuzione della pena detentiva può risultare legittima anche nei confronti di soggetti non più considerati pericolosi, se ciò risponde a esigenze di tutela sociale.

Il carcere deve restare conforme ai principi costituzionali

La Corte ha tuttavia ribadito che la detenzione deve svolgersi nel rispetto della dignità umana e in condizioni tali da favorire comunque il percorso rieducativo del condannato, indipendentemente dalla tipologia di reato. La compatibilità tra esecuzione penale e diritti fondamentali deve essere sempre garantita, anche in presenza di reati particolarmente gravi.

La riforma penale è un passo avanti, ma graduale

Pur legittimando le scelte del legislatore, la Corte costituzionale ha riconosciuto che l’ampliamento del catalogo delle pene sostitutive introdotto dalla riforma Cartabia costituisce un importante progresso nel rispetto dei principi costituzionali. Le pene alternative – come il lavoro di pubblica utilità, la semilibertà o la detenzione domiciliare – sono più funzionali alla rieducazione del condannato rispetto alla detenzione tradizionale.

Tuttavia, l’estensione dell’accesso a tali misure deve avvenire in modo graduale, partendo dai reati meno gravi e lasciando ai margini quelli che il legislatore considera, con giudizio non arbitrario, maggiormente offensivi.

Il problema strutturale del sistema penitenziario

In conclusione, la Corte ha espresso preoccupazione per lo stato delle carceri italiane, ricordando che il sovraffollamento ostacola gravemente l’attuazione della finalità rieducativa della pena e mina il rispetto dei minimi standard di umanità. L’effettiva conformità dell’esecuzione penale ai principi costituzionali dipende anche dalle condizioni materiali e organizzative del sistema penitenziario.