Cos’è la clausola risolutiva espressa
La clausola risolutiva espressa è una clausola contrattuale che prevede la risoluzione automatica del contratto in caso di inadempimento di uno degli obblighi che gravano su una delle parti. In altre parole, se una delle parti non adempie agli obblighi stabiliti nel contratto, l’altra parte può considerare il contratto risolto senza necessità di intervento giudiziale.
Questa clausola è esplicitamente indicata nel contratto e deve essere concordata dalle parti al momento della stipula.
Normativa di riferimento: art. 1456 c.c.
La norma che prevede e disciplina la clausola risolutiva espressa è l’articolo 1456 c.c. Esso dispone in particolare che: “1. I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva.”
Dal tenore letterale della norma emerge che la risoluzione del contratto non richiede l’intervento di un giudice, ma è automatica, in quanto le parti hanno esplicitamente previsto l’inadempimento come causa di risoluzione. La clausola risolutiva espressa è quindi uno strumento di protezione per le parti contraenti, per evitare lunghe procedure legali per risolvere un contratto in caso di inadempimento.
Funzionamento della clausola risolutiva espressa
La clausola risolutiva espressa è un meccanismo automatico di risoluzione, che scatta nel momento in cui si verifica un inadempimento da parte di una delle parti. Tuttavia, affinché la risoluzione si realizzi, è necessario che la clausola sia esplicitamente prevista nel contratto, che l’inadempimento sia di entità tale da giustificare la sua attivazione e che la parte interessata dichiari all’altra parte di volersene avvalere.
Un esempio pratico utile a chiarire
Supponiamo che due parti stipulino un contratto di locazione con una clausola risolutiva espressa che preveda la risoluzione del contratto nel caso in cui una delle parti non paghi il canone entro 30 giorni dalla scadenza. Se il conduttore non paga il canone per un mese, il locatore può ritenere risolto il contratto senza bisogno di una causa legale, comunicando l’intenzione al conduttore di volersi avvalere della clausola. La risoluzione avviene quindi automaticamente, sulla base di quanto concordato nel contratto. La parte che ha subito l’inadempimento non ha quindi bisogno di rivolgersi al tribunale per chiedere la risoluzione del contratto, proprio perché la clausola prevede già l’eventualità di un effetto automatico a fronte di un comportamento inadempiente.
Differenze con la condizione risolutiva
Molti tendono a confondere la clausola risolutiva espressa con la condizione risolutiva, ma ci sono differenze significative tra le due. Vero che entrambe portano alla risoluzione del contratto, ma la modalità e i presupposti sono diversi.
Cos’è la condizione risolutiva
La condizione risolutiva, come definita dal Codice Civile (Art. 1359), è un evento futuro e incerto che determina la cessazione di un contratto. Il contratto esiste già e ha effetti, ma si risolve automaticamente al verificarsi di una condizione che è incerta e non dipende dall’inadempimento di una delle parti. La condizione risolutiva può essere legata a eventi esterni (ad esempio, l’approvazione di un finanziamento, l’ottenimento di una licenza) e il contratto si risolve solo se tali eventi si verificano. La risoluzione avviene senza bisogno di un’azione delle parti, ma dipende dall’evento specifico concordato.
La differenza con la clausola risolutiva espressa
La clausola risolutiva espressa, invece, dipende direttamente dall’inadempimento di una delle parti e prevede una risoluzione automatica del contratto, senza la necessità di un evento futuro e incerto. Il contratto è già in vigore e, se una parte non adempie ai suoi obblighi, il contratto viene risolto in base a quanto stabilito nella clausola. L’inadempimento, quindi, è la causa scatenante, non un evento esterno.
Giurisprudenza
La giurisprudenza italiana ha esaminato numerosi casi riguardanti la clausola risolutiva espressa e la sua applicazione nei contratti. Ecco alcune sentenze significative:
Cassazione n. 23287/2024: per avvalersi della clausola risolutiva espressa (ex art. 1456 c.c.), l’inadempimento deve essere effettivo; altrimenti, si rischierebbe un abuso del diritto. La buona fede, sancita dagli artt. 1175 e 1375 c.c., guida l’interpretazione per evitare condotte pretestuose e abusi. La giurisprudenza sottolinea che, se il comportamento del debitore è conforme alla buona fede, anche se rientra nei fatti previsti dalla clausola, non può essere considerato inadempimento. Questo principio tutela entrambe le parti da azioni ingiustificate.
Cassazione n. 14195/2022: la tolleranza del creditore (come l’accettazione di pagamenti parziali o tardivi) non elimina la clausola risolutiva espressa né implica una tacita rinuncia ad avvalersene, purché il creditore, contestualmente o successivamente, dichiari l’intenzione di utilizzarla in caso di ulteriori inadempimenti. Secondo la giurisprudenza (Cass. 2005, 2013, 2018), la tolleranza rende temporaneamente inoperante la clausola, ma questa riprende efficacia se il creditore richiama il debitore all’adempimento puntuale delle sue obbligazioni con una nuova manifestazione di volontà.
Cassazione n. 23879/2021: la clausola risolutiva espressa è invalida se non indica specificamente le obbligazioni contrattuali a cui si riferisce. È necessario individuare con precisione gli obblighi la cui violazione giustifica lo scioglimento immediato del contratto. Durante la redazione, è essenziale definire chiaramente le circostanze che possono provocare la risoluzione automatica, evitando riferimenti generici a tutte le obbligazioni contrattuali. In questo modo le parti possono identificare, sin dall’inizio, le violazioni gravi che impediscono la prosecuzione del rapporto, riducendo tempi e costi rispetto a un accertamento giudiziale.
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