posti auto condominio

Posti auto condominio Posti auto condominio: chi ne ha diritto, come si assegnano i parcheggi, cosa fare in caso di occupazione abusiva

Parcheggio in condominio, quali sono le regole

La disciplina dell’utilizzo dei posti auto in condominio rappresenta un tema molto dibattuto, poiché nel codice civile non si rinvengono norme che regolino esplicitamente la materia.

Per tale motivo, per comprendere la disciplina dei parcheggi in condominio è necessario riferirsi alle norme di carattere generale che regolano la gestione del condominio (e in particolare quelle che riguardano l’utilizzo dei beni comuni). E ad alcuni particolari provvedimenti legislativi che hanno individuato dei parametri tecnici a cui fare riferimento.

Chi ha diritto al parcheggio condominiale?

Per prima cosa, va evidenziato che l’art. 1117 c.c. ricomprende espressamente tra le parti comuni dell’edificio le aree destinate a parcheggio.

Pertanto, i posti auto condominio ricadono nella disciplina generale prevista dall’art. 1102 c.c. Tale norma, dettata in tema di comunione (e, quindi, applicabile anche in materia condominiale) prescrive che ogni comproprietario  ha diritto di servirsi della cosa comune, a condizione di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri comproprietari di farne uso a loro volta.

Ecco, pertanto, emergere il primo, importante aspetto relativo alla disciplina dei parcheggi condominiali. A prescindere dalla quantità di posti auto presenti nell’edificio (che potrebbe ben essere inferiore al numero di abitazioni), ogni condomino ha diritto di servirsene, purché rispetti la destinazione propria dell’area di sosta (e non la usi, quindi, per scopi diversi: ad esempio, come zona di deposito) e non ne ostacoli l’utilizzo da parte degli altri condomini.

È evidente che, in tutti quei casi in cui il numero di posti auto non risulti sufficiente per soddisfare le necessità di tutti i residenti, si pone il problema di regolare l’utilizzo degli stessi.

Ebbene, cominciamo col dire che il compito di individuare le modalità di utilizzo dei posti auto spetta all’amministratore, in ossequio a quanto previsto dall’art. 1130 c.c. comma primo n. 2, secondo il quale l’amministratore deve “disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune”.

Come vengono assegnati i posti auto in un condominio

Detto questo, la pratica insegna che il criterio più di frequente adottato per regolare l’utilizzo dei posti auto condominiali, quando questi siano insufficienti rispetto alle abitazioni, sia la turnazione.

Sta all’assemblea stabilire le modalità di dettaglio della turnazione, a cominciare dalla periodicità della stessa (ad es. settimanale, mensile od annuale.

A tale riguardo, è sufficiente una delibera adottata con la maggioranza prevista dall’art. 1136 comma secondo (maggioranza dei presenti che rappresenti una quota pari ad almeno metà del valore dell’edificio), dal momento che si tratta di una decisione che non viola i diritti esclusivi di alcun condomino e che non introduce alcuna innovazione, limitandosi a disciplinare l’uso di una cosa comune.

Cosa fare se un condomino parcheggia negli spazi comuni

Un breve accenno merita il caso pratico, abbastanza ricorrente nella vita quotidiana, relativo all’occupazione del posto auto condominiale da parte di chi non ne ha diritto, ad esempio da parte di un condomino che non rispetti la suddetta turnazione.

In tal caso, non è alla forza pubblica che bisogna rivolgersi, quanto all’amministratore di condominio, il quale potrà far leva non solo su eventuali sanzioni previste dal regolamento condominiale, ma anche sulla configurabilità del reato di violenza privata ex art. 610 c.p. (cfr. la recente sentenza n. 27559 del 26 giugno 2023 della Corte di Cassazione penale).

In aggiunta, il condomino può far valere le proprie ragioni chiedendo al Giudice competente il rilascio di un provvedimento di urgenza o di intervenire in via cautelare.

Posti auto condominio: legge ponte e legge Tognoli

Infine, va ricordato che la materia dei posti auto in condominio è stata oggetto anche di legislazione tecnica.

Legge ponte

A cominciare dalla c.d. “legge ponte” (legge n. legge 765 del 1967, modificativa della l. 1150/1942), in base alla quale in ogni edificio deve essere presente almeno un metro quadro di parcheggio ogni dieci metri cubi di fabbricato.

A tal riguardo, la giurisprudenza – con qualche oscillazione – ha evidenziato la natura pertinenziale di tali posti auto rispetto all’unità immobiliare, nel senso che, sebbene il proprietario possa vendere l’abitazione indipendentemente dal posto auto, all’acquirente va riconosciuto il diritto reale d’uso dell’area stessa. Rimane esclusa da questo regime, e quindi può essere venduta liberamente, l’area di parcheggio realizzata in periodo antecedente alla “legge ponte” ed ogni area realizzata in misura eccedente rispetto alla necessità dell’edificio (quindi nei fabbricati che prevedono un numero di posti auto maggiore rispetto a quello delle abitazioni).

Legge Tognoli

Un altro importante provvedimento in materia è la c.d. legge Tognoli (legge n. 122 del 1989), che incentivò la creazione di posti auto in edifici ove l’area di parcheggio non era originariamente prevista o era prevista in misura insufficiente per le necessità delle rispettive abitazioni. Anche tali aree, per orientamento prevalente della giurisprudenza, sono da considerarsi quali pertinenze delle unità immobiliari ivi esistenti.

caparra tipologie

Caparra: tipologie e disciplina Caparra confirmatoria e caparra penitenziale: che funzione hanno e qual è la disciplina. Differenze tra la caparra ed altri istituti affini

Cos’è la caparra e a cosa serve

Caparra, tipologie e disciplina: la caparra è una somma di denaro (o di altro bene fungibile) che viene consegnata al venditore per tutelarlo dall’eventuale successivo inadempimento dell’acquirente.

Il nostro ordinamento contempla due differenti tipologie di caparra, ognuna con una sua peculiare disciplina e funzione: la caparra confirmatoria (art. 1385 codice civile) e la caparra penitenziale (art. 1386 c.c.).

In questa breve guida esamineremo le caratteristiche di tali istituti e le differenze tra la caparra ed altri istituti affini, come l’acconto e la clausola penale.

Caparra confirmatoria

La caparra confirmatoria viene consegnata dall’acquirente al momento della conclusione del contratto e, come detto, tutela il venditore in ordine alla possibilità che l’acquirente non esegua la propria prestazione.

Una volta versata la caparra, quindi, si profilano due possibilità: che l’acquirente adempia o meno al proprio obbligo contrattuale.

Adempimento

Se questi paga effettivamente il prezzo del bene o servizio acquistato, il venditore è tenuto ad imputare la somma versata a titolo di caparra alla prestazione dovuta dall’acquirente (in sostanza, la caparra diviene un mero anticipo parziale del prezzo).

Se la prestazione dell’acquirente non consiste nel versamento di una somma di denaro, all’atto dell’adempimento da parte sua, il venditore è tenuto a restituirgli la caparra precedentemente versata (art. 1385 c.c., primo comma).

Inadempimento

Diversamente, in caso di mancato adempimento da parte dell’acquirente, il venditore può scegliere se recedere dal contratto o chiedere l’esecuzione o la risoluzione del contratto.

Nel primo caso, il venditore che esercita il recesso ha diritto di trattenere la caparra, ma così facendo rinuncia all’azione per il risarcimento del danno; in questo caso, in sostanza, la somma versata a titolo di caparra rappresenta la quantificazione forfettaria del danno da inadempimento, che le parti concordano alla conclusione del contratto.

Se invece il venditore agisce per l’esecuzione o per la risoluzione del contratto, allora dovrà domandare il risarcimento del danno secondo le regole generali, dimostrando innanzitutto l’esistenza del danno e il suo nesso causale con l’inadempimento. Ovviamente, questa strada può portare a una quantificazione del danno in misura superiore a quella rappresentata dalla caparra.

Può anche verificarsi, infine, che a dimostrarsi inadempiente sia il venditore: in tal caso, l’acquirente può recedere dal contratto ed esigere una somma pari al doppio della caparra precedentemente versata (art. 1385 c.c., secondo comma).

Caparra penitenziale

La caparra penitenziale, invece, segue una disciplina che prescinde dall’eventuale inadempimento di una parte.

Infatti, essa rappresenta sostanzialmente il corrispettivo del diritto di recesso (art. 1386 c.c., primo comma), valevole per una od entrambe le parti.

Se il recesso viene esercitato da chi ha versato la caparra all’altra parte, quest’ultima ha diritto di trattenere la somma versata. Viceversa, se a recedere è la parte che ha ricevuto la somma di denaro, questa dovrà restituire il doppio di tale somma a chi aveva versato la caparra.

Differenze tra caparra e altri istituti affini

Da ultimo, è opportuno segnalare brevemente le differenze tra la caparra ed altri istituti affini.

Acconto

Ad esempio, la caparra si differenzia dall’acconto perché quest’ultimo è una mera anticipazione parziale del prezzo pattuito, mentre la caparra, come abbiamo visto, svolge una funzione legata all’eventuale inadempimento (caparra confirmatoria) o all’esercizio del diritto di recesso (caparra penitenziale).

Clausola penale

Ancora diversa è la natura della clausola penale, che ha la funzione di predeterminare l’entità del risarcimento del danno in caso di inadempimento e che trova applicazione quando si chiede comunque l’esecuzione o la risoluzione del contratto, a differenza della caparra confirmatoria, che postula il recesso della parte che intende trattenerla.

Vedi le altre notizie in materia civile

cambio di sesso

Cambio di sesso: il matrimonio non va annullato Cambio sesso: negato l'annullamento del matrimonio per errore essenziale sull'identità del coniuge, è solo un adeguamento alla personalità

Cambio di sesso e annullamento del matrimonio

Il cambio di sesso non causa l’annullamento del matrimonio. Nel soggetto che presenta una disforia di genere questo cambiamento non muta l’identità. Esso si limita ad adeguare i caratteri esterni a quelli percepiti e sentiti come propri dalla persona. Se il marito non è a conoscenza della rettificazione di sesso da uomo a donna, questa mancata conoscenza non si può ricondurre a un errore essenziale sull’identità della persona, se l’uomo non ha mai approfondito le cause dell’incapacità a procreare della moglie. Questa la decisione del Tribunale di Livorno nella sentenza del 12 luglio scorso.

Cambio sesso da uomo a donna: marito chiede annullamento

Un uomo si rivolge al Tribunale di Livorno per chiedere l’annullamento del matrimonio. L’attore narra di aver contratto matrimonio civile con la convenuta e che da detta unione non sono nati i figli. Questo perché, in base a quanto riferito dalla moglie, la stessa avrebbe subito l’asportazione dell’utero a causa di una malattia. L’attore racconta poi che dopo la richiesta di adozione di un minore la coppia è entrata in crisi tanto che si sono separati.

Nel giugno del 2022, però, mentre il marito procedeva a un’ispezione ipotecaria e catastale degli immobili intestati alla moglie, scopriva che  la stessa in passato era un uomo. I riferiti problemi di infertilità sono quindi da ricondurre a questa circostanza.

Errore sull’identità del coniuge art. 122 c.c.

L’uomo sarebbe quindi incorso in quell’errore essenziale sull’identità della persona che ai sensi dell’articolo 122 del codice civile rende annullabile il matrimonio. Se infatti l’attore avesse saputo fin dall’inizio che la moglie in passato era stato un uomo e che le difficoltà a procreare erano riconducibili al cambio di sesso, sicuramente non si sarebbe sposato.

Costituitasi in giudizio la moglie chiede il rigetto della domanda attorea, stante l’impossibilità di ricondurre il loro caso all’errore invocato dal marito di cui all’articolo 122 del codice civile. La donna afferma infatti che l’attore era   al corrente, prima di contrarre matrimonio, del procedimento di rettificazione di sesso a cui si era sottoposta.

Errore sull’identità della persona se il marito sposa una donna che prima era uomo?

Il Tribunale, conclusa l’istruttoria ritiene che la domanda dell’attore debba essere rigettata. Nel caso di specie è emerso che l’attore in realtà non era stato informato dell’avvenuta rettificazione di sesso della moglie. Vero però che tale mancata conoscenza non è riconducibili giuridicamente all’errore previsto dall’articolo 122 del codice civile. L’uomo infatti, da parte sua, non ha mai  approfondito le vere cause dell’incapacità a procreare della convenuta. L’errore eccepito dal marito non ricade né sull’identità della persona né sulle sue qualità personali.

“Non vi è stato errore sulla identità della persona in quanto il (…) a tutti gli effetti, si è unito in matrimonio con la persona che intendeva e riteneva di sposare (….), che all’epoca già risultava donna, tanto anagraficamente quanto sotto l’aspetto dei caratteri sessuali (…) l’identità (di genere) della (moglie) si è sempre identificata con quella femminile e non con quella maschile, tanto che, la stessa (…) in modo particolarmente significativo” in una conversazione telefonica … “per più di una volta, nel rispondere alle domande incalzanti del (marito) relative al fatto se fosse o se fosse stata in passato un uomo, ha ribadito “io non sono un uomo”, “io non ero un uomo”.

Il cambio di sesso infatti non modifica l’identità sessuale della persona, ma adegua  i caratteri somatici e le risultanze anagrafiche alla identità reale dell’individuo.

Il marito quindi non è caduto in alcun errore essenziale sulle qualità personali del coniuge, per cui la richiesta di annullamento del matrimonio va rigettata.

 

Leggi anche: Cambio di sesso, tutele unione civile estese fino al matrimonio

disposizioni anticipate di trattamento

Disposizioni anticipate di trattamento (DAT) Cosa sono le DAT, come si fa il testamento biologico, chi è il fiduciario nel biotestamento e cos’è la Banca dati per le disposizioni anticipate di trattamento

Cosa si intende per disposizioni anticipate di trattamento

Le disposizioni anticipate di trattamento, o DAT, sono dichiarazioni di volontà in merito a trattamenti sanitari cui si desidera, o meno, essere sottoposti. Le DAT possono essere rilasciate volontariamente da un soggetto maggiorenne e capace di intendere e volere, in previsione dell’eventualità in cui successivamente ci si trovi in condizioni di non poter decidere consapevolmente o esprimere e comunicare le proprie volontà.

Come è evidente, si tratta di un istituto che riguarda aspetti molto delicati – al centro anche di dibattito politico – perché coinvolge profili etici come la libertà di autodeterminazione di ciascun individuo nella scelta relativa ai trattamenti terapeutici e agli accertamenti diagnostici cui sottoporsi in caso di necessità (si pensi ad esempio all’alimentazione artificiale).

Dove si registrano le DAT?

Le disposizioni anticipate di trattamento rappresentano il c.d. testamento biologico, o biotestamento, ed è opportuno che siano decise soltanto dopo che il soggetto abbia acquisito un’idonea informazione medica, ad esempio facendosi assistere nella stesura delle stesse da un proprio medico di fiducia.

Consenso informato DAT

A livello normativo, la materia del consenso informato e delle DAT è disciplinata dalla legge n. 219 del 2017, entrata in vigore dal 31 gennaio 2018.

In base a tale disciplina, le disposizioni anticipate di trattamento devono essere sottoscritte personalmente dal soggetto disponente ed essere rilasciate nelle seguenti modalità:

  • depositate in originale presso lo studio di un notaio, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata;
  • consegnate personalmente al personale preposto presso il proprio Comune di residenza (Ufficio di stato civile), presso le strutture sanitarie della Regione competente o presso l’Ufficio Consolare (per i cittadini residenti all’estero).

Nel caso di soggetti con particolari disabilità, le DAT possono essere rilasciate (e analogamente revocate) con l’utilizzo di tecnologie di registrazione, davanti a due testimoni, per poi essere depositate secondo quanto sopra esposto.

Il rilascio delle DAT è esente da tasse e imposte di bollo.

La Banca dati nazionale per il testamento biologico

Il notaio o il personale pubblico che raccoglie le dichiarazioni del testamento biologico è tenuto, previa raccolta del consenso dell’interessato, a trasmettere le stesse alla Banca Dati nazionale delle DAT, istituita presso il Ministero della salute e attiva 1° febbraio 2020. Alla registrazione consegue una notifica via mail all’indirizzo del disponente.

È importante evidenziare che, così come non ha un termine di scadenza di validità, il biotestamento può anche essere modificato o revocato in qualsiasi momento, con analoga dichiarazione del disponente. Allo stesso modo, il dichiarante può richiedere la cancellazione delle DAT dalla Banca dati nazionale.

L’accesso alla Banca dati è possibile con SPID o Carta Nazionale dei Servizi ed è riservato al disponente, al suo fiduciario (di cui si dirà oltre) e al medico che ha in cura il disponente – quando questi si trovi in situazioni di incapacità ad autodeterminarsi – e sia tenuto a sottoporlo a trattamenti sanitari o accertamenti diagnostici oggetto del biotestamento.

Biotestamento, chi è il fiduciario

Come accennato, una figura importante nell’ambito della disciplina delle disposizioni anticipate di trattamento è il fiduciario.

Quest’ultimo è il soggetto – necessariamente maggiorenne – che il disponente indica quale suo rappresentante nei rapporti con medici e strutture sanitarie, in merito a ciò che concerne le DAT e la loro osservanza.

In caso di nomina di un fiduciario, quest’ultimo deve sottoscrivere l’accettazione nell’atto stesso o con separato atto e produrre – così come il disponente – il proprio documento d’identità al pubblico ufficiale che riceve le dichiarazioni, oltre a sottoscrivere l’informativa per il trattamento dei dati personali.

Quando le DAT possono essere disattese

È importante evidenziare, infine, che le disposizioni contenute nel testamento biologico possono essere disattese, anche solo parzialmente, con l’accordo tra medico curante e fiduciario, quando appaiano palesemente incongrue con le condizioni del paziente o qualora siano sopravvenute terapie non prevedibili al momento della sottoscrizione delle DAT.

In caso di mancato accordo tra il medico e il fiduciario, la decisione spetta al giudice tutelare.

accesso agli atti condominiali

L’accesso agli atti condominiali è gratuito L’accesso agli atti condominiali è una facoltà dei condomini che non richiede l'esborso di somme ulteriori rispetto ai diritti di copia

Accesso agli atti del condominio

L’accesso agli atti condominiali non è subordinato al pagamento di alcuna somma. I condomini che chiedono l’accesso agli atti condominiali non devono pagare all’amministratore di condominio un compenso ulteriore rispetto a quello concordato al conferimento dell’incarico. Lo ha chiarito il Tribunale di Milano nella sentenza n. 15169/2024.

Richiesta di accesso agli atti: la vicenda

Due condomini convengono in giudizio l’amministratrice condominiale chiedendo che venga condannata alla consegna o alla messa a disposizione in copia dei documenti condominiali indicati nell’atto di citazione. Gli attori dichiarano di aver chiesto alla convenuta con due PEC inviate a distanza di un mese una dall’altra di poter prendere visione ed estrarre copia di alcuni documenti condominiali, previo pagamento dei relativi oneri e previo appuntamento. La convenuta però non ha fornito alcun riscontro a queste richieste. L’amministratrice contesta la domanda nel merito chiedendo nel rigetto. Dopo il fallito tentativo di mediazione la causa prosegue e giunge in decisione.  

Facoltà di visionare ed estrarre copia dei documenti

Il Tribunale rileva la fondatezza della richiesta dei condomini. Ogni condomino infatti ha la facoltà di chiedere e ottenere dall’amministratore condominiale l’esibizione dei documenti contabili anche al di fuori del rendiconto annuale dell’approvazione del bilancio. Il richiedente che avanza tali richieste non ha l’onere di specificare i motivi per i quali vuole prendere visione o estrarre copia dei documenti del condominio. Le richieste non devono naturalmente intralciare l’attività amministrativa e non devono essere contrarie ai principi di correttezza. I costi relativi devono   gravare sui richiedenti.

Illegittima la richiesta di una somma aggiuntiva

Nel caso di specie il Tribunale ritiene provata la duplice richiesta degli attori formulata a mezzo pec. L’amministratrice però ha subordinato detta richiesta al pagamento dell’importo è di 100,00 euro, in quanto attività soggetta a retribuzione separata, trattandosi di richieste personali dei singoli condomini.

Trattasi  però di una condizione del tutto illegittima. L’unico onere economico che può essere imposto al singolo condomino che richieda di estrarre copia di alcuni documenti condominiali è rappresentato dalla spesa necessaria per avere la copia della documentazione originale.

“Non può considerarsi legittima, pertanto, l’eventuale richiesta da parte dell’amministratore di un compenso aggiuntivo o di un rimborso forfettario, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti strutturali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale.” 

Per garantire che l’amministratrice rispetti la domanda attorea il Tribunale dispone quindi il pagamento di 20,00 euro per ogni giorno di ritardo (ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c) nell’esecuzione del provvedimento di condanna, consistente nell’obbligo di consentire ai condomini la visione e l’eventuale copia dei documenti richiesti.

 

Leggi anche: Diritto di accesso ai documenti condominiali e abuso del diritto

Allegati

case di ringhiera

Case di ringhiera: il bagno condominiale va ristrutturato Case di ringhiera: il Condominio nella qualità di custode delle cose comuni è obbligato a ristrutturare i servizi igienici comuni

Case di ringhiera: obbligo di manutenzione

Le case di ringhiera sono edifici condominiali caratterizzati dalla presenza di più appartamenti su un piano che condividono il medesimo ballatoio (balcone) e anche, come nel caso di specie, servizi igienici comuni a più unità abitative. Il  Condominio, in quanto custode dei beni e dei servizi comuni dell’immobile, ha l’obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria dei bagni. Se nel corso degli anni non vi provvede deve ristrutturarli, al fine di renderli idonei al loro utilizzo da parte dei condomini. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano nella sentenza n. Trib-Milano-8442-2024.

Servizi igienici inservibili: condomina chiama in causa il Condominio

La condomina di una casa di ringhiera agisce in giudizio contro il Condominio per chiedere la sistemazione dei bagni comuni alle tre unità immobiliari del piano in cui si trova anche il suo appartamento. La donna fa presente di aver chiesto più volte al convenuto di sistemare i servizi igienici perché “in avanzato stato di degrado al punto da renderli inutilizzabili.”

L’attrice lamenta di non potere beneficiare pienamente della propria abitazione proprio a causa della inagibilità dei servizi igienici comuni.

Case di ringhiera: il Condominio custode deve ristrutturare i bagni comuni

Il Tribunale accoglie le richieste dell’attrice perché fondate. Il Condominio, nella sua qualità di custode dei beni e dei servizi comuni, ha l’obbligo di mantenerli in stato tale da non recare pregiudizio. Il Condominio pertanto ha l’obbligo di provvedere alla ristrutturazione dei servizi igienici comuni presenti nel piano in cui si trova l’unità immobiliare dell’attrice.

La CTU ha rivelato che il Condominio non ha adempiuto al proprio obbligo di custodia. I servizi igienici per cui è causa si trovano in effetti in una grave condizione di degrado tanto che l’attrice in effetti è impossibilitata ad utilizzarli e a concedere eventualmente in locazione il proprio appartamento.

Risarcimento mancato utilizzo dell’immobile

Il Tribunale condanna quindi il Condominio convenuto a risarcire l’attrice per il mancato utilizzo dell’immobile di sua proprietà per l’importo di Euro 10.436,00. Alla luce del disinteresse dimostrato fino ad oggi da parte del Condominio nei confronti delle richieste dell’attrice il Tribunale dispone altresì che, decorsi 40 giorni dalla pubblicazione della sentenza, il Condominio debba corrispondere all’attrice anche l’importo di 50,00 euro per ogni giorno di ritardo nell’adempiere all’ordine di ripristino dei servizi igienici.

 

Leggi anche: Il condominio nel codice civile

Allegati

convocazione via whatsapp

Convocazione via WhatsApp: delibera condominiale annullabile Convocazione via WhatsApp all’assemblea condominiale: annullabile la delibera adottata, i messaggi sono informali e con valore preparatorio

Convocazione via WhatsApp: annullabile la delibera adottata

La convocazione via WhatsApp all’assemblea condominiale rende annullabile la delibera assunta. Questa modalità di convocazione viola l’articolo 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile. La norma prevede infatti che la convocazione debba essere effettuata solo a mezzo posta raccomandata, pec, fax o consegna a mano. Lo ha chiarito il Tribunale di Avellino nella sentenza n. 1705/2024.

Impugnazione delibera nomina nuovo amministratore

La proprietaria di un’unità immobiliare impugna una delibera assembleare, chiedendo al giudice di dichiararne la nullità/annullabilità.

La donna riferisce di essere venuta conoscenza della nomina del nuovo amministratore avvenuta con delibera del 20 novembre 2023 tramite convocazione ricevuta in data 03 gennaio 2024. La stessa contesta la validità della suddetta delibera di nomina in quanto tenutasi in modo del tutto illegittimo. Questo perchè la convocazione degli aventi diritto non è avvenuta nei modi previsti dalla legge.

Annullabile o nulla la delibera condominiale

In giudizio la donna contesta la legittimità e l’efficacia della delibera assembleare per il mancato rispetto delle regole di convocazione previste dall’articolo 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Fa presente al riguardo che i condomini hanno provveduto legittimamente all’auto

convocazione per la nomina del nuovo amministratore, tramite il modulo predisposto e consegnato da uno di loro all’amministratore dimissionario. La convocazione dell’assemblea fissata per il 19/20 novembre 2023 però è stata inoltrata ai condomini a mezzo WhatsApp.

Questo metodo di comunicazione è stato utilizzato anche per concordare la data dell’assemblea del 20 novembre 2023, a cui l’amministratore non ha preso parte, perchè affetto da Covid, tanto che l’assemblea è stata rinviata.

Per il convenuto le richieste della condomina devono essere respinte perché la delibera impugnata di fatto è stata sostituita da quella successiva del 22 marzo 2024 avente lo stesso oggetto di quella contestata in giudizio.

Informale e preparatoria la convocazione con WhatsApp

Il Giudice ricorda prima di tutto che l’articolo 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile prevede che l’avviso di convocazione vada comunicato almeno 5 giorni prima della data dell’assemblea, per la prima convocazione e che lo stesso debba contenere tutta una serie di informazione necessarie a consentire ai singoli condomini di partecipare con cognizione di causa.

Per quanto riguarda le modalità di convocazione dell’assemblea lo stesso articolo stabilisce che debba essere comunicata ai condomini a mezzo raccomandata, fax, pec o consegna a mano.

Nel caso di speciele comunicazioni intervenute tra le parti mediante l’applicativo di messaggistica WhatsApp sono da considerarsi informali e di natura meramente preparatoria e non certo idonee a determinare una legittima convocazione dell’assemblea condominiale. I messaggi prodotti hanno tutti carattere preliminare; tutti fanno riferimento ad una successiva convocazione formale che poi non c’è stata, quanto meno con riferimento all’opponente.”

Questa modalità di comunicazione non garantisce la certezza della ricezione del messaggio. Essa non è un mezzo di comunicazione ufficiale come la pec o la raccomandata. Non c’è prova agli atti della convocazione ufficiale dei condomini all’assemblea del 20 novembre 2023. Vero però che la delibera successiva del 22 marzo 2024 avente il medesimo ordine del giorno di quella impugnata la sostituisce. Questo determina il venir meno dell’interesse della ricorrente all’impugnazione e la cessazione della materia del contendere.

 

Leggi anche: Convocazione assemblea condominio: avviso in cassetta inefficace

Allegati

animali domestici e separazione

Animali domestici e separazione: senza accordo a chi spettano? Animali domestici e separazione: cosa accade in caso di mancato accordo? Chi e come decide il loro destino

In caso di separazione cosa succede agli animali domestici?

Animali domestici e separazione sono i due termini di un problema spesso difficile da risolvere. Quando una coppia si separa può litigare perché entrambi si contendono lo stesso animale o perché al contrario, nessuno dei due vuole assumersi gli stessi impegni del matrimonio una volta riacquistata la propria libertà. Cosa fare in questi casi? Tutto dipende dal percorso di separazione che le parti hanno deciso di intraprendere.

Separazione consensuale e animali domestici

Nel caso in cui i coniugi abbiano optato per una separazione consensuale, con l’assistenza dei loro avvocati e tanta buona volontà possono inserire nell’accordo anche le condizioni di assegnazione dell’animale domestico, la suddivisione delle spese di cura, mantenimento e dei compiti quotidiani di accudimento.

In questo caso il giudice non farà altro che omologare l’accordo e la questione, anche se modificabile, in futuro, può dirsi temporaneamente risolta.

Animali domestici e separazione giudiziale: la decisione al giudice?

Le cose cambiano quando la separazione è conflittuale e i coniugi sono protagonisti di una separazione giudiziale. In questo caso è molto difficile che il Tribunale prenda una posizione sugli animali domestici.

In Italia però ci sono stati dei Tribunali che hanno preso decisioni coraggiose su questo tema.

Il tribunale di Cremona ad esempio ha optato per l’affido condiviso di un cane e la conseguente suddivisione a metà delle spese per il mantenimento dell’animale.

Il Tribunale di Foggia invece ha stabilito l’assegnazione esclusiva di un cane a uno dei coniugi, riconoscendo all’altro un diritto di visita regolare.

Il Tribunale di Sciacca infine ha deciso di assegnare il gatto di casa a un coniuge e il cane a entrambi, senza tenere conto dell’intestazione risultante dal microchip.

In questa decisione il criterio discriminante è stata la valutazione della capacità dei soggetti  coinvolti di garantire il miglior sviluppo e le migliori condizioni di cura all’animale.

Animali domestici: l’affidamento segue l’interesse dei figli

Nel rispetto di quanto stabilito dal Codice civile in caso di separazione giudiziale, il Giudice potrebbe rifarsi però anche a un altro criterio per stabilire le sorti dell’animale domestico.

In una famiglia con figli gli animali spesso e volentieri vengono acquistati o adottati soprattutto se sono presenti dei bambini. Il Giudice deve quindi indagare, prima di tutto, quale tipo di rapporto lega l’animale di casa ai figli. Il Tribunale infatti quando assume le decisioni che riguardano la coppia in presenza di figli minori, deve tenere conto dell’interesse primario di questi ultimi, per cui se i bambini sono particolarmente affezionati all’animale, allora il giudice, nel loro interesse morale e materiale può decidere di assegnare l’animale al genitore a cui vengono anche assegnati i figli.

Benessere dell’animale domestico

Un altro criterio però che può far propendere il giudice per l’affidamento di un animale a uno solo dei due coniugi è rappresentato dal benessere dell’animale. Chi dei due per spazio, tempo e possibilità è in grado di garantire un maggior benessere all’animale? Anche in questo caso la proprietà formale dell’animale viene messa in secondo piano per dare priorità al pet, alle sue esigenze fisiche e psicologiche.

Se poi l’animale è affezionato a entrambi, i coniugi se ne occupano con la stessa amorevole attenzione, la custodia a settimane alterne o a giorni alterni potrebbe essere la soluzione migliore. In questo modo  infatti l’animale manterrebbe il contatto con entrambe le figure di riferimento.

La custodia condivisa ovviamente deve includere tutti gli aspetti di vita dell’animale, dalle vacanze, alle cure mediche, dall’alimentazione alle passeggiate quotidiane. In questi casi è importante anche definire a priori chi, in caso di difficoltà o impossibilità di gestire l’animale, se ne deve occupare.

La mediazione per gestire i conflitti

La mediazione è una procedura stragiudiziale di risoluzione delle controversie che può risultare molto utile in caso di conflitti che hanno per protagonisti gli animali domestici. Il percorso si basa sulla collaborazione delle parti e sulla guida di un mediatore, che è un soggetto terzo, ed estraneo che, in caso di difficoltà, può intervenire con una proposta conciliativa soddisfacente per entrambi. In sede di mediazione è possibile anche avvalersi dell’aiuto e dell’esperienza di consulenti come veterinari ed esperti del comportamento. Se le parti hanno a cuore il benessere dell’animale non avranno problemi a seguire le indicazioni sull’ambiente e sulla persona più adatta a prendersi cura dell’amato pet.

 

Leggi anche: Cane chiuso in casa senz’acqua: è reato

passaggio di consegne

Il passaggio di consegne tra amministratori di condominio La documentazione oggetto di passaggio di consegne tra amministratori in ambito condominiale. Il rendiconto e il verbale di consegna

L’obbligo di consegna della documentazione

Il passaggio di consegne tra amministratori di condominio rappresenta un momento di delicata importanza nella gestione dell’immobile, sia per garantire l’opportuna continuità nei rapporti che coinvolgono il condominio, sia per scongiurare l’emergere di responsabilità a carico dell’amministratore uscente.

In primo luogo, va rilevato che, a norma degli artt. 1129 ottavo comma e 1130 del codice civile, l’amministratore è tenuto alla corretta conservazione di tutta la documentazione inerente all’attività del condominio ed è altresì obbligato a trasmetterla al soggetto che gli succede al termine del suo incarico.

Verbale di consegna

All’atto della consegna della documentazione, è opportuno che venga redatto un apposito verbale di consegna in cui vengono indicati i vari documenti oggetto del passaggio di consegne.

Il verbale di consegna va sottoscritto da entrambi gli amministratori, quello uscente e quello subentrante, ma va evidenziato che la firma di quest’ultimo non costituisce ricognizione di debito riguardo ad eventuali anticipazioni di pagamento dichiarate dal vecchio amministratore.

Né tanto meno quest’ultimo può rifiutarsi di consegnare la documentazione anche qualora si ritenga in credito di somme da lui anticipate per conto del condominio.

Il rendiconto e i documenti oggetto di consegna

Ovviamente, assieme alla consegna della documentazione, l’amministratore uscente dovrà rendere conto della situazione di cassa.

A tal fine, il passaggio di consegne riguarderà anche documenti come fatture, estratti conto bancari e bilanci, attraverso i quali si realizza il rendiconto.

Altra documentazione solitamente oggetto di passaggio di consegne tra amministratori di condominio è rappresentata dal regolamento del condominio, dalle tabelle millesimali, dalle eventuali polizze assicurative stipulate dal condominio e dalle certificazioni relative agli impianti presenti nell’immobile.

Ulteriore documentazione può consistere nei preventivi relativi ai lavori da farsi, nei documenti afferenti ad eventuali contenziosi in corso e nella documentazione inerente ai contratti d’appalto o di lavoro subordinato (es. portierato, impresa di pulizie, giardinaggio).

Il rifiuto di effettuare il passaggio di consegne in condominio

L’eventuale rifiuto della consegna della documentazione afferente all’attività condominiale può esporre l’amministratore uscente a responsabilità nei confronti dei condomini.

A tal fine, al gestore subentrante è riservato il diritto di agire in giudizio per ottenere la consegna dei documenti, se del caso anche con procedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c., oggi disciplinato dalle norme sul nuovo rito semplificato.

Diverse pronunce della Cassazione penale (v. Cass. n. 29451/13) hanno inoltre evidenziato come il rifiuto di consegnare la documentazione o di ottemperare al provvedimento d’urgenza deliberato dal Tribunale, espongono l’amministratore uscente a responsabilità penale per appropriazione indebita ex art. 646 c.p. o per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento giudiziario ex art. 388 c.p. (salvo il risarcimento del danno causato al condominio, ostacolato nella propria attività dalla mancata consegna della documentazione).

Passaggio di consegne amministratori di condominio: i tempi

Tra il momento in cui viene deliberata in assemblea la scadenza del mandato con il vecchio amministratore e quello in cui avviene il passaggio di consegne in favore del nuovo amministratore possono passare alcune settimane, secondo gli accordi tra i soggetti interessati.

In tal caso, nel periodo intercorrente alla formalizzazione dell’insediamento del nuovo gestore, l’amministratore di condominio uscente è legittimato a compiere gli atti di ordinaria amministrazione, come il pagamento delle bollette o gli interventi che presentano carattere di urgenza.

Altri adempimenti del nuovo amministratore di condominio

Tra gli altri adempimenti a carico del nuovo amministratore, vi è anche la comunicazione del proprio incarico all’Agenzia delle Entrate, in modo che quest’ultima possa associare il nome del nuovo amministratore al codice fiscale del condominio.

Inoltre, l’amministratore subentrante ha diritto di ricevere dalla banca (presentando il verbale assembleare di nomina) o direttamente dal vecchio amministratore le credenziali del conto corrente intestato al condominio.

Leggi tutte le news su condominio

revisione tabelle millesimali

Revisione tabelle millesimali: basta la maggioranza per il tecnico La revisione delle tabelle millesimali deve essere approvata all’unanimità, per la nomina del tecnico revisore invece basta la maggioranza

Revisione tabelle millesimali: unanimità o maggioranza?

La revisione delle tabelle millesimali richiede l’unanimità se, come prevede l’art. 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile, l’assemblea rettifica o modifica direttamente i valori proporzionali delle singole unità. Se però l’assemblea si limita a nominare un tecnico per provvedere alla revisione delle tabelle, dando incarico all’amministratore di nominarlo, allora è sufficiente la maggioranza richiesta dall’art. 1136 c.c. comma 2. La Corte di Appello di Messina lo ha precisato nella sentenza n. 808/2024.

Unanimità per nominare il tecnico revisore

I proprietari di un’unità immobiliare compresa all’interno di un condominio impugnano una delibera. Con questa decisione i condomini hanno conferito mandato all’amministratore di nominare il tecnico per procedere alla revisione delle tabelle millesimali.

Il primo giudice respinge le richieste attoree, ritenendo la delibera valida e legittima perché approvata dalla maggioranza art. 1136 comma 2 c.c.

Invalida la delibera adottata a maggioranza

Parte soccombente impugna la decisione insistendo sulla richiesta declaratoria di invalidità della delibera. La decisione sarebbe stata adottata infatti in violazione di quanto previsto dall’art. 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile, norma che richiedere l’unanimità per la rettifica e la modifica delle tabelle millesimali.

Revisione tabelle millesimali: non serve l’unanimità per nominare il tecnico

La Corte d’Appello però respinge il gravame perché infondato. In sede assembleare i condomini non hanno operato una modifica diretta e immediata delle tabelle millesimali. Essi si sono limitati a conferire l’incarico a un tecnico affinché questo potesse procedere alla revisione delle tabelle, con onere di nomina a carico dell’amministratore di condominio.

Unanimità per la modifica o la rettifica delle tabelle

La decisione non ha come oggetto quindi la rettifica o la modifica delle tabelle, operazioni per la quali l’art. 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile richiede l’unanimità.

La delibera impugnata ha un contenuto meramente programmatico, tanto che solo con una delibera apposita e successiva sono state approvate le nuove tabelle.

In ogni caso, a ben vedere, la delibera impugnata è stata approvata con la maggioranza qualificata richiesta dall’art. 1136 c.c comma 2, ossia con la maggioranza degli intervenuti e con un numero di voti rappresentanti 1/3 del valore del condominio, idonea come tale a modificare le tabelle.

L’unanimità è richiesta solo se si ha intenzione di derogate alle disposizioni dell’art. 1123 c.c., che disciplina i criteri di riparto per le spese da sostenere per la conservazione e il godimento delle parti comuni.

 

Leggi anche: “Tabelle millesimali: approvazione e revisione