giurista risponde

Differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela È consentito il differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela in caso di inerzia dell’amministrazione nell’esaminare gli atti del procedimento?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Il differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela in relazione a una denuncia di inizio attività è consentito nei casi in cui il soggetto richiedente ha rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale (Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2024, n. 6636).

Preliminarmente è opportuno ricordare che il differimento del termine iniziale per l’esercizio del potere di autotutela, ai sensi dell’art. 21nonies della L. 241/1990, deve essere determinato dalla impossibilità per l’amministrazione, a causa del comportamento dell’istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado. Viceversa, nel caso in cui l’amministrazione sia nelle condizioni di conoscere lo stato dei luoghi e la conformità documentale, l’inerzia nell’esaminare gli atti, come nella DIA, si rivela del tutto ingiustificata.

Il superamento del limite temporale per l’esercizio del potere di autotutela in relazione a una denuncia di inizio attività è, dunque, consentito nei casi in cui il soggetto richiedente ha rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, con conseguente impossibilità per la P.A. di conoscere fatti e circostanze rilevanti, imputabile al soggetto che ha beneficiato del rilascio del titolo, non potendo la negligenza dell’amministrazione procedente tradursi in un vantaggio per la stessa. Pertanto, il dies a quo di decorrenza del termine per l’esercizio dell’autotutela deve essere individuato nel momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro.

Con riguardo alla vicenda in esame la Sezione ha riscontrato l’esercizio del potere di autotutela dopo oltre sei anni dalla presentazione della denuncia di inizio attività e pertanto tale tempo si configura come non ragionevole rispetto ai limiti posti all’esercizio dello ius poenitendi tratteggiato dalla disciplina dell’autotutela e rispetto alla posizione di affidamento del soggetto destinatario dell’atto di ritiro, in ragione del lungo tempo trascorso dall’adozione della DIA annullata.

(*Contributo in tema di “Differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela in caso di inerzia”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

certificato medico

Riforma disabilità: certificato medico introduttivo L'Inps illustra la nuova modalità di avvio del procedimento che prevede l'invio telematico del "certificato medico introduttivo"

Riforma disabilità: i chiarimenti Inps

Con il messaggio 28 novembre 2024, n. 4014 l’Inps ha comunicato che a partire dal 1° gennaio 2025, nelle province di Brescia, Trieste, Forlì-Cesena, Firenze, Perugia, Frosinone, Salerno, Catanzaro e Sassari, prende il via il procedimento per l’accertamento della condizione di disabilità, che prevede l’invio telematico all’INPS del nuovo “certificato medico introduttivo”.  Fino al 31 dicembre 2024, inoltre, l’istituto fa presente che per tutti i certificati introduttivi redatti, il medico certificatore deve comunicare al cittadino che, se è residente (e domiciliato) o domiciliato (ovunque sia residente) in una delle nove province sopraindicate, la domanda amministrativa deve essere presentata all’INPS entro il 31 dicembre.

La riforma della disabilità

Il D.Lgs. 3 maggio 2024, n. 62, recante “Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”, ha riformato i criteri e le modalità di accertamento della condizione di disabilità, prevedendo una “Valutazione di Base” affidata in via esclusiva all’INPS su tutto il territorio nazionale a partire dal 1° gennaio 2026 e, dal 1° gennaio 2025, ai sensi dell’articolo 33 del medesimo decreto legislativo, l’avvio di una sperimentazione della durata di dodici mesi, che coinvolgerà 9 province, individuate dall’articolo 9, comma 1, del dl 31 maggio 2024, n. 71, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2024, n. 106, di seguito indicate: Brescia, Trieste, Forlì-Cesena, Firenze, Perugia, Frosinone, Salerno, Catanzaro e Sassari.

Il certificato medico introduttivo

Una delle novità della riforma di cui al decreto legislativo n. 62/2024 è rappresentata dalla nuova modalità di avvio del procedimento valutativo di base, che prevede l’invio telematico all’INPS del nuovo “certificato medico introduttivo”, il quale rappresenterà l’unica procedura per la presentazione dell’istanza, volta all’accertamento della disabilità, che non dovrà essere più completata con l’invio della “domanda amministrativa” da parte del cittadino o degli Enti preposti e abilitati (cfr. l’art. 8 del decreto legislativo n. 62/2024).

Per tutti i certificati introduttivi redatti fino al 31 dicembre 2024 il medico certificatore deve comunicare al cittadino che se è residente (e domiciliato) o domiciliato (ovunque sia residente) in una delle 9 province in sperimentazione, la domanda amministrativa deve essere presentata all’INPS entro il 31 dicembre 2024. Pertanto, il certificato introduttivo redatto dal medico certificatore secondo le attuali modalità è utilizzabile, nelle province di Brescia, Trieste, Forlì-Cesena, Firenze, Perugia, Frosinone, Salerno, Catanzaro e Sassari, esclusivamente fino al 31 dicembre 2024.

A decorrere dal 1° gennaio 2025, nelle suddette 9 province individuate dal decreto-legge n. 71/2024, l’avvio del procedimento per l’accertamento della condizione di disabilità dovrà avvenire unicamente tramite il nuovo “certificato medico introduttivo”.

Certificato medico introduttivo: profilazione dei medici

L’INPS con il messaggio n. 4512 del 31.12.2024, che segue il n. 4364 del 19.12.2024 e il n. 4465 del 27.12. 2024, precisa che i medici che si profilano per la prima volta per compilare e trasmettere all’INPS il certificato medico introduttivo devono richiedere l’abilitazione tramite il modulo “AP110”, scaricabile dal sito dell’INPS e da inviare tramite PEC alla struttura territorialmente competente dell’Istituto. Una volta abilitati, possono accedere alla procedura per redigere il certificato.

I medici del SSN (art. 8, comma 1, primo periodo, D. Lgs. 62/2024) devono spuntare la struttura sanitaria di appartenenza, mentre gli altri (es. medici di medicina generale, pediatri, liberi professionisti) devono spuntare la dichiarazione attestante il completamento o l’avvio del dossier formativo di gruppo. I medici devono dichiarare inoltre di possedere una firma digitale.

Dal 1° gennaio 2025, per rendere più facile la compilazione del certificato, un “instradatore” guida i medici in base alla provincia di domicilio/residenza del paziente. Nelle 9 province in sperimentazione (es. Brescia, Firenze, Catanzaro), la compilazione del nuovo certificato digitale vale come istanza di valutazione di disabilità. Nelle altre province invece, si utilizza il vecchio certificato, che va associato entro 90 giorni a una domanda amministrativa di invalidità civile o altra condizione prevista dalla normativa.

usufrutto guida

Usufrutto: guida breve Usufrutto: guida breve al diritto reale più ampio che consente al titolare di godere di un bene altrui anche per tutta la vita

Usufrutto nel codice civile

L’usufrutto è uno dei diritti reali di godimento disciplinati dal Codice Civile italiano, dall’articolo 978 e seguenti. Si tratta di un istituto giuridico che consente all’usufruttuario di utilizzare e godere di un bene altrui, traendone i frutti, senza tuttavia che lo stesso possa modificarne la destinazione economica e acquisirne la proprietà.

Cos’è l’usufrutto?

Ai sensi dell’articolo 978 del Codice Civile, l’usufrutto è il diritto di godere di un bene altrui, con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica. Esso può riguardare beni mobili, immobili o universalità di beni, come un’azienda o un patrimonio ereditario.

L’usufruttuario ha il diritto di utilizzare il bene come se fosse il proprietario, ma deve preservarne l’integrità per restituirlo al nudo proprietario al termine del periodo stabilito.

Oggetto

L’oggetto di questo istituto è molto ampio e comprende beni mobili, immobili e anche diritti. La regola generale è che il bene deve essere infungibile o inconsumabile per poter essere restituito. Il quasi-usufrutto rappresenta un’eccezione, riguardando beni consumabili che, per loro natura, non possono essere restituiti in natura. In questo caso, l’usufruttuario acquista la proprietà del bene consumato e ha l’obbligo di corrispondere il suo valore al termine dell’usufrutto.

Costituzione

L’usufrutto può nascere in diversi modi:

  • per legge: i genitori, ad esempio, hanno l’usufrutto legale sui beni dei figli minorenni;
  • per contratto: è la modalità più comune, ma richiede la forma scritta e la trascrizione;
  • per testamento: il testatore può lasciare in usufrutto un bene a una persona;
  • per usucapione: acquisendo il diritto mediante il possesso prolungato nel tempo.

Durata

L’usufrutto può essere:

  • temporaneo: con una durata determinata contrattualmente o stabilita dalla legge;
  • vitalizio: termina con la morte dell’

In base all’articolo 979 del Codice Civile, questo diritto reale non può eccedere la vita dell’usufruttuario e, nel caso di enti giuridici, non può durare per più di 30 anni.

Diritti e doveri dell’usufruttuario

L’usufruttuario gode di ampi diritti sull’uso del bene:

  • uso e godimento: può utilizzare il bene personalmente o concederlo in locazione a terzi (art. 980 c.c.);
  • frutti: ha diritto ai frutti naturali e civili del bene, come prodotti agricoli o rendite da affitto (art. 984 c.c.),
  • modifiche migliorative: può apportare migliorie al bene, ma senza alterarne la destinazione economica.

A fronte di questi diritti l’usufruttuario ha anche tutta una serie di obblighi:

  • conservazione del bene: deve utilizzare il bene come un buon padre di famiglia, evitando deterioramenti (art. 1001 c.c.);
  • riparazioni ordinarie: egli è tenuto a sostenere le spese di manutenzione ordinaria (art. 1004 c.c.), mentre quelle straordinarie spettano al nudo proprietario;
  • garanzia: in caso di costituzione contrattuale, l’usufruttuario potrebbe essere obbligato a prestare garanzia per tutelare il nudo proprietario (art. 1002 c.c.).

Estinzione dell’usufrutto

L’usufrutto si estingue in diverse circostanze, come previsto dagli articoli 1014 e seguenti del Codice Civile:

  • morte dellusufruttuario: per gli usufrutti vitalizi;
  • scadenza del termine: se è temporaneo;
  • consolidazione: quando il diritto di usufrutto si unisce alla proprietà nello stesso soggetto;
  • perimento del bene: se il bene su cui grava viene distrutto;
  • rinuncia: volontà dell’usufruttuario di rinunciare al diritto.

Usufrutto e nuda proprietà

Il rapporto tra usufruttuario e nudo proprietario è centrale nell’usufrutto. Il nudo proprietario mantiene il diritto di proprietà, ma non può godere del bene fino alla cessazione di questo diritto reale. Questo equilibrio consente una gestione condivisa del bene, con benefici reciproci.

Implicazioni pratiche

L’istituto trova ampia applicazione in ambito familiare e commerciale. Spesso è utilizzato per garantire il sostentamento di un coniuge superstite, per la gestione di patrimoni immobiliari o come strumento per pianificazioni successorie. Un genitore infatti può decidere di mantenere l’usufrutto su un immobile donato ai figli, assicurandosi così il diritto di abitazione.

 

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alloggi popolari

Alloggi popolari: incostituzionale il requisito dei 10 anni di residenza Alloggi popolari: la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del requisito dei 10 anni di residenza per l'edilizia pubblica in Trentino

Alloggi popolari: illegittimi 10 anni di residenza

Alloggi popolari: la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Provincia autonoma di Trento n. 15 del 7 novembre 2005. Tali norme prevedevano che, per accedere a benefici in materia di edilizia residenziale pubblica, come l’assegnazione di alloggi a canone sostenibile e il contributo integrativo per il canone di locazione, fosse necessario avere una residenza in Italia di almeno 10 anni, di cui gli ultimi due continuativi.

Le ragioni dell’illegittimità costituzionale

La Corte costituzionale ha ritenuto che queste disposizioni violassero i princìpi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’articolo 3 della Costituzione. Inoltre, esse si ponevano in contrasto con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, che richiama il rispetto del diritto dell’Unione europea, e con il principio di parità di trattamento previsto per i soggiornanti di lungo periodo.

In particolare, il requisito della residenza decennale limitava il diritto di accesso alle prestazioni sociali e agli alloggi pubblici, discriminando i soggiornanti di lungo periodo rispetto ai cittadini italiani, nonostante il diritto europeo garantisca pari trattamento in questi ambiti.

Il ruolo del diritto dell’Unione europea

La Corte costituzionale ha sottolineato la sua legittimazione a intervenire su questioni che coinvolgono il diritto europeo, soprattutto quando vi è un nesso con interessi di rilevanza costituzionale. Pur in presenza di norme europee direttamente applicabili, spetta al giudice italiano individuare il rimedio più idoneo per garantire l’effettività del diritto dell’Unione e il rispetto dei princìpi costituzionali italiani.

La tutela della dignità e dei diritti fondamentali

Secondo la Corte, prestazioni come l’accesso agli alloggi pubblici svolgono un ruolo essenziale nel garantire un’esistenza dignitosa, contribuendo alla piena realizzazione della persona umana e all’effettivo esercizio di altri diritti costituzionali. Il requisito della residenza decennale non è giustificato e non presenta una correlazione diretta con il bisogno abitativo, finendo per discriminare proprio chi si trova in condizioni di maggiore disagio.

Le criticità del requisito della residenza decennale

La rigidità del requisito dei 10 anni di residenza penalizza chi è costretto a trasferirsi frequentemente a causa di condizioni di vita precarie. Questa limitazione colpisce in particolare i soggiornanti di lungo periodo, che possono vantare una permanenza quinquennale sufficiente per ottenere il permesso di soggiorno UE, ma che difficilmente riescono a soddisfare il requisito della residenza decennale richiesto dalla normativa trentina.

bonus anziani

Bonus anziani 2025: a chi spetta e come richiederlo Al via dal 2 gennaio 2025, il Bonus anziani, la nuova prestazione universale, pari a 850 euro al mese che vanno ad aggiungersi all'indennità di accompagnamento

Bonus anziani 2025 INPS

E’ partito il 2 gennaio il Bonus anziani 2025, la nuova Prestazione Universale che l’INPS ha iniziato a erogare, in via sperimentale. Questo beneficio è destinato agli ultraottantenni non autosufficienti con un bisogno assistenziale classificato come “gravissimo”, come stabilito dall’articolo 34 del decreto legislativo 29/2024 recante “Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane, in attuazione della delega di cui agli articoli 3, 4 e 5 della legge 23 marzo 2023, n. 33”.

Periodo di sperimentazione

Il progetto pilota, ha reso noto l’INPS specificando tutti i dettagli del nuovo bonus anziani nel messaggio n. 4490 del 30 dicembre 2024, avrà durata biennale, con decorrenza dal 1° gennaio 2025 e conclusione al 31 dicembre 2026.

Bonus anziani e indennità di accompagnamento

La Prestazione Universale assorbirà l’indennità di accompagnamento (prevista dalla legge n. 18/1980) e alcune prestazioni fornite dagli ATS (Agenzie di Tutela della Salute), limitatamente agli ambiti di loro competenza, come previsto dall’articolo 1, comma 164, della legge 234/2021.

Modalità di presentazione della domanda

Dal 2 gennaio 2025, è possibile presentare la domanda online tramite la pagina dedicata sul sito INPS, intitolata “Decreto Anziani – Prestazione Universale”.

L’accesso potrà avvenire mediante:

  • Identità digitale personale (SPID, CIE o CNS);
  • Assistenza dei patronati.

A chi spetta il Bonus anziani 2025

Per ottenere il beneficio, è necessario soddisfare i seguenti criteri:

  1. Età: avere almeno 80 anni compiuti;
  2. Bisogno assistenziale: condizione di gravissima non autosufficienza, accertata dalla Commissione medico-legale dell’INPS sulla base delle indicazioni della Commissione tecnico-scientifica (nominata con DM n. 155/2024 e approvate con decreto ministeriale del 19 dicembre 2024);
  3. Situazione economica: ISEE per prestazioni sociosanitarie agevolate ordinario non superiore a 6.000 euro;
  4. Indennità di accompagnamento: essere titolari dell’indennità prevista dalla legge n. 18/1980 (l’eventuale sospensione di tale indennità comporta l’impossibilità di ottenere la Prestazione Universale).

Importo del Bonus anziani 2025

Il beneficio verrà erogato mensilmente e comprende:

  • Quota fissa monetaria: pari all’importo dell’indennità di accompagnamento di cui alla legge n. 18/1980 (attualmente fissato a 531,76 euro);
  • Quota integrativa: un assegno di assistenza di 850 euro mensili, destinato a:
    • Coprire i costi per l’assunzione regolare di lavoratori domestici con mansioni di assistenza;
    • Finanziarie servizi di assistenza erogati da imprese specializzate, in linea con la programmazione regionale e locale.

Monitoraggio e adeguamenti futuri

L’INPS si occuperà di monitorare le spese legate alla Prestazione Universale. Qualora si riscontrassero scostamenti tra il numero di richieste e le risorse finanziarie disponibili, potrebbe essere necessario rivedere l’importo mensile della quota integrativa.

 

Leggi anche Bonus anziani: indicazioni operative INPS

giurista risponde

Omesso versamento ritenute in caso di situazione economica di difficoltà In materia di reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali può integrare una causa di esclusione della responsabilità penale l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta in presenza di una situazione economica di difficoltà?

Quesito con risposta a cura di Alessandra Fantauzzi e Viviana Guancini

 

Costituisce costante indirizzo di legittimità quello per cui, nel reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto (Cass. pen., sez. III, 19 agosto 2024, n. 32682).

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la sussistenza dell’elemento soggettivo sul piano dell’effettiva rimproverabilità al ricorrente degli omessi versamenti previdenziali e assistenziali.

In primo e secondo grado era stata affermata la responsabilità penale dell’imputato in relazione al reato continuato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali per gli anni 2016 e 2017.

Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, contestando, per quanto qui di interesse, l’erronea individuazione dell’elemento soggettivo del reato. In particolare, la difesa ha lamentato l’omessa valutazione da parte dei giudici di merito di ogni apprezzamento in punto di esigibilità soggettiva non avendo considerato quanto dedotto nell’atto di appello in ordine alla crisi d’impresa.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, accogliendo il ricorso, ha ribadito un costante indirizzo di legittimità secondo cui nel reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto.

Alla luce di tale principio di diritto i giudici di legittimità hanno affermato che correttamente la difesa ha lamentato la mancata valutazione delle allegazioni difensive, e della documentazione allegata, concernenti l’importante crisi preceduta dal crollo del fatturato che aveva colpito la società. In particolare, il ricorrente aveva evidenziato: che la società era stata costretta a lavorare in perdita in regime di mono-committenza per un unico cliente; l’impossibilità di accedere al credito bancario; la revoca degli affidamenti; gli elevati tassi applicati da altro istituto di credito.

Tali allegazioni sono ritenute dalla Corte potenzialmente idonee a incidere sulla complessiva valutazione della vicenda in termini di effettiva rimproverabilità al soggetto agente. Pertanto, il Collegio annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello.

 

(*Contributo in tema di “Omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali in caso di situazione economica di difficoltà”, a cura di Alessandra Fantauzzi e Viviana Guancini, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

violenza sessuale

Violenza sessuale abbracciare e baciare l’ex moglie Integrato il reato di violenza sessuale nel tentativo di abbracciare e baciare l'ex moglie contro la sua volontà

Reato di violenza sessuale

Il reato di violenza sessuale commesso dall’ex marito che tenta di abbracciare e baciare la moglie contro la sua volontà non può essere assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia. Lo ha chiarito la terza sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 30528/2024 dando ragione al pm.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Asti condannava alla pena di anni uno, mesi dieci di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 572 c.p. (capo A), in esso assorbite le condotte di cui all’art. 609-bis c.p.
Avverso la sentenza, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione, lamentando inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lettera b), cod. proc. pen.
In sintesi, il ricorrente deduceva che il Tribunale di Asti avrebbe erroneamente assorbito le condotte di violenza sessuale contestate nel reato di maltrattamenti, essendo pacifico che i fatti descritti costituissero atti sessuali, idonei a compromettere la libera determinazione
della sessualità della persona e non potessero essere qualificati come una “forma di molestia, vessazione, fastidio”.

Il principio di assorbimento

Sosteneva ancora il ricorrente che “il principio di assorbimento può operare quando si ha identità degli scopi prevalenti perseguiti dalle norme concorrenti. E’ pacifico, invece, che le fattispecie di cui agli articoli 572 e 609-bis cod. pen. tutelano beni giuridici diversi e perseguono scopi differenti: l’oggetto giuridico del delitto di maltrattamenti in famiglia è la tutela dell’incolumità fisica e psichica delle categorie di persone indicate dalla norma, fra cui quelle di famiglia, mentre il delitto di violenza sessuale è preposto alla tutela della libertà di determinazione nella sfera sessuale”.
Evidenziava, infine, il ricorrente che il delitto di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti ni famiglia, attesa la diversità di beni giuridici offesi, “potendosi configurare l’assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte, ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale; circostanza non verificatasi nel caso di specie in cui non vi è coincidenza tra le condotte
maltrattanti e quelle di cui all’art. 609-bis c.p.”.

La decisione

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato.

Il Tribunale di Asti è pervenuto a dichiarare l’assorbimento delle condotte di violenza sessuale contestate, affermando che dette condotte dovessero ritenersi non lesive della libertà sessuale della vittima, e, seppur contestate come violenze sessuali, integrassero piuttosto molestie e vessazioni tali da iscriversi nella sequela di atti maltrattanti, non idonee in concreto a ledere li bene giuridico tutelato dall’art. 609-bis cod. pen. lI ricorso del pubblico ministero sostiene, per contro, che le condotte descritte nei capi di imputazione integrino altrettante ipotesi di violenza sessuale, perché idonee a compromettere la libera determinazione della sessualità della
persona e ad invaderne la sfera sessuale attraverso una condotta insidiosa e rapida avente ad oggetto zone erogene.
La sentenza impugnata dà atto che l’imputato, in sede di interrogatorio di garanzia e del successivo interrogatorio reso al pubblico ministero, ha sostanzialmente ammesso tutti gli addebiti.

L’imputato ha, dunque, confermato di avere approcciato la donna nelle due occasioni descritte nei capi di imputazione, negando di avere tenuto un contegno violento o aggressivo e specificando di avere tentato di avere un rapporto intimo confidando sul fatto che pochi giorni prima imputato e parte offesa avevano giaciuto insieme. Ed in particolare, aveva confermato di avere afferrato al viso la donna, di averla baciata e stretta a sé, reiterando il tentativo di abbracciarla.

La giurisprudenza di legittimità

Tanto premesso, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, affermano quindi dal Palazzaccio, “l’assorbimento di una fattispecie criminosa in un’altra, in base al rapporto di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., si verifica solo quando tutti gli elementi previsti in quella di carattere generale siano compresi in quella di carattere speciale, la quale presenti, inoltre, un elemento specifico cosiddetto specializzante (Sez. 3, n. 5518 del 13/03/1984, Iacchini, Rv. 164788). La norma speciale, infatti, è quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che in più presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865)”.
Sulla base di queste corrette premesse, “è senz’altro giuridicamente errato affermare che episodi di violenza sessuale, possano essere assorbiti in condotte maltrattanti, considerata la diversità dei beni giuridici offesi e l’impossibilità di individuare nel delitto di maltrattamenti una fattispecie di reato con elementi specializzanti rispetto al delitto di violenza sessuale. Solamente nell’ipotesi inversa, in cui singole condotte maltrattanti siano sovrapponibili alle condotte con le quali sono stati perpetrati i reati di violenza sessuale, è invece ipotizzabile l’assorbimento delle condotte di maltrattamento nella fattispecie criminosa della violenza sessuale (cfr., Sez. 3, n. 35700 del 23/09/2020, C., Rv. 280818; Sez. 3, n. 40663 del 23/09/2015, dep. 2016, Z., Rv. 267595)”.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto con rinvio per nuovo giudizio.

 

Allegati

il singolo condomino

Il singolo condomino può proporre querela Il singolo condomino è legittimato alla proposizione della querela, anche in via concorrente o surrogatoria rispetto all'amministratore

Singolo condomino e querela

Il singolo condomino è legittimato a proporre querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto all’amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune. Lo ha ribadito la seconda sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 44374/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il Tribunale di Napoli, dichiarava non doversi procedere nei confronti di una condomina in ordine al reato di cui all’art. 646 cod.pen. alla stessa ascritto per intervenuta remissione di querela. Avverso detta sentenza, proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Napoli deducendo violazione di legge ni relazione all’art. 154 cod.pen. per essere stata dichiarata l’estinzione del reato benche la remissione di querela non fosse stata ratificata da due degli originali querelanti individuati nei condomini.

La decisione

Per la Cassazione, il ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto. Invero, affermano dalla S.C., “ai sensi della disciplina dettata dall’art. 154 cod.pen., se la querela è stata proposta da più persone, il reato non si estingue se non interviene la remissione di tutti i querelanti”. E nel caso in esame nell’esposizione delle ragioni della decisione lo stesso tribunale da atto che, pur a fronte di una querela sporta da otto condomini dell’immobile solo sei avevano rimesso la querela, mentre altri non risultano avere operato detta scelta.
A proposito va innanzi tutto ricordato, ricordano dal Palazzaccio, come sia stato affermato che “il singolo condomino è legittimato ala proposizione della querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto all’amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune” (cfr. Cass. n. 45902/2021).
Ne consegue pertanto che in assenza di remissione da parte di tutti i condomini querelanti il giudice di primo grado non poteva dichiarare l’estinzione del reato. Né può ritenersi operare, cosi come prospettato dal procuratore generale e dalla difesa dell’imputata, un’ipotesi di remissione tacita da parte dei due condomini non remittenti. La parola va al giudice del rinvio.

Allegati

giurista risponde

Bancarotta fraudolenta: individuazione dei soggetti di cui agli artt. 216 e 223 L.F. Con riferimento ai reati in materia fallimentare, quali elementi vanno valorizzati al fine di individuare i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267)?

Quesito con risposta a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti

 

In tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 l. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Cass., sez. V, 2 ottobre 2024 n. 36582).

Nel caso di specie, la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la correttezza della scelta di attribuire all’imputato la qualità di amministratore di fatto di una società poi fallita, alla quale è seguita, in primo e secondo grado, la condanna per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione (art. 216 l. fall.), di bancarotta impropria (art. 223 l. fall), nonché di rilascio di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. 74/2000).

Viene quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando l’erronea attribuzione all’imputato della qualità di amministratore di fatto della società fallita.

In particolare, si obiettava la mancata considerazione di elementi ritenuti di valore decisivo ai fini della esclusione del riconoscimento di tale qualità in capo all’imputato.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, rigettando il ricorso, ha ricordato gli elementi alla luce dei quali poter dedurre, in tema di reati fallimentari, la sussistenza in capo al reo della qualifica di amministratore di fatto, tutti fondati sulle funzioni e sulle attività concretamente esercitate dal soggetto agente, a prescindere dalla veste formalmente assunta.

Tra questi, a titolo esemplificativo, si è citato l’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge funzioni gerarchiche e direttive, nell’iter di organizzazione, produzione e commercializzazione di beni e servizi; la gestione dei rapporti di lavoro con i dipendenti, dei rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, i fornitori e i clienti; ovvero, l’ideazione e l’organizzazione di un sistema fraudolento basato sull’utilizzo di una società quale schermo per realizzare condotte truffaldine, finalizzate al reperimento di risorse poi distratte.

La Suprema Corte ha, in primo luogo, ritenuto che il giudice di secondo grado abbia fatto buon governo degli elementi fin qui richiamati, attribuendo correttamente all’imputato la qualifica di amministratore di fatto della società poi fallita, e, in secondo luogo, ricordando un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha affermato che non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che indichi con adeguatezza e logicità le circostanze e le emergenze processuali che siano state determinanti per la formazione del convincimento del giudice e che consentano l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata.

Nel caso di specie, avendo ritenuto corretta l’attribuzione, operata dai giudici di merito, all’imputato della qualità di amministratore di fatto della società fallita, utilizzata quale schermo per commettere i reati fallimentari e tributari a lui ascritti, la Cassazione ha rigettato il ricorso.

 

(*Contributo in tema di “Bancarotta fraudolenta: individuazione dei soggetti di cui agli artt. 216 e 223 Legge Fallimentare”, a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

avvocato e grafologo

Avvocato e grafologo: c’è incompatibilità? Il parere del Consiglio Nazionale Forense sulla compatibilità tra la professione di avvocato e l'attività di grafologo

Compatibilità avvocato e grafologo

Avvocato e grafologo: il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con il parere n. 41/2024, ha fornito una chiara risposta al quesito posto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (COA) di Perugia in merito alla compatibilità tra l’esercizio della professione di avvocato e l’attività libero-professionale di grafologo. La questione si inserisce nel quadro normativo delineato dall’articolo 18 della legge n. 247/2012, che disciplina le ipotesi di incompatibilità con l’iscrizione all’albo forense.

La normativa di riferimento

La professione di grafologo è regolamentata dalla legge n. 4/2013, che disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi. Secondo l’articolo 1, comma 2, di tale legge, queste professioni consistono in “attività economiche, anche organizzate, volte alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitate abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’articolo 2229 del codice civile”.

La stessa legge prevede, all’articolo 3, che i professionisti esercenti tali attività possano costituire associazioni professionali di natura privatistica su base volontaria. Tuttavia, l’iscrizione a tali associazioni non configura un’iscrizione ad un albo professionale, come previsto dall’articolo 18, lettera a), della legge n. 247/2012.

Il parere del CNF

Richiamandosi al proprio precedente parere n. 36/2017, il CNF ha ribadito che l’attività di grafologo non comporta incompatibilità con la professione forense. Questo perché:

  1. Non si tratta di un’attività riservata a soggetti iscritti in albi o collegi: la professione di grafologo rientra tra quelle disciplinate dalla legge n. 4/2013, che regolamenta le professioni non organizzate in ordini o collegi.
  2. L’iscrizione a un’associazione professionale è facoltativa: il professionista può scegliere liberamente se aderire a un’associazione professionale, senza che tale scelta condizioni la legittimità dell’attività svolta.
  3. Non si integra una causa di incompatibilità ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 247/2012: l’iscrizione ad un’associazione professionale, non essendo equivalente a quella ad un albo professionale, non rientra tra le ipotesi di incompatibilità previste dalla normativa forense.

Avvocato e grafologo, nessuna incompatibilità

Il CNF ha dunque fornito una risposta positiva al quesito del COA di Perugia, chiarendo che un avvocato può esercitare anche l’attività di grafologo senza incorrere in incompatibilità. Tuttavia, rimangono ferme le altre cause di incompatibilità previste dall’articolo 18 della legge n. 247/2012, che devono essere rispettate.