corso d'inglese ai figli

Corso d’inglese ai figli: è spesa ordinaria, nessun obbligo di consenso La Cassazione chiarisce: il corso d'inglese per i figli è una spesa ordinaria, non serve il preventivo assenso dell’altro genitore

Corso d’inglese ai figli: rientra tra le spese ordinarie

Corso d’inglese ai figli: con l’ordinanza n. 17017/2025, la Cassazione ha ribadito un principio importante in materia di separazione e responsabilità genitoriale: le spese per i corsi di lingua inglese, sebbene possano sembrare “straordinarie”, rientrano a pieno titolo tra le spese ordinarie e prevedibili, e pertanto non necessitano del preventivo assenso dell’altro genitore.

Spese ordinarie e straordinarie: quando serve l’accordo?

In generale, il genitore collocatario può sostenere spese legate ai figli senza dover ottenere un accordo preliminare, purché si tratti di esborsi ripetitivi e prevedibili nella vita del minore, come:

  • spese scolastiche ricorrenti,

  • cure mediche di routine,

  • attività sportive o didattiche integrative di comune diffusione.

Il preventivo assenso è invece richiesto per le spese straordinarie, ovvero quelle non usuali, imprevedibili o economicamente rilevanti, tali da incidere significativamente sull’equilibrio patrimoniale o educativo del minore.

Il corso d’inglese è “ordinario” per la società attuale

Nel caso specifico, il genitore collocatario aveva iscritto il figlio a un corso di lingua inglese senza informare l’ex coniuge. La Corte ha ritenuto tale scelta conforme al superiore interesse del minore, riconoscendo che oggi l’apprendimento dell’inglese costituisce una necessità formativa, radicata nel contesto sociale e lavorativo contemporaneo.

L’insegnamento dell’inglese non solo rafforza il percorso scolastico, ma prepara il minore agli studi universitari e all’ingresso nel mondo del lavoro. Per questo motivo, tale spesa, se pur apparentemente “straordinaria”, assume un carattere ordinario e prevedibile.

Rimborso possibile anche senza consenso, se c’è utilità per il figlio

Un altro aspetto fondamentale chiarito dalla Cassazione è che, anche laddove una spesa possa rientrare tra quelle straordinarie, l’assenza di accordo preventivo non preclude il diritto al rimborso da parte dell’altro genitore. La condizione è che il giudice ne valuti:

  • la rispondenza all’interesse del minore,

  • la congruità con il tenore di vita familiare precedente.

Allegati

naspi 2025

NASpI 2025: nuovo requisito contributivo per chi si dimette Dal 1° gennaio 2025 cambia l’accesso alla NASpI: introdotto un nuovo requisito contributivo per chi ha lasciato volontariamente un lavoro a tempo indeterminato. L'INPS chiarisce le modifiche apportate dalla legge di bilancio

Nuove regole NASpI 2025

La circolare INPS n. 98 del 2025 ha chiarito le modifiche apportate all’articolo 3 del d.lgs. n. 22/2015 dalla Legge di Bilancio 2025, introducendo un nuovo requisito contributivo per accedere alla NASpI, applicabile agli eventi di disoccupazione avvenuti dal 1° gennaio 2025.

NASpI dopo le dimissioni: servono 13 settimane di contributi

Chi ha interrotto volontariamente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (per dimissioni o risoluzione consensuale) nei 12 mesi precedenti alla nuova disoccupazione, dovrà dimostrare almeno 13 settimane di contribuzione maturate tra i due eventi per accedere alla NASpI.

Dimissioni escluse dalla nuova regola

Non tutte le cessazioni volontarie sono penalizzate. Restano escluse le ipotesi in cui il lavoratore ha diritto alla NASpI senza ulteriori requisiti contributivi, ovvero:

  • dimissioni per giusta causa;

  • dimissioni durante il periodo tutelato di maternità o paternità;

  • risoluzione consensuale avvenuta nell’ambito della procedura di conciliazione ex art. 7 legge n. 604/1966.

Che tipo di rapporti di lavoro sono coinvolti?

Il nuovo requisito si applica alle cessazioni volontarie da rapporti a tempo indeterminato. Tuttavia, la cessazione involontaria successiva, che dà titolo alla NASpI, può riferirsi a rapporti sia a tempo indeterminato che a tempo determinato.

Contributi validi per maturare il requisito NASpI

Sono ritenuti utili ai fini del calcolo delle 13 settimane:

  • i contributi obbligatori versati durante rapporti di lavoro subordinato;

  • i contributi figurativi per maternità obbligatoria se già iniziata con contribuzione attiva;

  • i congedi parentali indennizzati in costanza di lavoro;

  • i periodi di lavoro svolti all’estero in Paesi UE o convenzionati con l’Italia;

  • fino a 5 giorni l’anno di astensione per malattia dei figli sotto gli 8 anni;

  • eventuali settimane agricole, se comprese nel periodo tra la cessazione volontaria e quella involontaria, che sono anch’esse cumulabili.

Il calcolo dell’importo e della durata resta invariato

È importante sottolineare che il nuovo requisito introdotto riguarda solo l’accesso alla prestazione. La misura e la durata della NASpI non subiscono modifiche e continuano ad essere determinate secondo le regole previgenti.

indennità di discontinuità

Indennità di discontinuità: guida e istruzioni INPS Quali sono i nuovi requisiti, le modalità di accesso e le novità per l’indennità di discontinuità secondo la circolare INPS n.101/2025

Cos’è l’indennità di discontinuità (IDIS)

L’indennità di discontinuità (IDIS) è un sostegno economico introdotto dal D.lgs. n. 175/2023, rivolto ai lavoratori del settore spettacolo iscritti al Fondo Pensioni per i Lavoratori dello Spettacolo (FPLS). Fornisce un supporto durante i periodi di inattività lavorativa, anche per chi mantiene contratti in corso, a differenza della NASpI. 

Novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2025

Con la Legge n. 207/2024, in vigore dal 1° gennaio 2025, sono state introdotte importanti modifiche:

  • Reddito massimo: il limite IRPEF annuo è stato rialzato a 30.000 €, da non superare nel periodo precedente; 

  • Requisito contributivo: il numero minimo di giornate accreditate al FPLS si riduce a 51, rispetto alle 60 originarie; 

  • Esclusione dell’obbligo formativo: non è più previsto l’obbligo di partecipazione a percorsi formativi per i richiedenti. 

Requisiti per accedere all’IDIS

Al momento della domanda, il richiedente deve:

  1. Essere cittadino UE o straniero con regolare permesso di soggiorno.

  2. Risiedere in Italia da almeno 12 mesi

  3. Avere reddito IRPEF entro 30.000 €

  4. Aver maturato minimo 51 giornate di contribuzione FPLS (esclusi trattamenti NASpI, ALAS, IDIS)

  5. Ottenere reddito lavorativo prevalentemente da attività FPLS .

  6. Non avere un contratto subordinato a tempo indeterminato nell’anno precedente (intermittente escluso)

  7. Non percepire pensioni dirette

Durata e importo dell’indennità

  • Durata: pari a un terzo delle giornate contributive accreditate nell’anno precedente, fino a un massimo di 312 giornate annue

  • Esclusione contributi: non si detraggono più i periodi già coperti da NASpI o altre indennità

  • Importo giornaliero: corrisposto al 60% del minimale contributivo INPS, senza superarlo

  • Riparametrazione: se le risorse insufficienti, l’INPS calcola l’indennità entro 30 giorni dopo il 30 settembre 

Modalità e tempistiche per la domanda

  • Scadenza: entro il 30 aprile di ogni anno (proroga al successivo giorno non festivo) per l’anno precedente

  • Presentazione: esclusivamente online, tramite sito INPS, patronati o Contact Center.

  • Decadenza: mancata presentazione entro la scadenza comporta decadenza dal beneficio

Cumulabilità con altre misure

L’IDIS non è cumulabile, nell’anno e nelle stesse giornate, con:

  • Indennità NASpI, NASpI anticipata, DIS-COLL, ALAS, ISCRO, DS Agricola, invalidità, maternità, malattia, infortunio, integrazioni salariali 

La circolare INPS 101/2025

La circolare INPS n. 101/2025 definisce le istruzioni per il corretto accesso e calcolo dell’indennità di discontinuità, alla luce delle recenti modifiche della legge di bilancio. Con una soglia reddituale più alta, giornate contributive ridotte e semplificazione formativa, la misura diventa più accessibile, garantendo un sostegno puntuale ai professionisti dello spettacolo.

Per evitare decadenze o errori, è fondamentale rispettare il termine del 30 aprile e verificare con cura i requisiti al momento della domanda.

assemblea condominiale

Assemblea condominiale: non è valida la convocazione via mail La Cassazione ribadisce che l’art. 66 disp. att. c.c. impone modalità tassative per l’avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, senza deroghe possibili

Convocazione assemblea condominiale

Con l’ordinanza n. 16399/2025, la seconda sezione civile della Cassazione ha ribadito che l’articolo 66, comma 3, delle disposizioni di attuazione del c.c. impone modalità tassative per la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale. Tale disciplina è inderogabile e non può essere modificata neanche da regolamenti interni o consuetudini. 

Il caso concreto

Nel caso esaminato, alcuni condomini avevano impugnato una delibera assembleare sostenendo che l’avviso di convocazione fosse stato inviato tramite posta elettronica ordinaria e affissione in bacheca condominiale, invece che tramite posta certificata, fax, raccomandata o consegna a mano, come previsto dalla normativa.

La Corte d’Appello aveva ritenuto valida la delibera, ma la Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che tali modalità non garantiscano la certezza della ricezione né la regolarità formale della convocazione. 

Cosa dice l’art. 66 disp. att. c.c.

L’art. 66, comma 3, dispone che l’avviso di convocazione — con ordine del giorno, luogo e ora — debba essere comunicato almeno cinque giorni prima della prima convocazione a mezzo:

  • posta raccomandata,

  • posta elettronica certificata (PEC),

  • fax,

  • o consegna a mano.

Queste forme sono espressamente tipizzate e non derogabili, ai sensi del comma 4 e dell’art. 72 disp. att. c.c., che non permette ai regolamenti di modificare tali prescrizioni. 

Le motivazioni della Corte: certezza e trasparenza

Secondo la Corte Suprema, il requisito fondamentale della convocazione è garantire la certezza della conoscenza da parte di ciascun condomino, nel corretto termine dilatorio di cinque giorni. L’utilizzo di modalità più informali, come email non certificata, WhatsApp o affissioni in bacheca, non offre alcuna garanzia reale e reale evidenza dell’avvenuto ricevimento. Di conseguenza, tali modalità non soddisfano la forma prescritta e rendono annullabile la delibera assembleare ai sensi dell’art. 1137 c.c. 

Allegati

abigeato

Abigeato: cos’è e come viene punito Abigeato: che cos'è, quando si configura, quale norma del codice penale lo disciplina e come viene punito dalla legge

Cos’è l’abigeato?

L’abigeato è un reato che consiste nel furto di bestiame e che, in passato, era considerato un crimine particolarmente grave nelle società agricole. Ancora oggi, pur essendo meno diffuso, rappresenta un problema in alcune zone rurali, motivo per cui il legislatore ha previsto specifiche sanzioni nel Codice Penale italiano.

Il termine abigeato deriva dal latino “abigere”, che significa “portare via”. Questo reato si configura quando una persona sottrae animali da allevamento con l’intenzione di trarne profitto, sia per la vendita che per l’uso personale. A differenza del furto comune, l’abigeato coinvolge capi di bestiame di proprietà altrui e può avvenire con modalità organizzate, coinvolgendo più soggetti.

Normativa di riferimento

L’abigeato è disciplinato dall’art. 625 n. 8 del Codice Penale, che lo qualifica come un’aggravante del reato di furto. In particolare, il furto di bestiame è considerato più grave perché colpisce direttamente il settore agricolo e zootecnico, danneggiando l’economia locale.

Inoltre, in alcune regioni italiane, esistono normative specifiche volte a contrastare l’abigeato, con misure di sorveglianza e controlli rafforzati nelle aree a rischio.

Quando scatta il reato di abigeato?

L’abigeato si configura quando:

  • viene sottratto un numero significativo (minimo tre) di capi di bestiame (bovini, equini, ovini, suini o altri animali da allevamento);
  • il bestiame è raccolto in gregge lo mandria, e, se trattasi di bovini o equini, anche se non sono raccolti in mandria;
  • il soggetto che si impossessa degli animali li sottrae per trarne profitto per sé o per altri.

Come viene punito  

La pena per l’abigeato dipende dalla gravità del reato:

  • reclusione da 2 a 6 anni e multa fino a 1.500 euro, se il furto è aggravato (art. 625 c.p.);
  • pene più severe se il furto è commesso da un gruppo organizzato o con violenza;
  • sequestro dei mezzi utilizzati per il trasporto degli animali rubati;
  • applicazione di aggravanti ulteriori in caso di ricettazione o vendita fraudolenta del bestiame.

 

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metodo d'hondt

Metodo D’Hondt: cos’è, come funziona e quando si applica Come funziona il Metodo D’Hondt, il sistema proporzionale più usato per l’assegnazione dei seggi. Differenze con altri metodi e applicazioni

Cos’è il Metodo D’Hondt

Il Metodo D’Hondt è un sistema matematico utilizzato per l’assegnazione dei seggi in base al principio proporzionale, ideato alla fine del 1800 dal giurista belga Victor D’Hondt. Questo metodo mira a garantire una distribuzione dei seggi più equa tra le liste che partecipano a un’elezione, tenendo conto del numero complessivo dei voti ricevuti.

Come funziona il calcolo dei seggi

Il metodo prevede una procedura semplice ma rigorosa:

  1. si prende il numero totale di voti ottenuti da ogni lista;
  2. ogni numero di voti viene diviso per una serie crescente di numeri interi (1, 2, 3, …), fino a generare un numero sufficiente di quozienti;
  3. i seggi vengono assegnati ai quozienti più alti, fino a esaurimento dei posti disponibili.

Esempio pratico: se ci sono 3 seggi da assegnare e tre liste A, B e C con 1000, 800 e 400 voti, i seggi verranno attribuiti dividendo i voti e scegliendo i tre quozienti più alti. Questo processo tende a favorire le liste più votate, pur mantenendo un’impostazione proporzionale.

Dove viene utilizzato il Metodo D’Hondt

Il Metodo D’Hondt è adottato in numerosi sistemi elettorali, sia a livello nazionale che locale, tra cui:

  • parlamenti nazionali, come in Italia, Spagna, Portogallo, Belgio;
  • elezioni europee;
  • consigli comunali e metropolitani;
  • organismi rappresentativi di settore, come comitati tecnici, consigli universitari o comitati di gestione venatori.

Differenze rispetto ad altri metodi proporzionali

Il Metodo D’Hondt si distingue da altri sistemi di assegnazione proporzionale come:

  • Metodo Sainte-Laguë: anche questo metodo prevede l’assegnazione dei voti in modo proporzionale. Dopo la registrazione dei voti per ogni lista viene calcolato un quoziente, in base a una determinata formula matematica. La lista che ottiene il quoziente più alto ottiene un seggio, il quoziente viene quindi utilizzato nella formula fino all’assegnazione di tutti i seggi.
  • Metodo Hare-Niemeyer (quota semplice): calcola una quota fissa per ogni seggio e assegna i seggi in base al rapporto voti/quota, con un’eventuale assegnazione dei restanti per approssimazione.

Rispetto questi sistemi, il Metodo D’Hondt tende a garantire una maggiore governabilità, premiando lievemente le forze più votate e riducendo la frammentazione delle rappresentanze.

Un equilibrio tra rappresentanza e stabilità

Grazie alla sua semplicità e alla sua efficacia, il Metodo D’Hondt rappresenta uno dei sistemi proporzionali più diffusi al mondo, capace di bilanciare rappresentanza democratica e funzionalità istituzionale. La sua applicazione è spesso scelta nei contesti in cui è necessario mantenere una certa proporzione tra voti e seggi, senza però rinunciare alla stabilità degli organi rappresentativi.

 

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canone Rai

Canone RAI Canone RAI : imposta sul possesso di apparecchi televisivi, chi deve pagarlo, come funziona l’esenzione, conseguenze per il mancato pagamento

Cos’è il canone RAI

Il canone RAI è un’imposta sul possesso di un apparecchio televisivo, prevista dalla legge italiana per finanziare il servizio pubblico radiotelevisivo. Non è quindi un abbonamento, ma un tributo obbligatorio, dovuto anche da chi non guarda i canali RAI ma possiede una TV o un dispositivo in grado di ricevere il segnale digitale terrestre o satellitare.

Normativa di riferimento

La disciplina del canone RAI è contenuta in diverse fonti, tra le quali si segnalano le seguenti:

  • R.D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, convertito in L. 4 giugno 1938, n. 880;
  • legge di Stabilità 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi 152-159);
  • provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate, che gestisce l’esonero e il pagamento.

Chi è obbligato a pagare il canone RAI

Sono tenuti al pagamento del canone:

  • tutti coloro che possiedono uno o più apparecchi televisivi in un’abitazione privata;
  • anche chi non guarda i programmi RAI, se il dispositivo è idoneo alla ricezione.

L’obbligo ricade per ciascuna famiglia anagrafica, anche se ci sono più apparecchi e più immobili.

Quando si ha diritto all’esenzione

È possibile richiedere l’esenzione in alcuni casi specifici:

  • assenza totale di televisori in casa;
  • anziani over 75 con reddito annuo non superiore a 8.000 euro, senza conviventi con redditi propri (eccetto colf e badanti);
  • diplomatici e militari stranieri secondo convenzioni internazionali;
  • residenti all’estero per immobili non occupati.

L’esonero va richiesto ogni anno con apposita dichiarazione all’Agenzia delle Entrate.

Come si paga il Canone RAI

Dal 2016, il canone viene addebitato automaticamente nella bolletta elettrica, suddiviso in 10 rate mensili da gennaio a ottobre. Per chi non ha utenze elettriche residenziali, il pagamento avviene tramite modello F24.

L’importo per il 2025 è di 90 euro annui.

Conseguenze per chi non paga

Il mancato pagamento del canone può comportare:

  • l’applicazione di una sanzione amministrativa;
  • il recupero dell’imposta non versata;
  • un possibile accertamento fiscale.

Chi dichiara falsamente di non possedere un TV rischia anche responsabilità penale per dichiarazione mendace.

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spese straordinarie figli

Spese straordinarie figli, le linee guida del tribunale di Milano Il Tribunale di Milano aggiorna le regole sulle spese straordinarie dei figli in caso di separazione o divorzio. Cosa include l’assegno di mantenimento, quando serve l’accordo tra genitori e le novità per i figli con disabilità

Spese straordinarie figli: nuove regole

Il Tribunale di Milano, in collaborazione con la Corte d’appello, l’Ordine degli avvocati e l’Osservatorio sulla giustizia civile, ha aggiornato nel 2025 le linee guida per la gestione delle spese straordinarie dei figli in caso di separazione o divorzio. Le indicazioni riguardano i figli minori, i maggiorenni non economicamente autosufficienti e quelli con disabilità, e hanno lo scopo di ridurre i conflitti tra genitori, promuovendo chiarezza e uniformità.

Le nuove regole definiscono cosa è incluso nell’assegno di mantenimento e quali spese richiedono l’accordo tra genitori separati. Previsti chiarimenti per le spese relative ai figli con disabilità e tempi certi per il rimborso. Obiettivo: ridurre i conflitti familiari e tutelare meglio i figli.

Vediamo nel dettaglio:

Cosa copre l’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento comprende tutte le spese ordinarie, quali:

  • vitto;

  • abbigliamento ordinario (inclusi i cambi stagione);

  • spese per la casa (affitto, utenze, condominio);

  • materiale scolastico ricorrente;

  • medicinali da banco.

Quando è difficile per il genitore convivente ottenere il consenso dell’altro o il rimborso delle spese, l’assegno può comprendere anche voci normalmente considerate straordinarie.

Spese straordinarie: quando serve il consenso

Le spese che richiedono l’accordo preventivo tra i genitori devono essere documentate e riguardano, ad esempio:

  • cure dentistiche, oculistiche, omeopatiche e psicologiche private;

  • tasse scolastiche per istituti privati, corsi extra universitari e master;

  • attività extrascolastiche (lingue, sport, musica, viaggi di studio, patente, cellulare).

Spese straordinarie senza necessità di accordo

Sono ammesse senza consenso preventivo, ma sempre documentate:

  • visite specialistiche prescritte dal medico;

  • ticket e farmaci prescritti;

  • tasse scolastiche pubbliche, libri, dotazione informatica;

  • mensa scolastica, trasporti pubblici;

  • baby sitter fino alla scuola media, doposcuola, centri estivi.

Disposizioni specifiche per i figli con disabilità

Le nuove linee guida si adeguano al D.Lgs. n. 62/2024, prevedendo che non richiedano accordo spese come:

  • presidi sanitari, ausili per la deambulazione;

  • supporti nutrizionali o abbigliamento su misura;

  • assistenza domiciliare;

  • attività sportive e centri diurni;

  • veicoli adattati, patente e assicurazione;

  • cani guida.

Procedura per la richiesta e il rimborso

Il genitore che richiede una spesa straordinaria soggetta ad accordo deve ricevere eventuale dissenso motivato per iscritto entro 10 giorni; in assenza, si presume il consenso.

Le spese anticipate devono essere documentate e trasmesse all’altro genitore entro 30 giorni, il quale è tenuto al rimborso entro i successivi 15 giorni.

Quando una spesa supera il 10% del reddito netto mensile di uno dei genitori, essa va sostenuta da entrambi, secondo le percentuali previste dall’accordo o stabilite dal giudice.

interdizione

Interdizione: la guida Interdizione: cos'è, normativa, chi può essere interdetto e chi può chiedere l'interdizione, effetti e differenze con l'inabilitazione

Cos’è l’interdizione

L’interdizione è un istituto giuridico previsto dal Codice Civile che tutela le persone affette da gravi patologie psichiche, impedendo loro di compiere atti giuridicamente rilevanti. L’interdetto, infatti, viene privato della capacità di agire e sottoposto alla tutela di un tutore legale, che ne gestisce gli interessi.

Normativa di riferimento

L’istituto è disciplinato dagli articoli 414 e seguenti del Codice Civile, che stabiliscono:

  • chi può essere interdetto;
  • la procedura per ottenere l’interdizione;
  • gli effetti giuridici che ne derivano.

Chi può essere interdetto?

Possono essere dichiarate interdette le persone che:

  • sono affette da grave infermità mentale;
  • non sono in grado di provvedere autonomamente ai propri interessi;
  • possono arrecare danni a sé stessi o al proprio patrimonio.

Soggetti legittimati a richiedere l’interdizione

La richiesta di interdizione può essere presentata:

  • dal coniuge o dal convivente;
  • dai parenti entro il quarto grado;
  • dagli affini entro il secondo grado
  • dal Pubblico Ministero, quando la situazione lo richieda;
  • dal tutore o dal curatore in caso di necessità.

Procedura di interdizione

L’istituto segue una procedura giudiziaria ben definita.

  1. Presentazione del ricorso

    • il soggetto legittimato presenta il ricorso al Tribunale del luogo di residenza o domicilio della persona da interdire;
    • al ricorso è necessario allegare la documentazione medica che attesti la patologia del soggetto.
  1. Ascolto dell’interdicendo e valutazione delle condizioni

    • il giudice tutelare valuta lo stato mentale dell’interdicendo con l’intervento del Pubblico Ministero e se lo ritiene opportuno può nominare un consulente tecnico;
    • l’interessato viene quindi ascoltato per accertare le sue condizioni;
    • dopo l’esame il giudice può nominare un tutore provvisorio.
  1. Sentenza di interdizione

    • se il Tribunale accoglie la richiesta, dichiara l’interdizione con una sentenza, nominando un tutore legale;
    • la sentenza viene quindi annotata nei registri dello stato civile.

Cosa comporta l’interdizione?

L’interdizione ha effetti significativi sulla capacità giuridica del soggetto:

  • perdita della capacità di agire: l’interdetto non può compiere atti giuridici, come firmare contratti o amministrare il proprio patrimonio;
  • nomina di un tutore: il Tribunale assegna un tutore, che prende decisioni in nome e per conto dell’interdetto;
  • possibilità di revoca: se le condizioni dell’interdetto migliorano, è possibile chiedere la revoca dell’interdizione tramite apposito procedimento giudiziario.

Differenze tra interdizione e inabilitazione

Caratteristica Interdizione Inabilitazione
Requisito Grave infermità mentale Incapacità parziale di gestire i propri affari
Capacità di agire Completamente revocata Limitata agli atti di ordinaria amministrazione
Nomina di un tutore No, nomina di un curatore
Atti che può compiere Nessuno senza il tutore Può compiere atti quotidiani senza autorizzazione

Giurisprudenza

Cassazione n. 27691/2023: data la marcata differenza tra l’amministrazione di sostegno, che mira a rafforzare le capacità residue del soggetto vulnerabile, e l’interdizione, che invece limita l’autonomia per tutelare il patrimonio familiare, il divieto di sposarsi previsto dall’articolo 85 del codice civile per l’interdetto non si applica generalmente al beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Tuttavia, il giudice tutelare può imporre tale divieto solo in casi di eccezionale gravità e se ciò è nell’esclusivo interesse del beneficiario.

Cassazione n. 34216/2022: il decreto con cui il giudice istruttore nomina un tutore o curatore provvisorio nell’ambito di un procedimento di interdizione o inabilitazione non è equiparabile a una sentenza. Questo perché si tratta di un provvedimento interinale e provvisorio, che può essere revocato dallo stesso giudice e perde la sua efficacia una volta che viene emessa la sentenza definitiva. Di conseguenza, non è possibile presentare ricorso per cassazione contro tale decreto ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione.

Leggi anche: Addio a interdizione e inabilitazione?

regolamento condominiale

Regolamento condominiale: la guida Regolamento condominiale: cos'è, normativa di riferimento, quando è obbligatorio, tipologie, contenuto e giurisprudenza

Cos’è il regolamento di condominiale

Il regolamento condominiale è l’insieme di norme che disciplinano la convivenza tra i condomini all’interno di un edificio. Esso ha lo scopo di garantire l’uso corretto delle parti comuni, regolare i diritti e i doveri dei condomini e assicurare l’ordine nella gestione del fabbricato. La sua adozione è prevista dall’art. 1138 del Codice civile.

Normativa di riferimento

La disciplina sul regolamento condominiale si trova principalmente:

  • nel Codice civile, artt. 1100 ss. e 1138;
  • nelle disposizioni di attuazione al c.c., artt. 61 ss.;
  • nelle sentenze della giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito i limiti e gli effetti della trascrizione.

Regolamento obbligatorio o facoltativo?

Secondo la legge, il regolamento condominiale è obbligatorio quando il numero dei condomini supera il numero di dieci. In tal caso, deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore millesimale dell’edificio (art. 1136 c.c.).

Tuttavia, anche nei condomìni con meno di undici proprietari, è sempre possibile adottarlo su base volontaria per regolare gli aspetti pratici della gestione.

Tipi di regolamento condominiale

Esistono due tipologie principali di regolamento:

  • contrattuale: è quello che viene predisposto dall’originario costruttore o da tutti i condomini per accordo unanime. Può limitare anche l’uso delle proprietà esclusive (es. divieto di destinare un appartamento a uso professionale);
  • assembleare: viene approvato a maggioranza dai condomini, regola solo l’uso delle parti comuni, senza incidere sui diritti individuali.

Solo il regolamento contrattuale può contenere clausole limitative delle proprietà private.

Cosa deve contenere il regolamento condominiale

Il contenuto minimo del regolamento, ai sensi dell’art. 1138 c.c., deve includere:

  • regole sull’uso delle parti comuni (scale, cortili, ascensore, ecc.);
  • criteri di ripartizione delle spese condominiali;
  • modalità di convocazione e funzionamento dell’assemblea;
  • attribuzioni e obblighi dell’amministratore;
  • eventuali sanzioni disciplinari per violazioni (fino a 200 euro, elevabili a 800 per recidiva).

Può essere integrato con norme personalizzate, purché non contrarie alla legge o ai diritti inviolabili dei condomini.

Come si applica e cosa accade in caso di violazione

Il regolamento è vincolante per tutti i condomini, presenti e futuri, se:

  • è stato approvato regolarmente;
  • è conosciuto al momento dell’acquisto;
  • per quello contrattuale, se è espressamente accettato.

La violazione delle norme può comportare sanzioni pecuniarie, l’intervento dell’amministratore, o l’azione giudiziaria da parte degli altri condomini. Le clausole che limitano l’uso della proprietà individuale, se non hanno contrattuale, non sono opponibili ai nuovi acquirenti.

Giurisprudenza di legittimità sul regolamento condominiale

Cassazione n. 23582/2023: le clausole dei regolamenti condominiali possono avere natura contrattuale o regolamentare. Hanno natura contrattuale solo se limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, o se attribuiscono a certi condomini diritti maggiori rispetto ad altri. Queste clausole contrattuali, essendo parte integrante dei contratti di acquisto o formate con consenso unanime, possono essere modificate solo con l’unanimità di tutti i condomini.

Al contrario, le clausole che si limitano a disciplinare l’uso dei beni comuni hanno natura regolamentare. Per queste ultime è sufficiente una deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice Civile per la loro modifica.

Cassazione n. 21478/2021: il regolamento di condominio ha valore contrattuale per il proprietario se richiamato nell’atto di acquisto dell’immobile, anche se non trascritto. Tuttavia, le clausole che limitano le facoltà o i diritti sulla proprietà esclusiva o condominiale devono essere esplicitamente indicate nell’atto di compravendita, altrimenti saranno considerate invalide.

Sezioni Unite Cassazione n. 943/1999: Un regolamento di condominio deve essere necessariamente redatto in forma scritta, poiché senza un documento di riferimento sarebbe impossibile applicarne le disposizioni, spesso di difficile interpretazione, e impugnarlo. La tesi che la forma scritta sia richiesta solo “ad probationem” (per fini probatori) non è accettabile. Una volta stabilito che il regolamento deve essere contenuto in un documento, la scrittura diventa un elemento essenziale per la sua validità, a meno che non vi sia una disposizione specifica che ne preveda una rilevanza meramente probatoria, ma tale eccezione non esiste in questo caso. Infine, per i regolamenti di natura contrattuale, la forma scritta è indiscutibilmente necessaria, dato che le loro clausole influenzano i diritti dei condomini sia sulle proprietà esclusive che su quelle comuni.

 

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