lavoratori cassa integrazione caldo

Lavoratori in cassa integrazione se fa troppo caldo La legge di conversione del decreto agricoltura, in vigore dal 14 luglio 2024, prevede la CIGO in caso di temperature elevate

Legge conversione decreto agricoltura 2024 in vigore

Lavoratori in cassa integrazione se le temperature sono troppo elevate. E’ una delle novità del ddl di conversione del decreto legge n. 63/2024, contenente le disposizioni urgenti per le imprese agricole della pesca, dell’acquacoltura e di quelle che rivestono un interesse strategico a livello nazionale, che ha ricevuto il via libera definitivo della Camera l’11 luglio 2024, dopo l’approvazione della fiducia al Governo con 181 voti a favore e 111 contrari.

Il provvedimento vieta l’installazione dei pannelli fotovoltaici in alcune aree agricole, prevede disposizioni sull’amministrazione straordinaria di Ilva S.p.a. e incrementa le risorse per sostenere i settori produttivi e le aree in maggiore difficoltà.

La nuova legge-101-2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 13 luglio ed è in vigore dal 14 luglio 2024.

Vediamo le novità di maggiore rilievo.

Ammortizzatori sociali per le temperature elevate

Il testo prevede la possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali in caso di sospensione o interruzione del lavoro a causa di situazioni climatiche eccezionali come quelle collegate alle ondate di calore.

La disposizione, frutto di un emendamento approvato dalla Commissione industria del Senato nel corso della seduta dell’1 luglio 2024 riconosce ai datori di lavoro, in presenza di un’emergenza climatica, di poter accedere alla cassa integrazione ad ore fino alla fine del mese di dicembre 2024, in deroga ai limiti di durata massima previsti dalla normativa.

Della CIGO possono beneficiare gli operai agricoli che subiscono una riduzione dell’attività lavorativa pari alla metà dell’orario giornaliero previsto contrattualmente nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 63/2024 e il 31 dicembre del 2024. I benefici tuttavia potranno essere riconosciuti nel limite di spesa di 2 milioni per il 2024 e saranno concessi dall’INPS territorialmente competente.

Le altre misure per il lavoro

Previsti interventi di integrazione salariale di tipo straordinario per le imprese della Basilicata che operano in aree soggette alla crisi industriale.

Per il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024 è prevista una riduzione della contribuzione previdenziale pari al 68% a favore delle imprese agricole dell’Emilia-Romagna, delle Marche e della Toscana colpite dalle alluvioni verificatesi dal 1° maggio 2023.

Il contrasto allo sfruttamento del lavoro agricolo si rafforza grazie all’istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del Sistema informativo per la lotta al caporalato, che si basa sulla condivisione delle informazioni acquisite da parte dell’amministrazioni statali e regionali.

Presso l’INPS viene istituita una banca dati degli appalti in agricoltura per aumentare i controlli nel settore agricolo.

Contributi alle imprese agricole

Per contrastare la crisi economica delle imprese agricole, della pesca e dall’acquacoltura sono previsti diversi interventi:

  • moratoria sui mutui e sui finanziamenti per le imprese interessate dal provvedimento;
  • allargamento delle imprese che potranno accedere ai finanziamenti garantiti dall’ISMEA;
  • più risorse per il Fondo per la sovranità alimentare;
  • 5 milioni di euro saranno destinati alla ristrutturazione delle imprese agricole che coltivano gli olivi, producono olio, coltivano agrumi e producono latte e formaggi di origine ovina e caprina;
  • 32 milioni di euro del fondo per lo sviluppo e il sostegno delle filiere agricole, della pesca e della acquacoltura andranno ai produttori di grano duro, a quelli della filiera cerealicola, alle imprese e ai consorzi della pesca e dell’acquacoltura anche per contrastare la crisi economica derivante dal granchio blu;
  • contributi agli imprenditori agricoli che allevano specie e razze autoctone a rischio di estinzione o che hanno una diffusione limitata;
  • sostegni per le imprese che hanno subito danni alle produzioni di kiwi nel 2023, alle quali sono destinati anche le risorse che vanno incrementare il fondo di solidarietà nazionale;
  • incrementato il fondo mutualistico per la copertura dei danni derivanti dalle catastrofi climatiche;
  • 30 milioni di euro saranno destinati all’imprese agricole danneggiate dal batterio della xylella al fine di reimpiantare e riconvertire le coltivazioni degli olivi;
  • possibilità di accesso al fondo di solidarietà nazionale per le imprese agricole siciliane che hanno subito danni a causa della siccità nel periodo compreso da luglio 2023 a maggio 2024;
  • ristori particolari per il settore agricolo delle regioni colpite dalle frane come l’Emilia, la Toscana e le Marche.

Commissari straordinari

Diverse le nomine e le proroghe degli incarichi affidati ai commissari straordinari. Prevista la nomina di un Commissario straordinario, che resterà in carica fino al 31 dicembre 2026, per adottare misure urgenti per limitare la diffusione del granchio blu.

Prevista anche la nomina di un Commissario straordinario per contrastare la brucellosi e la tubercolosi.

Prorogata la durata dell’incarico del commissario straordinario destinato a risolvere il problema della scarsità idrica.

Le altre misure

Al fine di garantire un miglior controllo della produzione agricola vengono definiti specifici obblighi di comunicazione a carico delle aziende che acquistano e vendono cereali nazionali ed esteri. Vengono rafforzate le sanzioni in caso di violazione delle norme sulla rintracciabilità degli alimenti, sulla commercializzazione dell’olio d’oliva e sul rispetto delle indicazioni geografiche e le denominazioni di origine.

Provvedimenti ulteriori mirano a scoraggiare le pratiche commerciali scorrette all’interno della filiera agricola e alimentare.

Disposte infine misure per il monitoraggio della produzione del latte e dell’acquisto dei prodotti caseari con latte importato da paesi europei e terzi.

bonus psicologo inps

Bonus psicologo: cos’è e come funziona L'INPS ha pubblicato le graduatorie per il Bonus psicologo 2024. Scopri a chi si rivolge, come funziona e i requisiti per accedere al beneficio

Cos’è il Bonus psicologo

Il Bonus psicologo è un contributo economico introdotto per aiutare le persone che soffrono di ansia, stress, depressione o fragilità psicologica a causa della pandemia e della crisi socio-economica. Il bonus copre fino a 50 euro a seduta di psicoterapia, per un importo massimo variabile in base al reddito ISEE.

A chi è rivolto

Il Bonus Psicologo è rivolto a tutti i cittadini italiani o residenti in Italia che:

  • hanno un ISEE inferiore a 50.000 euro;
  • hanno avuto gravi conseguenze di natura psicologica a causa della pandemia;
  • vogliono intraprendere un percorso psicoterapeutico.

Come fare domanda

Le domande per il bonus psicologo 2024 sono aperte dal 18 marzo al 31 maggio 2024. La domanda può essere presentata esclusivamente online tramite il sito web dell’INPS utilizzando SPID, CIE o CNS.

Cosa serve per fare domanda

Per fare domanda per il Bonus Psicologo è necessario avere:

  • un ISEE in corso di validità inferiore a 50.000 euro;
  • SPID, CIE o CNS per accedere al portale INPS.

La domanda può essere presentata anche tramite il Contact Center INPS. Basta contattare il numero verde 803.164, gratuito da tutte le reti fisse o il numero 06 164.164 da rete mobile a pagamento con costo variabile al variare della tariffa del gestore.

Bonus psicologo come funziona

Una volta presentata la domanda e ricevuta l’approvazione, l’INPS eroga un codice univoco al beneficiario. Il codice deve essere consegnato allo psicologo per usufruire delle sessioni di terapia. Il bonus copre fino a 50 euro  a seduta, per un importo massimo che varia in base al reddito ISEE:

  • ISEE inferiore a 15.000 euro: massimo 1.500 euro;
  • ISEE tra 15.000 euro e 30.000 euro: massimo 1.000,00 euro;
  • ISEE tra 30.000 euro e 50.000 euro: massimo 500,00 euro.

Tempi del bonus psicologo

  • 31 maggio 2024: scadenza per la presentazione delle domande;
  • 270 giorni per utilizzarlo dall’approvazione: tempo limite per utilizzare il codice univoco e usufruire delle sessioni di terapia.

Bonus psicologo: i chiarimenti dell’INPS

Sulla misura, nel corso del 2024, l’INPS è intervenuto con diversi provvedimenti per fornire i dettagli necessari:

  • presentando una nuova Dichiarazione Unica corretta e completa;
  • presentando documenti idonei a provare che i dati inviati sono corretti e completi;
  • rettificando la DSU con efficacia retroattiva, se presentata tramite CAF, qualora sia stato commesso un errore materiale.

Il messaggio ricorda inoltre che il riconoscimento del bonus psicologo è subordinato al trasferimento dei fondi dalle Regioni all’INPS.

Graduatorie 2024

Con il messaggio 2584/2024 l’INPS ha comunicato la pubblicazione delle graduatorie per l’erogazione del bonus psicologo, distinte per Regioni e Province autonome di residenza.

I beneficiari sono stati individuati tenendo conto del valore dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) più basso e, a parità del valore ISEE, dell’ordine cronologico di presentazione delle domande, nei limiti dell’ammontare delle risorse.

Ultime sul bonus psicologo

I beneficiari accedendo dalla home page del portale Inps alla pagina dedicata alla prestazione, troveranno il link di accesso al servizio (“Utilizza il servizio”), per il quale è richiesta l’autenticazione con la propria identità digitale, SPID di livello 2 o superiore, Carta di identità elettronica (CIE) 3.0 o Carta Nazionale dei servizi (CNS); una volta autenticati, i soggetti richiedenti possono visionare l’esito della richiesta e, in caso di esito positivo, l’importo del contributo riconosciuto e il codice univoco assegnato per usufruire delle sedute di psicoterapia.

L’istituto ricorda che il beneficiario ha 270 giorni di tempo dalla data di pubblicazione del messaggio dell’11 luglio per usufruire del contributo per sostenere le sessioni di psicoterapia; decorso tale termine il codice univoco assegnato è automaticamente annullato d’ufficio.

taglio compensi avvocato

Taglio compensi avvocato del 70% per le cause ripetitive Per la Cassazione, nella vigenza del DM 55/2014, il compenso dell'avvocato può anche essere tagliato del 70%, ossia sotto i valori minimi

Taglio compensi avvocato del 70%

Il compenso dell’avvocato  può essere ridotto anche del 70%, ossia sotto i valori minimi, se le cause non sono particolarmente complicate, se sono ripetitive e se hanno esito negativo. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19025-2024, puntando l’accento sulla discrezionalità del giudice nella determinazione del compenso del legale.

Richiesta pagamento compensi

Un avvocato con ricorso 702 bis c.p.c. chiede la condanna della società che ha assistito in giudizio e che è stata posta in amministrazione e custodia giudiziaria al pagamento dei propri compensi pari a  86.668,00 euro, detratti gli acconti, poiché lo stesso dichiara di aver patrocinato per la S.r.l ben 10 procedimenti giudiziari.

La S.r.l costituitasi in giudizio contesta il compenso richiesto, ma Tribunale accoglie in parte la domanda dell’avvocato, liquidando un importo di 8.558,95 euro a titolo di onorario, oltre accessori.

Il ricorso in Cassazione

L’avvocato insoddisfatto dell’esito del giudizio ricorre in Cassazione sollevando 5 motivi di doglianza:

  • con il primo lamenta la riduzione del compenso nella misura del 70% in relazione ai ricorsi in opposizione agli atti esecutivi, perché calcolati sulla base dee tariffe minime ridotte poi del 70%. Nel calcolare le competenze, a suo dire, sono state violate le norme del DM n. 27/2018 perché le stesse consentivano la riduzione delle tariffe medie ma in misura non superiore al 50%;
  • con il secondo contesta al Tribunale di non aver calcolato il compenso per ogni procedimento, come richiesto, ma di aver effettuato un calcolo complessivo, con conseguente obbligo a carico dell’avvocato di dover restituire gli acconti versati e mai contestati dalla controparte;
  • con il terzo disapprova la mancata valutazione delle prove prodotte in relazione al valore di determinate controversie;
  • con il quarto discute la violazione di alcune disposizioni del DM n. 55/2014 perché in relazione alle opposizioni l’autorità giudicante ha ridotto i compensi del 70% rispetto ai valori minimi, mentre il giudice avrebbe dovuto applicare i valori medi e diminuirli eventualmente del 50%;
  • con il quinto e ultimo motivo infine contesta al giudice di aver omesso di prendere in considerazione alcune circostanze, tra l’altro pacifiche e non contestate, come la corresponsione di acconti e quindi l’indicazione in parcella delle somme dovute a saldo. I Giudici avrebbero dovuto considerare l’attività svolta e già pagata con gli acconti senza indicare importi inferiori a quelli già incassati.

Corretto il taglio compensi avvocato del 70% per cause simili e con esito negativo

La S.C. accoglie il ricorso dell’avvocato in virtù della fondatezza del secondo motivo sollevato, con conseguente cassazione dell’ordinanza e rinvio al Tribunale in diversa composizione per statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Tuttavia, per gli Ermellini il primo motivo di ricorso è infondato perché il giudice, nel determinare il compenso dell’avvocato, ha un potere discrezionale, se motivato ed esercitato conformemente alle tariffe professionali. Tale potere gli permette di aumentare o ridurre il compenso purché non al di sotto dei minimi tariffari senza che rilevi l’istanza del professionista. Il professionista non può lamentare la violazione del principio della domanda solo perchè i giudici hanno ridotto gli importi al di sotto di quanto richiesto dalla società convenuta.

Fondato invece il secondo motivo perché i giudici hanno violato il principio secondo cui la liquidazione dei compensi, nel rispetto del DM 55/2014, deve avvenire per ogni fase del giudizio. Essi hanno inoltre travalicato i limiti della domanda, visto che l’avvocato aveva richiesto solo la liquidazione delle spettanze relative alla fase decisionale.

In parte inammissibile e in parte infondato è il terzo motivo del ricorso perché se è possibile adeguare gli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, il giudice deve anche verificare l’attività svolta nel caso specifico, per stabilire se in effetti il valore della domanda è un parametro di riferimento idoneo o se, al contrario, lo stesso  risulta del tutto inadeguato. Nel caso di specie l’avvocato ricorrente non ha precisato i termini esatti della controversia ossia i fatti posti a fondamento della domanda e il diritto reale a cui si riferiva l’esercizio del possesso, per verificare la correttezza o meno della scaglione di riferimento per cui nulla può lamentare.

Valori minimi compensi

Infondato invece il quarto motivo perché nel caso di specie non si può applicare la sbarramento previsto dal DM n. 55/2014 modificato dal DM n. 37/2018, che vieta al giudice di scendere sotto i valori minimi e inderogabili.

Nel caso di specie trova applicazione il DM n. 55/2014 nella versione precedente alla riforma del 2018, che consentiva al giudice di diminuire i valori medi fino al 70% per la fase istruttoria, evitando tuttavia di ridurre  fino al punto di riconoscere all’avvocato compensi puramente simbolici e comunque motivando la propria decisione. I giudici di merito hanno infatti calcolato il compenso in base al valore dello scaglione minimo e lo hanno ridotto del 70% perché

  • tutte le opposizioni si riferivano a contestazioni del credito molto simili tra loro;
  • le stesse hanno avuto un esito negativo;
  • la società era soggetta a custodia giudiziaria;
  • le cause non presentavano questioni di fatto o di diritto particolarmente complesse.

La riduzione del 70% del compenso quindi non viola la legge anche perchè la decisione è stata adeguatamente  motivata.

Infondato infine anche il quinto motivo perché l’omesso esame di elementi istruttori non integra l’omesso esame di un fatto storico e perché le questioni indicate dal ricorrente nella censura non sono “fatti storici”. Il Tribunale ha considerato tutti gli elementi utili, comprese le prestazioni eseguite e gli acconti versati, al fine di determinare la somma corretta da erogare, per cui il motivo sollevato è del tutto infondato.

Allegati

pensione integrativa vantaggi

Pensione integrativa: cos’è, come funziona e quali vantaggi La pensione integrativa si ottiene aderendo a una delle varie forme di previdenza complementare disciplinate dal decreto legislativo n. 252/2005

Pensione integrativa: cos’è?

La pensione integrativa è una forma di previdenza complementare privata che si va ad aggiungere a quella obbligatoria. La caratteristica principale della previdenza complementare è che l’adesione è del tutto libera e volontaria.

Normativa di riferimento

La normativa di riferimento per comprendere le regole e il funzionamento della pensione integrativa è il decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005, contenente la disciplina delle forme pensionistiche complementari.

A cosa serve?

La pensione integrativa consente di aumentare il proprio trattamento pensionistico per fare fronte ai problemi e alle necessità future con maggiore tranquillità La pensione integrativa serve infatti a garantire un tenore di vita adeguato anche nel momento in cui si smette di lavorare e che il solo trattamento pensionistico obbligatorio potrebbe non garantire.

Il comma 1 dell’articolo 1 del Decreto legislativo n. 252/2005 stabilisce che la previdenza complementare eroga trattamenti pensionistici che vanno a integrare quello obbligatorio per assicurare dei livelli di copertura previdenziali più elevati.

I fondi pensione

Le forme pensionistiche complementari si attuano attraverso la costituzione di fondi o patrimoni distinti separati, che nella denominazione devono contenere il termine “fondo pensione” e che non possono essere utilizzati da altri soggetti.

Le forme pensionistiche possono essere istituite tramite contratti e accordi collettivi, accordi tra lavoratori autonomi o tra liberi professionisti, regolamenti di enti o aziende, accordi tra i soci lavoratori di cooperative, da enti di diritto privato, dalle regioni, ecc.

Le fonti che istituiscono le forme pensionistiche complementari devono disciplinare le modalità di partecipazione, senza obbligare tuttavia nessuno ad aderirvi.

Chi può aderire alla previdenza complementare?

I soggetti che possono aderire e quindi beneficare dei frutti dei fondi pensione sono i lavoratori dipendenti del settore pubblico e di quello privato, i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i soci lavoratori delle società cooperative di produzione e lavoro, i soggetti che svolgono attività non retribuite a causa di responsabilità familiari, ma anche lavoratori occasionali o i lavoratori a progetto.

Ai fondi pensione possono aderire inoltre gli studenti e i soggetti che risultano fiscalmente a carico di qualcun altro, siano essi maggiorenni o minorenni.

Come si finanzia la pensione integrativa

Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari, come specificato dall’articolo 8 del decreto legislativo n. 252/2005, può essere attuato in modi diversi:

  • con il versamento dei contributi che sono a carico del lavoratore;
  • con il versamento dei contributi che devono essere sostenuti dal datore di lavoro o dal committente;
  • tramite il conferimento del TFR

L’integrazione pensionistica dei lavoratori e dei liberi professionisti è invece totalmente a loro carico.

Pensione integrativa: come funziona?

Da quanto detto emerge che la pensione integrativa si snoda attraverso tre fasi ben distinte anche dal punto di vista temporale:

  • adesione: in questa prima fase il lavoratore decide di aderire a una forma di previdenza complementare;
  • contribuzione: quando il lavoratore ha deciso a quale forma di previdenza integrativa o complementare aderire l’istituto che la gestisce apre una posizione individuale a suo nome che viene alimentata dai contributi versati (o anche dal TFR) e dai rendimenti maturati dalla gestione stessa;
  • acquisizione del diritto alla pensione integrativa: l’ultima fase, che si verifica quando il soggetto matura i requisiti contributivi e anagrafici per la pensione pubblica e quando partecipa da almeno 5 anni a una forma pensionistica complementare consiste nella “riscossione” della rendita maturata. Del diritto alla pensione integrativa il titolare può richiederne la liquidazione sotto forma di capitale nella percentuale massima del 50%.

Pensione integrativa: vantaggi

I vantaggi derivanti dall’adesione a una forma di previdenza complementare per ottenere una pensione integrativa sono molteplici, anche perché, a causa delle ultime riforme, i trattamenti pensionistici saranno comunque inferiori alle retribuzioni percepite durante l’attività lavorativa.

Diverse le ragioni per le quali conviene crearsi una pensione integrativa.

  • Agevolazioni fiscali: come previsto dall’articolo 8 del decreto legislativo n. 252/2005 “I contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro o committente, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, alle forme di previdenza complementare, sono deducibili, ai sensi dell’articolo 10 TUIR dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57”. L’articolo 17 del dlgs n. 252/2005 che disciplina il regime tributario prevede che i fondi pensione siano soggetti “ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell’20 per cento, che si applica sul risultato netto maturato in ciascun periodo d’imposta” che è una percentuale più favorevole rispetto a quelle applicate alla maggior parte del risparmio finanziario. Se poi una parte del rendimento è frutto di un investimento in titoli di Stato la tassazione scende al 12,5%. La posizione non è soggetta al pagamento dell’imposta di successione. I prodotti sono esentati dal pagamento dell’imposta di bollo.
  • Impignorabilità: l’art. 11 del decreto legislativo n. 252/2005 al comma 10 dispone che “Ferma restando l’intangibilità delle posizioni individuali costituite presso le forme pensionistiche complementari nella fase di accumulo, le prestazioni pensionistiche in capitale e rendita, e le anticipazioni (…), sono sottoposti agli stessi limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni a carico degli istituti di previdenza obbligatoria”.
  • Flessibilità: le forme di previdenza complementare sono molto elastiche, perché è possibile modificare l’entità delle somme da versare, così come la loro frequenza. E’ consentito inoltre sospendere i versamenti e poi riattivarli senza subire conseguenze negative. E’ possibile inoltre chiedere un’anticipazione della propria posizione nei casi e nei tempi stabiliti dal comma 7 dell’articolo 11 del decreto legislativo n. 252/2005.
reddito di emergenza rem

Reddito di emergenza: la guida Il Reddito di emergenza (REM) concesso in piena pandemia ha rappresentato un sostegno economico importante per le famiglie in maggiore difficoltà

Reddito di emergenza: cos’è

Il Reddito di emergenza (REM), ad oggi non più in vigore,  ha rappresentato un’importante forma di sostegno economico in epoca Covid per aiutare i nuclei familiari in difficoltà a causa della pandemia. Il REM è stato introdotto dal decreto legge n. 34/2020. Il decreto legge n. 104/2020 ha previsto poi la possibilità di poter richiedere una mensilità ulteriore di REM. Il successivo decreto n. 137/2020 ha previsto infine la possibilità di ottenere due quote ulteriori di REM per le mensilità di novembre e dicembre 2020.

Quest’ultima tranche di reddito di emergenza è stata riconosciuta:

  • d’ufficio ai nuclei familiari che avevano già beneficiato della misura in base al decreto legge n. 104/2020;
  • su domanda di parte per quei nuclei familiari che non avevano mai ottenuto il REM o che lo avevano ottenuto solo in virtù del primo decreto legge n. 34/2020.

La misura del beneficio prevista dai decreti n. 134/2020 e n. 137/2020 è stata riconosciuta in favore di quei nuclei familiari titolari di un reddito inferiore all’ammontare del beneficio.

Requisiti soggettivi ed economici dei beneficiari

Il reddito di emergenza è stato riconosciuto a quei nuclei familiari che, nel momento di presentazione  della domanda, presentavano i seguenti requisiti soggettivi, reddituali e patrimoniali:

  • residenza in Italia verificata in relazione al soggetto richiedente;
  • reddito familiare nei mesi di aprile, maggio e settembre 2020 inferiore all’importo del beneficio potenziale riconosciuto;
  • patrimonio immobiliare familiare riferito al 2019 inferiore a 10.000 euro, soglia che saliva di 5000 euro in presenza di un componente aggiuntivo rispetto al primo (fino a un massimo di 20.000 euro) o in presenza di un componente familiare affetto da disabilità grave o non autosufficiente;
  • ISEE documentato da DSU valida inferiore a 15.000 euro.

I primi tre requisiti potevano essere autocertificati all’interno della domanda, la veridicità di quanto dichiarato comportava la revoca del REM o la restituzione di quanto già percepito. Il requisito dell’ISEE era invece oggetto di verifica da parte dell’INPS nella DSU.

REM: modalità di presentazione della domanda

La domanda per la prima tranche di REM, prevista dal decreto legge n. 34/2020, poteva essere presentata entro il 30 giugno 2020, termine poi prorogato al 31 luglio 2020. La domanda per la mensilità prevista dal decreto legge 104/2020 poteva essere presentata dal 15 settembre al 15 ottobre 2020. La domanda per il REM prevista dal decreto legge n. 137/2020 poteva essere presentata infine dal 10 al 30 novembre 2020.

Le modalità di presentazione della domanda erano le seguenti:

  • in modalità telematica dal sito ufficiale dell’INPS, dopo essersi autenticati con il Pin, lo SPID almeno di livello 2, la Carta Nazionale dei Servizi o la Carta d’Identità Elettronica,
  • avvalendosi dei servizi offerti dai CAF e dai Patronati.

Importo del Reddito di emergenza

Per il calcolo del reddito di emergenza mensile si doveva moltiplicare l’importo di 400 euro per il valore della scala di equivalenza. La scala di equivalenza presentava i seguenti valori di riferimento:

  • 1 per il primo componente del nucleo familiare, con un incremento:
  • di 0,4 per ogni altro componente oltre il primo purché maggiore di anni 18;
  • di 0,2 per ogni componente minore di età, fino a un massimo di 2, o di 2,1 in presenza di componenti familiari gravemente disabili o non autosufficienti.

L’importo massimo in ogni caso non poteva superare gli 800,00 euro mensili, che potevano salire a 840 euro, solo se nel nucleo familiare erano presenti disabili gravi o non autosufficienti.

Facciamo un esempio per comprendere meglio il funzionamento. In presenza di un nucleo familiare composto da due adulti e da un minore la scala di equivalenza è pari a 1,6, risultato che si ottiene sommando al primo componente familiare di valore 1, il secondo componente maggiorenne di valore 0,4 e il terzo componente familiare minorenne di valore 0,2. Moltiplicando l’importo base di 400 euro per il valore della scala di equivalenza di 1,6 l’importo  del REM era pari a 640 euro.

Durata del reddito di emergenza

Il reddito di emergenza, come anticipato, ha rappresentato una misura straordinaria prevista durante il periodo della pandemia in favore delle famiglie in difficoltà. Il decreto n. 34/2020 e il decreto n. 137/2020 hanno previsto l’erogazione di due mensilità. Il decreto legge n. 104/2020 ha previsto invece il riconoscimento di tre mensilità.

Aiuti incompatibili con il REM

Il R.E.M. era incompatibile con altre forme di aiuti previsti in epoca COVID, come l’indennità per i lavoratori che erano stati danneggiati dalla dall’emergenza epidemiologica. Pertanto, se all’interno del nucleo familiare, un soggetto era già percettore della suddetta indennità, il reddito di emergenza non poteva essere concesso.

La misura inoltre era incompatibile con la titolarità di una pensione diretta o indiretta, con la titolarità di un rapporto di lavoro subordinato con retribuzione lorda superiore alla soglia massima del reddito familiare e infine con la titolarità del reddito o della pensione di cittadinanza.

reddito energetico nazionale

Reddito energetico nazionale: come ottenere il bonus Come funziona il Reddito Energetico Nazionale e a chi spetta il bonus energie rinnovabili per aiutare le famiglie in difficoltà economica a realizzare un piccolo impianto fotovoltaico

Reddito Energetico Nazionale: cos’è

Il reddito energetico nazionale è una misura introdotta dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Trattasi di un contributo per la copertura dei costi sostenuti per la realizzazione di impianti fotovoltaici a uso domestico da parte di famiglie in condizioni di difficoltà economica.

Riferimenti normativi

Al reddito energetico nazionale sono dedicati tre provvedimenti:

Obiettivi del bonus energie rinnovabili

Il contributo è finalizzato a incrementare la crescita delle energie rinnovabili su tutto il territorio nazionale con benefici sull’ambiente e sull’economia.

Il Fondo infatti si pone l’obiettivo di realizzare almeno 31.000 impianti fotovoltaici di piccole dimensioni per aiutare le famiglie in difficoltà, contrastare la scarsità di energia e aumentare la cultura e la diffusione delle energie rinnovabili.

Le risorse disponibili

Per la misura sono stati stanziati 200 milioni di euro ripartiti nella misura di 100 milioni di euro per ciascuna delle annualità interessate ossia il 2024 e il 2025. Ogni anno l’80% delle risorse è destinato alle regioni del sud Italia come l’Abruzzo, la Basilicata, la Campania, il Molise, la Puglia, la Sardegna e la Sicilia. Il restante 20% delle risorse è destinato alle altre regioni.

Per quanto riguarda le risorse del 2024, è bene sapere che quando è stato aperto lo sportello del Gestore dei Servizi Energetici (GSA) alle ore 12:00 del 5 luglio 2024, sono state registrate oltre 10.500 domande di accesso da parte dei cittadini delle regioni del meridione d’Italia con conseguente esaurimento delle risorse stanziate.

Limiti reddituali

Come anticipato, la misura è destinata a favorire il ricorso alle energie rinnovabili da parte delle famiglie che si trovano in una condizione di disagio economico. La misura è infatti destinata ai nuclei familiari che presentano un ISEE non superiore ai 15.000 euro; importo che sale a 30.000 euro se nel nucleo sono presenti quattro o più figli a carico.

La situazione economica viene verificata mediante il controllo della DSU dell’anno precedente. Occorre inoltre una certificazione ISEE valida in grado di confermare i requisiti reddituali richiesti prima di inoltrare la domanda per il contributo, di cui si può beneficiare una sola volta.

Titoli dei soggetti richiedenti

L’accesso al contributo è condizionato inoltre dalla titolarità di un diritto reale valido come il diritto di proprietà, superficie, usufrutto, uso, abitazione o enfiteusi su coperture o superfici di immobili, unità immobiliari e relative pertinenze o su spazi pertinenziali su cui dovrà essere realizzato l’impianto fotovoltaico.

Ovviamente il beneficiario o un altro soggetto facente parte del nucleo familiare ai fini ISEE deve essere intestatario di un contratto per la fornitura dellenergia elettrica per le utenze di consumo, che servono l’abitazione in cui ha la residenza anagrafica il nucleo familiare.

Requisiti degli impianti

Il contributo è soggetto anche a determinati requisiti degli impianti fotovoltaici, che devono essere di nuova realizzazione. Per poter accedere al contributo ogni impianto:

  • dovrà essere realizzato nel rispetto delle leggi vigenti;
  • l’attivazione potrà venire solo dopo aver avviato la domanda per ottenere l’agevolazione;
  • la potenza dell’impianto dovrà essere compresa tra i 2 e i 6 kilowatt;
  • l’impianto di produzione dovrà essere collegato a un punto di prelievo a cui non devono essere collegati altri impianti di produzione di energia;
  • l’impianto dovrà servire direttamente l’unità abitativa principale del beneficiario di categoria catastale A escluse le A1, A8, A9 e A10.

Domanda Reddito Energetico Nazionale

Dal 5 luglio, è aperto il portale per richiedere il Reddito Energetico Nazionale.

Sul sito del Gestore dei Servizi Energetici, che gestisce la misura per conto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, è possibile inviare la richiesta di accesso al contributo in conto capitale. Sul sito è possibile reperire anche un manuale e la guida rapida per la presentazione dell’istanza.

La vetrina dei realizzatori

Il Ministero e il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) hanno realizzato una vetrina dei realizzatori, ossia un elenco degli installatori presenti sul territorio, aggiornati e formati nel rispetto degli obblighi di legge e in possesso delle qualifiche e dei requisiti necessari per effettuare sia l’installazione che la successiva manutenzione degli impianti fotovoltaici.

reato abuso ufficio

Abuso d’ufficio: addio definitivo Nel testo della riforma penale Nordio, approvata definitivamente dalla Camera il 10 luglio 2024, il reato di abuso d’ufficio scompare dal codice penale

Riforma penale Nordio: ok definitivo

Il disegno di legge Nordio sulla giustizia prevede, tra le varie novità, anche l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Il testo, approvato dal Senato, è stato sottoposto alla Commissione Giustizia della Camera, che ne ha concluso l’esame. Stante il rigetto di tutti gli emendamenti proposti il testo di legge è andato in Aula il 24 giugno 2024 nella stessa formulazione approvata dal Senato. Il 4 luglio, Montecitorio ha votato in via definitiva il primo articolo del ddl che abroga uno dei più classici reati contro la PA, l’abuso d’ufficio e il 10 luglio ha dato il via libera definitivo all’intero disegno di legge a firma del guardasigilli, che reca modifiche al codice penale, di procedura penale e all’ordinamento giudiziario, nonchè al codice dell’ordinamento militare.

Punto cardine del testo è senz’altro l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio a cui si aggiungono le altre misure.

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Abuso d’ufficio: com’era

L’attuale versione letterale dell’articolo 323 del codice penale, che punisce il reato di abuso d’ufficio, prevede che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un servizio pubblico che nello svolgimento delle sue funzioni o del suo servizio, violando specifiche regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dai quali non  residuano margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti dalla legge, procuri intenzionalmente a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale ingiusto ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto è soggetto alla pena della reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata qualora il vantaggio o il danno presentino il carattere di rilevante gravità.

Reato plurioffensivo

Il reato di abuso d’ufficio è un reato di tipo plurioffensivo perché il bene giuridico tutelato dalla norma è rappresentato sia dal buon andamento della pubblica amministrazione che dal patrimonio del terzo che viene danneggiato a causa del comportamento del funzionario pubblico. Trattasi di un reato proprio perché è previsto solo se commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato al pubblico servizio nello svolgimento della sua attività. Oggetto del reato sono i provvedimenti amministrativi e qualunque specie di atto o di attività posti in essere dal funzionario. L’abuso d’ufficio è un reato di evento e il disvalore si configura nei momenti in cui si produce un ingiusto vantaggio patrimoniale a favore del soggetto agente o un danno ingiusto nei confronti di terzi. Il vantaggio ingiusto è di natura patrimoniale, il danno che viene commesso nei confronti del terzo non viene specificato, per cui può essere rappresentato da una ingiusta aggressione sia alla sfera personale che  patrimoniale della vittima.

Per quanto riguarda l’abusività della condotta il legislatore ha previsto che la stessa si configuri nei momenti in cui il soggetto agente violi norme di legge o di regolamento o l’obbligo di astenersi da situazioni caratterizzate da un conflitto di interessi. L’elemento soggettivo del reato è il dolo generico.

Ragioni dell’abolizione dell’abuso d’ufficio

La riforma penale Nordio, nella versione definitiva (vedi fascicolo dell’iter del 16.06.2024) prevede l’abolizione del reato di abuso d’ufficio attraverso l’abrogazione dell’art. 323 c.p. che lo contiene.

Si ritiene che il reato di abuso d’ufficio abbia un’applicazione minimale. Il numero irrisorio delle condanne contrasta con il numero elevato di iscrizioni nel registro degli indagati. Si tratta di uno squilibrio costante nonostante le varie modifiche legislative, anche recenti, finalizzate a dare maggiore determinatezza alla disposizione. A questo deve aggiungersi l’elevato numero di interventi normativi finalizzati a prevenire comportamenti illeciti all’interno del settore pubblico.

Questo complesso sistema di rimedi preventivi e repressivi di natura penale, ma anche disciplinare, contabile, ed erariale, assicurano una protezione completa degli interessi pubblici. L’abolizione del reato consente il recupero di risorse, evitando che il sistema giudiziario si trovi impegnato inutilmente nel perseguire un reato con un numero di condanne irrisorie e che sia il soggetto coinvolto che la pubblica amministrazione subiscano inevitabili ripercussioni derivanti dalla persecuzione penale.

Abuso d’ufficio: pareri contrari all’abolizione

Non tutti ovviamente sono d’accordo nel procedere all’abolizione del reato di abuso d’ufficio per vari motivi. C’è chi ammette che il numero di condanne per il reato di abuso d’ufficio sia in effetti assai ridotto. Questo fenomeno si verifica anche per altri reati, questo però non comporta l’abolizione di tutte le fattispecie criminose che si concludono con un numero esiguo di condanne. Per altri invece, in relazione al reato di abuso d’ufficio, sarebbe stato più opportuno intervenire in modo più misurato, conservando il reato e apportando i correttivi necessari per conciliare la buona fede dei funzionari e dei pubblici ufficiali e il rigore in presenza di fenomeni di corruzione.

Professionisti: super sconto per chi assume In Gazzetta il decreto che prevede una super deduzione del 120% e del 130% del costo del lavoro per imprese e professionisti che assumono con contratto a tempo indeterminato

Super sconto per chi assume a tempo indeterminato

I Ministri dell’Economia e del Lavoro hanno firmato il decreto del 25 giugno 2024, pubblicato sul sito del Ministero dell’Economia, che attua una parte della riforma IRPEF. Il decreto attua in particolare l’articolo 4 del decreto legislativo n. 216 del 30 dicembre 2023 e introduce una “super deduzione” per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.

La maggiorazione spetta per le assunzioni di lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato qualora il contratto sia in essere a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, ossia relativo periodo di imposta 2024, se al termine del 2024 il numero di lavoratori occupati risultano superiori a quelli occupati mediamente nel periodo di imposta precedente.

Il decreto sulla maxideduzione 2024 per le nuove assunzioni è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 154 del 3 luglio 2024.

Determinazione delle nuove assunzioni

Al fine di determinare le nuove assunzioni e calcolare l’incremento occupazionale, non rilevano i lavoratori dipendenti con contratti ceduti dopo trasferimenti di aziende rami di aziende, quelli assunti a tempo indeterminato ma destinati a un’organizzazione stabile localizzata all’estero di un soggetto residente, quelli assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato precedentemente in forza presso una società del gruppo, il cui rapporto di lavoro con questa sia stato interrotto a partire dal 30 dicembre 2023.

Si tiene invece conto, ai fini del calcolo dell’incremento, dei lavoratori dipendenti assunti inizialmente con contratto a tempo determinato convertito in un contratto a tempo indeterminato durante il 2024 e dei soci lavoratori di società cooperative, che sono assimilati ai lavoratori dipendenti. Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti con contratto part-time essi rilevano ai fini dell’incremento occupazionale in misura proporzionale alle ore di lavoro prestate rispetto a quelle contemplate dal contratto nazionale di categoria.

Ai fini del calcolo dell’incremento occupazionale rilevano anche per l’impresa che li utilizza i dipendenti con contratto di somministrazione.

Beneficiari dello sconto

Possono beneficiare del bonus le società di capitali e gli enti, gli enti non commerciali, le società e gli enti non residenti, le società di persone e le equiparate, le imprese individuali, gli esercenti arti e professioni, ma alle seguenti condizioni:

  • purché provvedano ad aumentare il numero dei dipendenti a tempo indeterminato rispetto all’anno precedente;
  • purché i nuovi contratti siano a tempo indeterminato e in essere alla fine dell’anno d’imposta.

Sono invece escluse dal beneficio le imprese in liquidazione ordinaria, in concordato preventivo o sottoposte ad altre procedure concorsuali.

Le percentuali della detrazione

Il decreto consente alle imprese di detrarre un importo pari al 120% del costo del lavoro dei nuovi dipendenti assunti a tempo indeterminato.

Per quanto riguarda invece le assunzioni dei soggetti appartenenti alle categorie considerate “fragili”, come le mamme, gli under 30, i percettori di reddito di cittadinanza e le persone con invalidità, la detrazione sale addirittura al 130%. Il beneficio però è valido per le assunzioni che effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2024.

Come funziona in concreto la detrazione?

La detrazione viene effettuata in sede di dichiarazione dei redditi. Il costo del lavoro su cui viene calcolata la detrazione è quello sostenuto per gli stipendi e i contributi previdenziali, per il TFR, trattamento di quiescenza e simili e per quei costi che sono strettamente collegati all’assunzione.

tappi attaccati bottiglie

Tappi attaccati alle bottiglie: al via l’obbligo Dal 3 luglio 2024 in base alla Direttiva UE SUP i tappi "solidali" dovranno restare attaccati ai contenitori di plastica per ridurre la dispersione e favorire il riciclo

Tappi “solidali: dal 3 luglio in vigore l’obbligo della Direttiva UE

Dal 3 luglio 2024 tutte le aziende che producono bevande contenute nelle bottiglie di plastica devono rispettare l’obbligo del “tappo solidale”. Lo ha stabilito la Direttiva UE 2019/904 sulla plastica monouso finalizzata a ridurre l’incidenza dei prodotti di plastica sull’ambiente.

L’articolo 17 della Direttiva, dedicato al recepimento, prevede che gli Stati debbano applicare le disposizioni necessarie per conformarsi all’obbligo previsto dall’articolo 6, relativo ai tappi “solidali” a partire dal 3 luglio 2024.

Quest’obbligo è solo una delle tante misure adottate dalla Direttiva SUP (Single Use Plastics Direttive) per contrastare l’inquinamento delle acque da parte delle bottiglie di plastica, troppo spesso gettate ovunque, soprattutto in mare e sulla spiaggia, con conseguenze estremamente dannose sulla vegetazione e sugli animali.

Divieto plastica monouso

La Direttiva, lo ricordiamo, ha già posto il divieto di vendita dei prodotti di plastica monouso come i piatti, le posate, le cannucce e i cotton-fioc, a partire dal 2021.

Il 2024 invece è l’anno di entrata in vigore dei tappi “solidali, vediamo cosa dice la normativa europea al riguardo.

Lotta alla dispersione dei tappi di plastica

Nel considerando n. 17 la Direttiva fa presente come i tappi e i coperchi di plastica dei contenitori delle bevande siano tra gli oggetti di plastica maggiormente rinvenuti sulle spiagge dell’Unione Europea.

I contenitori delle bevande di plastica monouso dovrebbero quindi essere immessi sul mercato solo se sono in grado di soddisfare certi requisiti di progettazione in grado di ridurre significativamente la dispersione nell’ambiente dei tappi di plastica.

Nell’articolo 6 invece, dedicato ai requisiti dei prodotti in plastica, la Direttiva stabilisce specificamente che gli Stati membri devono provvedere a che i prodotti in plastica monouso indicati nella parte C dell’allegato, con i relativi tappi plastica “possano essere immessi sul mercato solo se i tappi e i coperchi restano attaccati ai contenitori per la durata delluso previsto del prodotto”. 

L’allegato C specifica infatti quali sono i prodotti di plastica monouso indicati nell’articolo 6, che devono presentare i requisiti sopra descritti, ossia i contenitori per bevande con una capacità massima di 3 litri, ossia i recipienti che contengono liquidi, come bottiglie per bevande con i relativi tappi, nonché gli imballaggi compositi di bevande con i relativi tappi e coperchi.

Tappi attaccati alle bottiglie: quali vantaggi?

L’obbligo di produrre contenitori di plastica con i tappi di chiusura progettati in modo tale da restare attaccati alle bottiglie mirano a realizzare due obiettivi fondamentali della Direttiva:

  • ridurre la dispersione dei piccoli pezzi di plastica. I tappi di plastica dei contenitori, infatti sono molto piccoli e leggeri, per cui possono essere trasportati facilmente dal vento e, aspetto ancora più pericoloso, possono essere ingeriti dagli animali;
  • facilitare la fase del riciclo: se il tappo resta ben attaccato al suo contenitore questi due componenti possono essere riciclati insieme. In questo modo la quantità di plastica riciclata aumenta e il procedimento di riciclo risulta senza dubbio più efficiente.

Le altre misure della Direttiva SUP per ridurre la plastica

Come anticipato, la misura che riguarda i tappi di plastica è solo una delle iniziative intraprese a livello europeo per ridurre la quantità di plastica immessa nell’ambiente.

La Direttiva SUP prevede infatti interventi finalizzati a ridurre il consumo dei prodotti di plastica monouso, dispone restrizioni all’immissione sul mercato di certi prodotti in plastica, stabilisce, come appena visto per i tappi, determinanti requisiti di costruzione dei prodotti in plastica, introduce precisi requisiti di marcatura dei prodotti, estende la responsabilità del produttore, impone agli Stati di adottare le misure necessarie per attuare in modo efficace la raccolta differenziata e stabilisce che gli Stati debbano adottare anche misure di sensibilizzazione per informare i consumatori e incentivare condotte più responsabili per la tutela dell’ambiante e la salute.

Allegati

contributo unificato cause

Contributo unificato: cos’è e quando si paga Cos’è il contributo unificato, quando si applica e a quali procedimenti, in che misura e cosa accade in caso di pagamento omesso o insufficiente

Contributo unificato: che cos’è

Il contributo unificato è una somma che deve essere versata allErario nel momento in cui si procede all’iscrizione a ruolo di una causa. Sono soggetti al pagamento del contributo unificato per ogni grado di giudizio il processo civile, le procedure concorsuali, i procedimenti di volontaria giurisdizione, il processo amministrativo e il processo tributario.

Riferimenti normativi

La disciplina del contributo unificato è contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, contenente il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di Giustizia.

Il decreto dedica al contributo unificato il titolo I della parte II, intitolato “Contributo unificato nel processo civile, amministrativo e tributario”. La disciplina del contributo unificato è contenuta nello specifico nell’articolo 9 e seguenti fino all’articolo 18.

Contributo unificato controversie lavoro, previdenza e assistenza

Nei processi relativi alle controversie di previdenza e assistenza obbligatoria, alle cause individuali di lavoro o relative ai rapporti di pubblico impiego, le parti che risultino titolari dall’ultima dichiarazione di un reddito imponibile ai fini Irpef superiore a tre volte l’importo previsto per beneficiare del gratuito patrocinio (pari ad oggi a Euro 12.838,01) sono soggette rispettivamente  al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura prevista:

  • dall’articolo 13 comma 1 lettera a) ossia di Euro 43,00;
  • e dal comma 3 dell’art. 13, ossia ridotto alla 1/2, fatta eccezione per i processi che si tengono davanti alla Corte di Cassazione, per i quali il contributo deve essere corrisposto nella misura indicata dall’articolo 13 comma 1 ossia nella misura ordinaria.

Esenzioni dal pagamento del contributo unificato

Ai sensi dell’articolo 10 del d.p.r. 115/2002 non è soggetto al  pagamento del contributo unificato il processo che ne sia già esente in base a una specifica previsione di legge, il processo di rettificazione dello stato civile, il processo in materia tavolare, il processo in materia di integrazione scolastica in relazione ai ricorsi amministrativi per il sostegno degli alunni con handicap fisici e sensoriali e il processo per l’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo.

Il contributo unificato non è dovuto neppure per il processo anche esecutivo, di opposizione, e cautelare, in materia di assegni per il mantenimento della prole e riguardante la stessa. Non sono soggetti al pagamento del contributo unificato neppure determinati processi in materia di diritto di famiglia.

I motivi dell’esenzione devono essere dichiarati dalla parte nelle conclusioni dell’atto che introduce la causa.

Contributo unificato nel processo penale

Il contributo unificato, in base alla previsione dell’articolo 12 del DPR n. 115/2010, non è dovuto neppure quando viene esercitata lazione civile nel processo penale nel caso in cui venga richiesta la condanna generica del responsabile. Se invece è richiesta, anche in via provvisionale, la condanna al pagamento di una somma a titolo di risarcimento e la domanda venga accolta, il contributo unificato deve essere corrisposto in base al valore dell’importo liquidato e nel rispetto degli scaglioni di valore previsti dall’articolo 13.

Importi del contributo unificato

L’indicazione degli importi dovuti a titolo di contributo unificato sono specificati all’interno dell’articolo 13.

Al comma 1 il contributo unificato viene calcolato in base agli scaglioni di valore della causa.

Il comma 1bis prevede invece che il contributo dovuto per i giudizi di impugnazione sia aumentato della metà rispetto ai valori indicati nel comma 1 ed è raddoppiato se il processo si svolge davanti alla Corte di Cassazione.

Per i processi in materia di proprietà industriale e intellettuale il valore del contributo unificato contemplato dal comma 1 è raddoppiato.

Se l’impugnazione, anche incidentale, viene respinta integralmente o viene dichiarata inammissibile  o improcedibile, la parte che l’ha proposta deve versare un importo aggiuntivo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione principale o incidentale. Questa regola non vale quando il ricorso per cassazione viene dichiarato estinto in base a quanto previsto dall’articolo 380 bis, comma 2, ultimo periodo c.p.c.

Le esecuzioni immobiliari sono soggette al contributo di 278,00 euro, mentre per gli altri processi esecutivi l’importo è ridotto alla metà. Se si tratta di processi esecutivi mobiliari di valore inferiore ai 2500,00 euro allora il contributo è dovuto nell’importo di 43,00 euro. Per i processi di opposizione agli atti esecutivi l’importo dovuto è di 168,00 euro.

Tutti i procedimenti sommari disciplinati dal titolo I del libro IV del codice di procedura civile sono soggetti al contributo unificato ridotto alla metà rispetto agli importi del comma 1, compreso il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, alla sentenza dichiarativa di fallimento e le controversie individuali di lavoro o di pubblico impiego salvo quanto disposto dall’art. 9 comma 1.

Per la procedura fallimentare il contributo è di euro 851.

Il comma 6 bis dell’articolo 13 elenca poi gli importi dei contributi unificati per i ricorsi amministrativi proposti da vanti ai Tar e al consiglio di Stato.

Il comma 6 quater invece si occupa degli importi del contributo unificato per i ricorsi proposti in via principale e incidentale davanti all’organismi di giustizia tributaria.

Il comma 6 quinquies infine stabilisce gli importi del contributo unificato previsti per le procedure relative all’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti correnti bancari.

Quando sorge l’obbligo di pagamento

L’obbligo di pagamento è a carico della parte che si costituisce per prima in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo e che, nei processi di esecuzione forzata, presenta l’istanza per l’assegnazione o la vendita dei beni oggetto di pignoramento.

Il pagamento del contributo unificato deve avvenire contestualmente alla presentazione dell’istanza per la ricerca telematica dei beni da pignorare.

Se la parte che che si è costituita per prima o che ha depositato per prima il ricorso introduttivo procede alla modifica della domanda o propone una domanda riconvenzionale deve dichiararlo espressamente e procedere al pagamento del contributo integrativo dovuto.

Lo stesso obbligo viene posto a carico delle parti che modificano o propongono domanda riconvenzionale o svolgono un intervento autonomo.

Controllo sul valore della causa e sul contributo unificato

Il contributo unificato deve essere corrisposto in base al valore della causa che viene dichiarato dalla parte. Il funzionario che provvede a iscrivere la causa deve effettuare la verifica della dichiarazione di valore e sincerarsi che la ricevuta riportante l’importo corrisposto a titolo di contributo unificato corrisponda a quello dovuto per lo scaglione di valore della causa. Questo controllo però non si svolge solo al momento dell’iscrizione, ma viene effettuato anche quando nel corso di causa viene proposta una domanda, che va modificare il valore della controversia.

Pagamento omesso o insufficiente: conseguenze

L’omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato comporta l’obbligo di corresponsione degli interessi legali dal deposito dell’atto per cui è previsto il pagamento o l’integrazione del contribuito dovuto.

In caso di omesso pagamento o di pagamento parziale si applica la sanzione di cui all’art. 71 del DPR n. 131/1986, ma non la detrazione.