Addio al mantenimento per la figlia adulta: ha diritto solo agli alimenti La Cassazione chiarisce che alla figlia adulta spettano solo gli alimenti, non il mantenimento dei genitori, ci sono le misure sociali di sostegno al reddito

Mantenimento figli maggiorenni

Mantenimento figli: la figlia adulta, maggiorenne da tempo, che ha concluso un suo percorso di studi,  convive e ha una bambina non può soddisfare l’esigenza di una vita dignitosa con il mantenimento dei genitori. È preferibile che la stessa faccia ricorso agli ausili sociali di sostegno al reddito. I genitori possono essere tenuti, al limite, a corrispondere gli alimenti in presenza di uno stato di bisogno. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 27818/2024.

Separazione giudiziale: 200 euro mensili per la figlia adulta

Una coppia si separa giudizialmente. Il Tribunale accoglie la domanda di addebito dell’attrice e dispone a carico del marito l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia, diventata nel frattempo maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, tramite il versamento dell’importo mensile di 200,00 euro e del 50% delle spese straordinarie.

L’uomo appella la decisione, ma la Corte respinge l’impugnazione per intero, condannando il soccombente al pagamento delle spese di giudizio.

Cessazione o riduzione del mantenimento per la figlia

Nel ricorso in Cassazione con il quarto motivo il padre contesta alla Corte d’Appello il rigetto della domanda con cui ha chiesto la cessazione o la riduzione dell’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia. La stessa è oramai da tempo maggiorenne, ha concluso un suo percorso di studi, ma non si è mai impegnata nella ricerca di un lavoro.  Essa inoltre convive con un compagno, che lavora e da cui ha avuto una figlia.

Solo gli alimenti, basta mantenere la figlia adulta

La Cassazione accoglie il quarto motivo del ricorso del padre. Per stabilire la spettanza o meno del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne il giudice deve valutare diversi elementi come l’età, il raggiungimento di un effettivo livello di competenza tecnica e professionale e l’impegno investito nella ricerca di un lavoro.

Nel caso di specie la figlia, superata abbondantemente la maggiore età, non ha ancora reperito un’occupazione stabile o in grado comunque di remunerarla in misura da renderla economicamente autosufficiente e adeguata alle competenze acquisite. Il mantenimento dei genitori non può soddisfare le esigenze di una vita dignitosa e a cui ogni giovane adulto deve aspirare. La giovane donna deve quindi ricorrere preferibilmente ai diversi strumenti di ausilio sociale finalizzati a sostenere il reddito, ferma restando l’obbligazione alimentare per provvedere alle esigenze di vita essenziali se si trova in uno stato di bisogno.

 

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cambio di sesso

Cambio di sesso: il matrimonio non va annullato Cambio sesso: negato l'annullamento del matrimonio per errore essenziale sull'identità del coniuge, è solo un adeguamento alla personalità

Cambio di sesso e annullamento del matrimonio

Il cambio di sesso non causa l’annullamento del matrimonio. Nel soggetto che presenta una disforia di genere questo cambiamento non muta l’identità. Esso si limita ad adeguare i caratteri esterni a quelli percepiti e sentiti come propri dalla persona. Se il marito non è a conoscenza della rettificazione di sesso da uomo a donna, questa mancata conoscenza non si può ricondurre a un errore essenziale sull’identità della persona, se l’uomo non ha mai approfondito le cause dell’incapacità a procreare della moglie. Questa la decisione del Tribunale di Livorno nella sentenza del 12 luglio scorso.

Cambio sesso da uomo a donna: marito chiede annullamento

Un uomo si rivolge al Tribunale di Livorno per chiedere l’annullamento del matrimonio. L’attore narra di aver contratto matrimonio civile con la convenuta e che da detta unione non sono nati i figli. Questo perché, in base a quanto riferito dalla moglie, la stessa avrebbe subito l’asportazione dell’utero a causa di una malattia. L’attore racconta poi che dopo la richiesta di adozione di un minore la coppia è entrata in crisi tanto che si sono separati.

Nel giugno del 2022, però, mentre il marito procedeva a un’ispezione ipotecaria e catastale degli immobili intestati alla moglie, scopriva che  la stessa in passato era un uomo. I riferiti problemi di infertilità sono quindi da ricondurre a questa circostanza.

Errore sull’identità del coniuge art. 122 c.c.

L’uomo sarebbe quindi incorso in quell’errore essenziale sull’identità della persona che ai sensi dell’articolo 122 del codice civile rende annullabile il matrimonio. Se infatti l’attore avesse saputo fin dall’inizio che la moglie in passato era stato un uomo e che le difficoltà a procreare erano riconducibili al cambio di sesso, sicuramente non si sarebbe sposato.

Costituitasi in giudizio la moglie chiede il rigetto della domanda attorea, stante l’impossibilità di ricondurre il loro caso all’errore invocato dal marito di cui all’articolo 122 del codice civile. La donna afferma infatti che l’attore era   al corrente, prima di contrarre matrimonio, del procedimento di rettificazione di sesso a cui si era sottoposta.

Errore sull’identità della persona se il marito sposa una donna che prima era uomo?

Il Tribunale, conclusa l’istruttoria ritiene che la domanda dell’attore debba essere rigettata. Nel caso di specie è emerso che l’attore in realtà non era stato informato dell’avvenuta rettificazione di sesso della moglie. Vero però che tale mancata conoscenza non è riconducibili giuridicamente all’errore previsto dall’articolo 122 del codice civile. L’uomo infatti, da parte sua, non ha mai  approfondito le vere cause dell’incapacità a procreare della convenuta. L’errore eccepito dal marito non ricade né sull’identità della persona né sulle sue qualità personali.

“Non vi è stato errore sulla identità della persona in quanto il (…) a tutti gli effetti, si è unito in matrimonio con la persona che intendeva e riteneva di sposare (….), che all’epoca già risultava donna, tanto anagraficamente quanto sotto l’aspetto dei caratteri sessuali (…) l’identità (di genere) della (moglie) si è sempre identificata con quella femminile e non con quella maschile, tanto che, la stessa (…) in modo particolarmente significativo” in una conversazione telefonica … “per più di una volta, nel rispondere alle domande incalzanti del (marito) relative al fatto se fosse o se fosse stata in passato un uomo, ha ribadito “io non sono un uomo”, “io non ero un uomo”.

Il cambio di sesso infatti non modifica l’identità sessuale della persona, ma adegua  i caratteri somatici e le risultanze anagrafiche alla identità reale dell’individuo.

Il marito quindi non è caduto in alcun errore essenziale sulle qualità personali del coniuge, per cui la richiesta di annullamento del matrimonio va rigettata.

 

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Reato di contrabbando estinto con il ravvedimento operoso Il reato di contrabbando punito solo con la multa si estingue con il pagamento, anche in misura ridotta grazie al ravvedimento operoso

Reato di contrabbando e ravvedimento operoso

Il reato di contrabbando si estingue con il ravvedimento operoso. Lo chiarisce la circolare n. 22/2024 dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

La circolare ricorda infatti che il decreto legislativo n. 141/2024 ha introdotto importanti novità in materia sanzionatoria per quanto riguarda gli illeciti in materia doganale.

L’articolo 79 del suddetto decreto legislativo punisce in particolare il contrabbando per dichiarazione infedele. La norma infatti così dispone: Chiunque dichiara qualità, quantità, origine e valore delle merci, nonché ogni altro elemento occorrente per l’applicazione della tariffa e per la liquidazione dei diritti in modo non corrispondente all’accertato è punito con la multa dal 100 per cento al 200 per cento dei diritti di confine dovuti o dei diritti indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione.” Questo tipo di reato, come emerge dalla norma, è punito solo con la multa.

Reato di contrabbando estinto se si paga la multa

Questa precisazione è molto importante perché l’articolo 112 dello stesso decreto legislativo n. 141/2024 disciplina l’estinzione dei delitti di contrabbando punibili con la sola multa.

La norma prevede infatti che “1. Per i delitti di contrabbando punibili con la sola pena della multa, l’autore della violazione può effettuare il pagamento, oltre che del tributo eventualmente dovuto, di una somma determinata dall’Agenzia in misura non inferiore al 100 per cento e non superiore al 200 per cento dei diritti previsti per la violazione commessa. 2. Il pagamento della predetta somma e del tributo estingue il reato. 3. L’estinzione del reato non impedisce l’applicazione della confisca, la quale è disposta con provvedimento dellAgenzia.” 

Da segnalare poi l’articolo 88 sulle circostanze aggravanti del reato di contrabbando.

Il comma 3 è di particolare interesse perché precisa che, per i delitti di cui all’art. 79 (contrabbando per dichiarazione infedele) e 83 (contrabbando nell’esportazione temporanea e nei regimi di uso particolare e di perfezionamento) alla multa si somma la pena della reclusione fino a tre anni se lammontare di almeno uno dei diritti di confine dovuti supera i 50mila euro, ma non i 100.000 euro.

Diritti sotto i 50.000: estinzione con il ravvedimento operoso

Alla luce delle disposizioni analizzate la circolare n. 22/2024 chiarisce quindi che per i reati di contrabbando per i quali nessuno dei diritti di confine dovuti superi i 50.000 euro, in assenza di aggravanti, sia possibile accedere all’istituto contemplato dall’art. 112 del decreto, che prevede l’estinzione dei delitti di contrabbando punibili con la sola multa.

L’accesso all’istituto non è soggetto a termini di decadenza, per cui la parte può procedere al pagamento anche in pendenza del procedimento penale.

Ma non è tutto, la parte interessante della circolare è quella in cui ricorda che l’articolo 104 del decreto legislativo prevede lapplicabilità alle violazioni e alle sanzioni delle disposizioni contenute nei decreti legislativi n. 471/1997 e 472/1997, purché compatibili e salvo sia diversamente previsto.

Ne consegue che la parte potrà definire la propria posizione ed estinguere il reato di contrabbando anche ricorrendo all’istituto del ravvedimento operoso contemplato dall’art. 13 del decreto legislativo n. 472/1997. Grazie a questo istituto il soggetto multato potrà beneficiare inoltre di una riduzione pari a un decimo del minimo della sanzione se provvede al pagamento entro il termine di 30 giorni dalla commissione.

 

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conciliazione obbligatoria

Conciliazione obbligatoria: stop per voli cancellati e ritardi Stop alla conciliazione obbligatoria in caso di voli cancellati o ritardi, i passeggeri potranno rivolgersi subito al giudice

Addio conciliazione obbligatoria per ritardi e voli cancellati

Il tentativo di conciliazione obbligatoria previsto per i passeggeri aerei, vittime di ritardi e voli cancellati non sarà più vincolante. In presenza di questi inadempimenti i passeggeri potranno rivolgersi direttamente all’autorità giudiziaria. Lo ha deciso il TAR Piemonte nella sentenza n. 1093-2024, annullando la delibera dell’Autorità di regolazione dei trasporti n. 21/2023 nella parte in cui prevede l’obbligo del tentativo di conciliazione prima di ricorrere in giudizio. Procedura che, come sostenuto anche dal ricorrente, aggrava le spese e causa un’inutile perdita di tempo.

Volo cancellato:  richiesta compensazione e rimborso spese

Un privato ricorre al TAR Piemonte, facendo presente che in data 18 febbraio 2023 lo stesso, lavorando a Verona, avrebbe dovuto raggiungere la sua famiglia, residente a Lucera, in provincia di Foggia.

Per arrivare rapidamente dal suo nucleo familiare l’uomo aveva prenotato un volo che gli avrebbe consentito di arrivare a destinazione entro la mattinata.

Pochi minuti prima del decollo però il ricorrente veniva a sapere che il suo volo era stato cancellato. L’uomo, dopo avere trovato in autonomia un mezzo di trasporto su strada, raggiungeva la famiglia in serata.

Il mese successivo l’uomo inviava un reclamo al vettore aereo, chiedendo la compensazione pecuniaria forfettaria di 250,00 euro (regolamento CE n. 261/2004 art. 7 par. 1, lett. a), il rimborso del biglietto aereo e il rimborso delle spese ulteriori sostenute. La Compagnia però non forniva alcun riscontro alle sue richieste.

La conciliazione aumenta i costi per il passeggero

Il ricorrente, che a questo punto avrebbe dovuto risolvere la controversia in via stragiudiziale, ne contesta l’obbligatorietà perché, a suo dire, il tentativo di conciliazione si risolve in un inutile perdita di tempo e in un aggravio di spese. Per il ricorrente la procedura conciliativa preventiva e obbligatoria impedisce infatti di ricorrere immediatamente in giudizio per far valere le proprie ragioni.

Per tutti questi motivi il ricorrente chiede l’annullamento della delibera dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti dell’8 febbraio 2023, n. 21 (compreso l’allegato A e tutti gli atti presupposti) perché impone la conciliazione obbligatoria preventiva in presenza di una controversia tra gli operatori economici che gestiscono servizi di trasporto e gli utenti o consumatori.

Conciliazione obbligatoria: viola il diritto di agire in giudizio

Il TAR accoglie il ricorso perché fondato. In effetti, come rileva il Tribunale amministrativo, la procedura conciliativa preventiva e obbligatoria costituirebbe un inutile e ingiustificato aggravio, viste lirrinunciabilità dei diritti previsti dal Regolamento e la predeterminazione forfettaria dellimporto della compensazione. Inoltre, essa, impedendo al passeggero di rivolgersi immediatamente a un tribunale in caso di rigetto del reclamo o di esercitare una scelta tra rivolgersi ad un tribunale o ad un altro organismo competente, precluderebbe laccesso alla giustizia, ponendosi in contrasto con il Regolamento europeo e con i principi costituzionali in materia di diritto di azione (cfr. art. 24 Cost)”. 

Il TAR fa presente inoltre che il passeggero potrebbe scoraggiarsi e rinunciare a far valere i propri diritti perché la piattaforma per la conciliazione obbligatoria prevede un accesso digitale di cui non tutti dispongono e con il quale non tutti hanno dimestichezza. Il passeggero potrebbe sentirsi costretto a chiedere  assistenza a un legale, che dovrebbe comunque pagare e a cui dovrebbe anticipare le spese necessarie per avviare la procedura. Senza dimenticare i costi che tutti i passaggi (reclamo, conciliazione ed eventuale giudizio) comportano.

 

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bacio a sfioro

Bacio a sfioro: è violenza sessuale Per la Cassazione, il bacio a sfioro integra il reato di violenza sessuale, basta il contatto delle labbra per ledere la libertà sessuale

Reato di violenza sessuale

Il bacio a sfioro integra il reato di violenza sessuale. Questo illecito penale è infatti integrato da qualsiasi atto che si risolve in un contatto fisico, anche fugace e repentino tra il soggetto agente e la persona offesa. La Cassazione ha ribadito questo principio nella sentenza n. 39488/2024.  

Il bacio a sfioro integra il reato di violenza sessuale

Un soggetto viene assolto in primo grado dal reato violenza sessuale previsto dall’articolo 609 bis c.p. La parte civile impugna la decisione. La Corte riforma la sentenza e condanna l’imputato per il reato ascritto e lo condanna a risarcire la persona offesa con l’importo di 2000 euro.

La confidenza con la collega giustificava il bacio

L’imputato ricorre in Cassazione e con il primo motivo contesta la condanna. Il ricorrente sottolinea come lo stesso fosse ragionevolmente convinto del consenso della persona offesa. Con la donna si era infatti instaurato un rapporto di confidenza e di complicità. Solo dopo il bacio si è reso conto della erroneità delle sue convinzioni.

La Corte territoriale inoltre ha travisato il senso della domanda “potevo” rivolta alla persona offesa dopo il fatto. Il giudice dell’impugnazione ha errato anche quando ha ritenuto la condotta improntata a dolo o a colpa. Il reato di violenza sessuale infatti deve essere necessariamente doloso. Per l’imputato infine il caso di specie configurerebbe un’ipotesi di delitto putativo per errore sul fatto di reato, come contemplato dall’articolo 47 codice penale.

Il solo contatto con le labbra viola la libertà sessuale

Per la Cassazione però il ricorso è inammissibile. L’agente ha commesso senza dubbio un atto di natura sessuale. Costante giurisprudenza ritiene infatti che “il «bacio» anche nel caso in cui si risolva nel semplice contatto delle labbra” è comunque idoneo a ledere la libertà e lintegrità sessuale della vittima. Dal racconto attendibile della persona offesa emerge che la donna, dopo aver scambiato cordiali convenevoli con l’imputato davanti alla macchinetta del caffè, aveva ripreso il suo lavoro indossando delle cuffiette. L’imputato a quel punto l’aveva afferrata da tergo, buttata contro il muro e baciata sulla bocca.

Non può sussistere nel caso di specie il reato putativo per le circostanze di luogo e di tempo e per la condotta incontestata dell’imputato. Indubbio che l’imputato abbia agito nella consapevolezza del mancato consenso della donna. Dopo l’atto infatti le ha chiesto: “potevo?”.

Infondata anche la convinzione che la Corte d’Appello abbia ritenuto colposa la violenza sessuale. Quando la Corte d’appello ha affermato che l’imputato avesse realizzato un illecito con dolo o colpa grave non riferiva alle responsabilità dell’illecito penale, ma alla liquidazione delle pretese civili effettuata in via equitativa.

 

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censurato l'avvocato

Censurato l’avvocato che offende e denigra la collega Sanzione della censura più adeguata rispetto alla sospensione dall’attività per l’avvocato che offende e denigra la collega

Sanzione della censura per l’avvocato

Merita di essere censurato l’avvocato che offende e denigra la collega nell’atto di costituzione e risposta. La sospensione dall’attività per due mesi non è appropriata se l’avvocato non ha precedenti disciplinari e se le frasi di contenuto offensivo e denigratorio sono inferiori rispetto a quelle per le quali è stato ritenuto colpevole dal Consiglio distrettuale di disciplina.

Lo ha chiarito il CNF nella sentenza n. 217-2024.

Procedimento disciplinare: avvocato offende la collega

Un avvocato viene sottoposto procedimento disciplinare dopo due esposti presentati dall’avvocato di controparte in una causa relativa all’affidamento e al mantenimento di un minore. L’avvocato viene incolpato, tra le altre cose, di aver utilizzato nella comparsa di costituzione parole offensive, sconvenienti e denigratorie dell’attività del collega difensore.

Lo stesso ha infatti utilizzato nell’atto termini come i seguenti:“subdole e infingarde insinuazioni”; la cattiveria più infima della signora”; nonostante la scorrettezza della collega” e similari, rivolti alla collega e alla sua cliente. Il tutto in violazione degli articoli 9, 42 e 52 del Codice deontologico Forense.

Il Consiglio di disciplina commina quindi la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di due mesi.

Frasi impiegate non sono tutte offensive

L’avvocato incolpato però ricorre la decisione davanti al Consiglio Nazionale Forense denunciando, in relazione alla contestata violazione degli articoli 42 e 52 del Codice deontologico, l’errata valutazione delle prove e dei documenti acquisiti agli atti.

Il ricorrente fa infatti presente che la maggior parte delle frasi, ritenute offensive, non erano rivolte alla collega, ma alla sua cliente. I termini “scorretta e subdola” rivolte alla collega inoltre non dovevano intendersi come offensive, ma come descrittive e giustificate dai comportamenti processuali tenuti dalla collega, che quelle parole volevano stigmatizzare.

Basta la censura, illeciti inferiori e senza precedenti

Il Consiglio Nazionale Forense precisa che la portata offensiva delle espressioni impiegate dall’avvocato ricorrente “è insita nel significato comune e corrente delle parole e delle aggettivazioni usate (subdole e infingardi insinuazioni”, scorrettezza della collega”, subdolamente adito”, riferite allAvv. [OMISSIS]; cattiveria più infima”, rissosa cliente”, boriosa e perfida cliente”, riferite alla sig.ra [OMISSIS]), e nessun passaggio argomentativo può valere a darne giustificazione anche laddove inserite, e forse a maggior ragione proprio perché inserite, in un atto diretto allAutorità giudiziaria.” 

Il CNF non nega la commissione di una pluralità di illeciti da parte dell’avvocato ricorrente, seppure nel numero ridotto di espressioni ritenute offensive e denigratorie. Esso non può neppure negare l’assenza di precedenti disciplinari. Ne consegue che la sanzione corretta da applicare nel caso di specie è la censura, non la sospensione dall’attività per due mesi.

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cane catena

Reato tenere il cane alla catena sotto il sole Cane alla catena, sotto il sole e senza acqua: la condotta configura il reato di abbandono di animali art. 727 c.p.

Cane alla catena: reato di abbandono art. 727 c.p.

Reato tenere il cane alla catena. E’ integrato, infatti, il reato di abbandono di animali di cui all’art. 727 del codice penale che punisce chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito le abitudini della cattività. Alla stessa pena  è soggetto anche chiunque detenga animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.

Il reato di abbandono si configura quindi anche quando un soggetto detenga un cane di grossa taglia a una catena di metallo pesante corte corta e stretta, in scarse condizioni igieniche, sotto il sole e senza acqua. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 38792/2024.

Tenere il cane alla catena sotto il sole senza acqua è reato

Il tribunale condanna un soggetto per il reato di abbandono di animale. Per l’autorità giudicante l’uomo è responsabile penalmente per aver detenuto un cane di razza Rottweiler in condizioni incompatibili con la sua natura, produttive di gravi sofferenze e in condizioni igieniche precarie.

L’uomo deteneva infatti l’animale legato a una corda corta e fissa tanto da provocargli uno strozzamento. Il cane inoltre si trovava esposto in pieno sole, ma la ciotola dell’acqua era vuota.

L’imputato contesta la sanzione, la somma quantificata a titolo di risarcimento in favore della parte civile e la mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Negata la sospensione condizionale: condotta grave

Per la Cassazione il ricorso deve essere respinto. Il primo motivo appare del tutto infondato così come la seconda doglianza nella quale l’imputato ha lamentato il mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena.

La Cassazione al riguardo precisa che il giudice di merito ha motivato la decisione in maniera congrua ed esente da vizi logici. Lo stesso ha infatti valorizzato la gravità della condotta dell’imputato.

Nella sentenza impugnata è descritta la detenzione sotto il sole di un cane di grossa taglia al quale è stata fatta indossare una catena di metallo pesante, del tutto priva di moschettoni rotanti e attorcigliata attorno al collo. L’animale detenuto in simili condizioni era impossibilitato a muoversi, quindi non poteva raggiungere un riparo. L’animale inoltre non aveva a sua disposizione neppure una ciotola  piena d’acqua per abbeverarsi.

 

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processo estinto

Processo estinto se non si paga il contributo unificato Processo estinto in caso di omesso o parziale pagamento del contributo unificato: lo prevede l’art. 105 della bozza della manovra di bilancio

Estinzione processo senza contributo unificato

Processo estinto nel caso di omesso pagamento del contributo unificato. Lo prevede l’articolo 105 della bozza della manovra di bilancio 2025, che in materia di revisione delle spese di giustizia, dopo l’articolo 307 c.p.c aggiunge il nuovo 307 bis c.p.c.

Estinzione del processore: cosa prevede l’art. 307 c.p.c.

L’attuale formulazione dell’art. 307 c.p.c prevede diverse cause di estinzione del processo civile.

II primo comma ricollega l’estinzione del processo alla mancata riassunzione della causa nel termine perentorio di tre mesi, decorrente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto art. 166 c.p.c o dalla data del provvedimento di cancellazione, se dopo la notifica nessuna delle parti si sia costituita entro il termine di cui all’art. 166 o se dopo la costituzione delle parti il giudice abbia disposto la cancellazione della causa dal ruolo.

Il secondo comma dispone invece l’estinzione del processo nel caso in cui, dopo la sua riassunzione, nessuna della parti si costituisca o il giudice ordini la cancellazione della causa dal ruolo.

Il terzo comma prevede infine che il processo si estingue anche quando il soggetto che vi è onerato non provveda, nei termini assegnati dal giudice o stabiliti dalla legge, a rinnovare la citazione o a proseguire, riassumere e integrare il giudizio.

Pagamento omesso o parziale: altri 30 giorni per pagare

La prima disposizione del nuovo art. 307 bis c.p.c è perentoria nella sua formulazione letterale. Essa impone infatti che Il processo si estingue per omesso o parziale pagamento del contributo unificato.” 

L’estinzione del processo però non è prevista in modo automatico. Il giudice infatti, nel corso della prima udienza, se verifica che il contributo unificato non è stato pagato o è stato pagato in parte, assegna alla parte interessata un termine di 30 giorni per provvedere al pagamento dell’intero importo o all’integrazione di quanto pagato fino a quel momento, rinviando l’udienza a una data immediatamente successiva.

Processo estinto se all’udienza di rinvio il contributo non risulta versato

Nel corso di questa nuova udienza il giudice, verificato il mancato pagamento del contributo nonostante la concessione del suddetto termine di 30 giorni, dichiara l’estinzione del processo.

Esito diverso se l’omesso pagamento del contributo riguarda la domanda riconvenzionale, la chiamata in causa, l’intervento volontario nei confronti di tutti le parti o per proporre l’impugnazione incidentale. In questi casi infatti il giudice non dichiara il processo estinto, ma si limita a dichiarare improcedibile la domanda.

Si estinguono anche processo del lavoro ed esecutivo

Queste regole, come precisano le ultime disposizioni della norma, si applicano anche elle controversie del rito lavoro e del processo esecutivo, mentre non trovano applicazione nei procedimenti cautelari e possessori.

Le reazioni dell’Avvocatura alla norma

La norma ha suscitato subito le reazioni dei principali organismi dell’avvocatura. L’Organismo Congressuale Forense ritiene incostituzionale bloccare un processo subordinandolo a imposizioni o prestazioni patrimoniali. Chiede quindi che la norma venga stralciata dal testo della manovra. Il Movimento Forense critica la norma perché in questo modo si subordina l’accesso alla giustizia a un adempimento fiscale. L’Associazione Nazionale Forense ricorda che nel 2022 il Governo aveva ritirato una disposizioni simile in quanto incostituzionale.

L’AIGA infine ha espresso la propria contrarietà alla norma con un comunicato stampa del 24 ottobre 2024 (sotto allegato), in cui il Presidente Foglieni dichiara che: “la nuova previsione normativa rischia di porsi come ostacolo al diritto costituzionalmente garantito del cittadino di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.”

 

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pensioni le misure

Pensioni: le misure più importanti della manovra Pensioni: la manovra conferma Ape Social, Opzione donna e Quota 103, novità invece per pensioni minime e per quelle dei residenti all’estero

Pensioni: le novità della manovra 2025

Pensioni le misure più importanti contenute nella manovra di bilancio 2025 che, nella sua versione iniziale, prima dell’esame parlamentare, prevede diverse novità in materia ma anche alcune conferme. 

Quota 103

Confermata quota 103 per chi è nel regime contributivo, ha raggiunto 62 anni di età e 41 anni di contributi. Più lunghi invece i tempi di attesa. I dipendenti privati dovranno attendere 7 mesi dalla presentazione della richiesta, i dipendenti pubblici 9 mesi.

Ape social

La manovra proroga Ape social per chi ha almeno 63 anni e 5 mesi di età e 30 anni minimi di contributi. I beneficiari dovranno essere:

  • disoccupati anche a causa di un licenziamento collettivo;
  • caregiver;
  • soggetti con provata riduzione della capacità lavorativa minima del 74%;
  • lavoratori impiegati in attività gravose.

Opzione donna

L’altra proroga riguarda opzione donna, di cui potranno beneficiare le donne che abbiano compiuto almeno 61 anni di età con 35 anni di contributi versati entro il 31 dicembre 2024. Le richiedenti devono però rientrare in determinate categorie:

  • disoccupate anche a causa di un licenziamento collettivo;
  • dedite all’assistenza del coniuge o di un parente di primo grado affetti da handicap grave da almeno 6 mesi;
  • con riduzione della capacità lavorativa in misura pari o superiore al 74%;
  • lavoratrici licenziate o alle dipendenze di imprese in cui è attivo il tavolo di confronto presso l’ex Mise per gestire le crisi aziendali.

Pensioni minime: misure antinflazione

L’articolo 25 della manovra è dedicato alle pensioni minime. Esso interviene per completare gli interventi transitori finalizzati al contrasto dell’inflazione registrata negli anni 2022 e 2023.

A tal fine la manovra va a modificare il comma 310 dell’art. 1 della legge di bilancio per il 2023 n. 197 del 17 dicembre 2022.

Comma 310 art. 1 legge di bilancio 2025

Questo il testo di risulta in seguito alle modifiche previste: Al fine di contrastare gli effetti negativi delle tensioni inflazionistiche registrate e attese per gli anni 2022 e 2023, per le pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo INPS, in via eccezionale con decorrenza 1° gennaio 2023, con riferimento al trattamento pensionistico lordo complessivo in pagamento per ciascuna delle mensilità da gennaio 2023 a dicembre 2026, ivi compresa la tredicesima mensilità spettante, è riconosciuto in via transitoria un incremento, limitatamente alle predette mensilità e rispetto al trattamento mensile determinato sulla base della normativa vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge, di 1,5 punti percentuali per l’anno 2023, elevati a 6,4 punti percentuali per i soggetti di età pari o superiore a settantacinque anni, e di 2,7 punti percentuali per l’anno 2024, di 2,2 punti percentuali per lanno 2025 e di 1,3 punti percentuali per lanno 2026.  L’incremento di cui al presente comma non rileva, per gli anni 2023 e 2024, 2025 e 2026 ai fini del superamento dei limiti reddituali previsti nel medesimo anno per il riconoscimento di tutte le prestazioni collegate al reddito. (…) Resta fermo che, ai fini della rivalutazione delle pensioni per gli anni 2023 e 2024, 2025 e 2026 il trattamento pensionistico complessivo di riferimento è da considerare al netto dell’incremento transitorio di cui al presente comma, il quale non rileva a tali fini e i cui effetti cessano in ogni caso, rispettivamente, al 31 dicembre 2023 e al 31 dicembre 2024, al 31 dicembre 2025 e al 31 dicembre 2026.” 

Pensione di vecchiaia: per lavoratrici con 4 o più figli

L’articolo 26 interviene sulle pensioni di vecchiaia delle lavoratrici attraverso la modifica dell’articolo 1, comma 40, lettera c) della legge n. 335/1995 La norma acquisisce così il seguente tenore letterale: Per i trattamenti pensionistici determinati esclusivamente secondo il sistema contributivo, sono riconosciuti i seguenti periodi di accredito figurativo: lett c) a prescindere dall’assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi dell’evento maternità, è riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia di cui al comma 19 pari a quattro mesi per ogni figlio e pari a sedici mesi complessivi nei casi di quattro o più figli.” 

Pensioni all’estero: stop perequazione automatica

L’ art. 27 della manovra prevede che, in via del tutto eccezionale, per il 2025, la rivalutazione automatica delle pensioni (art. 34 comma 1 legge n. 448/1998) non sarà riconosciuta ai pensionati che risiedono allestero e che percepiscono una pensione superiore al trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo di questi trattamenti. Qualora il trattamento pensionistico complessivo sia superiore al predetto importo e inferiore a tale limite aumentato dell’incremento disciplinato dal presente comma l’incremento è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.” 

Previdenza complementare

L’art. 28 modifica l’art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, prevedendo che a partire dal 1° gennaio 2025, solo per raggiungere l’importo soglia mensile, in caso di opzione per la rendita, su richiesta dell’assicurato, possa essere computato insieme all’ammontare mensile della prima rata di pensione base, anche il valore teorico di una o più prestazioni di rendita delle forme pensionistiche di previdenza complementare richieste dall’assicurato.

 

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accesso agli atti condominiali

L’accesso agli atti condominiali è gratuito L’accesso agli atti condominiali è una facoltà dei condomini che non richiede l'esborso di somme ulteriori rispetto ai diritti di copia

Accesso agli atti del condominio

L’accesso agli atti condominiali non è subordinato al pagamento di alcuna somma. I condomini che chiedono l’accesso agli atti condominiali non devono pagare all’amministratore di condominio un compenso ulteriore rispetto a quello concordato al conferimento dell’incarico. Lo ha chiarito il Tribunale di Milano nella sentenza n. 15169/2024.

Richiesta di accesso agli atti: la vicenda

Due condomini convengono in giudizio l’amministratrice condominiale chiedendo che venga condannata alla consegna o alla messa a disposizione in copia dei documenti condominiali indicati nell’atto di citazione. Gli attori dichiarano di aver chiesto alla convenuta con due PEC inviate a distanza di un mese una dall’altra di poter prendere visione ed estrarre copia di alcuni documenti condominiali, previo pagamento dei relativi oneri e previo appuntamento. La convenuta però non ha fornito alcun riscontro a queste richieste. L’amministratrice contesta la domanda nel merito chiedendo nel rigetto. Dopo il fallito tentativo di mediazione la causa prosegue e giunge in decisione.  

Facoltà di visionare ed estrarre copia dei documenti

Il Tribunale rileva la fondatezza della richiesta dei condomini. Ogni condomino infatti ha la facoltà di chiedere e ottenere dall’amministratore condominiale l’esibizione dei documenti contabili anche al di fuori del rendiconto annuale dell’approvazione del bilancio. Il richiedente che avanza tali richieste non ha l’onere di specificare i motivi per i quali vuole prendere visione o estrarre copia dei documenti del condominio. Le richieste non devono naturalmente intralciare l’attività amministrativa e non devono essere contrarie ai principi di correttezza. I costi relativi devono   gravare sui richiedenti.

Illegittima la richiesta di una somma aggiuntiva

Nel caso di specie il Tribunale ritiene provata la duplice richiesta degli attori formulata a mezzo pec. L’amministratrice però ha subordinato detta richiesta al pagamento dell’importo è di 100,00 euro, in quanto attività soggetta a retribuzione separata, trattandosi di richieste personali dei singoli condomini.

Trattasi  però di una condizione del tutto illegittima. L’unico onere economico che può essere imposto al singolo condomino che richieda di estrarre copia di alcuni documenti condominiali è rappresentato dalla spesa necessaria per avere la copia della documentazione originale.

“Non può considerarsi legittima, pertanto, l’eventuale richiesta da parte dell’amministratore di un compenso aggiuntivo o di un rimborso forfettario, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti strutturali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale.” 

Per garantire che l’amministratrice rispetti la domanda attorea il Tribunale dispone quindi il pagamento di 20,00 euro per ogni giorno di ritardo (ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c) nell’esecuzione del provvedimento di condanna, consistente nell’obbligo di consentire ai condomini la visione e l’eventuale copia dei documenti richiesti.

 

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