tutela del marchio

Tutela del marchio: risoluzione automatica per chi delocalizza A tutela del marchio di particolare interesse nazionale il decreto del 28 ottobre 2024 prevede il subentro del MIMIT e di imprese estere

Decreto del MIMIT: tutela del marchio

A tutela del marchio il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha emanato il decreto del 28 ottobre 2024 contenente le “Disposizioni operative relative alle procedure di tutela dei marchi di particolare interesse e valenza nazionale” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 160 del 6 novembre 2024.

Intestazione al MIMIT e alle imprese che operano in Italia

Il decreto si occupa dei marchi di particolare interesse e valore nazionale per i quali il comma 2 dell’articolo 7 della legge n. 206/2023 prevede il subentro gratuito del MIMIT nella titolarità del marchio di quelle imprese che intendono cessare l’attività purché il marchio non sia stato ceduto dall’impresa licenziataria o che ne abbia la titolarità.

Ai sensi del co. 3 di detto articolo 7 il MIMIT può anche depositare la domanda di registrazione per i marchi inutilizzati da almeno cinque anni. Il co. 4 del suddetto art. 7 prevede infine che questi marchi possano essere anche utilizzati da imprese estere solo se hanno intenzione di trasferire in Italia le attività produttive collocate all’estero.

Subentro del Ministero o di un’impresa estera

Alla luce di queste previsioni il primo articolo del decreto prevede, a carico dell’impresa che voglia cessare l’attività, l’obbligo di redigere un progetto di cessazione, utilizzando un format appositamente predisposto.

Progetto che va poi trasmesso all’indirizzo pec della Direzione Generale per la politica industriale, la riconversione e la crisi industriale, l’innovazione, le PMI e il Made in Italy: DGIND@pec.mimit.gov.it.

Il decorso di tre mesi senza riscontro deve essere interpretato come manifestazione di non interesse a subentrare nel marchio. In caso contrario il Ministero dovrà avviare immediatamente i lavori con l’impresa.

Nel caso in cui l’interesse all’utilizzo del marchio provenga da un impresa estera la stessa dovrà presentare apposita richiesta e inviarla all’UMASI, l’ufficio a supporto delle imprese, al seguente indirizzo pec: umasi@pec.mise.gov.it

Risoluzione automatica se l’impresa delocalizza

L’articolo 2 del decreto prevede infine che “il contratto di licenza d’uso del  marchio si risolve qualora l’impresa licenziataria cessi  l’attività o delocalizzi gli stabilimenti produttivi al di fuori del territorio nazionale.”

Per consentire il monitoraggio del rispetto delle prescrizioni l’impresa licenziataria dovrà trasmettere una relazione ogni sei mesi all’UMASI, che potrà anche effettuare verifiche sugli stabilimenti presenti sul territorio nazionale dell’impresa licenziataria.

 

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mentire sul contributo unificato

Mentire sul contributo unificato: cosa si rischia Mentire sul reddito per pagare un contributo unificato inferiore integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche

Reato dichiarare il falso per pagare di meno

Mentire sul reddito percepito per pagare una cifra inferiore di contributo unificato configura il delitto di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato. In questo caso l’agente commette il reato previsto dall’articolo 316 ter del codice penale e non il reato di falsità ideologica di cui all’articolo 483 c.p. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 40872/2024.

Falsità ideologica mentire sul reddito

La Corte di appello assolve l’imputata per la particolare tenuità del fatto in relazione al reato di falsità ideologica commesso dal privato in un atto pubblico di cui all’art. 483 c.p.

La donna, per pagare un contributo unificato inferiore a quello previsto per legge e dovuto in relazione a varie controversie di lavoro avviate, ha dichiarato infatti un reddito inferiore rispetto a quello che successivamente è stato accertato.

Reato ex art. 316 ter c.p.

La donna nel ricorrere in Cassazione contesta però il reato ascrittole. La sua condotta integrerebbe il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316 ter c.p, che assorbe il delitto di falso, come chiarito dalla sentenza “Carchivi”.

Per l’imputata dichiarare un reddito inferiore per ottenere un provvedimento di esenzione dal pagamento di una somma dovuta allo Stato equivale a conferire una somma di denaro a titolo di contributo. Anche in quest’ultimo caso infatti, il dichiarante ottiene un indebito vantaggio in danno della società.

Nel caso di specie tuttavia la soglia di punibilità prevista per il reato di indebita percezione non è stata superata. Il vantaggio economico che la stessa ha ricavato di soli 43,00 euro, pari al risparmio sul contributo unificato dovuto.

Vantaggio economico in danno della società

La Cassazione accoglie il ricorso, perché fondato.

La sentenza Carchivi richiamata dall’imputata ha chiarito infatti che un fatto astrattamente riconducibile al delitto di quellart. 483 cod. pen è assorbito in quello di cui allarticolo 316 ter del medesimo codice quando la dichiarazione falsa è finalizzata ad ottenere un indebita erogazione pubblica.” 

Questo perché il reato punito dall’articolo 316 ter c.p si consuma in presenza di una falsa dichiarazione rilevante ai sensi dell’articolo 483 c.p o con l’uso di un atto falso.

Solo i reati di cui agli articoli 483 c.p e 489 c.p restano assorbiti dall’articolo 316 ter c.p, che concorre invece con altri diritti di falso commessi eventualmente per ottenere erogazioni indebite.

La successiva sentenza “Pizzuto” è giunta alle stesse conclusioni. La stessa ha infatti chiarito che integra il reato di indebita percezione di erogazione a danno dello Stato la falsa attestazione circa le condizioni reddituali per lesenzione dal pagamento del ticket per prestazioni sanitarie e ospedaliere (…)”.

In questo modo si realizza in effetti un’erogazione ai danni dello Stato, anche in assenza di un esborso, quando il richiedente ottiene un vantaggio economico a carico della comunità.

Deve quindi affermarsi, nel rispetto della stessa ratio, il principio per il quale il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato si configura anche quandola falsa attestazione sulle condizioni reddituali è volta a ottenere lesenzione dal pagamento del contributo edificato.” Questa esenzione permette infatti al soggetto dichiarante di beneficiare di un vantaggio economico  in danno della collettività.

 

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matrimonio per prova

Matrimonio per prova: sì della Cassazione Il matrimonio per “prova” non produce un danno ingiusto meritevole di risarcimento del danno: lo afferma la Cassazione

Matrimonio per “prova”: no al danno ingiusto

La Cassazione ammette il matrimonio per “prova”. Lo stesso “non rappresenta il fatto costitutivo di responsabilità risarcitoria l’omessa comunicazione da parte di uno dei coniugi, prima della celebrazione del matrimonio, dello stato psichico di concreta incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale e della scelta di contrarre matrimonio con la riserva mentale di sperimentare la possibilità che il detto vincolo non si dissolva”. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza  n. 28390/2024.

Riserva mentale: matrimonio nullo per il diritto ecclesiastico

Una coppia di coniugi si scontra in Tribunale. La moglie, dopo sei mesi dalle nozze avvia una causa presso il Tribunale ecclesiastico per ottenere la nullità del matrimonio. La donna afferma di non aver mai creduto nella indissolubilità del legame matrimoniale. La stessa si è sposata “per prova”. Il Tribunale ecclesiastico dichiara nullo il matrimonio con sentenza. In seguito la donna avvia diversi procedimenti nei confronti del marito, compresi un procedimento penale e la separazione, opponendosi alla richiesta di dividere i beni in comunione e di divorziare.

Risarcimento del danno per il matrimonio per “prova”

Per tutte le ragioni suddette l’uomo agisce in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali provocati dalla condotta della moglie. Il Tribunale però respinge la domanda e condanna l’uomo per responsabilità aggravata. Questa decisione viene confermata anche in sede d’appello. La questione giunge infine in Cassazione.

Il matrimonio per prova non produce un danno ingiusto

La Cassazione nel rigettare il ricorso precisa che nel caso di specie manca un comportamento produttivo di un danno ingiusto o in grado di configurare una responsabilità pre-negoziale.

Il ricorrente denuncia, come produttiva di danno, la mancata comunicazione da parte dell’ex moglie, prima della celebrazione del matrimonio, della propria riserva mentale.

Controparte infatti ha affermato di essersi voluta sposare per “prova”. La stessa era incerta sulla possibilità della futura insorgenza di fatti capaci di rendere intollerabile la convivenza. Il Tribunale Ecclesiastico ha dichiarato nullo il matrimonio. In sede civile però la Corte di appello non ha accolto la domanda di riconoscimento della sentenza ecclesiastica. La stessa è contraria all’ordine pubblico “derivante dalla necessità di protezione dell’affidamento incolpevole del coniuge ignaro della riserva mentale, la quale è estranea al regime della nullità del matrimonio previsto dall’ordinamento civile.”

Ed è proprio l’assenza di una nullità rilevante per l’ordinamento civile a sgombrare il campo dalla responsabilità dell’ex moglie in malafede.

La presenza di un dubbio tale da spingere la donna a contrarre matrimonio per “prova” non genera una responsabilità risarcitoria a carico della stessa.

Ogni coniuge ha il diritto di separarsi e di divorziare

La Corte di legittimità ricorda che la SU n. 500/1999 hanno stabilito che “ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all’ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente.”

Alla luce di questo principio gli Ermellini ricordano che la libertà matrimoniale è un diritto della personalità sancito dall’articolo 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Nel vigente diritto di famiglia ogni coniuge ha il diritto, a prescindere dalla volontà o dalle colpe dell’altro, di separarsi e di divorziare. In questo modo attua un diritto individuale di libertà da ricondurre all’articolo 2 della Costituzione.

“(…) Affinché tale libertà non sia compromessa dall’incombenza di una  conseguenza come la responsabilità risarcitoria derivante dall’inottemperanza ad un dovere giuridico, la comunicazione in discorso, in quanto relativa alla sfera personale affettiva, può comportare esclusivamente un dovere morale o sociale. Alla luce della libertà della scelta matrimoniale non emergono, dalla mancata comunicazione dello stato d’animo di incertezza in questione, un interesse della controparte meritevole di tutela da parte dell’ordinamento con il riconoscimento e rimedio risarcitorio e, dunque, un danno ingiusto.”

 

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avvocati sempre autonomi

Avvocati sempre autonomi Avvocati sempre lavoratori autonomi anche se operano all’interno di studi associati con vincoli orari e regole di organizzazione e coordinamento

Prestazioni avvocato studio associato: natura autonoma

Avvocati sempre autonomi, anche se operano in via esclusiva all’interno di uno studio associato e seguono le regole necessarie a coordinare e organizzare il lavoro di tutti. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 28274/2024.

Natura subordinata prestazioni avvocato

Una avvocata agisce in giudizio per ottenere il riconoscimento della natura subordinata del proprio lavoro, svolto all’interno di uno studio legale associato, con tutte le conseguenze di legge. I giudici di primo e di secondo grado giungono alla medesima conclusione. Il rapporto di lavoro nell’ambito di una prestazioni a contenuto professionale, ha natura autonoma.

Avvocati lavoratori autonomi?

La legale impugna la decisione in sede di Cassazione. Per la ricorrente la Corte d’appello ha negato la natura di lavoro subordinato sulla base di due elementi. Il primo è l’assenza di soggezione della ricorrente a un potere di conformazione esercitato dal socio di riferimento dello Studio associato, in relazione al merito contenutistico della sue prestazioni professionali. Il secondo è la sussistenza di un ambito di autoregolazione dell’orario di lavoro e delle assenze per le vacanze. Per la ricorrente la Corte ha trascurato il potere di direzione e quello conformativo del contenuto dell’attività intellettuale richiesta.

Studi associati: avvocati lavoratori autonomi

Nel rigettare il ricorso la Corte di Cassazione precisa che la questione giuridica da risolvere riguarda la qualificazione autonoma o subordinata dell’attività professionale svolta dalla professionista in uno Studio associato. Trattasi nello specifico di uno Studio di grandi dimensioni in cui operano avvocati associati e non associati, come la ricorrente.

Gli Ermellini ricordano di essersi già occupati in diverse occasioni di questa tematica e di aver  chiarito che: la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero- organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui”. 

Orari ed esclusiva non rendono subordinato il rapporto

In diverse pronunce gli Ermellini hanno chiarito che le prestazioni professionali che vengono svolte dall’avvocato, per loro natura, non richiedono l’esercizio di un potere gerarchico, che si manifesti in ordini specifici e tipici del potere disciplinare.

La fissazione di un orario di lavoro ed eventuali controlli sull’operato non sono sintomatici del vincolo della subordinazione, se non si traducono nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione da parte del datore.

La Corte di merito ha rilevato correttamente, dopo un’approfondita indagine sulle modalità di svolgimento del lavoro, che la ricorrente ha svolto l’attività di avvocato in modo libero, autonomo e del tutto indipendente, pur in presenza di regole necessarie a coordinare la sua attività con quella dello Studio. Essa ha rilevato inoltre che lo studio in cui la ricorrente era inserita è un’associazione professionale composta da 50 avvocati, 296 professionisti iscritti a vari albi e 95 dipendenti a supporto. L’autorità di secondo grado ha esaminato il regolamento interno e i documenti che disciplinano i vari aspetti dello studio e ha rilevato che i poteri decisionali non sono di spettanza esclusiva dei soci.

Agevolazioni e prerogative in cambio di limitazioni

All’intero di questo Studio il singolo avvocato, in cambio di qualche limitazione, beneficia di agevolazioni e prerogative. Le regole organizzative sono previste solo per gestire la complessità collegata al numero dei professionisti e al tipo di clientela.

Per quanto riguarda le ferie, i singoli professionisti si limitano a segnalare le singole esigenze per consentire a tutti di godere di un periodo di riposo senza lasciare scoperto lo studio. Anche il fisso mensile non è idoneo a inquadrare il rapporto come subordinato. Ogni avvocato infatti partecipa anche al ricavato delle pratiche che procura, tipico aspetto della libera professionale.

L’obbligo di esclusiva infine è previsto solo per evitare conflitti di interesse che potrebbero insorgere se a ogni professionista fosse consentita la gestione di una clientela propria.

 

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affitti brevi

Affitti brevi: IVA e fattura elettronica obbligatorie Affitti brevi: raggiunto l’accordo UE sul regime IVA, che riguarderà anche AIRBNB, obbligata dal 2030 a riscuotere e versare l’imposta

Accordo IVA UE

Per gli affitti brevi novità dall’Unione Europea in materia di Iva e fatturazione elettronica. Lo comunica il Consiglio Europeo, che informa di avere raggiunto un accordo (VIDA Vat in the digital age) sulle misure fiscali che riguarderanno anche le piattaforme digitali.

Il pacchetto IVA, sul quale è stato raggiunto un accordo dopo due anni di trattative, persegue l’obiettivo di contrastare le frodi e semplificare gli adempimenti delle piccole imprese e dei singoli prestatori di servizi.

L’accordo riguarda in particolare un regolamento, un regolamento di esecuzione e una direttiva.

Modifiche del sistema IVA: novità anche per le locazioni brevi

Questi tre atti modificheranno vari aspetti del sistema IVA.

  • Entro il 2030, gli obblighi di comunicazione IVA potranno essere assolti in modalità completamente digitale.
  • Le piattaforme online, compresa AIRBNB, dovranno pagare l’IVA sui servizi del contratto di locazione breve se i prestatori di servizi non addebiteranno l’imposta.
  • Più sportelli IVA e più efficienti per evitare registrazioni costose a carico delle imprese che operano in più Stati.

Comunicazioni digitali IVA:  e-fattura

L’attuale obbligo di presentazione degli elenchi riepilogativi di beni e servizi alienati alle imprese di altri Stati UE e soggetti a IVA verrà sostituito dalla comunicazione in tempo reale delle fatture elettroniche a fini IVA. Le varie amministrazioni fiscali degli Stati condivideranno i dati attraverso un sistema che sarà in grado di rilevare le operazioni fraudolente. Questo progetto verrà attuato in due fasi diverse. La sua introduzione avverrà nel 2030, la sua interoperabilità entro il 2035.

Locazioni brevi: obblighi IVA per le piattaforme

Al momento molte piattaforme online che prestano servizi non pagano l’IVA. Questo perché i singoli proprietari di appartamenti che li concedono a terzi con contratti di locazione breve, ignorano completamente gli obblighi fiscali o non conoscono i vari adempimenti da rispettare nei singoli paesi UE, soprattutto se soggetti privati od operanti con un regime speciale previsto in favore delle piccole imprese.

Questo crea una discrasia tra coloro che stipulano contratti di locazione breve in modo tradizionale e coloro che, invece, si affidano alle piattaforme.

In base alle nuove regole IVA, chi gestisce le piattaforme sarà responsabile della riscossione dell’Iva se i prestatori di servizi non adempiono (modello del prestatore presunto). La piattaforma quindi riscuoterà l’IVA dal cliente e poi la verserà alle autorità competenti.

Il regime di raccolta e di versamento dell’IVA da luglio 2028 sarà facoltativo, ma dal gennaio 2030 diventerà obbligatorio.

Sportello Unico registrazioni IVA

L’accordo estende l’utilizzo dello sportello unico non solo per le cessioni e prestazioni transfrontaliere, anche per le vendite tra le imprese e i consumatori di determinati prodotti, come l’energia elettrica o il gas, che vengono effettuate in uno Stato membro diverso dal proprio.

In questo modo più imprese potranno assolvere ai propri obblighi IVA tramite uno sportello unico e in un’unica lingua.

 

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stalking il gps

Stalking il GPS sull’auto dell’ex moglie GPS sull’auto della ex moglie e una serie di condotte vessatorie e persecutorie integrano il reato di stalking

Reato di stalking

Stalking il GPS sullauto della moglie posizionato per monitorarne tutti i movimenti, accompagnato da una serie di condotte vessatorie, offensive  e accusatorie. La Cassazione non si fa convincere dalla versione del marito, quando afferma che il GPS è stato posizionato all’interno dell’auto da un investigatore privato da lui incaricato per dimostrare l’infedeltà della moglie ai fini dell’addebito della separazione. Questo quanto emerge dalla sentenza degli Ermellini n. 40504/2024.

Commette stalking il marito che perseguita l’ex moglie

La Corte d’Appello accoglie l’impugnazione del pubblico ministero e condanna a un anno di reclusione l’imputato per il reato di stalking aggravato ai danni della ex moglie. L’imputato avrebbe messo in atto nei confronti della donna una vera campagna persecutoria. Pedinamenti, offese in presenza di estranei, messaggi telefonici e telefonate in cui la accusava di tradimento. L’uomo inoltre avrebbe posizionato un GPS all’interno dell’abitacolo della donna per poterne monitorare gli spostamenti e le avrebbe danneggiato l’auto con un oggetto appuntito.

Manca il nesso di causa tra condotte e ansia della vittima

L’imputato impugna la decisione in sede di Cassazione e nel terzo motivo contesta l’erronea applicazione dell’art. 612 bis c.p perché manca la prova del nesso di causa tra le condotte ascritte e lo stato d’ansia che la persona offesa ha lamentato. In questo motivo l’imputato precisa inoltre che il GPS è stato collocato all’interno dell’auto della ex moglie da un investigatore privato per finalità collegate all’addebito della separazione. La condotta non rientrerebbe quindi tra quelle contestate e finalizzate al compimento di atti persecutori.

Responsabile di stalking il marito che posiziona il GPS sull’auto della ex

La Corte di Cassazione ritiene l’intero ricorso infondato e quindi non meritevole di accoglimento. Il primo motivo è inammissibile il secondo del tutto infondato. Il terzo è inammissibile perché è finalizzato ad ottenere una rivalutazione delle prove.

Dimostrati ansia e cambiamento abitudini di vita

La Corte d’Appello ha spiegato in maniera coerente e completa la responsabilità dell’imputato per il reato di stalking, ritenendolo colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. L’uomo si è reso responsabile di un sistematico e ossessivo agire persecutorio ai danni della ex moglie, sfociato pedinamenti, insulti gravi e minacce di morte di salute oltreché in intrusione significative della sfera personale.” L’uomo è arrivato addirittura ad installare un dispositivo di localizzazione “GPS” nell’autovettura della donna. Tutte queste condotte, considerate nel loro complesso, risultano idonee a causare uno stato d’ansia e di paura e a provocare la modificazione di numerose abitudini di vita quotidiana. La donna infatti non usciva più da sola, si era munita di uno spray al peperoncino e di un allarme con S.O.S. Il tentativo del ricorrente di far passare i comportamenti vessatori come una conseguenza della conflittualità insorta nel corso della separazione rende il ricorso inammissibile proprio perché in questo modo il ricorrente chiede di rivalutare i fatti sotto un’altra ottica.

 

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faccia di bronzo alla controparte

“Faccia di bronzo” alla controparte: avvocato sanzionato “Faccia di bronzo” alla controparte in un procedimento arbitrale: commette un illecito disciplinare l’avvocato che usa questa espressione

Condotta sanzionabile dell’avvocato

Viola l’articolo 52 del Codice di deontologia Forense l’avvocato che apostrofa una controparte con il termine “faccia di bronzo”. L’espressione risulta offensiva e irrispettosa della personalità altrui. Lo ha ribadito il Consiglio nazionale Forense nella sentenza n. 220/2024.

Censura per l’avvocato che dà della “faccia di bronzo”

Un soggetto agisce in sede disciplinare nei confronti di un avvocato. Nel primo esposto il denunciante accusa l’avvocato di avere promosso un procedimento finalizzato a fare ottenere alla figlia l’intestazione di alcune quote di immobili di sua proprietà. All’interno del secondo esposto invece si duole della mancata restituzione dei documenti relativi alle pratiche nelle quali il legale lo aveva assistito.

Nel corso del giudizio disciplinare emerge anche la responsabilità dell’avvocato per aver apostrofato il suo ex assistito, controparte nel procedimento contro la figlia, con il termine “faccia di bronzo”. Per il Consiglio Distrettuale di Disciplina il linguaggio utilizzato dal legale è “censurabile. Lo stesso risulta infatti irrispettoso del decoro inteso in senso oggettivo e dell’altrui personalità. In ogni caso esso eccede in maniera manifesta i limiti della convenienza. Concluso il procedimento disciplinare il CDD sanziona quindi l’avvocato con la sanzione della censura.

Dare della “faccia di bronzo” non è un illecito

L’avvocato impugna la decisione di fronte al CNF. Nel ricorso contesta i vari capi di incolpazione tra i quali la violazione dell’art. 52 del Codice deontologico. Questa norma impone in particolare all’avvocato di evitare l’utilizzo di espressioni offensive o sconveniente negli scritti in sede di giudizio e nell’esercizio dell’attività professionale nei confronti dei colleghi, dei terzi, dei magistrati e delle controparti.

A sua difesa l’avvocato precisa che “le espressioni da lui utilizzate avrebbero dovuto essere contestualizzate nell’ambito del procedimento arbitrale, ove egli riferisce di essere stato destinatario di numerose provocazioni della controparte. L’organo disciplinare non avrebbe quindi prestato un’adeguata attenzione alla condotta dell’esponente e del suo avvocato difensore.

Indubbia l’offensività e la sconvenienza delle espressioni utilizzate

Per il Consiglio Nazionale Forense  però il ricorso è del infondato e va respinto, compreso il motivo sull’utilizzo delle espressioni offensive e sconvenienti rivolte alla controparte. Per il CNF infatti “non vi è dubbio che le espressioni usate dall’incolpato siano offensive e quantomeno sconvenienti anche nel particolare contesto in cui sono state rese”. Si ha conferma di queste conclusioni in diversi precedenti: sentenza del CNF n. 341 del 29 dicembre 2023,  n. 134 del 5 luglio 2023 e n. 280 del 31 dicembre 2023.

 

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Fondo patrimoniale: vale per la famiglia nucleare Il Fondo patrimoniale deve soddisfare i bisogni della famiglia nucleare, è nullo l’atto  che non menziona la figlia della coppia beneficiaria

Fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale può essere costituito anche da un terzo. La sua costituzione però deve essere finalizzata a soddisfare i bisogni della famiglia nucleare. Nell’ipotesi in cui venga costituito per atto tra vivi, richiede l’accettazione dei coniugi per il suo perfezionamento. E’ quindi nullo per mancanza di causa l’atto pubblico con cui i genitori della ex convivente costituiscono un fondo patrimoniale che non menziona la figlia minore della donna e dell’ex convivente. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 27792/2024.

Costituzione di fondo patrimoniale da parte di terzi

I genitori di una giovane donna con atto pubblico costituiscono un fondo patrimoniale. In esso fanno confluire l’immobile di famiglia, di cui la figlia è proprietaria al 50%. L’ex compagno ricorre in giudizio per ottenere la dichiarazione di nullità dell’atto pubblico notarile con cui è stato costituito il fondo. Per l’uomo l’atto è nullo per illiceità della causa o del motivo o per mancanza del soggetto e dell’oggetto.

Il Tribunale però respinge la domanda, ma l’uomo non desiste e ricorre in appello.

La Corte dell’impugnazione questa volta accoglie le doglianze dell’ex compagno. In effetti il  tribunale ha respinto il ricorso perché ha ritenuto erroneamente che il fondo fosse stato costituito per fare fronte ai bisogni della famiglia. In realtà nell’atto costitutivo la figlia minore della coppia non è stata menzionata.

Fondo patrimoniale: famiglia nucleare non parentale

La decisione viene impugnata in sede di legittimità. Nella motivazione la Cassazione ricorda come l’accordo con cui si costituisce un fondo patrimoniale rientri tra le convenzioni matrimoniali e che i beni che lo stesso comprende siano vincolati a soddisfare i bisogni della famiglia. La SU 21.658/2009 ha però ulteriormente chiarito che il fondo patrimoniale non si riferisce alla famiglia c.d. parentale, ma alla famiglia nucleare, che comprende oltre che i coniugi anche i figli legittimi, naturali ed adottivi dei coniugi, minori e maggiorenni non autonomi patrimonialmente.” Il fondo patrimoniale può dunque costituirsi solo a beneficio di tutti i componenti della famiglia nucleare fondata sul matrimonio o sull’unione civile (ex art.1, comma 13, 1.76/2016) e i beneficiari godono di una semplice aspettativa di fatto ai proventi del fondo ed alla destinazione finale dei beni.”

Nullo se non soddisfa i bisogni della famiglia nucleare

Nel caso di specie la Corte d’appello ha accertato che nell’atto costituivo del fondo non era presente alcun riferimento alla figlia minore della coppia. Il fondo quindi non era stato costituito per fare fronte ai bisogni della famiglia nucleare. Le parti dell’atto costitutivo erano solo i genitori della donna e la stessa, ma questa opzione non è contemplata, perché non può essere costituito un fondo patrimoniale per soddisfare i bisogni di due distinte famiglie nucleari. L’unico nucleo dell’atto era quello costituito dai genitori della donna separata e dalla stessa. Per cui era privo di causa il conferimento nel fondo della quota di comproprietà che la donna aveva sulla casa coniugale, in comunione con l’ex convivente.

 

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manutenzione autoclave

Manutenzione autoclave: spese da ripartire in base ai millesimi Per la manutenzione dell’autoclave le spese vanno ripartite in base ai millesimi di proprietà, non in proporzione all’uso

Manutenzione autoclave e riparto spese

Per la manutenzione dell’autoclave le spese tra i condomini vanno ripartite in base al criterio dei millesimi di proprietà e non in base all’uso. L’autoclave non va a innovare l’impianto idrico, si tratta di un’opera di conservazione dello stesso di cui rappresenta una componente. La sua utilità è pari per tutte le unità per cui non è applicabile il criterio di riparto in base all’uso. Lo ha previsto il Tribunale di Termini Imerese nella sentenza n. 1125/2024.

Tabelle millesimali per la manutenzione dell’autoclave

Alcuni condomini impugnano una delibera assembleare nella parte in cui, per la suddivisione delle spese di manutenzione dell’autoclave, applica le tabelle millesimali. Il Giudice di primo grado annulla la delibera  perché ritiene che l’applicazione delle tabelle millesimali per il riparto delle spese comporti per i condomini un onere superiore a quello previsto dall’articolo 1123 c.c, comma II. Gli impugnanti in effetti non sono proprietari e non utilizzano la piscina presente sul lato a monte del Condominio, per la quale l’autoclave viene impegnata in misura prevalente.

Le proprietà dei condomini sono servite dall’autoclave

Il Condominio appella la decisione facendo valere la correttezza delle tabelle millesimali impiegate per il riparto delle spese e adottate dalla delibera impugnata. Lo stesso fa presente che i condomini impugnanti sono proprietari di 6 unità immobiliari serviti dall’autoclave e che in realtà l’erogazione dell’acqua per riempire la piscina è del tutto occasionale. Con il secondo motivo il Condominio sottolinea come la delibera non abbia applicato un metodo diverso per la suddivisione delle spese dell’autoclave.

Autoclave: componente dell’impianto idrico

Per il Tribunale adito l’appello del Condominio è ammissibile e deve essere accolto nel merito.

L’autorità giudicante ricorda prima di tutto che l’autoclave è un bene comune art. 1117 c.c. Essa fa parte dell’impianto idrico del Condominio e raccoglie l’acqua dalla rete pubblica in un serbatoio di accumulo. L’acqua viene quindi prelevata e inviata tramite l’elettropompa al serbatoio di pressione, pressurizzata e distribuita nella rete del Condominio. L’autoclave costituisce quindi una componente essenziale dell’impianto che permette di condurre l’acqua nelle varie unità immobiliari. La sua natura condominiale comporta che le spese di manutenzione debbano essere suddivise tra tutti i condomini o a quelli che serve in base al valore proporzionale delle proprietà esclusive art. 1223 comma 1 e all’uso art. 1223 comma 2.

Riparto spese in base ai millesimi di proprietà

Il Tribunale ricorda però che la Cassazione ha chiarito che: “le spese relative alla installazione di detta autoclave restano soggette agli stessi criteri di ripartizione fissati per l’impianto idrico, mentre la circostanza che l’edificio sia composto di più piani, serviti in misura differente dalla pompa dell’autoclave, non è di per sufficiente a giustificare una diversa ripartizione secondo il criterio della proporzionalità alluso (artt. 1123 e 1124 cod. civ.).”

Per comprendere se questo principio sancito dalla Cassazione per le spese di installazione dell’autoclave possa essere applicato anche in relazione alle spese straordinarie di manutenzione   occorre appurare in che modo si qualifica l’autoclave.

Ora, se come affermato da una importante Cassazione l’autoclave è un’opera di conservazione dell’impianto idrico e non un’innovazione, le spese di installazione e di manutenzione hanno natura omogenea e quindi sono soggette alla stessa regolamentazione. Ne consegue che le spese di manutenzione dell’autoclave dovranno essere suddivise tra i condomini secondo i millesimi di proprietà e non secondo luso.”

 

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Legge Pinto: taglio degli interessi nella manovra 2025 Legge Pinto: le modifiche della manovra 2025 per razionalizzare i costi e rispettare gli obiettivi del PNRR

Le modifiche della manovra alla Legge Pinto

La manovra 2025 interviene anche sulla legge Pinto. L’obiettivo delle modifiche è di razionalizzare i costi che derivano dalla violazione del termine di durata ragionevole dei processi. Il tutto anche per rispettare gli obiettivi del PNRR che riguardano il settore giustizia.

La norma dedicata a innovare la disciplina contenuta nella legge Pinto n. 89/2001 è l’articolo 109, nella formulazione attualmente disponibile del testo della manovra 2025.

Le modifiche convergono tutte nella direzione di provvedere al pagamento se il richiedente provvede a inviare la domanda e la documentazione necessaria e completa nei tempi previsti. Pena la perdita degli interessi.

Dichiarazioni e documentazione (art 5 sexies)

La manovra richiede ora al creditore di impegnarsi a tramettere, insieme alla dichiarazione di cui al comma 1 dell’art. 5 sexies, tutta la documentazione necessaria (in base ai decreti del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia di cui ai commi 3 e 3 bis) per la pratica di richiesta dell’indennizzo e di comunicare ogni eventuale variazione dei dati e dei documenti che ha già trasmesso.

La manovra precisa che la dichiarazione di cui al comma 1 art. 5 sexies, con cui il creditore attesta la mancata riscossione del credito per lo stesso titolo, le somme che gli sono ancora dovute, i modi in cui desidera ottenere il pagamento devono essere presentate previa compilazione dei moduli predisposti e nelle modalità telematiche individuate dai decreti del Ministero dell’Economia e del Ministero della Giustizia.

Legge Pinto: un anno per l’invio

L’invio delle dichiarazioni e dei documenti dovrà avvenire nel termine di un anno. La decorrenza di questa termine ha inizio dalla data di pubblicazione del decreto che accoglierà la domanda di equa riparazione.

Decorso di questo termine, fino alla presentazione della dichiarazione, non decorreranno interessi.

La dichiarazione avrà inoltre una durata biennale e dovrà essere rinnovata se la Pubblica amministrazione lo richiede. Anche in questo caso il creditore dovrà presentarla nei modi e nelle forme richieste dai decreti del Ministero del’Economia e del Ministero della Giustizia di cui ai commi 3 e 3 bis dell’art. 5 sexies.

Trasmissione irregolare e perdita degli interessi

Il nuovo comma 4 dell’art. 5 sexies sanziona con la perdita degli interessi la mancata, incompleta e irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione dovuta per tutto il periodo necessario a integrare la dichiarazione o la documentazione. A questo inadempimento segue anche l’impossibilità di emettere l’ordine di pagamento.

Il nuovo comma 12 bis dispone inoltre che, al fine di ottenere in tempi più rapidi il pagamento, i creditori delle somme che sono state liquidate ai sensi della legge Pinto e sino al 31 dicembre 2021, potranno rinnovare la richiesta di pagamento nei modi stabilii dai decreti dei commi 3 e 3 bis.

Sarà il Ministero della Giustizia a dare notizia di questa facoltà di rinnovo della domanda pubblicando specifico avviso sul proprio sito istituzionale.

Sarà sempre il Ministero della Giustizia infine a monitorare e valutare l’efficienza delle procedure di pagamento e dei risparmi di spesa.

 

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