cuneo fiscale

Cuneo fiscale: le novità della manovra 2025 Cuneo fiscale: le novità più importanti della manovra di bilancio 2025 che impattano in vari modi sul costo del lavoro

Legge di Bilancio 2025: le novità sul cuneo fiscale

La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto importanti modifiche al cuneo fiscale, riducendo la distanza tra il costo del lavoro e il reddito netto percepito dai lavoratori. La legge 30 dicembre 2024, n. 207 nei primi commi dell’articolo 1 in parte conferma e in parte innova alcune misure già sperimentate nel 2024, con effetti significativi sulla tassazione e sui benefici fiscali.

Revisione delle aliquote IRPEF

Dal 1° gennaio 2025, le aliquote IRPEF, in base alla previsione contenuta nel comma 2, art. 1 della legge di bilancio, sono riorganizzate in tre scaglioni di reddito:

  • 23% per redditi fino a 28.000 euro;
  • 35% per redditi tra 28.001 e 50.000 euro;
  • 43% per redditi oltre 50.000 euro.

Questa struttura conferma, con modifiche minime, quanto già previsto nel 2024. Le nuove aliquote mirano a semplificare il sistema fiscale e ridurre l’impatto per i redditi medio-bassi.

Aumento della detrazione minima

La detrazione minima prevista dall’art. 13 del TUIR sale da 1.880 euro a 1.955 euro. Questo incremento, sperimentato nel 2024, diventa quindi strutturale nel 2025. Nonostante l’aumento, il trattamento integrativo, pari a un massimo di 1.200 euro, continua ad essere riconosciuto per redditi fino a 28.000 euro, in specifiche condizioni.

La nuova “No tax area” si attesta a 8.500 euro. Il trattamento integrativo compensa le situazioni in cui le detrazioni superano l’imposta lorda dovuta, garantendo un’adeguata tutela per i redditi bassi.

Cuneo fiscale: novità su bonus e detrazioni

Al posto dell’esonero contributivo sperimentato nel 2024, in favore dei titolari di reddito derivante dello svolgimento del lavoro dipendente, vengono introdotte due nuove misure:

Bonus per redditi fino a 20.000 euro, calcolato in percentuale sul reddito di lavoro dipendente:

  • 7,1% per redditi fino a 8.500 euro;
  • 5,3% per redditi tra 8.500 e 15.000 euro;
  • 4,8% per redditi tra 15.000 e 20.000 euro.

– Ulteriore detrazione per redditi tra 20.000 e 40.000 euro:

  • 1.000 euro per redditi fino a 32.000 euro;
  • importo decrescente per redditi tra 32.000 e 40.000 euro.

Il sostituto d’imposta riconoscerà automaticamente queste agevolazioni in busta paga e verificherà la correttezza delle somme e la spettanza delle stesse in sede di conguaglio. Qualora gli importi delle agevolazioni non dovessero spettare i sostituti d’imposta procederanno al recupero, che per somme superiori a 60,00 euro, dovrà avvenire in 10 rate.

Trattamento integrativo speciale e detassazione mance

Il trattamento integrativo speciale previsto dal comma 395 della legge di bilancio 2025 viene confermato per i lavoratori del settore turistico se titolari di reddito non superiore a 40.000 euro in relazione al periodo di imposta 2024.

Per chi lavora in alberghi e ristoranti, il bonus è pari al 15% delle retribuzioni lorde percepite per lavoro straordinario, notturno o festivo nel periodo tra gennaio e settembre 2025. Tale trattamento non concorre alla formazione del reddito.

La legge, tramite il comma 520, amplia le agevolazioni sulle mance per i lavoratori del comparto turistico e della ristorazione. Le mance, anche elettroniche, saranno tassate con un’imposta sostitutiva del 5%, entro il limite del 30% del reddito annuo e solo per lavoratori con redditi sotto i 75.000 euro.

Tracciabilità dei rimborsi spese

La legge al comma 81, attraverso la modifica dell’art. 51 TUIR, introduce nuovi obblighi di tracciabilità per i rimborsi spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto. Tali rimborsi non concorreranno alla formazione del reddito solo se effettuati con strumenti di pagamento tracciabili, come bonifici o carte elettroniche. Questa norma si applicherà esclusivamente ai rimborsi analitici, escludendo quelli forfettari e chilometrici.

 

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danno da perdita di chance

Danno da perdita di chance: basta la revisione della decisione  Danno da perdita di chance: per il risarcimento non basta la lesione di una mera aspettativa, per riparare basta la revisione della decisione

Risarcimento danno da perdita di chance

Il risarcimento del danno da perdita di chance è il focus della sentenza del Consiglio di Stato n. 10324/2024, che affronta così un tema cruciale per il diritto amministrativo. Dalla decisione emerge chiaramente che questo tipo di risarcimento non si limita a una compensazione economica. Esso può anche consistere nella revisione della decisione amministrativa contestata. Analizziamo i punti chiave della pronuncia.

Procedura selettiva annullata: danno da perdita di chance

Un candidato aveva partecipato a una procedura selettiva per incarichi dirigenziali bandita dal Ministero dell’Istruzione. Non risultando vincitore, aveva contestato la valutazione dei punteggi, ritenendoli irragionevoli. Dopo un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il Consiglio di Stato aveva annullato gli atti della procedura per manifesta illogicità nei criteri di valutazione.

Il candidato, ritenendo di aver perso l’opportunità di vincere, aveva richiesto al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio il risarcimento del danno patrimoniale, curriculare e non patrimoniale. Il TAR aveva respinto la domanda, decisione confermata successivamente dal Consiglio di Stato.

Il risarcimento non è automatico

Il Consiglio di Stato ha chiarito  infatti che il risarcimento del danno non segue automaticamente all’annullamento di un provvedimento amministrativo. Per ottenere il risarcimento, è necessario dimostrare:

  • la condotta illegittima dell’amministrazione;
  • il nesso causale tra la condotta e il danno;
  • la perdita concreta e ingiusta subita dal ricorrente.

L’onere della prova spetta al ricorrente, il quale deve fornire elementi certi o almeno altamente probabili per dimostrare il danno subito.

Perdita di chance: bene giuridico autonomo

La perdita di chance si deve tradurre in una possibilità concreta di conseguire un risultato favorevole, non un danno ipotetico o remoto. La giurisprudenza distingue la perdita di chance da una semplice aspettativa, richiedendo una probabilità vicina alla certezza del risultato perduto.

In questo caso, il Consiglio di Stato ha rilevato che il ricorrente non aveva dimostrato che, con una valutazione diversa dei punteggi, avrebbe certamente o probabilmente ottenuto l’incarico. La procedura coinvolgeva 97 candidati, di cui 74 ammessi alla fase finale. La possibilità del ricorrente di vincere, anche con una diversa valutazione dei titoli, è risultata priva di una base probatoria sufficiente.

La perdita di chance non richiede una probabilità matematica superiore al 50%, come suggerito da alcune sentenze. Tuttavia, la mera possibilità statistica, senza una base concreta, non è sufficiente per ottenere il risarcimento. In altre parole, la chance deve essere valutata in termini di un valore economico reale, non di un’aspettativa generica. Questo approccio evita di equiparare la chance alla certezza del risultato.

La revisione della decisione può bastare

L’aspetto interessante della sentenza da sottolineare però è il richiamo alla possibilità che il risarcimento consista nella revisione della decisione amministrativa. In alcuni casi, pertanto, l’annullamento degli atti impugnati e la corretta valutazione del candidato possono costituire una forma di riparazione sufficiente, rendendo superflua una compensazione economica. Tuttavia, ciò presuppone che il ricorrente dimostri un legame causale tra l’errore dell’amministrazione e la perdita subita.

 

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appropriazione indebita

Appropriazione indebita trattenere i beni mobili dell’ex marito Appropriazione indebita: scatta il reato per la moglie che deve lasciare l’immobile assegnato e trattiene i beni dell’ex marito

Reato di appropriazione indebita

L’appropriazione indebita scatta nel momento in cui l’assegnatario dell’immobile, obbligato, in sede di divorzio, a lasciare l’abitazione, continua a trattenere i beni altrui. La mancata restituzione dei beni dell’ex coniuge presenti nella casa coniugale assegnata durante la separazione, non costituisce infatti automaticamente reato.

Il possesso dei beni durante la separazione può quindi essere considerato lecito, purché i beni stessi facciano parte del corredo della casa coniugale. Se però sopravviene l’obbligo legale di liberare l’immobile, la volontà di non restituire i beni configura un illecito penale. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 47057/2024.

Reato trattenere i beni mobili dell’ex coniuge

La Corte di Appello di Catania ha confermato una sentenza del Tribunale di Ragusa del 2020. La condanna riguardava un caso di appropriazione indebita da parte di una donna nei confronti dell’ex coniuge. La donna aveva trattenuto beni di pregio appartenenti all’ex marito, che facevano parte dell’arredamento della loro ex casa coniugale.

La ricorrente per opporsi alla condanna si è rivolta alla Corte di Cassazione, sostenendo due punti principali. Ha contestato la tardività della querela presentata dall’ex marito e ha invocato l’applicazione dell’articolo 649 del codice penale, che esclude la punibilità per reati tra coniugi non separati legalmente. La difesa ha sostenuto anche che l’ex marito era consapevole, già dal 2009, dell’intenzione della donna di non restituire i beni. Inoltre, ha affermato che il presunto reato si sarebbe verificato quando il matrimonio era ancora in vigore, quindi prima del divorzio del 2015.

Inapplicabile l’art. 649 c.p. se la coppia è divorziata

La Corte di Cassazione però ha giudicato il ricorso inammissibile, ritenendo infondate le motivazioni della difesa per diversi motivi.

La proprietà dei beni contestati non era mai stata messa in discussione. Il possesso dei beni però era stato inizialmente attribuito alla donna, in quanto parte dell’arredamento della casa coniugale assegnata a lei durante il divorzio. Il comportamento della donna non ha quindi configurato il reato di appropriazione indebita fino all’estate del 2017.

Nel corso di questo anno però la donna ha asportato i beni dalla casa coniugale e li ha consegnati a un antiquario per la vendita. Questo comportamento è stato ritenuto il primo atto concreto di appropriazione indebita. Di questi fatti l’ex marito è venuto a conoscenza solo nell’agosto 2017, la querela, presentata il 16 agosto 2017, è stata quindi tempestiva.

La Corte ha respinto anche l’applicazione dell’articolo 649 del codice penale. Il reato è stato commesso in effetti dopo il divorzio, quindi non rientra nei casi di non punibilità previsti dalla norma. Dalla sentenza emerge in conclusione che l’appropriazione indebita di beni mobili rappresenta un reato perseguibile anche tra ex coniugi, soprattutto quando il comportamento illecito avviene dopo la cessazione del vincolo matrimoniale.

 

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cessione sepolcro gentilizio

Cessione sepolcro gentilizio: indebito arricchimento per il terzo Cessione sepolcro gentilizio non consentita, l’accordo inter-vivos è nullo, azione di indebito arricchimento per il terzo

Cessione sepolcro gentilizio

In relazione ai diritti su un sepolcro gentilizio la recente sentenza n. 190/2025 della Corte Suprema di Cassazione, cassando una decisione della Corte d’Appello di Roma, sancisce l’intrasmissibilità sia a titolo oneroso che gratuito degli stessi da parte degli eredi. Ne consegue che, se il terzo, come nel caso di specie, effettua lavori di ristrutturazioni del sepolcro stesso, l’unica azione esperibile, stante la nullità del contratto di vendita, è l’azione di indebito arricchimento.

Contesa sul sepolcro familiare

La vicenda giudiziaria ha inizio quando una vedova conviene in giudizio i cognati presso il Tribunale di Cassino. Essi, dopo la morte del marito, le avevano apparentemente ceduto i diritti di proprietà e uso su un’edicola cimiteriale di famiglia, situata in un piccolo comune laziale. La cessione era stata formalizzata con una scrittura privata. Convinta della validità dell’atto, la donna aveva sostenuto spese per 25.000 euro per la ristrutturazione del sepolcro familiare. Completati i lavori però i fratelli avevano negato la validità della cessione e rivendicato la proprietà del sepolcro come eredi diretti dei genitori. Tale situazione aveva costretto la vedova a seppellire altrove il marito e ad avviare un’azione legale per ottenere il rimborso delle somme spese.

Scrittura privata nulla: indebito arricchimento terzo

Il Tribunale di Cassino, riconosciuta la nullità della scrittura privata per la cessione del sepolcro gentilizio, accoglieva la domanda dell’attrice e condannava i convenuti al pagamento pro-quota della somma richiesta, basandosi sull’azione di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 del Codice Civile. Per il Tribunale infatti, considerata la nullità della scrittura privata, l’azione di indebito arricchimento era l’unica praticabile.

Corte d’appello: esperibile l’azione art. 2043 c.c.

La Corte d’Appello di Roma però accoglieva il primo motivo del gravame dei soccombenti di primo grado e condannava la vedova al pagamento delle spese legali dei due gradi di giudizio. La vedova a questo punto ricorreva in Cassazione contestando la decisione del giudice dell’impugnazione.

Diritti sepolcro gentilizio: intrasmissibilità

La Suprema Corte nell’accogliere il ricorso, sottolinea due principi fondamentali:

  • nel caso di un sepolcro gentilizio o familiare, i diritti sullo stesso non possono essere trasmessi tramite atti inter vivos. Essi derivano iure sanguinis, cioè dal legame di sangue con il fondatore, e non iure successionis;
  • la nullità della scrittura privata determinata dalla intrasmissibilità inter vivos del sepolcro familiare elimina il titolo contrattuale, rendendo inapplicabili azioni basate su rapporti contrattuali o di comunione. L’azione di indebito arricchimento rappresenta l’unica strada percorribile.

La Corte cassa quindi la sentenza della Corte d’Appello di Roma, rinviando il caso per un nuovo esame in base ai principi stabiliti.

Dalla vicenda emerge l’importanza di rispettare i vincoli giuridici legati ai diritti sul sepolcro gentilizio. La sentenza della Cassazione rafforza il principio di intrasmissibilità di tali diritti, assicurando che essi rimangano legati alla sfera familiare come originariamente concepiti dal fondatore.

 

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naspi

NASpI: la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego NASpI la nuova assicurazione Sociale per l’impiego è una misura che interviene in favore di determinati disoccupati involontari

NaSpI: cos’è

La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) è l’indennità di disoccupazione che viene riconosciuta su base mensile. La misura è stata istituita dal Decreto Legislativo n. 22 del 4 marzo 2015 e riguarda i lavoratori subordinati che perdono involontariamente il lavoro.

Questo strumento rappresenta una misura fondamentale per garantire un aiuto economico ai cittadini nei momenti di maggiore difficoltà lavorativa. Vediamo quindi nel dettaglio cos’è, come funziona, a chi è rivolta e come presentare domanda.

La NASpI è un’indennità mensile introdotta per sostituire altre forme di sussidio, come la disoccupazione ordinaria e quella con requisiti ridotti. Si tratta di un contributo economico erogato dall’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) per sostenere i lavoratori che si trovano in stato di disoccupazione involontaria. La sua finalità è garantire una protezione temporanea a chi perde il proprio impiego, agevolando il reinserimento nel mondo del lavoro.

Come funziona la NASpI

La NASpI prevede il calcolo di un’indennità proporzionata alla retribuzione media mensile del lavoratore nei quattro anni precedenti alla perdita del lavoro.

L’importo è determinato secondo una formula specifica, con un tetto massimo stabilito annualmente. L’indennità viene erogata per un periodo pari alla metà delle settimane di contribuzione versate nei quattro anni precedenti, fino a un massimo di 24 mesi.

Il beneficio si riduce progressivamente del 3% ogni mese, a partire dal primo giorno del sesto mese. Questo meccanismo è stato pensato per incentivare il beneficiario a cercare attivamente una nuova occupazione.

La decorrenza della misura varia a seconda del motivo per il quale il lavoratore subisce una sospensione o una interruzione del rapporto di lavoro (cessazione; licenziamento per giusta causa, maternità, malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale o preavviso)-

A chi è rivolta la NASpI

La NASpI è destinata ai lavoratori subordinati che perdono il lavoro per cause indipendenti dalla propria volontà, come il licenziamento individuale o quello collettivo. Possono accedere all’indennità:

  • i lavoratori a tempo indeterminato e determinato;
  • gli apprendisti;
  • i soci di cooperative con rapporto di lavoro subordinato;
  • il personale artistico con contratto subordinato.

Sono esclusi invece i dipendenti pubblici con contratto a tempo indeterminato, i lavoratori agricoli, per i quali sono previste altre forme di tutela, i lavoratori in pensione (vecchiaia o anticipata) i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lo svolgimento del lavoro stagionale, e i titolari dell’assegno di invalidità che non hanno scelto la NASpI.

NASpI: requisiti di accesso

Per accedere alla NASpI è necessario soddisfare i requisiti principali:

  • essere disoccupati involontariamente;
  • aver accumulato almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti;
  • aver svolto almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione.

Come fare domanda per la NASpI

La domanda per la NASpI deve essere presentata esclusivamente in via telematica all’INPS. È possibile inoltrarla attraverso:

  • il portale web dell’INPS, accedendo con SPID, CIE o CNS;
  • I patronati, che offrono assistenza gratuita;
  • il Contact Center INPS al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) o 06 164 164 (da rete mobile).

Durante la procedura, è necessario allegare la documentazione relativa al rapporto di lavoro cessato e dimostrare la propria disponibilità a rientrare nel mondo del lavoro, anche se sull’obbligatorietà di effettuare la DID si rilevano opinioni discordi.

 

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pensioni 2025

Pensioni 2025: le novità della manovra Pensioni 2025: la manovra di bilancio prevede una serie di misure che tuttavia non portano benefici di rilievo per i pensionati italiani

Pensioni 2025: nuove regole, più flessibilità

La legge di bilancio 2025 introduce significative novità sul fronte delle pensioni, con l’obiettivo di migliorare la flessibilità in uscita. Tra le principali modifiche spicca la possibilità di anticipare la pensione a 64 anni, grazie al cumulo dei fondi di previdenza complementare. Tuttavia, non mancano criticità.

Contributivo: anticipo per chi ha la complementare

Dal 2025, i lavoratori che hanno aderito al sistema contributivo puro potranno richiedere la pensione anticipata a 64 anni. Per farlo, dovranno accumulare almeno 20 anni di contributi e raggiungere un importo minimo di trattamento pari a tre volte l’assegno sociale (534,41 euro mensili nel 2024).

La grande novità è la possibilità di includere nel calcolo anche la rendita dei fondi di previdenza complementare. Questa modifica permette di colmare eventuali lacune nel raggiungimento della soglia minima richiesta. Tuttavia, il requisito contributivo aumenterà progressivamente: 25 anni nel 2025 e 30 anni dal 2030.

Chi non ha aderito alla previdenza complementare continuerà a seguire le regole attuali. Potrà accedere alla pensione anticipata a 64 anni solo se il trattamento previsto soddisfa i requisiti minimi senza l’apporto di rendite integrative.

Le agevolazioni per le donne: opzione donna ampliata

Opzione donna richiede 61 anni come requisito anagrafico e 35 anni invece come requisito contributivo in un’unica gestione previdenziale. Di questa opzione potranno beneficiare anche le lavoratrice che hanno maturato i predetti requisiti entro il 31 dicembre 2024.

A opzione donna possono accedere anche le donne con 60 anni di età se madri di un figlio e con 59 anni di età se madri di almeno 2 figli nel caso in cui le stesse d+siano state licenziate p siano alle dipendenze di un datore di lavoro in crisi.

Il nuovo comma 179 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2025 amplia l’applicazione di opzione donna consentendo alle madri di quattro figli di accedere alla pensione con un anticipo di 16 mesi rispetto all’età ordinaria.

Quota 103

Per la pensione anticipata con quota 103 è necessario avere 62 anni di età e aver versato 41 anni di contributi.  Finestra mobile di 7 mesi per i privati, che sale a 9 mesi per i dipendenti pubblici.

Ape sociale rifinanziata

Nuove risorse per l’ape social che permette di andare in pensione anticipata a 63 anni e 5 mesi di età e 30 anni di contributi, che salgono a 32 anni per i lavoratori edili e a 35 per coloro che svolgono attività gravose.

Pensioni minime

Per quanto riguarda le pensioni minime, la manovra prevede un incremento simbolico a partire dal 2025. La rivalutazione del 2,2% porta il trattamento minimo da 598,61 euro a 616,67 euro. Nel corso del 2025 per 13 mesi, i titolari dell’assegno sociale, se hanno compiuto alleno 70 anni, beneficeranno di un aumento di 8 euro al mese a condizione che siano ciechi titolari di trattamento pensionistico, sordomuti, invalidi civili totali, ciechi civili totali, maggiorenni.

Perequazione pensioni residenti all’estero

Per i residenti all’estero, nel 2025, in via del tutto eccezionale, non viene riconosciuto l’incremento derivante dalla perequazione automatica per i trattamenti pensionistici individuali complessivi superiori all’importo minimo stabilito dal regime generale INPS. Questa esclusione eccezionale avrà effetti anche sui ratei futuri. Resta comunque garantito l’incremento fino a raggiungere l’importo minimo, adeguato secondo la perequazione automatica.

Critiche e prospettive future

La manovra ha ricevuto elogi e critiche. La stessa ha introdotto misure interessanti, ma non ha risolto i nodi strutturali del sistema pensionistico. Se da un lato si incentiva l’uso dei fondi integrativi, dall’altro si alza l’asticella per il pensionamento anticipato, creando nuove disuguaglianze. Resta da vedere se queste riforme sapranno garantire un equilibrio tra sostenibilità finanziaria e tutela dei diritti dei lavoratori. Per ora, il dibattito resta aperto.

 

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rateizza adesso

Rateizza adesso: il servizio dell’Agenzia delle Entrate Rateizza adesso: il servizio online dell’Agenzia delle Entrate che consente dal 1° gennaio di rateizzare i debiti fiscali fino a 120.000 euro

Rateizza adesso: nuove dilazioni fino a 7 o 10 anni

Dal 1° gennaio 2025 il servizio “Rateizza Adesso” dell’Agenzia delle Entrate permette di rateizzare i debiti iscritti a ruolo in base alle nuove regole previste dal decreto legislativo n. 110/2024, che ammette anche piani di pagamento fino a 84 rate con una semplice richiesta online. Vediamo i dettagli.

Rate fino a 84 mesi con richiesta semplificata

I contribuenti con debiti iscritti a ruolo fino a 120.000 euro possono dilazionare i pagamenti con un piano fino a 84 rate mensili. È sufficiente dichiarare di trovarsi in una temporanea difficoltà economica. La richiesta può essere inviata tramite il servizio online “Rateizza adesso” sul sito dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdeR).

Il servizio permette di:

  • visualizzare i debiti rateizzabili;
  • selezionare il numero di rate, fino a un massimo di 84;
  • ricevere in tempo reale l’esito e il piano di pagamento.

In alternativa, si può utilizzare la modulistica disponibile sul sito AdeR, inviandola tramite PEC o presentandola agli sportelli.

Rate fino a 10 anni con richiesta documentata

Per importi superiori a 120.000 euro o per dilazioni superiori a 84 rate, il contribuente deve dimostrare la propria difficoltà economico-finanziaria. Questo avviene allegando documenti come l’ISEE o altri indicatori previsti dalla normativa.

Gli indicatori economici considerati includono:

  • ISEE per persone fisiche e ditte individuali;
  • indici di liquidità e solidità per imprese e altri soggetti;
  • indicatori specifici per condomini e soggetti colpiti da eventi eccezionali.

Per queste richieste di rateizzo documentate il contribuente può utilizzare il servizio “Simula il numero delle rate” disponibile sul sito AdeR per verificare se sussiste la difficoltà temporanea, il numero delle rate possibili e in singolo importo delle stesse.

Aumenti progressivi del numero di rate

Il decreto prevede un aumento graduale del numero massimo di rate:

  • fino a 96 rate per le domande dal 2027 al 2028;
  • fino a 108 rate dal 2029.

Le nuove regole offrono maggiore flessibilità e semplicità per i contribuenti in difficoltà economica. Con il servizio “Rateizza adesso” e la modulistica aggiornata, si facilita la gestione dei debiti. Tuttavia, per importi elevati o piani più lunghi, restano necessarie documentazioni specifiche. Questi strumenti rappresentano un importante passo avanti nella semplificazione del sistema di riscossione.

 

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dimissioni di fatto

Dimissioni di fatto Dimissioni di fatto: l'assenza ingiustificata del lavoratore oltre i termini del contratto causa la risoluzione dello stesso per sua volontà

Dimissioni di fatto: le novità del collegato lavoro

IlCollegato Lavoro“, entrato in vigore il 12 gennaio 2025, introduce importanti novità sulle dimissioni dei lavoratori in caso di assenze ingiustificate. La riforma, tra le altre cose, mira a semplificare le procedure e a contrastare comportamenti opportunistici volti a ottenere il trattamento di disoccupazione NASpI.

Norma di riferimento

La norma che qui interessa analizzare ha modificato l’articolo 26 del dlgs n. 81/2015, a cui ha aggiunto il comma 7 bis, che così dispone:In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dellIspettorato nazionale del  lavoro, che può  verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto  per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo.  Le  disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per  causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.” Vediamo di chiarirne il contenuto.

Dimissioni e assenza ingiustificata: la nuova disciplina

La norma cardine è l’articolo 19 del decreto, che stabilisce che lassenza ingiustificata prolungata oltre i termini contrattuali comporta la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore. Se il contratto collettivo non prevede indicazioni specifiche, il termine è fissato in 15 giorni consecutivi.
In questi casi, il datore di lavoro ha l’obbligo di:

  • comunicare l’assenza all’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL), che può effettuare accertamenti;
  • considerare risolto il rapporto di lavoro, senza necessità di dimissioni telematiche, a meno che il lavoratore non giustifichi validamente la propria assenza.

Effetti delle dimissioni di fatto o “per fatti concludenti”

Le dimissioni di fatto, dette anche “per fatti concludenti”, hanno conseguenze rilevanti per il lavoratore, ovvero:

  • esclusione dal diritto alla NASpI: il lavoratore, considerato dimissionario, non può accedere all’indennità di disoccupazione;
  • esenzione per il datore dal ticket di licenziamento: il datore di lavoro non è quindi tenuto a versare il contributo NASpI;
  • facoltà di trattenere lindennità di preavviso: se previsto dal contratto, il datore può trattenere dalle competenze finali l’indennità relativa al mancato preavviso.

Obblighi di comunicazione e verifiche dell’ITL

Il datore di lavoro deve notificare l’assenza ingiustificata all’ITL. Gli ispettori hanno il compito di verificare l’effettività della comunicazione e prevenire eventuali abusi, sia da parte del lavoratore sia del datore. LIspettorato Nazionale del Lavoro (INL), con la nota n. 9740 del 30 dicembre 2024, ha preannunciato linee guida operative per garantire uniformità applicativa.

Quando non si applica la risoluzione

La normativa prevede un’importante eccezione. Il rapporto non si considera risolto se il lavoratore dimostra:

  • la presenza di cause di forza maggiore, che impediscono la comunicazione;
  • la sussistenza di fatti imputabili al datore di lavoro, come errori amministrativi o violazioni contrattuali. Capaci di impedire la comunicazione dei motivi che giustificano l’assenza del dipendente.

In questi casi, il lavoratore mantiene il diritto alla NASpI, e il datore non può trattenere il preavviso.

Dimissioni di fatto e NASpI: il nodo centrale

L’obiettivo del legislatore è chiaro: evitare che l’assenza ingiustificata venga usata per ottenere un licenziamento disciplinare e, quindi, il diritto alla NASpI. Ricordiamo che l’indennità spetta solo a chi perde il lavoro involontariamente, escludendo i casi di dimissioni volontarie o di risoluzione per fatti concludenti.

Le dimissioni di fatto segnano un cambio di paradigma, equiparando l’assenza ingiustificata prolungata a una chiara volontà di dimissioni. La misura introduce vantaggi operativi per i datori di lavoro, anche se solleva diversi interrogativi sul piano delle tutele per i lavoratori. Le prossime indicazioni operative dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro saranno fondamentali per chiarire i dettagli applicativi e garantire equità nell’applicazione della norma.

 

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colloqui intimi in carcere

Colloqui intimi in carcere: diritto non mera aspettativa Colloqui intimi in carcere: non aspettativa, ma diritto previsto da Costituzione e CEDU come sancito dalla Consulta nella sentenza n. 10/2024

Colloqui intimi in carcere: l’intervento della Cassazione

La possibilità per i detenuti di svolgere colloqui intimi con il proprio coniuge o convivente non è una semplice aspettativa. Si tratta di un diritto, come ribadito dalla Corte di Cassazione, che ne ha sottolineato il valore costituzionale. La decisione segue la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2024, che ha dichiarato illegittima la normativa penitenziaria nella parte in cui negava tali colloqui senza giustificazioni specifiche.

Con la sentenza n. 8/2025, la Prima Sezione Penale della Cassazione ha annullato un provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Torino. Quest’ultimo aveva giudicato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego opposto dall’istituto penitenziario di Asti. La motivazione del rifiuto si basava sull’assenza di spazi adeguati nella struttura. Secondo il tribunale, la richiesta del detenuto non configurava un diritto tutelabile, ma una semplice aspettativa. La Cassazione ha smentito questa interpretazione, evidenziando che la libertà di vivere relazioni affettive rientra tra i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.

Intimità in carcere: la sentenza della Consulta

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10/2024, aveva già chiarito che il diritto all’affettività dei detenuti non può essere cancellato, ma solo regolamentato. La libertà di esprimere normali relazioni affettive non può essere soppressa da norme generali e astratte. Eventuali limitazioni devono essere giustificate da esigenze specifiche, come la sicurezza, l’ordine interno o il comportamento del detenuto. Negare indiscriminatamente tale diritto viola la dignità della persona e i principi costituzionali sanciti dagli articoli 27 e 117 della Costituzione, oltre che dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Il problema dell’applicazione pratica

Nonostante il riconoscimento del diritto, la sua effettiva applicazione rimane un nodo irrisolto. La mancanza di spazi adeguati nelle carceri italiane rappresenta il principale ostacolo. Nel marzo 2024, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro per affrontare il problema, ma al momento non si registrano progressi concreti. Dal coordinamento dei magistrati di sorveglianza di fine ottobre emerge che nessun istituto penitenziario ha ancora provveduto a risolvere in concreto il problema.

Colloqui intimi in carcere: un diritto da tutelare

La Cassazione ha ricordato che il diritto dei detenuti a coltivare relazioni affettive merita tutela giurisdizionale. I magistrati di sorveglianza, pertanto, devono intervenire per garantire il rispetto di questo diritto. Se le strutture penitenziarie non sono adeguate, spetta all’amministrazione penitenziaria predisporre soluzioni idonee. L’inerzia dell’amministrazione, infatti, si traduce in una lesione grave e attuale di un diritto fondamentale.

Il riconoscimento dei colloqui intimi come diritto rappresenta un passo importante verso il rispetto della dignità e dell’umanità dei detenuti. Tuttavia, senza interventi concreti e tempestivi per adeguare le strutture, tale diritto rischia di rimanere solo sulla carta. È necessario che le istituzioni, a partire dal Ministero della Giustizia, garantiscano le condizioni per l’effettiva fruizione di questo diritto, in linea con i principi costituzionali e gli obblighi internazionali.

 

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Allegati

rimborsi adozioni internazionali

Rimborsi adozioni internazionali: come fare domanda Rimborsi adozioni internazionali: dal 7 gennaio al 6 aprile 2025 è possibile presentare le istanze per il recupero delle spese

Rimborsi adozioni internazionali: le novità

Il decreto del Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità del 6 agosto 2024 ha introdotto importanti disposizioni per i rimborsi delle spese relative alle adozioni internazionali. Il provvedimento, registrato dalla Corte dei Conti il 12 settembre 2024, prevede:

  • le modalità per richiedere i rimborsi delle spese sostenute per le adozioni concluse nel 2023;
  • la riapertura dei termini per le richieste relative alle adozioni concluse nel 2022.

Termini di presentazione della domanda di rimborso

Le domande di rimborso possono essere inviate dalle ore 00:01 del 7 gennaio 2025 fino alle ore 23:59 del 6 aprile 2025. Le domande presentate oltre questa scadenza saranno considerate irricevibili.

Modalità di invio delle istanze

Per le procedure che si cono concluse tra il 1° gennaio e il 31 dicembre sia del 2022 sia del 2023, le istanze devono essere inviate tramite il portale “Adozione Trasparente” della Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI). L’accesso al portale richiede l’autenticazione con SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) o CIE (Carta d’Identità Elettronica).

Per alcune situazioni specifiche, come previsto dall’art. 36, comma 4, della legge n. 184/1983, o per chi ha adottato senza l’ausilio di un Ente autorizzato, le istanze possono essere inviate:

  • con raccomandata con avviso di ricevimento;
  • Per Posta Elettronica Certificata (PEC) all’indirizzo segreteria@pec.governo.it

Documentazione richiesta

Per garantire l’ammissibilità della domanda, è indispensabile presentare tutti i documenti richiesti, tra cui:

  • la certificazione delle spese sostenute rilasciata dall’Ente autorizzato;
  • l’attestazione ISEE in corso di validità;
  • la copia dei documenti d’identità dei coniugi.

In caso di adozione pronunciata all’estero e riconosciuta in Italia, è necessario allegare anche:

  • il provvedimento del Tribunale per i minorenni che riconosce l’adozione;
  • l’autocertificazione )Modello B DPR 445/2000) e la documentazione contabile delle spese sostenute.

Per le adozioni di minori “special needs”, è obbligatorio includere una dichiarazione attestante questa condizione.

Rimborsi adozioni internazionali importi

Il rimborso massimo è determinato in base alla fascia di reddito ISEE:

  • fino a 25.000 euro: rimborso massimo di 11.400 euro;
  • tra 25.001 e 40.000 euro: rimborso massimo di 9.000 euro;
  • oltre 40.000 euro: rimborso massimo di 6.600 euro.

In assenza dell’attestazione ISEE, il rimborso massimo è di 6.600 euro. Le spese rimborsabili includono i costi documentati per assistenza, traduzione, legalizzazione di documenti, trasferimenti e soggiorni all’estero.

Ai fini della quantificazione del rimborso sono esclusi gli importi erogati a titolo di contributo da parte degli enti territoriali con finalità analoghe a quelle di sostegno del percorso preadottivo.

Per i genitori di minori “special needs”, è previsto un contributo aggiuntivo proporzionato alla fascia ISEE, fino a un massimo di 3.420 euro.

Erogazione dei rimborsi adozioni internazionali

Entro 60 giorni, decorrenti dalla scadenza dei termini di presentazione delle istanze la segreteria tecnica della Commissione per le adozioni internazionali conclude la fase di valutazione della ammissibilità delle domande.

La liquidazione del rimborso si verifica una volta conclusa positivamente l’istruttoria della singola istanza.

Ogni rimborso erogato, completo dei dati identificativi del beneficiario, dovrà essere comunicato all’Agenzia delle Entrate per l’elaborazione della dichiarazione precompilata e per l’applicazione di eventuali deduzioni.

Istanze incomplete e assistenza

Le domande incomplete o prive della documentazione richiesta saranno dichiarate inammissibili. Per chiarimenti, è possibile inviare quesiti via email all’indirizzo rimborsi.cai@governo.it, specificando nell’oggetto “quesito DM rimborsi”. Le richieste di assistenza devono pervenire entro 10 giorni dalla scadenza per l’invio delle istanze.

Per maggiori dettagli e per le modalità operative, si invita a consultare il sito della Commissione per le Adozioni Internazionali: www.commissioneadozioni.it.