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Autovelox, tutor e telelaser: cosa cambia  Il decreto sulle modalità e la collocazione degli autovelox e dei dispositivi di rilevazione della velocità assicura sicurezza e trasparenza

Decreto autovelox: trasparenza e sicurezza

Il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dell’11 aprile 2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 maggio 2024, introduce importanti cambiamenti per autovelox, tutor e telelaser, a tutela degli automobilisti.

Il provvedimento si occupa della segnalazione preventiva dei sistemi di rilevazione della velocità e dei luoghi di installazione di queste apparecchiature. Queste modifiche mirano a migliorare la sicurezza stradale e a garantire una maggiore trasparenza e correttezza nell’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità, al fine di accertare le violazioni di cui all’articolo 142 del Codice della Strada.

La normativa rappresenta un passo avanti significativo nel controllo della velocità sulle strade italiane, limitando gli abusi e focalizzando l’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità in aree veramente critiche.

Vediamo quali sono le principali novità introdotte dal provvedimento.

Autovelox: uso limitato

Gli autovelox non possono essere installati sulle strade urbane che presentano limiti di velocità inferiori a 50 km/h, tranne il caso in cui non sia prevista la contestazione immediata da parte delle Forze dell’Ordine. Questo per evitare sanzioni ingiuste in aree urbane caratterizzate da un andamento a bassa velocità.

Sotto i 50 km contestazione immediata

Per velocità inferiori ai 50 km/h, è prevista la contestazione immediatamente per mezzo di dispositivi mobili nei contesti urbani. Qualora non sia  possibile collocare postazioni fisse o mobili visibili, si possono impiegare dispositivi a bordo di veicoli in movimento. Questo cambiamento assicura che le sanzioni siano immediate e verificabili sul posto.

Collocazione: parola ai Prefetti

Le decisioni relative alla collocazione degli autovelox spetta ai dai prefetti, non ai comuni come prima della riforma. Questo sposta il potere decisionale a un livello superiore, limitando l’installazione degli autovelox in quei tratti di strada ad alto tasso di incidenti o nei quali è problematico eseguire contestazioni immediate. Questa centralizzazione mira a ridurre gli abusi da parte dei comuni.

Misurazione media

Per le strade extraurbane, ove possibile, si predilige la misurazione della velocità media su un tratto di strada prestabilito, anziché quella istantanea.

Dispositivi a bordo dei veicoli

L’utilizzo di autovelox a bordo di veicoli in movimento è consentito solo su strade o tratti di strada dove non sia possibile installare postazioni fisse o mobili. In tal caso, la segnaletica di preavviso deve essere integrata da un pannello luminoso con la scritta “Autovelox mobile in servizio”.

Segnalazione

I limiti di velocità devono essere segnalati a una distanza non inferiore a 1 km, prima della postazione dell’autovelox. Questa misura, che ribadisce una normativa già esistente, garantisce agli automobilisti il tempo sufficiente per adeguare la velocità prima di incontrare un dispositivo di rilevazione. Il dispositivo deve essere posizionato inoltre in modo tale da essere ben visibile agli automobilisti, anche in condizioni di scarsa illuminazione.

Omologazione

Il decreto non risolve completamente la questione dell’omologazione degli autovelox, anche se ribadisce l’importanza di avere dispositivi omologati per evitare controversie legali. Gli autovelox dovranno infatti essere omologati, e i Comuni e le Province avranno 12 mesi per disinstallare quelli non conformi. I dispositivi devono essere sottoposti inoltre a taratura periodica con cadenza stabilita dal Ministero.

Distanze minime di segnalazione

Previste distanze minime da rispettare tra il cartello di segnalazione del limite di velocità e il dispositivo di rilevazione della velocità:

  • 200 metri nelle strade di scorrimento urbane.
  • 75 metri nelle altre strade urbane.
  • 1 chilometro nelle strade extraurbane.

Gli automobilisti possono contare in questo modo su una segnalazione posta a una distanza adeguata e avere il tempo necessario per adottare la condotta più corretta, riducendo sia il rischio di sinistri che di sanzioni amministrative.

Multa unica per infrazioni ravvicinate

Se un automobilista viene multato da più autovelox entro un’ora sullo stesso tratto di strada gestito da un unico ente, deve pagare una sola multa, quella più severa. Questo evita la sovrapposizione delle sanzioni in brevi intervalli di tempo.

Gestione alle Forze di polizia

Le spese di accertamento devono essere documentabili e includere solo i costi per l’individuazione del trasgressore nelle banche dati pubbliche. La gestione delle apparecchiature è riservata alle forze di polizia, con attività minori affidate ai privati.

Rispetto della privacy

I dispositivi di autovelox devono rispettare la normativa sulla privacy (GDPR e Codice Privacy). Il titolare del trattamento (es. la Polizia Stradale) deve adottare misure di sicurezza per proteggere i dati personali. I dati devono essere trattati solo per l’accertamento delle infrazioni stradali e conservati per il tempo strettamente necessario.

Le immagini che costituiscono prove di infrazione non devono essere inviate al domicilio del proprietario del veicolo con il verbale. Il proprietario del veicolo può richiedere di visionare le immagini per conoscere l’effettivo autore della violazione. In tal caso, i volti e le targhe di altri veicoli ripresi saranno oscurati.

I dati personali possono essere trattati solo per le finalità previste dalla legge e nel rispetto dei principi di minimizzazione e riservatezza.

È vietato l’utilizzo di autovelox che effettuino la ripresa frontale del veicolo se l’apparecchiatura memorizza immagini delle persone a bordo. Sono consentiti solo dispositivi che oscurano automaticamente i volti.

 

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quota tfr

Quota TFR coniuge divorziato: quando spetta La quota al TFR del coniuge lavoratore spetta al coniuge divorziato che non sia passato a nuove nozze e sia titolare dell’assegno di divorzio

Quota TFR coniuge divorziato: la norma

L’articolo 12 bis della legge n. 898 del 1970 stabilisce che il coniuge, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha diritto a una quota dell’indennità di fine rapporto (TFR) percepita dall’altro coniuge. Tuttavia, questo diritto è soggetto a specifici requisiti. Vediamo insieme cosa prevede la legge e quali sono i dettagli cruciali per ottenere questa quota.

Requisiti per il diritto alla quota TFR

Affinché il coniuge divorziato abbia diritto a una percentuale del TFR lo stesso non deve essere passato a nuove nozze. Questo è il primo requisito fondamentale previsto dalla normativa.

Il secondo requisito che la legge richiede per avere diritto a una quota del TFR, è la titolarità dell’assegno di divorzio. Il coniuge divorziato deve essere cioè titolare di un assegno divorzile ai sensi dell’articolo 5 della stessa legge. Senza l’assegno divorzile, il diritto alla percentuale del TFR non sussiste.

La misura della quota TFR

La quota percentuale della quota TFR spettante al coniuge divorziato è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Questo significa che la quota viene calcolata solo per gli anni di lavoro in cui i coniugi sono rimasti sposati.

Tempi della richiesta

Un aspetto che spesso è fonte di confusione è la tempistica della richiesta di divorzio in relazione al diritto al TFR.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5553/1999 ha chiarito che affinché il coniuge divorato possa avere diritto alla quota del TFR, è necessario che la domanda di divorzio sia stata presentata prima che, in capo al lavoratore, sorga il diritto al percepimento del TFR.

Con la sentenza n. 4360/2023, la Cassazione ha ulteriormente chiarito due aspetti cruciali:

  • il diritto del lavoratore al TFR sorge quando cessa il rapporto di lavoro, senza che assuma rilievo la data in cui il TFR viene materialmente incassato. Dalla cessazione del rapporto decorre anche la prescrizione del diritto a chiedere il pagamento del TFR;
  • il momento invece in cui la domanda di divorzio deve intendersi presentata coincide con la data del deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale competente. Se il ricorso viene depositato dopo la cessazione del rapporto di lavoro del coniuge, il diritto alla percentuale del TFR non sussiste.

Consideriamo un caso specifico per comprendere meglio. Se il rapporto di lavoro del coniuge viene a cessare il 10 giungo 2024 luglio 2024, l’altro coniuge non avrà diritto a una percentuale del TFR se il ricorso per il divorzio viene depositato in cancelleria dopo questa data.

Quando non spetta la quota di TFR

Alla luce di quanto sopra detto si può concludere che la quota TFR del coniuge lavoratore non spetta al coniuge divorziato a cui non sia stato riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio e al coniuge che, dopo il divorzio, sia passato a nuove nozze. La quota inoltre non spetta se la domanda di divorzio viene presentata dopo che, in capo al coniuge lavoratore, sia maturato il diritto al TFR.

decreto caivano

Decreto Caivano Il decreto Caivano contiene misure di contrasto alla criminalità giovanile, all’abbandono scolastico e al degrado urbano nelle aree più esposte del territorio

Decreto Caivano: la ratio

Il “Decreto Caivano” è stato emanato dal governo italiano come risposta urgente a una serie di episodi di criminalità giovanile e degrado urbano che hanno colpito alcune zone del paese, tra cui il comune di Caivano, in provincia di Napoli. Il decreto n. 123/2023, convertito in legge con modifiche, rappresenta un tentativo di affrontare problematiche sociali e di sicurezza in modo strutturato. Esso mira a contrastare fenomeni di criminalità minorile, degrado urbano e sociale in aree particolarmente colpite da questi problemi. L’obiettivo principale è ripristinare la sicurezza e promuovere la riqualificazione sociale ed economica attraverso interventi mirati.

Principali misure del decreto Caivano

Il decreto contempla una serie di misure multidimensionali, tra le quali assumono un particolare rilievo quelle dedicate ai minori.

Daspo urbano: il provvedimento lo estende a coloro che hanno compiuto gli anni 14. Viene introdotto anche il Daspo Willy per contrastare i fenomeni di movida violenta.

Lotta ai reati in materia di sostanze stupefacenti e di armi. Più elevate le sanzioni per il porto d’armi e lo spaccio di sostanze stupefacenti, per il quale la pena massima sale a cinque anni. Introdotto il reato di pubblica intimidazione attraverso luso delle armi, che viene punito con il carcere da tre a otto anni.

Prevenzione della violenza giovanile anche tramite l’avviso orale, che vale per i minori maggiori di 14 anni.

Divieti per dispositivi di telecomunicazioni e sistemi informatici: per chi ha violato l’avviso orale viene previsto il divieto di utilizzo di dispositivi di comunicazione.

Ammonimento per i minori di età compresa tra i 12e i 14 anni qualora commettano gravi reati.

Il processo penale minorile viene riformato. Previste nuove misure di natura cautelare e percorsi di rieducazione.

Regole nuove per i minori coinvolti in reati di particolare gravità come quelli relativi al traffico di sostanze stupefacenti o mafia. Rafforzata nel contempo la sicurezza all’interno degli istituti penali per i minorenni.

Viene ampliata lofferta educativa all’interno delle scuole meridionali e vengono adottate nuove misure al fine di contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico.

A tutela dei minori che utilizzano dispositivi informatici viene introdotto l’obbligo, a carico dei siti pornografici, di adottare i sistemi che consentano di accertare la maggiore età dell’utente.

Durante il processo di conversione in legge, il testo originario del Decreto Caivano è stato modificato per migliorare l’efficacia delle misure proposte e rispondere alle critiche e ai suggerimenti emersi dal dibattito pubblico e parlamentare.

Il decreto, nella sua versione convertita in legge con modifiche, rappresenta un tentativo significativo di affrontare problemi complessi di criminalità e degrado urbano attraverso un approccio integrato e multidimensionale. Le modifiche apportate durante il processo legislativo hanno migliorato il testo originale.

Sono stati introdotti meccanismi di partecipazione attiva delle comunità locali nella pianificazione e nell’attuazione degli interventi.

È stata rafforzata la tutela dei diritti civili dei residenti, con l’introduzione di garanzie per evitare abusi.

Viene previsto un potenziamento del supporto psicologico e sociale per le vittime di reati e per i minori coinvolti in situazioni di rischio.

Implicazioni per le comunità interessate

La versione definitiva del Decreto Caivano ha indubbie e significative implicazioni per le comunità coinvolte.

Le misure adottate mirano a migliorare la sicurezza pubblica e a ridurre il crimine nelle aree colpite. L’aumento della presenza delle forze dell’ordine e l’uso di tecnologie avanzate contribuiscono a un controllo più efficace del territorio.

Gli interventi di riqualificazione urbana e i progetti educativi e formativi sono volti a migliorare le condizioni sociali ed economiche, offrendo nuove opportunità ai giovani e alle famiglie.

Il coinvolgimento attivo delle comunità locali nella pianificazione e nell’attuazione degli interventi favorisce un approccio più inclusivo e partecipativo, aumentando la coesione sociale e il senso di appartenenza.

La legge prevede infine  meccanismi di monitoraggio e valutazione che garantiranno l’adattamento delle misure alle esigenze reali delle comunità, promuovendo una sostenibilità a lungo termine degli interventi.

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tabelle milanesi 2024

Danno non patrimoniale: le tabelle milanesi 2024 Aggiornate le Tabelle milanesi 2024 per il risarcimento del danno alla persona, novità anche sul danno biologico e la capitalizzazione anticipata della rendita

Tabelle milanesi: liquidazione del danno alla persona

Con l’entrata in vigore delle Tabelle milanesi 2024, il panorama del risarcimento del danno alla persona in Italia subisce un importante aggiornamento.

Le nuove tabelle, elaborate dall’Ordine degli Avvocati di Milano, rappresentano un punto di riferimento fondamentale per la liquidazione dei danni non patrimoniali derivanti da lesioni fisiche o psichiche. A stabilirlo era stata la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011, che ha avuto un impatto significativo nella giurisprudenza italiana in materia di risarcimento del danno alla persona.

La sentenza ha stabilito infatti che i valori di riferimento per la liquidazione del danno adottati dal Tribunale di Milano rappresentano il parametro equo da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti elementi particolari che giustifichino un aumento o una diminuzione del risarcimento. Ciò significa che i giudici, nel determinare il risarcimento del danno alla persona, in primis devono fare riferimento ai valori indicati nelle tabelle milanesi. Tali valori rappresentano un riferimento oggettivo e uniforme per la valutazione del danno, che garantisce parità di trattamento a tutti i danneggiati. Le novità introdotte dalle Tabelle Milanesi 2024 riguardano in particolare il danno biologico, il danno morale e la capitalizzazione anticipata della rendita.

Tabelle di Milano aggiornate al costo della vita

Le Tabelle Milanesi 2024 confermano il metodo di valutazione del danno biologico basato su punti di invalidità ed età del danneggiato. I valori monetari assegnati a ciascun punto di invalidità sono stati rivalutati del 16,2268%, in linea con l’aumento del costo della vita registrato dall’ISTAT. Il valore del punto del danno biologico per un’invalidità dell’1% sale a 1.393,28 euro.

In relazione al danno permanente le tabelle contemplano una liquidazione del danno congiunta, che comprende:

  • le lesioni permanenti, che possono essere accertate dal medico legale;
  • la sofferenza soggettiva presunta, che dipende dal tipo di lesione subita.

Per le lesioni comuni le tabelle prevedono valori medi, ma il danno può essere personalizzato in misura percentuale fino al 50%, tenendo conto di particolari situazioni soggettive del danneggiato. In questo modo è possibile valutare equamente e adeguatamente il danno, valutando tutte le peculiarità del caso concreto.

Le tabelle relative al danno temporaneo, al pari di quelle delle lesioni permanenti, prevedo valori medi giornalieri, aumentabili anch’essi fino al 50%, in base alle circostanze specifiche del caso concreto. Il valore per la liquidazione del danno non patrimoniale relativa a un giorno di inabilità temporanea assoluta sale a 115,00 euro.

Per  entrambe le tipologie di danno il vengono presi in considerazione l’aspetto dinamico relazionale e la sofferenza soggettiva.

Capitalizzazione anticipata della rendita

Le Tabelle Milanesi 2024 aggiornano anche i criteri per la capitalizzazione anticipata della rendita indennitaria, ovvero la conversione in un capitale di una somma da erogarsi periodicamente alla vittima. I nuovi valori tengono conto dell’andamento dei tassi d’interesse e dei coefficienti di mortalità.

Restyling grafico

Rivisitata anche la veste grafica delle tabelle al fine di agevolare il lavoro degli operatori grazie alla esplicitazione degli addendi monetari delle varie componenti del danno non patrimoniale già inclusi nel totale della colonna 5 e calcolabili in precedenza attraverso una semplice operazione aritmetica.

In questo modo si vuole scongiurare l’utilizzo della tabella come una scorciatoia, considerato che spesso che i giudici la utilizzavano senza tenere conto delle necessarie personalizzazioni relative agli aspetti dinamico relazionali e alle sofferenze morali.

Come chiarito dall’Osservatorio “l’applicazione della tabella non esonera affatto il giudice dallobbligo di motivazione in ordine al preventivo è necessario accertamento dellan debeatur ed in ordine alla congruità degli importi liquidati, in relazione alle circostanze di fatto allegati trovate dalle parti nella fattispecie concreta, anche sulla base delle emergenze della ctu”. 

Flessibilità e personalizzazione del risarcimento

L’aggiornamento delle Tabelle Milanesi 2024 rappresenta un passo avanti importante nel panorama del risarcimento del danno alla persona in Italia. L’aumento dei valori del danno biologico e la maggiore flessibilità nella personalizzazione del risarcimento consentono alle vittime di ottenere un ristoro più equo e adeguato ai danni subiti.

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veranda abusiva condono

Veranda abusiva: si può sanare? Ecco quali sono le verande che possono essere condonate grazie alle nuove regole del decreto Salva casa

Sanatoria verande abusive

Con l’entrata in vigore del decreto “Salva Casa” n. 69/2024, pubblicato sulla GU del 29.05.2024, molti italiani si chiedono se sia possibile sanare una veranda abusiva, specialmente se chiusa e arredata. Tali verande sono comuni e spesso vengono realizzate per chiudere porticati o balconi, trasformandoli in cucine o bagni, completi di impianti idrici e sanitari.

Questi abusi edilizi, se non regolarizzati, possono complicare la vendita degli immobili. Per evitare queste complicazioni il decreto “Salva casa”consente ai proprietari di immobili di regolarizzare le piccoli difformità edilizie, al fine di tutelare l’interesse pubblico alla circolazione dei beni immobili.

Vetrate panoramiche amovibili: non occorrono permessi

Attenzione però, le verande non sono tutte uguali. Alcuni tipi non richiedono permessi particolari o autorizzazioni preventive per la loro installazione perché rientranti nella categoria delle opere di edilizia libera. Ne sono un esempio le VEPA, ossia le verande panoramiche amovibili, strutture trasparenti e scorrevoli che proteggono dal sole e dagli agenti atmosferici.

Il Decreto Aiuti del 2022 le aveva liberalizzate, permettono infatti l’installazione permessi, a condizione di non creare nuovi volumi stabili.

Verande chiuse: quali autorizzazioni

Occorre premettere che il Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001) richiede il permesso di costruire per nuove strutture e la Cila o Scia per interventi di manutenzione straordinaria. La creazione di una nuova veranda chiusa richiede, di regola, uno di questi permessi, se aumenta il volume abitabile dell’unità immobiliare e se modifica la forma dell’edificio.

Verande sanabili con il “Salva casa”

Il decreto “Salva Casa”, interviene proprio su questo tipo di opere, per cui le verande chiuse, arredate e attrezzate possono essere sanate, a condizione però che non abbiano alterato significativamente la volumetria dell’immobile.

Per consentire questa “sanatoria” però il decreto “Salva casa” ha ampliato i limiti di tolleranza delle difformità edilizia, rispetto a quelli previsti dal Decreto Semplificazioni, stabilendo le seguenti misure percentuali:

  • 5% per unità con superficie utile inferiore a 100 mq;
  • 4% per superfici tra 100 e 300 mq;
  • 3% per superfici tra 300 e 500 mq;
  • 2% per superfici superiori a 500 mq.

In relazione a un appartamento di 100 mq quindi il proprietario può sanare una veranda di 5 mq sfruttando la tolleranza del 5%.

Doppia conformità: non serve dopo il Salva casa

Qualora le opere realizzate superino i limiti di tolleranza stabiliti dal “Salva casa”  è comunque possibile procedere alla loro sanatoria, ma con il permesso di costruire, la Scia in sanatoria (articoli 36 e 37 del Tu dell’Edilizia) e sostenendo il costo della sanzione amministrativa prevista.

In questi casi però è richiesto il rispetto della doppia conforme. Le opere devono essere cioè conformi alla disciplina vigente nel momento in cui l’opera è stata realizzata e a quella vigente al tempo della presentazione della domanda in sanatoria, regola che il decreto “Salva Casa” non richiede. Grazie a questo provvedimento è infatti possibile sanare le opere solo in base alla normativa vigente al momento della realizzazione, sempre ovviamente, nel rispetto delle soglie di tolleranza previste dal “Salva casa”.

Procedura di sanatoria

Dopo tanta teoria, cosa si deve fare se si vuole sanare una veranda abusiva? Prima di tutto bisogna presentare una domanda al Comune con un progetto descrittivo e una relazione tecnica asseverata. Fatto questo si deve procedere al pagamento di una sanzione, il cui importo varia dai 1.032 ai 30.984 euro, in base all’aumento di valore dell’immobile.

Verande in condominio

Chi vuole realizzare una veranda in una proprietà compresa all’interno di un edificio condominiale   deve prestare un’attenzione particolare. In questo caso occorre infatti rispettare sia le norme edilizie che il regolamento condominiale per assicurarsi che la veranda non danneggi il decoro architettonico dell’edificio.

condizionatori condominio

Condizionatori in condominio: vanno rimossi se non autorizzati I motori dei condizionatori presenti nella facciata condominiale sono innovazioni che ledono il decoro del condominio e vanno rimossi se non autorizzati

Motori dei condizionatori in facciata: innovazione lesiva

I motori esterni dei condizionatori posizionati nella facciata del Condominio rappresentano un’innovazione che richiede la preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale. Vanno quindi rimossi i motori dei condizionatori dismessi e inutilizzati sorretti dai loro supporti e posizionati in facciata perché ledono l’estetica del Condominio e sono comunque suscettibili di recare molestia e danni diretti o indiretti. Questa in sintesi la decisione del Tribunale di Milano contenuta nella sentenza n. 4074-2024.

Rimozione motori dei condizionatori in condominio

Un condominio agisce in giudizio per ottenere la rimozione dei motori esterni dei condizionatori posizionati da un condomino sul muro condominiale, ma oramai dismessi sui supporti che li sorreggono. Per il condominio i motori dei condizionatori sono stati apposti illegittimamente, in violazione dell’art. 29 del regolamento condominiale. Chiede quindi il ripristino dello stato dei luoghi.

Innovazione o opera per miglior godimento delle parti comuni?

Il Tribunale rileva che la presenza dei motori è stata in effetti confermata da un teste e da alla dettagliata documentazione fotografica prodotta. Per il Tribunale, ai fini del decidere, è necessario stabilire se l’installazione dei motori dei condizionatori configurino una violazione del regolamento condominiale perché innovazione non autorizzata o se debbano essere qualificate piuttosto come opere finalizzate semplicemente al migliore godimento delle parti comuni del condominio.

Per arrivare alla decisione il Tribunale ricorda, prima di tutto che, la decisione n. 2846/1982 della Corte di Cassazione ha chiarito che: devono intendersi per innovazioni della cosa comune… le modificazioni materiali di essa che ne importino l’alterazione dell’entità sostanziale o il mutamento della sua originaria destinazione. Pertanto, non costituiscono innovazioni… le modificazioni della cosa comune dirette a potenziare o a rendere più comodo il godimento della medesima, che ne lascino tuttavia immutata la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare l’equilibrio tra i concorrenti interessi tra condomini.” 

Il termine “innovazione” va quindi interpretato nel senso che deve trattarsi di un’opera nuova, anche se non tutte le opere nuove sono innovazioni. Non sono innovazioni infatti le opere finalizzate a migliorare e potenziare un bene o un servizio preesistenti.

Analizzando il caso di specie il Tribunale giunge alla conclusione che l’installazione dei condizionatori e dei relativi motori ha comportato sicuramente un’innovazione e che pertanto avrebbe necessitato della preventiva autorizzazione dell’assemblea. L’articolo 29 del regolamento condominiale sancisce infatti il divieto di eseguire opere o varianti all’immobile se danneggiano la stabilità e l’estetica e se recano molestia, danni diretti o indiretti e per la loro realizzazione richiede la preventiva autorizzazione dell’amministratore in forma scritta. Poiché nel caso di specie non è stata fornita alcuna prova dell’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea condominiale, il Tribunale dispone che i condizionatori, dimessi e inutilizzati, vengano rimossi a spese e cura del convenuto perché installati in violazione dell’articolo 29 del regolamento condominiale.

body shaming

Body shaming Cos'è il body shaming e cosa prevede la proposta di legge che vuole istituire la giornata nazionale contro la denigrazione dell'aspetto fisico

Cos’è il body shaming

Il body shaming è l’atto di deridere o discriminare una persona per il suo aspetto fisico. Questo comportamento prende di mira qualsiasi caratteristica fisica, colpendo chiunque non aderisca ai canoni estetici della società. Questi standard estetici, spesso irrealistici e non rappresentativi della maggioranza, possono indurre vergogna e colpevolizzazione nelle vittime, causando problemi di autostima, ansia, depressione, disturbi alimentari e, in casi estremi, suicidio. Il fenomeno colpisce soprattutto gli adolescenti, le ragazze in particolare, ma non sono immuni da derisioni e offese neppure gli adulti. I canali più utilizzati sono i social network, che hanno un impatto considerevole a causa della potenziale capacità diffusiva dei messaggi denigratori.

Body shaming: giornata nazionale per la sensibilizzazione

La proposta di legge A.C. 1049, presentata dalla parlamentare Martina Semenzato, mira a istituire una Giornata Nazionale contro la denigrazione dell’aspetto fisico 16 maggio di ogni anno. Questa iniziativa si propone di sensibilizzare il pubblico sui danni del body shaming, un fenomeno odioso di derisione e discriminazione basato sull’aspetto fisico delle persone.

Il testo della proposta, presentata il 28 marzo 2023, è in corso di esame alla Commissione Affari sociali in sede referente.

Proposta di legge: cosa prevede

La proposta di legge si articola in sei punti principali:

  • Istituire una Giornata Nazionale contro il body shaming il 16 maggio con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui comportamenti offensivi e promuovere le iniziative necessarie per prevenirli.
  • Invitare le istituzioni pubbliche, le organizzazioni della società civile e le associazioni a promuovere eventi e campagne informative per contrastare il body shaming nella giornata dedicata, favorendo l’accettazione del proprio corpo e il rispetto per gli altri.
  • Dare le disposizioni necessarie alle scuole di ogni ordine e grado affinché organizzino iniziative didattiche e momenti di riflessione sul fenomeno del body shaming e le sue conseguenze in occasione della celebrazione della Giornata Nazionale.
  • Rimettere alle istituzioni pubbliche e alle associazioni la promozione di campagne di sensibilizzazione sui media, informando il pubblico sulle gravi conseguenze del body shaming e incoraggiando un uso consapevole del linguaggio e delle tecnologie digitali.
  • Assicurare che il servizio pubblico radiotelevisivo dedichi spazio adeguato ai temi legati alla Giornata Nazionale, sensibilizzando il pubblico attraverso la programmazione nazionale e regionale.

L’importanza della sensibilizzazione

La proposta di legge sottolinea l’importanza di una disciplina unitaria a livello nazionale per affrontare il body shaming. La sensibilizzazione attraverso campagne informative, eventi nelle scuole e l’uso responsabile dei media e delle tecnologie digitali rappresenta un passo cruciale per combattere questo fenomeno e promuovere una cultura del rispetto e dell’inclusione.

indennità di frequenza

Indennità di frequenza Cos'è l'indennità di frequenza per minori disabili: requisiti, importi, durata e come fare domanda

Cos’è l’indennità di frequenza

L’indennità di frequenza è un beneficio economico destinato ai minori con disabilità, finalizzato a favorire il loro inserimento scolastico e sociale. Questo contributo è disponibile su richiesta per i minori di 18 anni con difficoltà persistenti nello svolgimento delle attività quotidiane o con ipoacusia significativa.

Il nome “indennità di frequenza” è dovuto al fatto che viene riconosciuta se il minore frequenta in modo continuo o periodico:

  • ambulatori o centri diurni di natura privata (convenzionata) o pubblica, per la terapia o la riabilitazione;
  • scuole pubbliche o private di ogni ordine e grado, scuola materna compresa;
  • centri di formazione professionale per il reinserimento sociale.

La misura viene concessa in relazione alla reale durata della frequenza dei corsi, delle scuole o dei centri di cura.

Durata e importi dell’indennità di frequenza

Per il 2024, l’indennità di frequenza ammonta a 333,33 euro mensili, con un limite di reddito personale annuo di 5.725,46 euro. L’indennità viene erogata per un massimo di 12 mensilità, a partire dal mese successivo all’inizio della frequenza del corso o trattamento terapeutico.

Requisiti per la misura

I principali requisiti per accedere all’indennità di frequenza includono:

–  età inferiore ai 18 anni;

  • difficoltà persistenti nel compiere le attività quotidiane o una perdita uditiva superiore a 60 decibel;
  • frequenza di istituzioni educative o centri di formazione riconosciuti;
  • reddito personale inferiore alla soglia stabilita (5.725,46 euro per il 2024)

–  cittadinanza italiana o adeguata regolarità della residenza per cittadini stranieri;

–  residenza stabile e abituale in Italia

Incompatibilità

L’indennità di frequenza non può essere cumulata con:

  • qualsiasi forma di ricovero;
  • indennità di accompagnamento per invalidi civili totali;
  • indennità di accompagnamento per ciechi totali;
  • speciale indennità per ciechi parziali;
  • indennità di comunicazione per sordi prelinguali.

È possibile però optare per il trattamento più favorevole al soggetto.

Come fare domanda

Per richiedere l’indennità, è necessario seguire questi passaggi:

  1. ottenere un certificato medico introduttivo da un medico certificatore;
  2. inserire il codice del certificato nella domanda di accertamento sanitario;
  3. compilare i dati amministrativi necessari, inclusi quelli relativi alla frequenza scolastica;
  4. inviare la domanda tramite il servizio INPS “Invalidità civile – Procedure per l’accertamento del requisito sanitario”.

Presentata la domanda al richiedente viene comunicata la data della visita di accertamento della disabilità, che sarà eseguita da una specifica Commissione medica. Se il minore è affetto da ma patologia tumorale la visita viene fissata entro il termine di 15 giorni, che decorrono dalla domanda.

Documentazione e tempistiche

La domanda può essere presentata direttamente online sul sito dell’INPS o tramite un patronato. L’INPS invia il verbale di invalidità civile tramite raccomandata A/R o PEC. La documentazione rimane disponibile nel servizio Cassetta postale online.

Per le prestazioni economiche per i maggiorenni, la domanda può essere presentata sei mesi prima del compimento dei 18 anni. L’INPS procederà alla liquidazione provvisoria, soggetta a conferma dopo il successivo accertamento sanitario.

Scadenze

Il termine ordinario per l’emanazione dei provvedimenti è di 30 giorni, salvo specifiche disposizioni di legge che prevedano tempi diversi.

Per maggiori dettagli, consulta le norme previste dalla legge n. 241/1990 e successive integrazioni.

testimonianza prossimo congiunto

La testimonianza del prossimo congiunto Sollevata l'incostituzionalità dell’art. 199 c.p.p co. 1 nella parte in cui non prevede l’astensione per la persona offesa dal testimoniare contro il prossimo congiunto

Testimonianza penale: facoltà di astensione dei prossimi congiunti

L’ordinanza del tribunale di Firenze, I sezione penale, del 12 febbraio 2024 solleva una questione di legittimità costituzionale dell’art. 199, comma 1, c.p.p.. La disposizione prevede, nello specifico, che i prossimi congiunti dell’imputato non siano obbligati a testimoniare, il tutto al fine di bilanciare l’interesse pubblico all’accertamento della verità e quello privato alla tutela del rapporto familiare.

Il Tribunale di Firenze, nello specifico, solleva la questione di legittimità costituzionale in relazione all’articolo 199 comma 1 c.p.p per violazione degli artt. 3, 27 comma 2, 29 e 117 della Costituzione, in relazione all’art. 8 della CEDU, contestando l’eccezione che obbliga i prossimi congiunti a testimoniare quando essi o un loro prossimo congiunto sono persone offese dal reato o quando hanno presentato denuncia, querela o istanza.

Per identificare i soggetti che beneficiano del diritto al silenzio è necessario il richiamo al contenuto  dell’art. 307 c.p, che identifica, agli effetti della legge penale, i prossimi congiunti, includendo parenti stretti e affini, ampliati successivamente anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Il Giudice remittente precisa comunque che lo status di prossimo congiunto che giustifica l’astensione dal diritto di testimoniale va riferito al processo, non al momento in cui il reato viene commesso. Solo durante il processo infatti sorge il contrasto tra l’obbligo di dire la verità e la volontà di non danneggiare il congiunto imputato.

La facoltà di astenersi comunque non esclude a priori la testimonianza del familiare, ma affida al giudice la valutazione della sua utilità e veridicità, con la possibilità di responsabilità penale per falsa testimonianza. Se un congiunto sceglie di testimoniare, deve farlo infatti secondo verità, pena la punibilità per falsa testimonianza.

Irragionevole non tutelare il rapporto familiare quando il teste è la persona offesa

L’art. 199 c.p.p obbliga i congiunti a testimoniare se hanno presentato denuncia o querela, o se loro stessi o un loro congiunto sono offesi dal reato.

Dubbia per il remittente la ragionevolezza dell’eccezione contemplata dall’art. 199 c.p.p. Il vincolo affettivo che caratterizza i contesti familiari, è privato della sua tutela nel momento in cui la persona offesa dal reato è esposta al rischio concreto di commettere falsa testimonianza al fine di tutelare il proprio familiare.

Non tutelare il rapporto familiare quando il teste è persona offesa dal reato è infatti irragionevole se il giudizio di non meritevolezza è limitata al processo in cui viene contestato il reato ai danni del prossimo congiunto. In un processo eventuale ed ulteriore a carico dello stesso soggetto, ma per altri fatti, il medesimo prossimo congiunto potrebbe infatti regolarmente avvalersi della facoltà di non testimoniare.

Illegittimità costituzionale art. 199 comma 1 c.p.p.

Il Tribunale richiede quindi alla Corte Costituzionale di dichiarare illegittima la norma di quell’articolo 199 co. 1 c.p.p, nella parte in cui, con riguardo alla facoltà dei prossimi congiunti dell’imputato di astenersi dal deporre, prevede un’eccezione per la persona offesa dal reato anche nell’ipotesi in cui la deposizione del prossimo congiunto non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti.

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Donazione: i vantaggi Meglio la donazione o la successione? La donazione, rispetto al testamento o alla successione legale, presenta diversi vantaggi, vediamo quali

Donazione o testamento

Quando i genitori iniziano ad essere anziani capita che si chiedano se sia meglio fare un testamento per disporre dei loro beni per il momento in cui non ci saranno più o se sia meglio fare delle donazioni in favore dei loro successori. Cerchiamo di capire quale, tra i due istituti, presenta i maggiori vantaggi legali e fiscali.

Donazione e testamento: quale presenta i maggiori vantaggi fiscali

E’ bene sapere che sia la donazione che il testamento sono esenti dal pagamento dell’imposta di successione o di donazione nelle seguenti ipotesi:

  • il valore del bene non supera 1 milione di euro se l’avvicendamento nella titolarità del bene avviene tra coniugi, tra ascendenti e discendenti in linea retta, quindi tra genitori e figli, tra nonni e nipoti, ecc.;
  • il valore del bene non supera 1,5 milioni di euro e il beneficiario è un soggetto affetto da disabilità;
  • il valore del bene non supera i 100.000 euro e lo scambio si verifica tra fratelli e sorelle.

L’imposta viene invece applicata nei seguenti casi:

  • il valore del bene supera 1 milione di euro: l’aliquota del 4% viene applicata sull’importo eccedente;
  • il valore del bene che passa a un beneficiario portatore di handicap supera 1,5 milione di euro: l’aliquota del 4% viene calcolata sull’importo eccedente;
  • il valore del bene che passa tra fratelli e sorelle supera i 100.000 euro: l’aliquota del 6% viene applicata sull’importo eccedente.

L’imposta viene invece applicata senza franchigia nei seguenti casi:

  • se la successione o la donazione avvengono in favore dei parenti fino al quarto grado o agli affini fino al terzo grado l’aliquota d’imposta è le 6%;
  • se invece successione o donazione vengono effettuate in favore di altri soggetti l’aliquota sale all’8%.

Successione o donazione di un bene immobile

I beni che più di frequente sono oggetto di successione inter vivo o mortis causa sono i beni immobili. In questo caso la legge prevede il pagamento.

  • dell’imposta di registro;
  • dell’imposta ipotecaria;
  • dell’imposta catastale.

Chi riceve un bene immobile in virtù di una donazione o di una successione può beneficare del bonus prima casa. In questo caso però il soggetto che riceve l’immobile se non ha la proprietà o altro diritto reale di altri beni immobili nello stesso comune e se non beneficia già del bonus in un altro Comune, deve assumersi l’impegno di trasferire la sua residenza nello stesso Comune in cui è sito l’immobile entro il termine di 18 mesi.

Alcuni problemi possono insorgere quando l’immobile viene trasferito per causa morte a più coeredi. In questo caso essi potranno optare per una delle seguenti opzioni:

  • procedere alla divisione materiale del bene, se possibile;
  • assegnare l’intero bene a uno degli eredi, con successiva liquidazione delle quote agli altri coeredi;
  • vendere il bene e dividere il ricavato tra tutti gli eredi nel rispetto delle quote di ciascuno.

I vantaggi della donazione

Non è infrequente che quando c’è un immobile da dividere tra i coeredi si rimetta la decisione della divisione a un Tribunale. Questo però comporta una notevole perdita di tempo e di denaro. Per cui, se il testatore non abbia disposto l’assegnazione dell’immobile tramite l’istituto del legato, senza ledere le quote della legittima, la donazione rappresenta la scelta migliore.

Chi riceve un immobile per donazione infatti acquisisce la proprietà intera dell’immobile senza doversi preoccupare della comunione ereditaria e della successiva procedura di divisione.

Un vantaggio ulteriore della donazione è rappresentato dal diritto agli alimenti che viene garantito  al donante. Nel caso in cui il donante si dovesse trovare in una situazione di disagio economico il donatario ha diritto a percepire gli alimenti dal donatario.Lo stabilisce l’articolo 437 c.c, che così dispone: “Il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante, a meno che si tratti  di  donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione rimuneratoria”.  

C’è poi un ulteriore aspetto da considerare, e che rappresenta un vantaggio notevole per chi riceve uno o più beni tramite l’istituto della donazione, ossia la possibilità di poter disporre subito del bene o dei beni senza dover attendere la morte del donante.