animali domestici e separazione

Animali domestici e separazione: senza accordo a chi spettano? Animali domestici e separazione: cosa accade in caso di mancato accordo? Chi e come decide il loro destino

In caso di separazione cosa succede agli animali domestici?

Animali domestici e separazione sono i due termini di un problema spesso difficile da risolvere. Quando una coppia si separa può litigare perché entrambi si contendono lo stesso animale o perché al contrario, nessuno dei due vuole assumersi gli stessi impegni del matrimonio una volta riacquistata la propria libertà. Cosa fare in questi casi? Tutto dipende dal percorso di separazione che le parti hanno deciso di intraprendere.

Separazione consensuale e animali domestici

Nel caso in cui i coniugi abbiano optato per una separazione consensuale, con l’assistenza dei loro avvocati e tanta buona volontà possono inserire nell’accordo anche le condizioni di assegnazione dell’animale domestico, la suddivisione delle spese di cura, mantenimento e dei compiti quotidiani di accudimento.

In questo caso il giudice non farà altro che omologare l’accordo e la questione, anche se modificabile, in futuro, può dirsi temporaneamente risolta.

Animali domestici e separazione giudiziale: la decisione al giudice?

Le cose cambiano quando la separazione è conflittuale e i coniugi sono protagonisti di una separazione giudiziale. In questo caso è molto difficile che il Tribunale prenda una posizione sugli animali domestici.

In Italia però ci sono stati dei Tribunali che hanno preso decisioni coraggiose su questo tema.

Il tribunale di Cremona ad esempio ha optato per l’affido condiviso di un cane e la conseguente suddivisione a metà delle spese per il mantenimento dell’animale.

Il Tribunale di Foggia invece ha stabilito l’assegnazione esclusiva di un cane a uno dei coniugi, riconoscendo all’altro un diritto di visita regolare.

Il Tribunale di Sciacca infine ha deciso di assegnare il gatto di casa a un coniuge e il cane a entrambi, senza tenere conto dell’intestazione risultante dal microchip.

In questa decisione il criterio discriminante è stata la valutazione della capacità dei soggetti  coinvolti di garantire il miglior sviluppo e le migliori condizioni di cura all’animale.

Animali domestici: l’affidamento segue l’interesse dei figli

Nel rispetto di quanto stabilito dal Codice civile in caso di separazione giudiziale, il Giudice potrebbe rifarsi però anche a un altro criterio per stabilire le sorti dell’animale domestico.

In una famiglia con figli gli animali spesso e volentieri vengono acquistati o adottati soprattutto se sono presenti dei bambini. Il Giudice deve quindi indagare, prima di tutto, quale tipo di rapporto lega l’animale di casa ai figli. Il Tribunale infatti quando assume le decisioni che riguardano la coppia in presenza di figli minori, deve tenere conto dell’interesse primario di questi ultimi, per cui se i bambini sono particolarmente affezionati all’animale, allora il giudice, nel loro interesse morale e materiale può decidere di assegnare l’animale al genitore a cui vengono anche assegnati i figli.

Benessere dell’animale domestico

Un altro criterio però che può far propendere il giudice per l’affidamento di un animale a uno solo dei due coniugi è rappresentato dal benessere dell’animale. Chi dei due per spazio, tempo e possibilità è in grado di garantire un maggior benessere all’animale? Anche in questo caso la proprietà formale dell’animale viene messa in secondo piano per dare priorità al pet, alle sue esigenze fisiche e psicologiche.

Se poi l’animale è affezionato a entrambi, i coniugi se ne occupano con la stessa amorevole attenzione, la custodia a settimane alterne o a giorni alterni potrebbe essere la soluzione migliore. In questo modo  infatti l’animale manterrebbe il contatto con entrambe le figure di riferimento.

La custodia condivisa ovviamente deve includere tutti gli aspetti di vita dell’animale, dalle vacanze, alle cure mediche, dall’alimentazione alle passeggiate quotidiane. In questi casi è importante anche definire a priori chi, in caso di difficoltà o impossibilità di gestire l’animale, se ne deve occupare.

La mediazione per gestire i conflitti

La mediazione è una procedura stragiudiziale di risoluzione delle controversie che può risultare molto utile in caso di conflitti che hanno per protagonisti gli animali domestici. Il percorso si basa sulla collaborazione delle parti e sulla guida di un mediatore, che è un soggetto terzo, ed estraneo che, in caso di difficoltà, può intervenire con una proposta conciliativa soddisfacente per entrambi. In sede di mediazione è possibile anche avvalersi dell’aiuto e dell’esperienza di consulenti come veterinari ed esperti del comportamento. Se le parti hanno a cuore il benessere dell’animale non avranno problemi a seguire le indicazioni sull’ambiente e sulla persona più adatta a prendersi cura dell’amato pet.

 

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vendita con riserva

Vendita con riserva o rent to buy: quale scegliere Vendita con pagamento dilazionato del prezzo, quale istituto prediligere: la vendita con riserva della proprietà o il rent to buy?

Rent to buy e vendita con patto di riservato dominio

Il rent to buy e la vendita con patto di riservato dominio sono soluzioni che consentono all’acquirente di acquistare un immobile senza dover affrontare un esborso iniziale elevato.

Il rent to buy

Il rent to buy è un istituto di derivazione anglosassone che è stato definitivamente disciplinato dall’art. 23 del d.l. n. 133/2014 (decreto c.d. “Sblocca Italia”). Tale istituto prevede che il proprietario dell’immobile conceda in godimento l’immobile a fronte del pagamento di un canone, con possibilità per il conduttore di esercitare il suo diritto di acquisto nei termini convenuti. Le parti dovranno, dunque, espressamente prevedere la quota del canone che sarà imputata a titolo di corrispettivo per il godimento del bene e la quota di canone che, invece, sarà destinata al prezzo dell’eventuale acquisto.

La vendita con riserva di proprietà

La vendita con riserva di proprietà, anche definita vendita con patto di riservato dominio, è disciplinata dagli articoli 1523 e seguenti del Codice civile. Tale istituto prevede che l’acquirente possa godere dell’immobile sin della sottoscrizione del contratto e che il passaggio di proprietà in favore dell’acquirente avvenga al pagamento dell’ultima rata.

Le differenze

Tra i due istituti vi sono alcune differenze sostanziali:

  • La prima differenza riguarda la facoltà/obbligo di acquisto. Nel rent to buy il conduttore ha la facoltà, ma non l’obbligo, di acquistare l’immobile al termine del periodo di locazione. Nella vendita con riserva di proprietà, invece, il passaggio di proprietà avviene ‘automaticamente’ al momento del pagamento integrale del prezzo.
  • La seconda differenza riguarda la ‘gravità’ dell’inadempimento che legittimerebbe la risoluzione. Nel rent to buy, la risoluzione può essere determinata dal mancato pagamento di un numero minimo di canoni, liberamente stabilito dalle parti, non inferiore ad 1/20. Nella vendita con patto di riservato dominio la risoluzione può essere determinata unicamente dal mancato pagamento di una rata superiore ad 1/8 del corrispettivo.
  • In caso di risoluzione per inadempimento, inoltre, le conseguenze sono diverse. Nel rent to buy, in caso di inadempimento del conduttore, il venditore può trattenere tutti i canoni pagati del conduttore a qualsiasi titolo imputati. Tuttavia, è importante sottolineare che nelle ipotesi di inadempimento non rientra il mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore, in quanto questo è un diritto e non un obbligo.

Nella vendita con riserva di proprietà, ai sensi dell’articolo 1526 c.c., il venditore è tenuto a restituire le rate di prezzo riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso del bene e per il risarcimento del danno, che potrà essere ridotto ad equità dal giudice.

Sul punto, l’articolo 1526, comma 3, c.c. estende l’ipotesi di riduzione ad equità della penale a tutti i casi in cui il contratto sia configurato come una locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita dal conduttore per effetto del pagamento dei canoni.

A tal proposito, per non figurare l’esclusivo intento della vendita, con conseguente riduzione della penale, appare ragionevole evitare che la quota del canone imputata a corrispettivo non si discosti troppo dal valore di mercato del bene e che la quota imputata a godimento sia conforme ai canoni medi di locazione.

Di conseguenza, solo la valutazione dell’intera operazione complessiva e della causa in concreto consente di stabilire se le parti vogliono realizzare un rent to buy o una vendita sotto forma di locazione.

Scelta in base alle intenzioni delle parti

In conclusione, la scelta tra rent to buy e vendita con patto di riservato dominio dipende principalmente dalle intenzioni delle parti coinvolte:

  • se l’acquirente desidera una maggiore flessibilità, senza l’obbligo di acquistare l’immobile e con la possibilità di recuperare almeno una parte dei pagamenti, il rent to buy potrebbe essere la soluzione preferibile;
  • se, invece, le parti desiderano una vendita definitiva, ma con la possibilità di dilazionare il pagamento, dove il passaggio di proprietà avviene automaticamente al completamento del pagamento del prezzo, la vendita con riserva di proprietà – sebbene presenti il rischio per il venditore di riduzione ad equità della penale – appare l’istituto più adatto.

In generale, il rent to buy potrebbe risultare più vantaggioso per l’acquirente che non è completamente sicuro di voler acquistare l’immobile, mentre la vendita con riserva di proprietà potrebbe essere la soluzione più indicata quando l’intenzione è quella di procedere ad un acquisto definitivo, anche se dilazionato nel tempo.

 

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passaggio di consegne

Il passaggio di consegne tra amministratori di condominio La documentazione oggetto di passaggio di consegne tra amministratori in ambito condominiale. Il rendiconto e il verbale di consegna

L’obbligo di consegna della documentazione

Il passaggio di consegne tra amministratori di condominio rappresenta un momento di delicata importanza nella gestione dell’immobile, sia per garantire l’opportuna continuità nei rapporti che coinvolgono il condominio, sia per scongiurare l’emergere di responsabilità a carico dell’amministratore uscente.

In primo luogo, va rilevato che, a norma degli artt. 1129 ottavo comma e 1130 del codice civile, l’amministratore è tenuto alla corretta conservazione di tutta la documentazione inerente all’attività del condominio ed è altresì obbligato a trasmetterla al soggetto che gli succede al termine del suo incarico.

Verbale di consegna

All’atto della consegna della documentazione, è opportuno che venga redatto un apposito verbale di consegna in cui vengono indicati i vari documenti oggetto del passaggio di consegne.

Il verbale di consegna va sottoscritto da entrambi gli amministratori, quello uscente e quello subentrante, ma va evidenziato che la firma di quest’ultimo non costituisce ricognizione di debito riguardo ad eventuali anticipazioni di pagamento dichiarate dal vecchio amministratore.

Né tanto meno quest’ultimo può rifiutarsi di consegnare la documentazione anche qualora si ritenga in credito di somme da lui anticipate per conto del condominio.

Il rendiconto e i documenti oggetto di consegna

Ovviamente, assieme alla consegna della documentazione, l’amministratore uscente dovrà rendere conto della situazione di cassa.

A tal fine, il passaggio di consegne riguarderà anche documenti come fatture, estratti conto bancari e bilanci, attraverso i quali si realizza il rendiconto.

Altra documentazione solitamente oggetto di passaggio di consegne tra amministratori di condominio è rappresentata dal regolamento del condominio, dalle tabelle millesimali, dalle eventuali polizze assicurative stipulate dal condominio e dalle certificazioni relative agli impianti presenti nell’immobile.

Ulteriore documentazione può consistere nei preventivi relativi ai lavori da farsi, nei documenti afferenti ad eventuali contenziosi in corso e nella documentazione inerente ai contratti d’appalto o di lavoro subordinato (es. portierato, impresa di pulizie, giardinaggio).

Il rifiuto di effettuare il passaggio di consegne in condominio

L’eventuale rifiuto della consegna della documentazione afferente all’attività condominiale può esporre l’amministratore uscente a responsabilità nei confronti dei condomini.

A tal fine, al gestore subentrante è riservato il diritto di agire in giudizio per ottenere la consegna dei documenti, se del caso anche con procedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c., oggi disciplinato dalle norme sul nuovo rito semplificato.

Diverse pronunce della Cassazione penale (v. Cass. n. 29451/13) hanno inoltre evidenziato come il rifiuto di consegnare la documentazione o di ottemperare al provvedimento d’urgenza deliberato dal Tribunale, espongono l’amministratore uscente a responsabilità penale per appropriazione indebita ex art. 646 c.p. o per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento giudiziario ex art. 388 c.p. (salvo il risarcimento del danno causato al condominio, ostacolato nella propria attività dalla mancata consegna della documentazione).

Passaggio di consegne amministratori di condominio: i tempi

Tra il momento in cui viene deliberata in assemblea la scadenza del mandato con il vecchio amministratore e quello in cui avviene il passaggio di consegne in favore del nuovo amministratore possono passare alcune settimane, secondo gli accordi tra i soggetti interessati.

In tal caso, nel periodo intercorrente alla formalizzazione dell’insediamento del nuovo gestore, l’amministratore di condominio uscente è legittimato a compiere gli atti di ordinaria amministrazione, come il pagamento delle bollette o gli interventi che presentano carattere di urgenza.

Altri adempimenti del nuovo amministratore di condominio

Tra gli altri adempimenti a carico del nuovo amministratore, vi è anche la comunicazione del proprio incarico all’Agenzia delle Entrate, in modo che quest’ultima possa associare il nome del nuovo amministratore al codice fiscale del condominio.

Inoltre, l’amministratore subentrante ha diritto di ricevere dalla banca (presentando il verbale assembleare di nomina) o direttamente dal vecchio amministratore le credenziali del conto corrente intestato al condominio.

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revisione tabelle millesimali

Revisione tabelle millesimali: basta la maggioranza per il tecnico La revisione delle tabelle millesimali deve essere approvata all’unanimità, per la nomina del tecnico revisore invece basta la maggioranza

Revisione tabelle millesimali: unanimità o maggioranza?

La revisione delle tabelle millesimali richiede l’unanimità se, come prevede l’art. 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile, l’assemblea rettifica o modifica direttamente i valori proporzionali delle singole unità. Se però l’assemblea si limita a nominare un tecnico per provvedere alla revisione delle tabelle, dando incarico all’amministratore di nominarlo, allora è sufficiente la maggioranza richiesta dall’art. 1136 c.c. comma 2. La Corte di Appello di Messina lo ha precisato nella sentenza n. 808/2024.

Unanimità per nominare il tecnico revisore

I proprietari di un’unità immobiliare compresa all’interno di un condominio impugnano una delibera. Con questa decisione i condomini hanno conferito mandato all’amministratore di nominare il tecnico per procedere alla revisione delle tabelle millesimali.

Il primo giudice respinge le richieste attoree, ritenendo la delibera valida e legittima perché approvata dalla maggioranza art. 1136 comma 2 c.c.

Invalida la delibera adottata a maggioranza

Parte soccombente impugna la decisione insistendo sulla richiesta declaratoria di invalidità della delibera. La decisione sarebbe stata adottata infatti in violazione di quanto previsto dall’art. 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile, norma che richiedere l’unanimità per la rettifica e la modifica delle tabelle millesimali.

Revisione tabelle millesimali: non serve l’unanimità per nominare il tecnico

La Corte d’Appello però respinge il gravame perché infondato. In sede assembleare i condomini non hanno operato una modifica diretta e immediata delle tabelle millesimali. Essi si sono limitati a conferire l’incarico a un tecnico affinché questo potesse procedere alla revisione delle tabelle, con onere di nomina a carico dell’amministratore di condominio.

Unanimità per la modifica o la rettifica delle tabelle

La decisione non ha come oggetto quindi la rettifica o la modifica delle tabelle, operazioni per la quali l’art. 69 delle disposizioni di attuazione del codice civile richiede l’unanimità.

La delibera impugnata ha un contenuto meramente programmatico, tanto che solo con una delibera apposita e successiva sono state approvate le nuove tabelle.

In ogni caso, a ben vedere, la delibera impugnata è stata approvata con la maggioranza qualificata richiesta dall’art. 1136 c.c comma 2, ossia con la maggioranza degli intervenuti e con un numero di voti rappresentanti 1/3 del valore del condominio, idonea come tale a modificare le tabelle.

L’unanimità è richiesta solo se si ha intenzione di derogate alle disposizioni dell’art. 1123 c.c., che disciplina i criteri di riparto per le spese da sostenere per la conservazione e il godimento delle parti comuni.

 

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L’assoluzione penale non esclude il risarcimento La Cassazione conferma la linea rigorosa: l’assoluzione nel giudizio penale non esclude il risarcimento del danno in ambito civile

Responsabilità penale, civile e risarcitoria

La Cassazione, con la sentenza del 19 settembre 2024 n. 25200, si è pronunziata sulla vicenda di un ragazzo deceduto per folgorazione a causa di un lampione della rete pubblica che presentava dei fili scoperti su cui si era appoggiato per andare a recuperare un pallone da calcio.

Al di là della triste vicenda, si pone il problema non solo della responsabilità penale, ma anche di quella civile e risarcitoria ex art. 2051 cod. civ.  da ripartire tra diversi responsabili (Comune/direttore dell’ufficio tecnico; direttore dei lavori della ditta esecutrice dell’impianto; ditta incaricata della manutenzione) e del rapporto tra responsabilità civile e penale.

Assoluzione penale

In relazione a tali fatti, sul fronte penale per omicidio colposo, vi sono stati tre procedimenti: uno nei confronti del responsabile dell’ufficio tecnico del Comune, un altro nei confronti del direttore dei lavori titolare della ditta esecutrice dell’impianto di illuminazione che serviva il piazzale ed un terzo nei confronti della ditta con cui il Comune aveva stipulato una convenzione avente ad oggetto la manutenzione degli impianti di illuminazione siti sul territorio comunale. I primi due procedimenti si concludevano con pronuncia assolutoria, mentre il terzo per condanna per omicidio colposo.

Responsabilità ex art. 2051 c.c.

Sul fronte civile, invece, la questione principale riguarda l’individuazione della responsabilità ex art. 2051 cod. civ. del Comune, anche in relazione all’eventuale giudicato penale di assoluzione.

Giova rilevare che è ammissibile intentare un giudizio civile anche in caso di sentenza di assoluzione in materia penale: l’assoluzione dell’imputato non preclude la possibilità di pervenire, nel giudizio di risarcimento dei danni, a sentenza di condanna. Ciò anche in considerazione del diverso atteggiarsi sia dell’elemento della colpa che delle modalità di accertamento del nesso di causalità materiale, in ambito civile.

Invero, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione “perché il fatto non sussiste” implica che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa sia stato provato e, entro questi limiti, esplica efficacia di giudicato nel giudizio civile, sempre che la parte nei cui confronti l’imputato intende farla valere si sia costituita, quale parte civile, nel processo penale.

Nel caso di specie, nel processo penale il Comune, citato come responsabile civile, era chiamato a rispondere del fatto penalmente illecito contestato al funzionario, mentre nel processo civile il Comune è stato chiamato a rispondere per il fatto proprio in relazione alla custodia di un bene di proprietà comunale.

La colpa dei singoli dipendenti del Comune è irrilevante ai fini del titolo di responsabilità di quest’ultimo, la quale è pressoché obiettiva e prescinde dalle condotte negligenti dei singoli.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. non è sufficiente – ed è anzi del tutto irrilevante – la dimostrazione dell’assenza di colpa da parte del custode, ma si richiede la prova positiva della causa esterna (fatto materiale, fatto del terzo, fatto dello stesso danneggiato) che – quanto ai fatti materiali e del terzo, per imprevedibilità, eccezionalità, inevitabilità, nonché, quanto a quelli del danneggiato, per anche sola sua colpa – sia completamente estranea alla sfera di controllo del custode, restando così a carico di quest’ultimo anche il danno derivante da causa rimasta ignota.

Esclusione della responsabilità

Quanto alla responsabilità civile del Comune, la responsabilità del custode può essere esclusa:

  1. dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo;
  2. dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo, caratterizzate, rispettivamente la prima dalla colpa ex 1227 cod. civ. (bastando la colpa del leso) o la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevedibilità rispetto all’evento pregiudizievole.

Nesso causale tra cosa in custodia ed evento

Ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., il Comune è custode dell’immobile e dei suoi impianti fissi e come tale responsabile oggettivamente.

Ai fini della configurabilità di responsabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa e senza che rilevi a riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.

Responsabilità del custode: confermata la linea rigorosa

La sentenza si inserisce nel solco della giurisprudenza consolidata in materia di responsabilità da cose in custodia, confermando l’orientamento rigoroso nei confronti degli enti pubblici.

La decisione sottolinea l’importanza della manutenzione degli impianti pubblici e la necessità per i Comuni di adottare misure preventive adeguate. Il fatto che il lampione fosse privo di corpo illuminante e in condizioni fatiscenti evidenzia una grave carenza nella manutenzione, che ha portato alla tragica conseguenza.

In conclusione, la sentenza non solo sancisce che è ammissibile, nonostante una sentenza di assoluzione in ambito penale,  essere condannati al risarcimento dei danni in ambito civile ma questa decisione della Cassazione rafforza la posizione dei cittadini nei confronti degli enti pubblici, imponendo a questi ultimi un elevato standard di diligenza nella gestione e manutenzione dei beni di loro proprietà.

L’amministratore di condominio si può criticare  L’amministratore di condominio può essere criticato per il suo operato, i condomini hanno diritto di conoscere come gestisce i beni comuni

Amministratore di condominio: criticabile in assemblea

Il condomino può criticare l’amministratore di condominio in assemblea anche con espressioni forti che ne contestano l’operato. Esse non realizzano una condotta ingiuriosa o diffamatoria  se non sono finalizzate a offendere l’onore della persona e a gettare discredito sulla stessa. Lo ha previsto il Tribunale Paola nella sentenza n. 516/2024. 

Amministratore di condominio: danni per diffamazione e calunnia

Un amministratore di condominio agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno causato dalla condotta diffamatoria o calunniosa posta in essere nei suoi confronti da un condomino. L’attore narra di essere stato amministratore del condomino a cui appartiene il convenuto e di esservi rimasto in carica fino al 16 agosto 2018.

Durante l’assemblea condominiale tenutasi in questa data il condomino convenuto lo avrebbe diffamato e calunniato. A causa di questo episodio l’assemblea non lo ha confermato come amministratore e da quel momento racconta di aver iniziato a soffrire di turbamenti psicologici come professionista e come uomo.

L’attore chiede quindi al giudice di riconoscergli il risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell’articolo 2043 c.c. e il risarcimento del danno patrimoniale per il mancato rinnovo dell’incarico di amministratore.

Frasi rivolte all’operato non alla persona

Il condomino convenuto contesta in giudizio le richieste attoree. Costui fa presente che nel corso di un’assemblea tenutasi nel luglio 2018 era stata deliberata la revoca del mandato di amministratore per il venir meno del vincolo fiduciario. Tale decisione però non è stata recepita.

Il convenuto precisa di aver esercitato il legittimo diritto di critica, di non aver rivolto le espressioni che gli sono state attribuite alla “persona” dell’amministratore, ma alla sua attività gestoria.

Ingiuria discriminata dal diritto di critica

Il Tribunale rigetta le richieste attoree e precisa come la tutela dell’onore di una persona si scontri con il diritto di manifestazione del pensiero, sotto il profilo del diritto di cronaca e di critica.

Nello specifico “La critica rappresenta espressione del pensiero sotto forma di giudizio e di razionalità e si concretizza nella presa di posizione motiva e argomentata su accadimenti, fatti o circostanze dei più vari settori della vita sociale. Il riconoscimento dell’esimente del diritto di critica presuppone la verità del fatto, l’interesse sociale (pertinenza) e la correttezza formale del linguaggio (continenza). Proprio perché la critica esprime una maggior valenza valutativa, si deve tollerare in tale contesto anche un uso del linguaggio vivace, ironico, polemico, aspro e pungente.”

Verità, continenza e interesse a conoscere l’operato del gestore

Nel caso di specie la condotta del convenuto è senza dubbio ingiuriosa. Le espressioni utilizzate tuttavia sono rivolte all’operato dell’amministratore per aver tenuto condotte prevaricatorie nei confronti dei condomini e di terzi. Essa risulta quindi scriminata dal diritto di critica esercitato in un contesto caratterizzato da tensione e animosità. Dalle prove è emerso inoltre che le frasi rivolte dal convenuto all’amministratore e al suo operato sono “vere” e rispettose del requisito della continenza. I condomini inoltre hanno tutto l’interesse e diritto di conoscere l’operato di chi gestisce i beni comuni.

“L’avere dunque additato la persona dell’amministratore come “sgradevole” e l’aver qualificato le sue condotte alla stregua di “minacce” o come “estorsione” rientra nel novero del diritto del diritto critica, perché costituiscono chiara espressione di una valutazione (necessariamente soggettiva) di grave disapprovazione circa i comportamenti denunciati e le modalità di gestione dell’incarico di amministratore condominiale, e non dissimulano in alcun modo un intento di gettare discredito sulla personalità morale del soggetto preso di mira.”

 

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Allegati

ipoteca cos'è

Ipoteca: cos’è e come funziona Breve guida sull’ipoteca: a cosa serve, come si iscrive e a cosa dà diritto. I diritti del terzo acquirente e la liberazione dall’ipoteca

Ipoteca, diritto reale di garanzia

L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che conferisce il diritto, al soggetto in cui favore è iscritta, di ottenere l’espropriazione e la vendita del bene ipotecato e di essere soddisfatto sul ricavato con preferenza rispetto agli altri creditori.

Tale garanzia può avere ad oggetto beni immobili, rendite dello Stato o beni mobili registrati, come navi, aeromobili e autoveicoli.

Insieme al pegno (che ha ad oggetto, invece, i beni mobili) e ai privilegi, l’ipoteca è una delle cause di prelazione che fanno venir meno la c.d. par condicio creditorum prevista dall’art. 2741 del codice civile (in base alla quale i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore).

Che cos’è l’ipoteca giudiziale

L’ipoteca può essere di tre tipi: legale, giudiziale e volontaria.

L’ipoteca legale è prevista dall’art. 2817 del codice civile in favore di determinati soggetti (ad esempio in favore dell’alienante nei confronti dell’acquirente, per tutelarlo in caso di mancato pagamento del prezzo).

L’ipoteca giudiziale spetta, invece, a chiunque ottenga un provvedimento favorevole da parte del giudice (ad es.: una sentenza) che obblighi l’altra parte al pagamento di una somma di denaro o all’adempimento di altro tipo di obbligazione. In tal caso, quindi, la sentenza è titolo per l’iscrizione di ipoteca sui beni del debitore, se questi non ottempera a quanto disposto dal giudice.

L’ipoteca volontaria, infine, è concessa spontaneamente, per iscritto con atto pubblico o scrittura privata, con una dichiarazione unilaterale o disposizione contrattuale con cui si individui con precisione l’immobile oggetto di garanzia.

Quanto dura l’ipoteca su un immobile

L’ipoteca si sostanzia in una iscrizione nei registri immobiliari, che ha valore costitutivo: solo con l’iscrizione, cioè, l’ipoteca si perfeziona e il relativo diritto diviene opponibile ai terzi acquirenti del bene.

Per l’iscrizione dell’ipoteca, il richiedente deve presentare il titolo costitutivo (ad esempio, la sentenza) ed una nota di iscrizione, in cui va precisata, tra l’altro, la somma per la quale l’ipoteca viene iscritta.

L’ipoteca ha una durata di venti anni, che decorrono dal momento dell’iscrizione nei pubblici registri; è possibile, peraltro, provvedere al rinnovo dell’ipoteca prima della sua scadenza.

Il grado dell’ipoteca

La preferenza riservata al creditore ipotecario in sede di ripartizione del ricavato della vendita del bene segue un criterio temporale, poiché, come dispone l’art. 2852 c.c. “l’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione“.

In altre parole, viene soddisfatto per primo chi ha eseguito la prima iscrizione e via via gli altri creditori ipotecari a seguire, in base al proprio grado di iscrizione, sempre che la somma del ricavato sia sufficiente a soddisfarli.

Quando una casa è ipotecata si può vendere?

Il creditore ipotecario ha diritto di ottenere l’espropriazione del bene anche se questo sia stato nel frattempo venduto dal debitore ad un terzo.

Purgazione dell’ipoteca

A norma dell’art. 2858 c.c., il terzo acquirente può scegliere se pagare i creditori, rilasciare l’immobile o liberare i beni dalle ipoteche (c.d. purgazione dell’ipoteca). La liberazione dall’ipoteca si può ottenere notificando ai creditori ipotecari un atto in cui viene indicato il prezzo stabilito per la vendita; se entro quaranta giorni dalla notifica, i creditori non chiedono l’espropriazione del bene (con il fine di ottenere un prezzo più alto), il terzo acquirente ha facoltà di depositare il prezzo indicato, che servirà a soddisfare, eventualmente solo in parte, i creditori. In tal modo, l’acquirente ottiene la cancellazione delle ipoteche iscritte prima della trascrizione del suo titolo di acquisto.

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delibera annullabile

Delibera annullabile se la convocazione è successiva all’assemblea Delibera annullabile se il Condominio prova l’invio della raccomandata, ma non la ricezione o il rilascio dell’avviso di giacenza

Delibera annullabile senza prova invio convocazione

Delibera annullabile se la convocazione perviene dopo l’assemblea e se il Condominio produce in giudizio solo la raccomandata di invio della convocazione assembleare alla singola condomina, senza dimostrare l’esito dell’invio. Questa la decisione assunta dal Tribunale di Roma nella sentenza n. 13794/2024.

Avviso di convocazione successivo al verbale assembleare

Una condomina cita in giudizio il condominio esponendo di non aver potuto partecipare all’assemblea condominiale del 25 novembre 2021. La stessa ha infatti ricevuto l’avviso di convocazione diversi giorni dopo la ricezione del verbale in data 30 dicembre 2021.

Parte attrice chiede quindi l’annullamento della delibera impugnata e la nullità del rendiconto 2020 approvato in quell’assemblea.

Avviso di convocazione: almeno 5 giorni prima dell’assemblea

Parte convenuta costituitasi in giudizio produce la raccomandata con avviso di ricevimento del 12 novembre 2021 con la quale ha convocato all’assemblea parte attrice.

L’art. 66 disp. att. c.c. prevede che l’avviso di convocazione debba essere comunicato almeno cinque giorni prima dell’adunanza in prima convocazione. In caso di convocazione tardiva,  omessa o incompleta la deliberazione è annullabile su istanza dei dissenzienti o degli assenti perché non convocati nelle modalità di rito.

Delibera annullabile: la mancata convocazione è vizio procedimentale

La Corte di Cassazione ha chiarito inoltre che la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione al singolo condomino è un vizio procedimentale che comporta l’annullabilità della delibera condominiale. La legittimazione a chiedere l’annullamento spetta solo al singolo premesso che all’onere di dimostrare, in caso di contestazione, i fatti dei quali risultano l’omessa comunicazione.

Manca la prova della ricezione

A carico del Condominio, al fine di dimostrare il rispetto del termine di quell’art. 66 disp. att. c.c. è sufficiente che lo stesso dimostri che la raccomandata inviata sia pervenuta all’indirizzo del destinatario e che, in caso di mancata consegna, sia stato rilasciato avviso di giacenza presso l’ufficio postale.

Nel caso di specie però il Condominio ha prodotto solo l’atto di invio della raccomandata all’attrice datata 12 novembre 2021. Lo stesso non ha dimostrato l’esito dell’invio, considerato che detta raccomandata è stata effettuata con avviso di ricevimento.

Alla luce di quanto emerso in sede istruttoria la domanda di parte attrice deve essere accolta e quindi la delibera del 25 novembre 2021deve essere annullata.

 

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affitti brevi

Affitti brevi: dal 2 novembre obblighi di sicurezza per gli impianti Affitti brevi: dal 2 novembre scatta l’obbligo del Cin ma anche quello in materia di sicurezza degli impianti

Affitti brevi: CIN obbligatorio dal 2 novembre 2024

In materia di affitti brevi la recente normativa è intervenuta su più fronti, introducendo diverse novità. Dal 2 novembre ad esempio, tutti gli immobili e le strutture dovranno possedere il CIN, il codice identificativo nazionale ed esibirlo sia all’interno dell’immobile concesso in locazione che al suo esterno.  

Sicurezza degli impianti per gli affitti brevi

Chi vorrà concedere in locazione il proprio immobile con contratto di affitto di breve durata dovrà adempiere però anche a un altro importante obbligo.

L’articolo 13 ter del Decreto legge n. 145/2023 al comma 7 dispone che le unità immobiliari con destinazione ad a uso abitativo che saranno oggetto di contratti di locazione per finalità turistiche o ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50,  gestite con determinate forme imprenditoriali dovranno essere munite dei requisiti di sicurezza degli impianti in base alle prescrizioni stabilite dalle norme statali e regionali in vigore.

Obblighi di sicurezza: in cosa consistono

Nello specifico, le unità immobiliari dovranno essere dotate di dispositivi funzionanti per rilevare la presenza di gas combustibili e del monossido di carbonio.

I proprietari o i locatori dovranno dotare gli immobili di estintori portatili, costruiti e conservati in base alle disposizioni di legge. Questi strumenti dovranno essere posizionati in luoghi facilmente visibili e accessibili, soprattutto vicino ai punti di accesso e nei pressi delle aree di maggior pericolo. Le regole prevedono che i soggetti obbligati dovranno installare un estintore ogni 200 metri quadrati di pavimento, o frazione, con un minimo di un estintore ogni piano.

Per quanto riguarda gli estintori il decreto 145/2023 rinvia al punto 4.4 dell’allegato I  del decreto 3 settembre 2021 contenente i “Criteri generali di progettazione, realizzazione ed esercizio della sicurezza antincendio per luoghi di lavoro, ai sensi dell’articolo 46, comma 3, lettera a), punti 1 e 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.”

 

 

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giurista risponde

Violazione delle distanze e limitazione al diritto di godimento del bene L’onere probatorio in caso di violazione delle distanze e limitazione al diritto di godimento del bene può essere soddisfatto mediante elementi presuntivi?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Nicola Pastoressa

 

In caso di violazione delle distanze, l’esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo, tenendo conto di una serie di elementi – che concorrono anche alla valutazione equitativa del danno – dai quali possa evincersi una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore. – Cass. 27 giugno 2024, n. 17758.

L’oggetto della materia del contendere di cui al caso in esame ha riguardato il risarcimento dei danni causati dall’installazione illegittima di una canna fumaria posta ad una distanza inferiore a quella minima rispetto al balcone del fondo limitrofo.

In sede di appello, la Corte ha rigettato la domanda risarcitoria in quanto, oltre ad aver ritenuto insussistente il danno alla salute, la parte onerata non avrebbe allegato e provato il danno derivante dalla compromissione del godimento del bene: per tali ragioni è stato infine proposto ricorso per Cassazione.

Spiegano i giudici di ultima istanza che il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi ex art. 890 c.c. è collegato ad una presunzione di pericolosità assoluta se prevista da norme comunali di tipo regolamentare ovvero relativa in assenza di esse.

Nondimeno, la violazione della distanza della canna fumaria dal balcone di proprietà di parte attrice è stata accertata assieme alla sua intrinseca pericolosità attesa altresì la sua composizione in amianto e le scarse condizioni manutentive; ciò che la Corte territoriale ha omesso di valutare tuttavia, ancorché in via presuntiva, se il pericolo concreto ed attuale derivante all’esposizione a materiali nocivi abbia limitato il godimento del bene a prescindere dalle immissioni dello stesso.

È stato dato seguito al principio di diritto elaborato dalla sez. II della Corte di Cassazione (Cass., sez. II, 18 luglio 2013, n. 17635) e poi ripreso dalle Sezioni Unite del 2022 (Cass., Sez. Un., 15 luglio 2022, n. 33645) secondo cui, “in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria” nonché nel senso che la locuzione “danno in re ipsa” debba essere sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale” privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze.

Nel caso di specie, rilevano i giudici della Suprema Corte, avrebbe errato la Corte d’appello ad escludere la tutela risarcitoria per l’assenza di un danno effettivo alla salute, senza prima valutare se gli elementi presuntivi allegati fossero astrattamente idonei a compromettere il godimento del bene, dovendo accertare se, per le condizioni di tempo e di luogo, vi fosse stata una limitazione concreta nel godimento dell’immobile.

Tale provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con l’orientamento maggioritario (e accolto dalla sent. Cass., sez. II, 23 giugno 2023, n. 18108) secondo cui l’esistenza di un danno risarcibile ben può fondarsi su presunzioni quando vengono soppresse o limitate le facoltà di godimento e disponibilità di cui il bene ne è oggetto.

Per tali ragioni, il ricorso è stato accolto e la Corte ha disposto il rinvio ai giudici dell’appello che, in diversa composizione, dovranno conformarsi al seguente principio di diritto: “In caso di violazione delle distanze, l’esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo, tenendo conto di una serie di elementi – che concorrono anche alla valutazione equitativa del danno – dai quali possa evincersi una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore”.

(*Contributo in tema di “Violazione delle distanze e limitazione al diritto di godimento del bene”, a cura di Matteo Castiglione e Nicola Pastoressa, estratto da Obiettivo Magistrato n. 77 / settembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)