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Evasione dagli arresti domiciliari: punibile anche l’indagato La Corte costituzionale chiarisce che l’indagato può essere punito per evasione dagli arresti domiciliari al pari dell’imputato. Legittima l’interpretazione dell’art. 385 c.p., comma 3

evasione dagli arresti domiciliari

Nessuna distinzione tra imputato e indagato

Evasione dagli arresti domiciliari: con la sentenza n. 107 del 2025, depositata in data odierna, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 385, comma 3, c.p., nella parte in cui – secondo il diritto vivente – consente di punire anche l’indagato per il reato di evasione dagli arresti domiciliari, nonostante il testo della norma faccia riferimento esclusivo all’imputato.

Il contesto storico-normativo della disposizione

La Consulta ha ricostruito il contesto normativo in cui fu redatto l’articolo oggetto di censura. Il terzo comma dell’art. 385 c.p. venne sostituito dall’art. 29 della legge n. 532/1982, quando era ancora vigente il codice di procedura penale del 1930. All’epoca, il legislatore utilizzava il termine “imputato” per indicare qualsiasi soggetto indiziato, anche nella fase delle indagini preliminari.

Il concetto moderno di “indagato”, distinto da quello di “imputato”, è stato introdotto soltanto con il nuovo codice di rito entrato in vigore nel 1989.

La continuità interpretativa della norma penale

Secondo la Corte, dunque, il termine “imputato”, così come impiegato nel terzo comma dell’art. 385 c.p., include anche l’indagato, alla luce del significato attribuitogli al momento della redazione della norma.

Non si configura pertanto alcuna violazione del principio di legalità, come dedotto dal giudice rimettente, poiché l’interpretazione estensiva che consente di punire l’indagato per evasione è coerente con la ratio originaria della disposizione e con l’evoluzione del diritto positivo.