Il Ministero risarcisce gli alunni abusati dal prof Gli alunni abusati dagli insegnanti devono essere risarciti dal Ministero, gli abusi non sono sono imprevedibili nei rapporti di cura

Alunni abusati: il Ministero deve risarcire

La Cassazione torna a occuparsi di alunni abusati, precisando che quando un insegnante commette abusi sessuali sui suoi allievi a scuola, il Ministero deve risarcire il danno. Questo perché, secondo la legge, la condotta criminosa dell’insegnante, pur essendo contraria agli scopi educativi della scuola, non è considerata un evento così inatteso o impossibile da escludere la responsabilità dell’amministrazione pubblica. Il rischio che un abuso possa avvenire in un contesto scolastico non è così remoto da sollevare il Ministero dal suo dovere di risarcire le vittime. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 11614/2025.

Il Ministero risarcisca i danni agli alunni

I famigliari di alcuni alunni abusati da un loro insegnante citano in giudizio il MIUR (ora MIM), affermando la responsabilità civile del Ministero per abusi di un docente sui loro figli minori. Il docente infatti è stato condannato definitivamente per abusi su minori (anni 2003-2006) e gli attori si erano già costituiti parte civile nel processo penale contro il docente. Il Ministero però non aveva partecipato al processo penale come responsabile civile. Nell’incardinato giudizio civile però lo stesso si costituisce, eccependo la prescrizione dell’azione, deducendo l’inopponibilità del giudicato penale, rilevando l’erroneo richiamo all’art. 2049 c.c ed evidenziando la carenza delle allegazioni avversarie.

Ministero condannato in primo e secondo grado

Il Tribunale di Genova però condanna il Ministero e con la sentenza n. 2122/2021 riconosce il risarcimento per danno biologico e morale agli attori. La Corte d’appello di Genova riforma parzialmente la decisione di primo grado, ricalcola il danno e detrae le provvisionali già liquidate agli attori, confermando nella parte restante la decisione di primo grado. Gli attori ricorrono in Cassazione e il MIM resiste con controricorso.

Responsabilità ministero: nesso di causalità

La Cassazione nel rigettare il ricorso incidentale e accogliere quello degli attore fornisce importanti indicazioni interpretative. La stessa ricorda che la pronuncia a Sezioni Unite n. 13246/2019 ha chiarito che l’art. 2049 c.c.configura una responsabilità oggettiva per fatto altrui, un’applicazione moderna del principio cuius commoda eius et incommoda, in base al quale chi si avvale dell’attività di un altro ne subisce anche i danni. L’ordinamento in questo modo rialloca i costi delle condotte dannose, ponendoli a carico di chi si avvale dell’operato altrui.

A fondare la responsabilità del preponente è il nesso di occasionalità necessaria e lo stesso sussiste se le funzioni esercitate agevolano l’illecito. È irrilevante il superamento dei limiti o il dolo del dipendente, occorre che la condotta non costituisca uno sviluppo anomalo della funzione. Il contesto scolastico richiede accorgimenti preventivi, la dirigenza e tutto il personale devono adottarli e gli stessi vanno attuati in base all’età degli allievi e alle circostanze.

Alunni abusati: anomalia prevedibile

Le situazioni di affidamento di minori sono sicuramente insidiose. La normativa penale infatti distingue le condotte verso minori e aggrava le pene per chi ha compiti di cura, educazione o custodia. L’art. 609-quater c.p, che punisce gli atti sessuali con minori, prevede un trattamento specifico quando tra reo e vittima esiste un rapporto di fiducia o di autorità.

La Convenzione di Lanzarote all’art. 18 prevede sanzioni per chi commette abusi quando riveste posizioni di fiducia. L’abuso che viene attuato all’interno delle relazioni con figure professionali come insegnanti e medici merita un’attenzione particolare.

I minori in queste relazioni vanno protetti, anche se hanno raggiunto l’età per i rapporti sessuali e anche se non vi è coercizione. Le relazioni di cura o istruzione possono evolvere in abuso e questo non costituisce un’anomalia imprevedibile.  Statisticamente, chi abusa di minori spesso è proprio chi se ne occupa. L’assunzione di compiti di cura favorisce quindi i predatori sessuali.

Le condotte delittuose commesse ai danni dei ricorrenti quindi, nel caso di specie, non possono essere considerati “improbabili”. Esse non costituiscono un’anomalia imprevedibile e la Pubblica Amministrazione ha il dovere di prevenire i reati, adottando le misure opportune durante le prestazioni scolastiche.  La reiterazione degli abusi nell’ambiente scolastico evidenzia carenze nel controllo.

 

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favoreggiamento

Non è favoreggiamento accompagnare la collega a prostituirsi Per la Cassazione non è integrato il reato di favoreggiamento della prostituzione se la condotta è occasionale

Reato di favoreggiamento della prostituzione

La sentenza n. 16535/2025 della terza sezione penale della Cassazione ha affrontato il tema del favoreggiamento della prostituzione, stabilendo che l’accompagnamento occasionale di una prostituta da parte di una collega sul luogo di esercizio non costituisce reato. 

Il caso esaminato

Nel caso in esame, una donna è stata accusata di favoreggiamento della prostituzione per aver accompagnato in auto una collega sul luogo dove quest’ultima esercitava l’attività. La donna adiva il Palazzaccio sostenendo di aver agito per “spirito di colleganza”. La Corte ha ritenuto che tale condotta, se isolata e priva di elementi che indichino un’organizzazione o un supporto sistematico all’attività di prostituzione, non integra il reato previsto dall’art. 3, n. 8, della legge n. 75/1958. 

La motivazione della Corte

La Corte ha sottolineato che per configurare il reato di favoreggiamento della prostituzione è necessario che l’azione dell’agente sia idonea a facilitare in modo concreto e consapevole l’esercizio dell’attività di prostituzione altrui. Nel caso specifico, l’accompagnamento occasionale non è stato ritenuto sufficiente a integrare tale fattispecie criminosa. 

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azione disciplinare avvocati

Azione disciplinare avvocati: prescrizione dall’atto denigratorio La Cassazione a Sezioni unite rammenta che l’illecito per l’avvocato che offende è istantaneo per cui la prescrizione dell’azione disciplinare decorre dall’atto denigratorio

Azione disciplinare avvocati

Con la sentenza n. 6549/2025, le Sezioni Unite Civili della Cassazione hanno risolto un contrasto giurisprudenziale in tema di prescrizione dell’azione disciplinare nei confronti degli avvocati.

Il caso: denigrazione colleghi e disciplinare

La vicenda trae origine da un esposto disciplinare presentato nei confronti di un avvocato, accusato di aver denigrato pubblicamente un collega attraverso affermazioni ritenute lesive della sua reputazione.

L’azione disciplinare era stata promossa a distanza di oltre tre anni dall’episodio contestato. L’incolpato, eccependo l’intervenuta prescrizione, contestava la tardività del procedimento. Tuttavia, il Consiglio nazionale forense aveva rigettato l’eccezione, ritenendo che il termine decorresse non dalla data dell’atto denigratorio, ma dalla scoperta del fatto da parte dell’autorità disciplinare.

La questione rimessa alle Sezioni Unite

La Corte di cassazione, rilevato un contrasto tra pronunce precedenti sull’individuazione del dies a quo della prescrizione disciplinare, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, le quali si sono espresse nel senso della decorrenza oggettiva del termine.

La prescrizione decorre dall’atto denigratorio

La Corte ha affermato il seguente principio: “In tema di procedimento disciplinare forense, la prescrizione dell’azione decorre dalla data di commissione del fatto, e non dal momento della sua conoscenza da parte dell’organo disciplinare, anche quando si tratti di condotte a carattere diffamatorio tra colleghi.”

Secondo le Sezioni Unite, la norma contenuta nell’art. 51, comma 2, L. n. 247/2012 stabilisce in modo chiaro che il termine di prescrizione è di cinque anni e decorre dalla commissione del fatto illecito, senza introdurre eccezioni analoghe a quelle previste per i reati penali in materia di reati occulti o permanenti.

Tutela dell’affidamento e certezza del diritto

La Corte ha ritenuto che una diversa interpretazione, fondata sul momento della conoscibilità soggettiva del fatto da parte dell’organo procedente, si porrebbe in contrasto con i principi di certezza del diritto, affidamento legittimo dell’incolpato e tutela del giusto processo, oltre a risultare priva di base normativa.

Viene ribadito che il procedimento disciplinare, pur avendo natura amministrativa, non può essere soggetto a criteri estensivi di decorrenza della prescrizione, pena la violazione del principio di legalità e della parità delle parti nel procedimento.

Nella motivazione si legge: “L’interpretazione che faccia decorrere il termine prescrizionale da un momento diverso da quello della commissione del fatto rischia di tradursi in una dilatazione indeterminata della responsabilità disciplinare, con effetti lesivi della stabilità del rapporto professionale.”

Applicando tale principio, le Sezioni Unite hanno annullato la decisione del CNF e dichiarato estinta per prescrizione l’azione disciplinare, rilevando che il fatto denigratorio si era verificato nel 2019, mentre il procedimento era stato avviato soltanto nel 2023, oltre il termine massimo di cinque anni.

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affido condiviso

Affidamento condiviso: il ddl di riforma Affidamento condiviso: il ddl che riforma l'istituto prevede importanti novità su responsabilità, obblighi genitoriali e mediazione

Affidamento condiviso: la riforma 

Il disegno di legge n. 832 che contiene “Modifiche al codice civile, al codice di procedura civile e al codice penale in materia di affidamento condiviso” e che è composto da 18 articoli, mira a rafforzare la disciplina dell’affido condiviso e della responsabilità genitoriale, ponendo sempre al centro l’interesse superiore del minore.

Il ddl pone l’accento sull’affido condiviso come modello prioritario, sulla pariteticità della responsabilità genitoriale e sulla tutela del diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. Introduce strumenti come la mediazione familiare obbligatoria in una fase preliminare e la figura del coordinatore genitoriale per gestire la conflittualità e favorire l’attuazione del piano genitoriale. Rafforza inoltre gli strumenti a disposizione del giudice per intervenire in caso di inadempienze e comportamenti pregiudizievoli per il minore. Analizziamo nel dettaglio cosa prevede la riforma.

Domicilio, obblighi paritetici e responsabilità

Il disegno di legge stabilisce che, in caso di affido condiviso, il minore abbia il domicilio di entrambi i genitori, sottolineando così la pariteticità del ruolo genitoriale anche a livello formale. La cura, l’educazione, l’istruzione e l’assistenza morale dei figli diventano obblighi paritetici di entrambi i genitori, indipendentemente dal loro stato civile. Si definisce la responsabilità genitoriale come l’insieme di diritti e doveri dei genitori finalizzati all’interesse dei figli. Eliminato il riferimento alla “residenza abituale” del minore, in coerenza con l’introduzione del domicilio presso entrambi i genitori in caso di affido condiviso.

Affidamento condiviso: genitori non coniugati

Per quanto riguarda i genitori non coniugati il nuovo art. 316-ter prevede che il padre contribuisca alle spese del parto non coperte dal sistema sanitario e al mantenimento della madre per tre mesi se priva di risorse. L’articolo 316-quater invece stabilisce un obbligo di mantenimento temporaneo a carico del genitore economicamente più forte verso l’altro genitore in difficoltà, per un massimo di due anni o fino al terzo anno di età del figlio. Viene infine ampliato il diritto a conservare i rapporti tra minori e ascendenti

Bigenitorialità e poteri del giudice

L’articolo 337-ter c.c, cuore della disciplina sull’affidamento condiviso, viene sostituito. La nuova norma afferma il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, ricevendo cura, educazione e istruzione da entrambi con pari responsabilità e opportunità di frequentazione. L’affido condiviso diventa la modalità ordinaria, salvo eccezioni motivate dall’interesse del minore. Il giudice deve:

  • determinare le modalità specifiche della presenza dei figli presso ciascun genitore;
  • stabilire la residenza anagrafica e fissare il domicilio presso entrambi i genitori;
  • definire le modalità di contribuzione al mantenimento, tenendo conto della capacità di ciascun genitore e della valorizzazione economica dei compiti domestici e di cura.

In caso di disaccordo, il giudice decide. Viene ribadito il diritto dei minori a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di entrambi i rami genitoriali.

ISEE e cambio residenza

Si provvede ad adeguare il regolamento sull’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) per tenere conto delle modalità dell’affido condiviso e vengono abrogati i commi 6 e 7 dell’art. 6 della legge sul divorzio (n. 898/1970), che riguardano le disposizioni patrimoniali in caso di affidamento esclusivo.

Il ddl prevede che, qualora il cambio di residenza o domicilio del genitore interferisca con le modalità dell’affido, si possa procedere alla ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti, inclusi quelli economici.

Figli maggiorenni e mantenimento

L’assegno perequativo per il mantenimento del figlio  maggiorenne spetta direttamente a quest’ultimo al raggiungimento della maggiore età, se non autosufficiente. In caso di inadempimento del genitore obbligato e inerzia del figlio, l’altro genitore è legittimato ad agire. Si prevede anche la possibilità di stabilire una quota mensile a carico di ciascun genitore in caso di mantenimento diretto precedente alla maggiore età.

Ascolto minore, mediazione e coordinatore

Rafforzato il diritto del minore a essere ascoltato. Il giudice deve valutare la fondatezza di un eventuale rifiuto del minore a essere ascoltato e procede all’ascolto dello stesso se ne fa domanda, anche in caso di omologazione di accordi tra i genitori. Si provvede a introdurre l’obbligo di un primo incontro informativo sulla mediazione familiare in caso di disaccordo sull’affido condiviso, prima di adire il giudice (salvo urgenze). Il primo incontro è gratuito e il giudice può anche segnalare l’opportunità della mediazione in fasi successive del giudizio. In caso di fallimento della mediazione o del suo rifiuto, il giudice invita le parti a redigere un piano genitoriale e si prevede la figura del coordinatore genitoriale, che può essere nominato dal giudice o dalle parti per facilitare l’attuazione del piano e risolvere eventuali disaccordi, anche con il potere di assumere decisioni di secondario rilievo.

Reato art. 570 bis esteso alle unioni civili

I poteri del giudice vengono rafforzati in caso di gravi inadempienze, inclusi i trasferimenti del minore senza consenso. In questi casi il giudice potrà disporre il rientro immediato e il risarcimento dei danni, valutando tale comportamento ai fini dell’affido.

Il reato di violazione degli obblighi economici in materia di separazione e affido condiviso – previsto dall’art. 570-bis del codice penale, viene esteso alle unioni civili.

 

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obbligo di informativa avvocato

L’avvocato deve informare il cliente sull’utilizzo dell’AI Obbligo di informativa avvocato se utilizza strumenti di intelligenza artificiale per lo svolgimento dell’attività professionale

Ddl intelligenza artificiale: obbligo avvocato

Obbligo di informativa avvocato: con l’approvazione in Senato del disegno di legge delega sull’Intelligenza Artificiale, ora all’esame della Camera, emerge l’argomento di rilievo dell’obbligo di informativa al cliente sull’utilizzo dell’AI.

L’Italia grazie alla normativa europea e a quella interna in fase di definizione, compie un passo significativo verso la regolamentazione dell’uso dell’AI nei settori chiave della società, tra cui quello delle professioni intellettuali.

Tra i punti centrali della normativa, l’articolo 13 introduce infatti obblighi specifici per avvocati e professionisti in merito all’impiego dell’intelligenza artificiale, stabilendo principi di trasparenza, supervisione e centralità dell’intervento umano.

Ruolo dell’AI nelle professioni forensi

L’articolo 13 del disegno di legge stabilisce in modo inequivocabile che l’intelligenza artificiale può essere utilizzata solo per attività strumentali e di supporto all’attività professionale. Questo significa che le decisioni, le valutazioni e l’elaborazione intellettuale restano prerogativa esclusiva del professionista umano.

Il testo chiarisce infatti che il “pensiero critico umano” deve sempre prevalere, e ciò vale anche sotto il profilo qualitativo della prestazione, garantendo così che l’uso dell’AI non svuoti di contenuto il lavoro dell’avvocato.

La norma si riferisce infatti agli articoli 2229-2238 del codice civile, che regolano il contratto di prestazione d’opera intellettuale. In questo contesto, l’articolo 2230 estende, dove applicabili, le norme sul contratto d’opera in generale (articoli 2222-2228). Quindi, l’articolo 13 riguarda specificamente i contratti per prestazioni d’opera intellettuale e non si applica ad accordi come i contratti di edizione, che riguardano la cessione o l’utilizzo di opere intellettuali già create senza un incarico specifico. Queste ultime rimangono escluse quindi dalle limitazioni previste dalla norma.

Obbligo di informativa chiara e trasparente  

Uno degli aspetti più innovativi e delicati della riforma è, come anticipato, l’introduzione dell’obbligo di informativa verso il cliente. L’avvocato che intende avvalersi di sistemi di AI nell’esecuzione del mandato deve comunicarlo in modo esplicito, utilizzando un linguaggio chiaro, semplice e completo. Questo obbligo non è soltanto una nuova previsione normativa, ma si pone in continuità con i principi già sanciti dal Codice deontologico forense, che impone doveri di trasparenza, competenza e correttezza nella comunicazione col cliente.

In attesa dell’entrata in vigore definitiva della norma, è auspicabile che gli studi legali provvedano ad aggiornare i propri modelli di incarico indicando al loro interno se e in quale fasi è previsto l’utilizzo di strumenti AI, quali misure sono adottate per tutelare la privacy dei clienti, con particolare riferimento ai dati sensibili e la garanzia che l’impiego dell’intelligenza artificiale è comunque sottoposto al controllo e alla supervisione del personale umano.

Tali indicazioni rappresentano un passo necessario per mantenere integro il rapporto fiduciario tra avvocato e assistito, che è alla base della professione forense.

Cultura dell’AI nel mondo legale

Oltre all’obbligo di informativa, il disegno di legge coinvolge gli Ordini professionali nella promozione di corsi di formazione sull’AI. L’obiettivo è duplice: da un lato garantire un uso competente e responsabile delle nuove tecnologie, dall’altro favorire una cultura professionale in grado di integrare l’innovazione senza rinunciare all’etica e alla qualità della prestazione.

Considerazioni conclusive

L’introduzione dell’obbligo di informativa sull’uso dell’intelligenza artificiale rappresenta un punto di equilibrio tra innovazione e responsabilità. Per gli avvocati, si apre una nuova fase in cui sarà essenziale saper governare strumenti sempre più potenti, mantenendo però saldi i principi fondamentali della professione. La trasparenza verso il cliente non sarà solo un dovere legale, ma anche un’opportunità per rafforzare la fiducia e la qualità del servizio offerto.

gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: iscrizione a ruolo con la sola istanza Gratuito patrocinio: per l'iscrizione a ruolo è sufficiente l'istanza di ammissione protocollata

Istanza gratuito patrocinio e iscrizione a ruolo

Con la circolare del 24 aprile 2025, protocollo n. 81673.U, la Direzione Generale degli Affari Interni del Dipartimento per gli Affari di Giustizia ha fornito importanti chiarimenti sulla procedura di iscrizione a ruolo nei casi di deposito dell’istanza di ammissione al patrocinio gratuito, priva della delibera di ammissione del Consiglio dell’Ordine. Si chiede alla direzione di chiarire in sostanza se si può procedere all’iscrizione della causa a ruolo con la sola istanza depositata, che deve essere  protocollata presso il Consiglio dell’Ordine competente.

Normativa sul gratuito patrocinio a spese dello Stato

Per fornire una risposta coerente con il quadro normativo e giurisprudenziale la Direzione richiama il Testo Unico sulle Spese di Giustizia che contiene anche la disciplina sull’ammissione al patrocinio gratuito. La normativa prevede in particolare che l’’interessato debba presenta l’istanza al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente, ossia quello del luogo dove ha sede il magistrato della causa, che decide sull’istanza entro dieci giorni dal deposito. E’ l’articolo 126 del D.P.R. n. 115/2002 a stabilire questo termine.

La Direzione rileva tuttavia che il termine di dieci giorni non viene sempre rispettato. Finora, infatti l’iscrizione a ruolo è stata effettuata con la sola istanza protocollata, con la riserva di provvedere al deposito del provvedimento di accoglimento successivamente. La Direzione Generale della Giustizia Civile del resto aveva implicitamente confermato questa prassi con la nota prot. DAG 103148.U del 14.07.2015.

Obbligo contributo unificato per l’iscrizione a ruolo

La Legge di Bilancio per il 2025 poi ha introdotto nuove disposizioni per cui è lecito domandarsi  se la prassi sia ancora valida. La legge n. 207/2024 ha previsto infatti l’obbligatorietà del versamento del contributo unificato minimo di 43,00 euro. Un importo minore è previsto infatti solo per specifici procedimenti.

Patrocinio gratuito, difesa e iscrizione a ruolo

La Direzione Generale risponde al quesito sottolineando prima di tutto come il diritto di accesso alla difesa sia fondamentale. La Costituzione lo garantisce all’articolo 24 ed eventuali ritardi nella valutazione dell’istanza di patrocinio non possono pregiudicare questo diritto. Se il ritardo non è imputabile alla parte, l’ufficio giudiziario deve procedere all’iscrizione a ruolo anche con la sola istanza di ammissione purché regolarmente depositata e protocollata dal Consiglio dell’Ordine competente.

La Cassazione sulla retroattività

Del resto la Suprema Corte di Cassazione di recente si è espressa sulla retroazione del provvedimento di ammissione con la sentenza la n. 6888/2025, chiarendo un principio di diritto consolidato. Se l’istanza respinta dal Consiglio dell’Ordine viene accolta dal giudice, gli effetti dell’ammissione retroagiscono dalla data di presentazione al Consiglio dell’Ordine. Lo Stato quindi deve farsi carico delle spese legali sostenute in questo intervallo di tempo.

Indicazioni operative istanza gratuito patrocinio

Alla luce della normativa e della giurisprudenza analizzate, la Direzione  stabilisce che gli uffici giudiziari debbano iscrivere a ruolo i procedimenti civili anche senza la delibera del Consiglio dell’Ordine. L’avvocato dovrà allegare l’istanza di ammissione regolarmente depositata e protocollata e la cancelleria dovrà aprire un foglio notizie. Se l’istanza dovesse essere respinta e non confermata dal magistrato, si procederà alla riscossione delle spese.

 

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Responsabilità infermiere

Responsabilità infermiere: va monitorato il paziente in codice verde Responsabilità infermiere: la Cassazione afferma che l'infermiere del PS deve monitorare l'evoluzione clinica del paziente nell'attesa di visita medica

Responsabilità infermiere

Responsabilità infermiere: la quarta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 15076/2025, ha affermato un principio rilevante in materia di colpa medica infermieristica nel triage ospedaliero. L’infermiere di pronto soccorso è tenuto non solo a rilevare i parametri vitali del paziente al momento dell’accesso, ma anche a proseguire il monitoraggio clinico, prestando attenzione all’eventuale peggioramento dei sintomi riferiti o osservati, anche nei casi di assegnazione del codice verde.

Il caso: crisi respiratoria sottovalutata

Nel caso di specie, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Livorno, dichiarava non doversi procedere nei confronti di un’infermiera, per intervenuta prescrizione del reato, confermando la condanna al risarcimento del danno subito dalle parti civili costituite, in solido con l’ASL-Toscana
per il reato di cui all’art. 589 c.p.

Alla predetta, in qualità di infermiera professionale in servizio presso il Pronto Soccorso, era stato contestato di aver omesso di valutare correttamente la gravità del quadro clinico di soggetto asmatico, attribuendole così un codice di accesso di colore verde, circostanza che determinò un ritardo nell’intervento medico, causa della morte della paziente per arresto cardio-respiratorio dovuto ad “insufficienza respiratoria acuta da attacco asmatico di tipo 2”.

Il ruolo dell’infermiere nel triage

La Suprema Corte, esaminando il caso di specie, ha ribadito che “al personale infermieristico compete non solo una completa raccolta di dati, non limitata alla rilevazione dei parametri vitali, ma compete altresì un giudizio di carattere valutativo dei sintomi riscontrati e riferiti. E tanto considerano compiutamente i giudici di merito, rilevando non solo come non si possa sostenere che il compito dell’infermiere si limiti alla meccanica compilazione delle schede, ma che, appunto, lo stato della paziente obiettivamente rilevabile, avrebbe dovuto condurre ad una valutazione di gravità del caso”.

Seppur non competente a formulare diagnosi,  il personale infermieristico, in sostanza, doveva procedere all’auscultazione mediante stetoscopio, potendo rilevare i ” sibili” certamente presenti in un attacco di asma grave quale quello in corso, compilando correttamente la scheda di triage.

Pertanto, i giudici rimarcano altresì “la gravità della condotta colposa della ricorrente, in quanto caratterizzata da sottovalutazione delle condizioni della paziente e dalla omissione del dovere di monitoraggio che, qualora osservato, avrebbe permesso di avvisare il personale medico dell’aggravarsi delle condizioni della donna e della necessità di intervenire immediatamente”.

Infermiere titolare di posizione di garanzia

Va invero ribadito, concludono gli Ermellini, che, secondo principi costantemente affermati dalla Corte di legittimità, “l’infermiere è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, gravando sullo stesso un obbligo di assistenza effettiva e continuativa del soggetto ricoverato, atta a fornire tempestivamente al medico di guardia un quadro preciso delle condizioni cliniche ed orientarlo verso le più adeguate scelte terapeutiche (cfr. Cass. n. 21449/2022).

Il dovere di monitorare la stabilità delle condizioni dei pazienti presenti rientra, pertanto, tra gli obblighi specifici del personale infermieristico di pronto
soccorso, il quale, nel caso in cui si verifichino particolari situazioni di emergenza, idonee a pregiudicare la salvaguardia del bene tutelato, “ha l’obbligo di allertare i sanitari in servizio, anche in altri reparti dell’ospedale, al fine di consentirne l’intervento in supporto (cfr. Cass. n. 11601/2014).

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avvocato specialista

L’avvocato specialista Avvocato specialista: chi è, come si acquisisce e si conserva il titolo, come fare domanda per il titolo e quando viene revocato

Chi è l’avvocato specialista

L’avvocato specialista è un professionista del diritto che ha acquisito una particolare competenza in uno specifico settore del diritto, riconosciuta formalmente attraverso un percorso di formazione o una comprovata esperienza professionale.

Questa figura è stata introdotta per rispondere all’esigenza crescente di garantire maggiore qualità, trasparenza e tutela nell’esercizio della professione forense, soprattutto in materie complesse e altamente tecniche.

La figura dell’avvocato specialista rappresenta un’evoluzione dell’ordinamento forense verso una maggiore qualificazione e trasparenza professionale. I percorsi previsti, sia formativo che per esperienza, consentono a ogni professionista di costruire una carriera riconosciuta, anche formalmente, in ambiti giuridici specifici.

DM 144/2015 e regolamento CNF n. 3/2024

La disciplina dell’avvocato specialista è contenuta principalmente in due atti normativi:

  • Decreto Ministeriale n. 144 del 1° ottobre 2015, attuativo dell’art. 9 della legge n. 247/2012 (Nuova disciplina dell’ordinamento forense), che ha istituito il titolo di specialista in specifiche aree di competenza;
  • Regolamento n. 3/2024 del Consiglio Nazionale Forense che ha aggiornato la procedura per il rilascio e il mantenimento del titolo di specializzazione.

Le aree di specializzazione riconosciute

Secondo il DM 144/2015 vigente le principali aree di specializzazione sono le seguenti:

  • diritto civile;
  • diritto penale
  • diritto del lavoro e della previdenza sociale;
  • diritto tributario, doganale r fiscalità internazionale;
  • diritto amministrativo;
  • diritto dell’Unione Europea;
  • diritto internazionale;
  • diritto della concorrenza;
  • diritto dell’informazione, della comunicazione digitale e della protezione dei dati personali;
  • diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni;
  • tutela dei diritti umani e protezione internazionale;
  • diritto dello sport.

Al diritto civile, penale e amministrativo afferiscono diversi indirizzi.

Come si diventa avvocato specialista

L’avvocato può ottenere il titolo di specialista seguendo due percorsi alternativi, disciplinati dal DM 144/2015 e regolati più dettagliatamente dal regolamento CNF n. 3/2024:

1. Percorso formativo universitario

  • Frequenza di corsi di alta formazione specialistica organizzati da “Dipartimenti o dalle strutture di raccordo di cui all’articolo 2, comma 2, lettera c) della legge 30 dicembre 2010, n. 240 degli ambiti di giurisprudenza delle università legalmente riconosciute e inserite nell’apposito elenco del Ministero dell’istruzione, università e ricerca.
  • I corsi devono avere una durata minima di 200 ore, con almeno l’80% di frequenza obbligatoria.
  • Al termine è previsto un esame finale.

2. Comprovata esperienza professionale

  • Dimostrazione di almeno cinque anni di esperienza continuativa e prevalente in una delle aree di specializzazione.
  • Presentazione di un elenco di casi trattati (almeno 10 l’anno), con allegata documentazione dimostrativa (atti, sentenze, pareri, ecc.).
  • Conferimento del titolo da parte del CNF previa valutazione della regolarità dei documenti comprovanti il possesso dei requisiti da parte del Consiglio dell’Ordine di appartenenza.

Come richiedere il titolo di avvocato specialista

La domanda per ottenere il titolo di avvocato specialista, corredata della documentazione comprovante il possesso dei requisiti richiesti, deve essere presentata:

In caso di esito positivo, il CNF rilascia un certificato che attesta la specializzazione. I consigli dell’ordine formano e aggiornano gli elenchi degli avvocati specialisti.

Mantenimento e revoca del titolo

Il titolo di avvocato specialista non ha validità illimitata, ma è subordinato al mantenimento della competenza tramite la formazione continua.

  • L’avvocato specialista deve conseguire almeno 25 crediti formativi annui nella materia di specializzazione per un totale di 75 nel triennio.
  • La mancata formazione, così come l’irrogazione di sanzioni disciplinari definitive diverse dall’avvertimento, comportano la revoca del titolo.

Il CNF ha il potere di verificare periodicamente la sussistenza dei requisiti e, in caso di irregolarità, può avviare la procedura di revoca.

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maltrattamenti in famiglia

Maltrattamenti in famiglia: no a sospensione automatica responsabilità genitoriale Maltrattamenti in famiglia, la Corte costituzionale limita l’automatismo: il giudice deve valutare l’interesse del minore nella sospensione della responsabilità genitoriale

Maltrattamenti in famiglia, no all’automatismo

Con la sentenza n. 55/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’articolo 34, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui impone automaticamente la sospensione della responsabilità genitoriale a seguito della condanna per maltrattamenti in famiglia (articolo 572, secondo comma, c.p.) commessi in presenza o a danno di minori.

L’intervento della Consulta

La questione di legittimità era stata sollevata dal Tribunale di Siena, che, pur avendo riconosciuto la responsabilità penale di due genitori per maltrattamenti nei confronti dei figli conviventi, aveva evidenziato l’incompatibilità tra l’applicazione automatica della pena accessoria e la necessità di tutelare, in concreto, l’interesse del minore.

Secondo l’articolo 34, secondo comma, c.p., la condanna per reati commessi abusando della responsabilità genitoriale comporta automaticamente la sospensione dall’esercizio della stessa, per una durata pari al doppio della pena principale. Tuttavia, questo meccanismo, secondo la Corte, si pone in contrasto con i principi espressi dagli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, che pongono al centro la tutela effettiva dell’interesse del minore.

L’automatismo censurato

La Consulta ha rilevato che l’applicazione rigida della sospensione non consente una valutazione concreta della situazione familiare e del rapporto tra genitore e figlio, impedendo al giudice di considerare se, in casi specifici, mantenere la responsabilità genitoriale possa meglio garantire il benessere del minore.

La pronuncia richiama l’orientamento consolidato secondo cui l’interesse del minore è il parametro fondamentale nella regolazione dei rapporti familiari, e sottolinea che l’automatismo previsto dalla norma censurata crea una presunzione assoluta di incompatibilità tra la condanna e la prosecuzione del rapporto genitoriale, presunzione che risulta irragionevole e lesiva della dignità e dei diritti del minore stesso.

Il ruolo del giudice nella tutela concreta del minore

La Corte costituzionale ha quindi affermato che spetta al giudice, caso per caso, valutare se la sospensione della responsabilità genitoriale sia effettivamente conforme al preminente interesse del minore. Tale valutazione deve tener conto non solo della gravità del reato, ma anche dell’evoluzione del rapporto genitoriale successivamente ai fatti oggetto di condanna.

In particolare, la responsabilità genitoriale comporta obblighi e diritti che non devono essere compressi senza una attenta ponderazione degli effetti concreti sull’equilibrio e sulla crescita del minore.

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Avvocato d’ufficio: anche per il genitore insolvente paga lo Stato La Corte Costituzionale estende le garanzie anche al difensore del genitore insolvente nei procedimenti di adottabilità

Difesa d’ufficio nei procedimenti di adottabilità

Con la sentenza n. 58 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 143, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevedeva l’anticipazione da parte dello Stato dei compensi spettanti al difensore d’ufficio del genitore insolvente nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, regolati dalla legge 4 maggio 1983, n. 184.

Il caso

La questione è nata da un ricorso presentato da un avvocato, nominato difensore d’ufficio della madre in un procedimento minorile. Dopo aver adempiuto al mandato difensivo e tentato senza esito il recupero del credito professionale, l’avvocato aveva chiesto al Tribunale per i minorenni la liquidazione del compenso a carico dell’erario, vedendosi rigettare la richiesta.

La Corte di cassazione ha quindi sollevato la questione di legittimità costituzionale, rilevando una violazione dell’articolo 3 della Costituzione, in ragione della disparità di trattamento rispetto:

  • al difensore d’ufficio del genitore irreperibile;

  • al difensore d’ufficio dell’imputato insolvente nei procedimenti penali.

Il richiamo alla sentenza n. 135/2019

Nel motivare la decisione, la Consulta ha richiamato la propria sentenza n. 135 del 2019, con cui era già stata censurata la mancata previsione dell’anticipazione del compenso per il difensore del genitore irreperibile.

La Corte ha ribadito che i procedimenti civili minorili e quelli penali presentano profili di omogeneità in relazione agli interessi tutelati e alla funzione del difensore d’ufficio, che interviene in entrambi i casi a garanzia di diritti fondamentali.

Diritto all’anticipazione del compenso

La difesa d’ufficio obbligatoria, comportando l’irrinunciabilità dell’incarico, implica il diritto del professionista all’anticipazione del compenso da parte dello Stato anche in caso di insolvenza del genitore assistito, analogamente a quanto già previsto per:

  • l’imputato insolvente nel processo penale (art. 116 T.U. spese di giustizia),

  • il genitore irreperibile nei procedimenti per l’adottabilità.

Possibile recupero delle somme da parte dell’erario

La Corte ha precisato che resta ferma la facoltà per l’erario di recuperare le somme anticipate, qualora il genitore assistito torni reperibile o solvibile e non chieda l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

L’onere probatorio del difensore d’ufficio

Infine, la Corte ha sottolineato che spetta al difensore d’ufficio dimostrare l’infruttuosità del tentativo di recupero del credito, allegando gli esiti negativi della procedura esecutiva. Solo in tal caso, il magistrato potrà disporre, con decreto, la liquidazione degli onorari e delle spese nella misura prevista dal Testo unico sulle spese di giustizia.