mancato deposito telematico

Mancato deposito telematico è sempre imputabile all’avvocato Mancato deposito telematico: imputabile all'avvocato se non sussistono problemi tecnici che lo impediscono

Mancato deposito telematico

Il mancato deposito telematico ricade sempre sulla responsabilità dell’avvocato. La Corte di Cassazione nella sentenza n. 9269/2025 ha enunciato questo principio, dichiarando improcedibile un ricorso contro un avviso di accertamento IMU perché lo stesso è avvenuto oltre i termini e in forma cartacea, senza giustificazioni valide.

Richiesta di autorizzazione al deposito cartaceo

La vicenda che porta la Cassazione a enunciare il principio esposto in materia di deposito, nasce da un contenzioso tra una contribuente e il Comune. Quest’ultimo aveva richiesto il pagamento dell’IMU per l’anno 2015. Dopo due gradi di giudizio sfavorevoli alla contribuente, il suo avvocato ha presentato ricorso in Cassazione. Il deposito però non è avvenuto nei tempi previsti (20 giorni dalla notifica), ed è stato fatto in formato cartaceo. La difesa ha tentato di giustificare il deposito cartaceo invocando difficoltà tecniche nel sistema telematico. L’avvocato ha ammesso la propria “mancata perizia” nell’uso della piattaforma informatica. Ha anche chiesto l’autorizzazione per il deposito in formato cartaceo, che la Prima Presidente ha concesso in via d’urgenza. Tuttavia, ha precisato che ogni valutazione definitiva spettava al Collegio.

Mancato deposito telematico, responsabile l’avvocato

La Corte per decidere al meglio chiede al Centro Elettronico di Documentazione (CED) di verificare eventuali disfunzioni informatiche. La risposta però è stata chiara: il sistema era pienamente funzionante nei giorni indicati. Nessun problema tecnico impediva il deposito telematico. Non sussistevano pertanto le condizioni di urgenza previste dalla normativa per autorizzare il deposito cartaceo.

La Corte richiama i principi espressi in precedenti sentenze e alla luce di questi ricorda che solo eventi eccezionali ed estranei alla volontà dell’avvocato, possono giustificare il mancato deposito telematico. Le difficoltà soggettive o la scarsa dimestichezza con gli strumenti digitali non bastano. La procedura online, oggi obbligatoria, richiede preparazione e attenzione. L’errore dell’avvocato non può essere coperto da deroghe. Nel caso di specie comunque il legale non ha neppure avviato la procedura telematica. Non ha tentato cioè l’invio online del ricorso. Ha semplicemente scelto la via cartacea, ma così facendo, ha violato le norme sul deposito in Cassazione, rendendo improcedibile l’intero ricorso.

Avvocati: obbligatori strumenti previsti dalla legge

In conclusione, in assenza di reali impedimenti tecnici, come avvenuto nel caso di specie, l’omesso deposito telematico è frutto di negligenza. Nessuna deroga può coprire l’inadempienza. Il difensore ha l’obbligo di utilizzare correttamente gli strumenti previsti dalla legge. La decisione contiene un chiaro monito per la categoria forense. L’avvocato non può più permettersi incertezze sul piano tecnico. Il rispetto delle regole del processo telematico non è una facoltà, ma un dovere preciso, che se non viene rispettato presenta conseguenze inevitabili.

 

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genitore sulla cie

La Cassazione ripristina la parola “genitore” sulla CIE La parola “genitore” sulla CIE è maggiormente rappresentativa della realtà sociale attuale delle famiglie con due padri o con due madri

Cassazione: “genitore” sulla CIE

C’è la possibilità di indicare il termine “genitore” sulla CIE al posto delle tradizionali diciture “padre” e “madre”? Su questo tema si è espressa la Corte di Cassazione (sentenza n. 9216/2025) sul ricorso del Ministero dell’Interno avverso le sentenze di primo e secondo grado, entrambe favorevoli a una coppia omogenitoriale.

“Genitore”: rappresentazione più aderente alla realtà

La vicenda portata all’attenzione degli Ermellini prende origine dal Tribunale di Roma, che ordina al Ministero dell’Interno di modificare la modalità di compilazione della CIE per un minore con due madri – una biologica, l’altra adottiva.

Il giudice stabilisce che, disapplicando il decreto ministeriale del 31 gennaio 2019, occorre riportare sulla carta la dicitura “genitore” o, in alternativa, formule inclusive come “padre/genitore” e “madre/genitore”.

La decisione viene confermata anche dalla Corte d’Appello di Roma. Il modello ministeriale impone in effetti una rappresentazione familiare non più aderente alla realtà giuridica, come dimostrato dalla presenza, sempre più frequente, di famiglie con due genitori dello stesso sesso. In particolare, l’adozione in casi particolari – disciplinata dalla legge 184/1983 – è idonea a creare un legame di piena parentela, e quindi a legittimare la richiesta di un’identificazione coerente del genitore adottivo anche nei documenti d’identità del minore.

“Padre e madre” sulla CIE: discriminatorio

Il Ministero dell’Interno di fronte alla Cassazione solleva però tre motivi di doglianza nei confronti della sentenza della Corte d’Appello.

Il primo denuncia un vizio di motivazione della sentenza della Corte d’Appello, perché carente e generica. La Cassazione però ritiene infondata la critica. La Corte territoriale ha infatti esaminato tutte le doglianze, rigettandole in modo esplicito e motivato, sottolineando come la scelta del Ministero generi discriminazione e irragionevolezza, precludendo al minore la possibilità di ottenere una CIE valida per l’espatrio.

Il secondo motivo contesta la disapplicazione del decreto ministeriale, perché lesiva del principio di bigenitorialità e contraria al quadro normativo vigente. Anche in questo caso però la Cassazione dimostra di pensarla diversamente. Gli Ermellini ricordano che il decreto in questione ha carattere meramente tecnico e non normativo. Lo stesso inoltre si pone in contrasto con l’art. 3, comma 5, del T.U.L.P.S., che consente l’indicazione del termine “genitori” nella CIE. Il termine neutro è più adeguato per rappresentare la realtà giuridica di famiglie con due madri o due padri. In questo modo si tutela il diritto del minore all’identità e alla verità affettiva e giuridica della propria famiglia.

Il terzo motivo infine sostiene che l’indicazione dei termini “padre” e “madre” è obbligatoria in virtù della disciplina dello stato civile, la quale prevede solo tali qualificazioni. La Cassazione però esclude la fondatezza anche di questo motivo. Il caso di specie infatti non riguarda una modifica degli atti di stato civile, ma unicamente le modalità di compilazione della CIE. L’adozione in casi particolari in ogni caso produce effetti pieni, inclusa la nascita di relazioni parentali con i familiari dell’adottante, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 79/2022.

Corretto indicare “genitore” sulla CIE

La decisione finale della Cassazione conferma quindi le sentenze dei giudici di merito, ritenendo corretta la disapplicazione del decreto ministeriale e legittima la scelta di indicare sulla CIE la parola “genitore“. In questo modo sì riafferma il principio per il quale la pubblica amministrazione è tenuta a rappresentare fedelmente, anche nei documenti ufficiali, le diverse forme familiari oggi riconosciute dalla legge.

In conclusione la dicitura “padre/madre” non più essere considerata universalmente rappresentativa. La società cambia, e con essa anche il diritto: a ogni famiglia deve essere garantita dignità e visibilità giuridica, senza discriminazioni.

 

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Genitori responsabili dei profili social dei figli Genitori responsabili dei profili social dei figli: spetta a loro vigilare sulle attività, facendo attenzione anche ai software di manipolazione

Profili social dei figli

Genitori responsabili di quanto fanno i figli sui social. Essi hanno l’obbligo di controllare i profili social dei figli, anche se falsi, soprattutto se la prole è fragile o immatura. Il controllo serve a prevenire comportamenti illeciti o pericolosi. Non basta chiedere le password o dire di aver fatto il possibile. I genitori devono sorvegliare in modo attivo e costante. Il Tribunale di Brescia, con la recente sentenza n. 879/2025, ribadisce questo principio e condanna i genitori di una ragazza con un lieve ritardo intellettivo a risarcire 15mila euro alla vittima del comportamento della figlia.

Diffamazione aggravata e altri reati

Una ragazza crea più profili fake e con questi insulta una compagna e pubblica immagini pornografiche ottenute con un software di manipolazione delle immagini. Le indagini penali per diffamazione aggravata, atti persecutori e detenzione di materiale pedopornografico portano alla giovane.

I genitori della vittima decidono quindi di agire in giudizio e chiedono il risarcimento dei danni subiti dalla figlia. La giovane racconta infatti di aver ricevuto insulti continui su Instagram. A causa di questi episodi inoltre ha iniziato ad avere paura a uscire di casa da sola e ha temuto in diverse occasioni di essere  perseguitata da malintenzionati.

Genitori responsabili: attenzione massima ai social

Il Tribunale nel decidere sulle responsabilità e sul risarcimento richiesto, chiarisce quali sono i doveri dei genitori nella sorveglianza dei dispositivi digitali dei figli. Nel caso di specie la ragazza frequentava le superiori, aveva un’insegnante di sostegno e un’educatrice. Quest’ultima in particolare aveva avviato un percorso educativo sull’uso dei social, avvisando anche i genitori sui rischi di questi strumenti. Tutto questo però evidentemente non è bastato. La ragazza infatti ha creato molti profili falsi e sconosciuti alla famiglia e tramite questi ha commesso gli illeciti di rilievo penale che le sono stati contestati in sede penale.

I genitori si difendono dalle accuse loro rivolte, affermando di aver fatto il possibile. Il giudice però ritiene che quanto affermato non sia sufficiente. Per evitare la responsabilità genitoriale (art. 2047 c.c.) serve infatti dimostrare di non aver creato o tollerato situazioni pericolose. Il compito dei genitori è di prevenire i rischi, non di reagire solo quando è troppo tardi.

Massima attenzione anche alle immagini manipolabili

Il Tribunale si sofferma inoltre sull’impiego dei contenuti manipolati con software. I ragazzi oggi possono accedere facilmente a strumenti di intelligenza artificiale per modificare immagini o video. Per questo motivo i genitori devono aumentare ancora di più il controllo sui figli in relazione a questi strumenti. Lasciare i figli soli davanti allo schermo può avere infatti gravi conseguenze legali.

La giurisprudenza recente è concorde nel rafforzare l’obbligo di vigilanza dei genitori sull’utilizzo dei social da parte dei figli. I genitori sono chiamati a limitare sia il tempo sia le modalità di accesso ai social da parte dei figli. L’educazione digitale deve essere concreta e continua. Non basta dire ai figli cosa è giusto: è necessario verificare che lo mettano in pratica.

La precoce autonomia digitale dei minori non solleva i genitori dalle loro responsabilità. Al contrario, li obbliga a educare in modo ancora più attento e moderno. Serve un impegno reale nell’insegnare e verificare l’uso corretto delle tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale.

 

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maltrattamenti in famiglia

Maltrattamenti in famiglia controllare economicamente la moglie Maltrattamenti in famiglia: integra il reato di cui all'art. 572 c.p. ostacolare l'autonomia economica della moglie

Maltrattamenti in famiglia

Impedire alla moglie di essere economicamente indipendente integra il reato di maltrattamenti in famiglia. A questa conclusione è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1268/2025. Gli Ermellini hanno infatti rigettato il ricorso di un uomo, condannato per aver maltrattato la moglie per quasi vent’anni, anche in presenza dei figli minori. Conclusione a cui è giunta più di recente sempre la Suprema Corte con la sentenza n. 12444 del 31 marzo 2025.

Violenza fisica e psicologica

Il caso di cui si sono occupati gli Ermellini riguarda un uomo, che negli anni ha perpetrato una serie di condotte illecite continuative ai danni della moglie. L’imputato ha esercitato violenza fisica, ha proferito minacce di morte, ha umiliato sessualmente e infine denigrato pubblicamente la moglie. L’uomo inoltre ha manipolato i figli per controllarla, anche dopo la separazione, ma soprattutto ha attuato un controllo psicologico ed economico opprimente.

Sfruttamento competenze lavorative

Nel corso del processo è emerso come l’imputato negli anni abbi sfruttato le competenze lavorative della moglie. L’ha costretta infatti a lavorare come contabile nella sua azienda per anni senza darle alcuna retribuzione. Le ha impedito quindi attivamente di raggiungere lindipendenza economica. Si è rifiutato inoltre di darle denaro per le sue necessità personali e le ha negato la possibilità di frequentare corsi di aggiornamento e di formazione. L’uomo ha persino molestato e perseguitato la moglie sul suo nuovo posto di lavoro. Lo stesso si è sottratto a ogni responsabilità familiare, delegando interamente le incombenze alla donna. Le azioni commesse dall’uomo e di cui è responsabile insomma sono molteplici e pervasive. Lo stesso ha addirittura installato una telecamera di sorveglianza intorno alla casa per monitorare ogni movimento della moglie e le ha imposto una serie di divieti. Il tutto accompagnato da minacce e umiliazioni.

Maltrattamenti in famiglia impedire l’autonomia

La Corte di Cassazione, dopo un’attenta analisi delle prove, concorda con le decisioni dei giudici precedenti, avallando un’interpretazione moderna (e in linea con le normative internazionali ed europee) dell’articolo 572 del codice penale. Questa interpretazione mira a proteggere efficacemente le persone che non possono sottrarsi agli abusi a causa del loro legame con l’aggressore.

La Corte di Cassazione, valutando attentamente tutti gli aspetti della violenza, ha infatti respinto il ricorso dell’uomo. Ha riconosciuto che le sue azioni miravano a limitare l’autonomia economica della moglie. Le condotte includono l’ostacolare la ricerca di un lavoro, controllare i suoi spostamenti con una telecamera, impedirle di coltivare relazioni esterne, imporle un ruolo casalingo discriminatorio, sottrarsi alle responsabilità domestiche e familiari, e non retribuire il lavoro svolto nell’azienda familiare. La componente economico-patrimoniale assume un rilievo particolare. Le decisioni economiche sono state prese unilateralmente dall’imputato, spesso attraverso manipolazioni e pressioni psicologiche. Questi comportamenti hanno inciso sull’autonomia, la dignità umana e l’integrità fisica e morale della vittima, beni giuridici tutelati dall’articolo 572 del codice penale e dalla Costituzione. Il controllo economico esercitato dal marito rientra quindi nelle forme di violenza domestica riconosciute a livello internazionale.La condanna dell’uomo per il reato di maltrattamenti è la logica conseguenza del suo totale disprezzo per i diritti e le libertà della moglie. La violenza economica del reato da tempo è riconosciuta come una forma specifica di violenza, equiparabile a quella fisica e psicologica. Non si può trascurare che questa forma di abuso, sebbene non lasci segni visibili, sia capace di prostrare le vittime e annientarne la capacità di agire.

 

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Referendum lavoro

Referendum lavoro e cittadinanza: cosa cambia per i lavoratori Se dovessero passare i 5 quesiti referendari del referendum lavoro e cittadinanza i lavoratori avrebbero più diritti e più tutele

Referendum lavoro e cittadinanza

Referendum lavoro e cittadinanza: più diritti e tutele garantiti ai lavoratori. Questo promettono i cinque quesiti referendari pubblicati il 31 marzo 2025, in Gazzetta Ufficiale che riguardano il diritto del lavoro e la cittadinanza. I cittadini voteranno l’8 e il 9 giugno 2025.

Vediamo cosa prevedono i quesiti: i primi quattro affrontano il tema del lavoro, il quinto invece riguarda la cittadinanza italiana.

Quesito 1 – Licenziamento illegittimo e reintegra

Il primo quesito propone di abrogare le disposizioni del Jobs Act (D. Lgs. 23/2015), che riguarda le tutele crescenti. Oggi i lavoratori impiegati nella aziende con più di 15 dipendenti che sono stati assunti dopo il 7 marzo 2015 non possono ottenere la reintegra anche se licenziati ingiustamente. Il referendum vuole eliminare questa disparità.

Quesito 2 – Tutele lavoratori piccole imprese

Il secondo quesito mira a rimuovere il tetto massimo di sei mensilità di indennizzo per i licenziamenti illegittimi nelle aziende con meno di 16 dipendenti. Attualmente, anche se un giudice riconosce l’illegittimità del licenziamento, il risarcimento resta limitato. La proposta referendaria vuole affidare al giudice la valutazione del risarcimento, caso per caso, secondo criteri di equità.

Quesito 3 – Contratti a termine e precarietà

Il terzo quesito punta a combattere la precarietà. Oggi si può stipulare un contratto a tempo determinato per 12 mesi senza causale. Il referendum vuole reintrodurre l’obbligo di indicare una motivazione per questi contratti, così da favorire l’assunzione stabile e limitare l’uso strumentale del lavoro precario.

Quesito 4 – Sicurezza negli appalti

Il quarto quesito interviene sulla responsabilità in caso di incidenti sul lavoro. Attualmente, il committente risponde solo per rischi generici. Il referendum vuole estendere la responsabilità anche ai rischi specifici, rafforzando la tutela per i lavoratori e le famiglie, e promuovendo maggiore attenzione alla sicurezza.

Quesito 5 – Cittadinanza

Il quinto quesito propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza richiesto per ottenere la cittadinanza italiana da parte di cittadini stranieri maggiorenni.

 

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ascolto del minore

L’ascolto del minore dopo la riforma Cartabia Ascolto del minore d’età: cosa è cambiato con la riforma Cartabia e cosa dice la giurisprudenza

Ascolto del minore

L’ascolto del minore è un principio fondamentale nei procedimenti giudiziari che lo riguardano. La normativa italiana, in conformità con le convenzioni internazionali, garantisce al minore capace di discernimento il diritto di esprimere la propria opinione in tutte le questioni che lo coinvolgono. Con la riforma Cartabia (D.lgs. 149/2022), il legislatore ha rafforzato e precisato le modalità di ascolto, introducendo importanti novità procedurali.

Normativa di riferimento

L’ascolto del minore trova fondamento in diverse fonti normative, tra cui:

  • Art. 12 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (1989): riconosce al minore il diritto di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano.
  • Art. 315-bis c.c.: sancisce il diritto del minore ad essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano.
  • Art. 473-bis.4 c.p.c. (introdotto dalla riforma Cartabia): disciplina le modalità di ascolto nei procedimenti di famiglia e minorili.

Ascolto del minore: novità della riforma Cartabia

La riforma Cartabia ha introdotto significativi cambiamenti nella disciplina dell’ascolto del minore, tra cui:

  1. generalizzazione dell’obbligo di ascolto: l’ascolto è ora obbligatorio per tutti i minori capaci di discernimento, salvo che sia manifestamente contrario al loro interesse;
  2. formalizzazione della procedura: l’ascolto deve avvenire in un ambiente idoneo, con modalità tali da evitare qualsiasi forma di pressione psicologica sul minore;
  3. ruolo del giudice e dei consulenti tecnici: il giudice deve provvedere all’ascolto personalmente, con l’eventuale supporto di esperti in psicologia dell’infanzia;
  4. maggior attenzione alla tutela del minore: il minore può essere affiancato da un curatore speciale in caso di conflitto tra i genitori;
  5. nullità del provvedimento in assenza di ascolto: se l’ascolto non viene effettuato senza una giustificazione adeguata, il provvedimento può essere dichiarato nullo.

Giurisprudenza rilevante sull’ascolto del minore

Numerose pronunce giurisprudenziali hanno sottolineato l’importanza dell’ascolto del minore.

Cassazione n. 4561/2025

L’ascolto del minore rappresenta un principio fondamentale, ma non è un obbligo assoluto. Nei procedimenti riguardanti l’affidamento e la regolamentazione dei rapporti familiari, il giudice deve sempre valutare l’interesse del minore, potendo escludere l’audizione solo con una motivazione rigorosa e adeguata. La Riforma Cartabia ha introdotto maggiori tutele per garantire il diritto del minore a esprimere la propria opinione, ma ha comunque mantenuto un margine di discrezionalità per il giudice, il quale deve decidere caso per caso in base alle specifiche circostanze del procedimento.

Cassazione n. 3537/2024

Nel contesto dell’affidamento del minore, il suo ascolto non può essere considerato superfluo solo perché il giudice ritiene di aver già individuato la soluzione migliore per il suo interesse. Al contrario, il principio generale impone che il minore venga ascoltato prima che il giudice maturi una decisione sull’affidamento.L’unica eccezione a questa regola si verifica quando il minore rifiuta esplicitamente l’audizione, quando vi è un concreto rischio di pregiudizio da accertare in modo specifico e non astratto, oppure quando l’ascolto risulti superfluo, ossia non apporti alcun ulteriore beneficio ai suoi interessi, pur senza arrecare danno.

Cassazione n. 3456/2023

L’ascolto del minore è un diritto soggettivo che gli riconosce la possibilità di essere informato ed esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano. Questo diritto integra una forma di partecipazione alle decisioni che incidono sulla sua sfera individuale e rappresenta uno strumento di tutela dei suoi interessi (Cass. n. 6129/2015). Pur non essendo formalmente parte del processo, il minore è considerato parte sostanziale, poiché portatore di interessi propri, che possono essere distinti o in contrasto con quelli delle altre parti. Pertanto, la legge impone che gli sia garantito il diritto al contraddittorio attraverso l’ascolto. Il mancato ascolto costituisce una violazione di tale diritto e vizia il provvedimento giudiziale (Cass. n. 16410/2020). Tuttavia, l’ascolto non è obbligatorio in tutti i procedimenti, ma solo in quelli che incidono su aspetti rilevanti della vita, della crescita o della tutela degli interessi del minore.

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riforma della professione

Riforma della professione forense: cosa prevede Riforma della professione forense: pronta la bozza elaborata da CNF, OCF e altre associazioni per porre rimedio alle difficoltà degli avvocati

Avvocati: in arrivo la riforma della professione

L’avvocatura italiana è in fase di trasformazione, pronta la bozza di riforma_della professione forense. I dati evidenziano del resto un calo degli iscritti alla Cassa Forense. Salgono invece l’età media e i redditi, ma non per tutti. Significative poi le disparità di genere e territoriali.

Nel frattempo, il Consiglio Nazionale Forense (CNF), in collaborazione con l’Organismo Congressuale Forense (OCF) e altre associazioni, ha completato una proposta di riforma dell’ordinamento professionale. Come annunciato nel corso dell’illustrazione del Rapporto del Censis sull’avvocatura 2025, in questi giorni, l’obiettivo è di portarla in Parlamento entro quindici giorni per l’approvazione.

Dati allarmanti: meno avvocati e più pensionati

Secondo il Rapporto Cassa Forense-Censis, presentato a Roma, gli avvocati iscritti nel 2024 sono   in calo dell’1,6% rispetto all’anno precedente. Dal 2020 la riduzione è di quasi 12.000 unità. Parallelamente, il numero di pensionati è aumentato di circa 5.000 unità, mentre gli iscritti attivi sono diminuiti di 15.000. L’età media degli avvocati ha raggiunto i 49 anni, confermando un progressivo invecchiamento della categoria.

Preoccupante anche il dato relativo alla professione: il 33% degli avvocati intervistati ha dichiarato di valutare l’idea di abbandonare l’attività, principalmente per difficoltà economiche e problemi di conciliazione tra vita professionale e familiare, soprattutto per le donne.

Redditi in crescita ma con forti disparità

Il reddito medio degli avvocati nel 2023 è stato di 47.678 euro, ma le differenze sono evidenti. Gli uomini hanno dichiarato in media 62.456 euro, mentre le donne si sono fermate a 31.115 euro. Le disparità emergono anche su base territoriale: in Lombardia il reddito medio è di 81.115 euro, mentre in Calabria scende a 24.203 euro.

Il nuovo Statuto dell’Avvocatura

A tredici anni dalla legge professionale del 2012, il nuovo Statuto dell’Avvocatura è pronto. Tra le misure proposte, spicca l’obbligo per la Pubblica Amministrazione e le autorità giudiziarie di rispettare la parità di genere nell’assegnazione degli incarichi.

Arricchita la disciplina del segreto professionale che si estende ai nuovi supporti informatici, audio e video.

Nuove regole per chi decide di associarsi e disciplina dell’esercizio della professione tramite la partecipazione a contratti di rete tra avvocati o multidisciplinari. Apertura nei confronti delle collaborazioni continuative e coordinate per gli avvocati.

Cambia anche il percorso di formazione per esercitare la professione forense e la disciplina degli albi, degli elenchi e dei registri. Prevista anche una delega al Governo per riformare le difese d’ufficio.

Novità importanti e numerose in ambito disciplinare. Prevista la sospensione del procedimento disciplinare per i medesimi fatti per i quali viene aperta l’azione penale o vengono avviate le indagini penali.

Le comunicazioni, i provvedimenti e le notifiche del CDD avverranno a mezzo PEC, solo in mancanza si continueranno a effettuare a mezzo raccomandata A/R o ufficiale giudiziario. Cambia inoltre la disciplina della riabilitazione dell’avvocato che abbia commesso illeciti disciplinari, la quale verrà annotata nel fascicolo personale dell’iscritto.

La riforma è attesa con grande interesse dalla categoria, con la speranza che possa fornire strumenti concreti per garantire una professione più equa, sostenibile e attrattiva per le nuove generazioni.

 

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fornitore energia elettrica

Fornitore energia elettrica: cambio in 24 ore Bollette energia: dal 1° gennaio 2026 sarà possibile cambiare il fornitore in sole 24 ore. Cosa prevede la proposta di ARERA

Fornitore energia: dal 12° gennaio cambio in 24 ore

Dal 1° gennaio 2026 cambiare il fornitore di energia elettrica sarà più rapido. Il passaggio avverrà in un solo giorno lavorativo, rispetto agli attuali due mesi. La novità è prevista da una direttiva europea (Clean Energy Package) ed è stata recepita in Italia con il Decreto Legislativo 210/2021.

ARERA, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, deve approvare la delibera di attuazione entro il mese di luglio di quest’anno. Nel frattempo, ha avviato una consultazione pubblica aperta fino ad aprile 2025.

Cambio fornitore: lo switching veloce  

La proposta prevede che il cambio fornitore avvenga in sole 24 ore. Se la controparte commerciale non coinciderà con la società energetica, il tempo massimo sarà di tre giorni per completare le verifiche necessarie.

L’utente farà richiesta al proprio fornitore, che gestirà l’intera pratica attraverso il Sistema Informativo Integrato (SII). Oggi il processo richiede da uno a due mesi. Con il nuovo sistema, il passaggio invece sarà immediato, consentendo ai consumatori di approfittare velocemente di offerte più vantaggiose.

Regole per imprese e criticità del sistema

Le nuove tempistiche si applicheranno ai clienti domestici e alle piccole imprese. Le grandi aziende, invece, seguiranno ancora le regole attuali per evitare impatti eccessivi sulla gestione dei contratti e sulla programmazione degli approvvigionamenti.

Gli operatori del settore esprimono perplessità. Temono che un cambio troppo rapido possa destabilizzare il mercato e aumentare la gestione delle richieste. Alcuni propongono di limitare il numero di cambi annuali per cliente. ARERA, per ora, non intende introdurre questa restrizione, ma valuterà eventuali modifiche dopo l’entrata in vigore della riforma.

Infine, ARERA ha deciso di allineare le tempistiche di recesso e cambio fornitore a un solo giorno lavorativo. Rimangono da definire le regole per la gestione delle morosità, che saranno oggetto di futuri interventi.

 

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immigrazione irregolare

Immigrazione irregolare: le nuove misure di contrasto Immigrazione irregolare: il decreto n. 37/2025 rinforza il sistema dei rimpatri con possibilità di trasferimento in Albania in casi specifici

Immigrazione irregolare: nuove regole

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giorgia Meloni e dei Ministri Antonio Tajani, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, ha approvato il decreto-legge n. 37 del 28 marzo 2025 del 28 marzo 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale e in vigore dal 29 marzo 2025, volto a rafforzare il contrasto all’immigrazione irregolare attraverso disposizioni urgenti e mirate.

Immigrazione irregolare: rimpatri rafforzati

Uno dei punti centrali del provvedimento è l’ottimizzazione dell’uso delle strutture realizzate in Albania in virtù del Protocollo Italia-Albania del 6 novembre 2023.

Il nuovo decreto prevede il potenziamento del sistema di rimpatrio, consentendo il trasferimento degli stranieri individuati in acque internazionali o soccorsi durante operazioni SAR (Search and Rescue e di coloro che attualmente si trovano nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) italiani e che sono stati raggiunti da provvedimenti di espulsione.

In particolare, il testo contempla la possibilità di trasferire presso il centro di rimpatrio situato a Gjadër gli stranieri per i quali sia stato convalidato o prorogato un provvedimento di trattenimento perché già soggetti a decisioni di rimpatrio. Tale trasferimento non modifica il titolo del trattenimento, precedentemente convalidato dall’autorità giudiziaria, e non incide neppure sulla procedura amministrativa di espulsione o respingimento in corso.

Il decreto attribuisce inoltre alla Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere il potere di assegnare gli stranieri ai CPR più vicini, con la possibilità di trasferirli in altre strutture, comprese quelle albanesi.

La convalida del trattenimento non impedisce il trasferimento in un altro centro in qualsiasi momento, senza necessità di un’ulteriore convalida giudiziaria.

Queste nuove misure intendono rendere più efficiente la gestione dell’immigrazione irregolare, garantendo al contempo un migliore coordinamento tra le autorità italiane e albanesi.

Relazione annuale Paesi Sicuri

Nella stessa giornata del 28 marzo il Governo ha approvato anche la relazione annuale sui Paesi di origine sicuri. Il documento aggiorna le “schede Paese” basandosi su fonti autorevoli come l’EUAA, l’UNHCR e il Consiglio d’Europa.

Per il 2025 conferma l’elenco dei Paesi già indicati nel decreto-legge del 23 ottobre 2024, tra cui Albania, Egitto, Marocco e Tunisia.

L’elenco consente di applicare procedure accelerate per le domande di protezione internazionale dei cittadini di questi Paesi. La relazione sarà ora trasmessa alle Commissioni parlamentari competenti per l’esame.

 

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processo penale

Processo penale: deposito telematico obbligatorio dal 1° aprile Dal 1° aprile 2025 scatta il deposito telematico obbligatorio per alcuni atti del processo penale, come previsto dal dm 206/2024

Deposito telematico processo penale

Il Decreto n. 206 del 27.12.2024 del Ministero della giustizia modifica il precedente regolamento sul processo penale telematico, introducendo importanti novità sui depositi telematici degli atti nei procedimenti penali.

In particolare, il provvedimento ha previsto il deposito telematico obbligatorio dal 1° gennaio 2025 negli uffici giudiziari penali (Procura della Repubblica presso il tribunale ordinario; Procura europea; Sezione del giudice per le indagini preliminari (GIP) del tribunale ordinario; Tribunale ordinario; Procura generale presso la corte d’appello (limitata ai procedimenti di avocazione)) contemplando tuttavia alcune deroghe temporanee.

Depositi telematici dal 1° aprile 2025

Tra queste rileva l’obbligo differito, appunto, al 1° aprile 2025, del deposito telematico per l’iscrizione delle notizie di reato (articolo 335 del codice di procedura penale) e per gli atti relativi ai procedimenti disciplinati dal libro VI, titoli I (abbreviato) III (direttissimo) e IV (immediato, del codice di procedura penale, impugnazioni comprese. Fino al 31 marzo tali atti potevano essere depositati non telematicamente. Dal 1° aprile, invece, le iscrizioni al Registro delle notizie di reato e i depositi relativi ai giudizi abbreviati, direttissimi e immediati dovranno avvenire esclusivamente in via telematica,

Le richieste dell’OCF

Tale adempimento ha messo in subbuglio l’avvocatura, che ha già evidenziato le criticità dei depositi telematici obbligatori nel processo penale, dati i malfunzionamenti e le sospensioni registrate nei mesi scorsi. Ad intervenire, nello specifico, è l’Organismo Congressuale Forense, con una nota del 31 marzo, esprimendo “forte preoccupazione per le numerose criticità ancora presenti, che rischiano di compromettere il diritto di difesa e il corretto funzionamento della giustizia”.

A gennaio, rammenta infatti l’OCF, “87 Presidenti di Tribunale hanno sospeso l’efficacia del DM nei rispettivi circondari a fronte di segnalazioni di malfunzionamento dai rispettivi RID (Referente Distrettuale per l’Innovazione) e MAGRIF (Magistrato di Riferimento per l’Innovazione)”. Alcuni decreti di sospensione sono stati prorogati nei giorni scorsi e altri potrebbero seguire. “Restano molte inefficienze, tra cui ritardi nelle iscrizioni al Registro Notizie di Reato, mancata annotazione delle nomine che impedisce il deposito di atti successivi, richiesta sistematica del certificato ex art. 335 CPP, mancata attivazione di funzionalità essenziali e rifiuto di accettazione dei depositi”. Queste le criticità evidenziate dall’Organismo. Senza contare che “l’assenza di un atto generico impedisce il deposito di richieste non previste espressamente, mentre le diverse interpretazioni della normativa da parte dei magistrati generano incertezza applicativa”.

Inoltre, rileva la nota, “alcuni uffici giudiziari escludono la costituzione di parte civile o la produzione documentale se non previamente depositata sul Portale depositi atti penali, altri richiedono il doppio deposito cartaceo e telematico nella stessa giornata, ignorando le difficoltà di accesso al fascicolo telematico da parte delle parti processuali”.

Da qui la richiesta di “interventi urgenti per risolvere le criticità evidenziate, garantendo uniformità e funzionalità al sistema telematico”.

 

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