notifica nulla

Notifica nulla senza notizia al destinatario La Cassazione ricorda che la notifica effettuata al portiere dello stabile è nulla se l'agente postale non ne dà notizia al destinatario

Nullità della notifica

E’ da ritenersi nulla la notifica se il piego viene consegnato al portiere dello stabile e l’agente postale non ne dà notizia al destinatario, tramite raccomandata. Lo ha chiarito la sezione tributaria della Cassazione, con l’ordinanza n. 16300-2024.

La vicenda

Nella vicenda, l’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di una Srl, esercente l’attività di gestione e acquisizione di alberghi, avviso di accertamento con il quale rettificava il reddito d’impresa della società per l’anno di imposta 2006 da una perdita di euro 926 a un reddito di euro 60.754,00 e tanto dopo aver disatteso l’interpello proposto dalla società stessa al fine di ottenere la disapplicazione della normativa sulle società di comodo ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’articolo 30, comma 4-bis, della legge 23/12/1994 n. 724.
La s.r.l. impugnava l’atto di accertamento e la CTP di Siena respingeva il ricorso. La società appellava la decisione di primo grado e la CTR di Firenze accoglieva l’appello annullando l’atto di accertamento impugnato.
L’Agenzia delle entrate ricorreva per cassazione.

Notifica presso il portiere dello stabile

Gli Ermellini premettono che “l’Avvocatura dello Stato si è avvalsa per la notifica del servizio postale ai sensi della legge 21/01/1994 n. 53. La notifica effettuata presso la sede della società non è andata a buon fine, risultando la società irreperibile al numero civico e non risultando il nominativo. La notifica è stata tentata a mezzo del servizio postale al domicilio eletto nel procedimento di appello presso lo studio del difensore, individuato in due diversi indirizzi. Per entrambe le raccomandate le cartoline di ritorno risultano essere state sottoscritte dal portiere dello stabile – ove – si presume l’avvocato difensore della srl nelle fasi di merito, avesse uno studio professionale e quindi il proprio domicilio”. Tuttavia, rilevano i giudici, non risulta che al detto difensore “sia stato inviato rituale avviso dell’avvenuta consegna del ricorso o comunque del plico al portiere
dello stabile, come previsto dall’art. 7, comma 3, della legge n. 890 del 20/11/1982, richiamata dalla legge n. 53 del 1994”.

La decisione

Sul punto, la Corte richiama la propria giurisprudenza (Cass. 04/12/2012, n. 21725 del; Cass. civ., Sez. III, 24/07/2023, n. 22095), concorde nel ritenere che “nel caso di notificazione degli atti processuali a mezzo del servizio postale, ai sensi del comma 6 dell’art. 7 della legge n. 890 del 20/11/1982, introdotto dall’art. 36, comma 2 quater, del d.l. n. 248 del 31/12/2007, convertito in legge n. 31 del 28/02/2008 la notificazione è nulla se il piego viene consegnato al portiere dello stabile in assenza del destinatario e l’agente postale non ne dà notizia al destinatario stesso mediante lettera raccomandata”.
La difesa erariale non ha chiesto di sanare la maturata la nullità del procedimento notificatorio e non risulta si sia attivata ai fini della ripresa dello stesso, dopo avere constatato la non ritualità della notificazione. Per cui, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è inammissibile.

Allegati

danno biologico nuovi importi

Danno biologico: nuovi importi per le lesioni di lieve entità Danno biologico: nuovi importi per le lesioni di lieve entità successive a sinistri derivanti dalla circolazione di veicoli a motore e natanti

Danno biologico di lieve entità: in Gu il decreto del Mimit

Danno biologico, nuovi importi per le lesioni di lieve entità. Sulla GU Serie Generale n. 173 del 25 luglio 2024 è stato pubblicato il decreto del 16 luglio 2024 del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Il decreto attua l’articolo 139 comma 5 del Codice delle Assicurazioni Private, che prevede l’aggiornamento annuale con decreto del Mimit, degli importi del risarcimento del danno biologico riportato in conseguenza della circolazione dei veicoli a motore e dei natanti.

L’aggiornamento dell’importo avviene nella misura corrispondente alla variazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo delle famiglie di operai e impiegati, così come accertata dall’ISTAT.

Danno biologico: cos’è

Il danno biologico consiste nella lesione del fisico o della mente suscettibile di accertamento medico legale. Esso deve essere risarcito in quanto l’integrità fisica e psichica della persona sono beni garantiti dall’articolo 32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute.

Vai alla nostra guida legale sul Danno biologico

Lesioni lieve entità: nuovi importi 2024

Il decreto del Mimit, composto di un solo articolo, premette che dover adeguare gli importi del precedente decreto del Mimit del 16 ottobre 2023, applicando l’aumento dello 0,8%, pari alla variazione annuale dell’indice ISTAT sopra indicato.

Alla luce di questa variazione il decreto modifica gli importi indicati dall’articolo 139, comma 1 del Codice delle assicurazioni, a decorrere da aprile 2024.

  • Il valore del primo punto di invalidità è di Euro 947,30; 
  • L’importo previsto per ogni giorno di inabilità assoluta è invece di Euro 55,24.

Importi danno biologico lieve entità 2023

Per mera completezza si ricorda che il decreto dello scorso anno del 16 ottobre 2023, aveva fissato gli importi per il risarcimento del danno biologico (lesioni di lieve entità riportate in conseguenza della circolazione di veicoli e natanti) nelle seguenti misure:

  • Euro 939,78, per quanto riguarda l’importo relativo al valore del primo punto di invalidità.
  • Euro 54,80, per quanto riguarda l’importo relativo a ogni giorno di inabilità assoluta.
giurista risponde

Contratto preliminare e condizione potestativa mista Nel contratto preliminare di compravendita immobiliare sottoposto alla condizione potestativa mista che il promissario acquirente ottenga, da un ente pubblico, la necessaria autorizzazione amministrativa, l’eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente può ritenersi contrario al principio di buona fede, con conseguente applicazione del disposto di cui all’art. 1359 c.c.?

Quesito con risposta a cura di Carmela Quagliano e Davide Venturi

 

Nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un ente pubblico la necessaria autorizzazione amministrativa, la relativa condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione dei titoli abilitativi urbanistici non solo dalla volontà della P.A., ma anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica. Ne deriva che la mancata concessione del titolo comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente. Ciò, in primo luogo, perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione. In secondo luogo, perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede, e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico. La sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista, con conseguente esclusione dell’obbligo di considerare avverata la condizione. – Cass., sez. II, 6 marzo 2024, n. 5976.

Nel caso di specie, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito all’applicazione dell’art. 1359 c.c. (ossia l’avveramento fittizio della condizione) e, quindi, in ordine alla violazione del principio di buona fede, per le ipotesi di omissione dell’elemento potestativo nell’ambito del contratto sottoposto a condizione potestativa mista.

In primo grado, era stata respinta la domanda, di una società promittente venditrice, di recesso da un contratto preliminare di compravendita immobiliare.

In secondo grado, la Corte di Appello dava atto, innanzitutto, della conclusione, tra le parti, di due distinti negozi: il primo, quale preliminare di compravendita immobiliare sottoposto alla condizione sospensiva del mutamento di destinazione urbanistica dell’area; il secondo, teleologicamente connesso al primo, in quanto funzionale all’avveramento della condizione sospensiva in esso dedotta, quale contratto di mandato con cui era conferito mandato alla promissaria acquirente affinché portasse a termine l’attività necessaria per l’ottenimento dell’autorizzazione amministrativa.

Premesso il mancato avveramento della condizione, cui era subordinato il contratto, e sull’assunto che controinteressata all’avveramento di detta condizione fosse da reputarsi la promissaria acquirente, sulla quale, perciò, incombeva la prova della incolpevolezza dell’inadempimento – dimostrazione che, in specie, non era avvenuta –, il giudice di appello, ritenuta la sussistenza della fictio iuris di cui all’art. 1359 c.c., sosteneva la legittimità del recesso della promittente acquirente dal contratto preliminare e il conseguente diritto della stessa di trattenere la caparra confirmatoria.

Viene proposto quindi ricorso per Cassazione contestando, tra l’altro, l’erroneità della statuizione circa l’avveramento della condizione conseguente all’inottemperanza dell’onere probatorio ex art. 1359 c.c. In particolare, si obietta che gravi su chi lamenti il mancato avveramento della condizione, dedotta in contratto, l’onere di provarne l’imputabilità, a titolo di dolo o di colpa, in capo alla controparte, indipendentemente dal fatto che tale comportamento sia consistito nel violare obblighi imposti dalla legge o dal contratto.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, accogliendo il motivo di ricorso, ha innanzitutto evidenziato che l’applicazione dell’art. 1359 c.c. è strettamente legata, da un lato, all’accertamento di un vero controinteressato al verificarsi della condizione e, dall’altro, alla prova del dolo o della colpa. Inoltre, la Corte di Cassazione ha ricordato quanto stabilito dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui, l’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede durante la pendenza della condizione, è principio che riguarda anche il contratto sottoposto a condizione potestativa mista, qual è quello in esame e «in tale ipotesi, l’omissione di un’attività, intanto, può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, che, invece, deve escludersi per l’attività di attuazione dall’elemento potestativo in una condizione mista» (Cass. 22 giugno 2023, n. 17919; Cass. 22 agosto 2022, n. 25025; Cass. 11 settembre 2018, n. 22046).

In specie, la decisione della Corte di Appello, che aveva statuito in ordine all’avveramento della condizione, non era sorretta da adeguata motivazione laddove, per un verso, aveva dato per scontato che vi fosse una parte contraria al verificarsi della condizione (la promissaria acquirente) – mentre, in generale, entrambe le parti di un contratto bilaterale hanno interesse alla sua conclusione – e, per altro verso, aveva ritenuto l’inottemperanza al negozio di mandato, di per sé sola, indice di un comportamento doloso o colposo.

Per tale motivo, la Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso e cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte di Appello, la quale dovrà attenersi al principio evidenziato in massima.

Contributo in tema di “Contratto preliminare di compravendita e condizione potestativa mista”, a cura di Carmela Quagliano e Davide Venturi, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

locazioni brevi guida

Locazioni brevi: la guida del fisco Pubblicata la nuova guida "Locazioni brevi: la disciplina fiscale e gli obblighi per gli intermediari" dell'Agenzia delle Entrate

Locazioni brevi, online la guida aggiornata

Locazioni brevi: la guida del fisco aggiornata ad agosto 2024 è online. Un vero e proprio vademecum, intitolato “Locazioni brevi: la disciplina fiscale e gli obblighi per gli intermediari” contenente tutte le novità sulla tassazione dei contratti di affitto di abitazioni non superiori a 30 giorni, le regole e gli adempimenti a carico degli intermediari immobiliari.

Consulta la guida – pdf

La nuova disciplina sulle locazioni brevi

Il decreto legge n. 50/2017 ha introdotto una specifica disciplina fiscale per i contratti di locazione di immobili a uso abitativo, stipulati a partire dal 1° giugno 2017, che hanno una durata non superiore a 30 giorni: le “locazioni brevi”, appunto.

Si tratta, spiega l’Agenzia delle Entrate, “di quei contratti conclusi da persone fisiche al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa, per i quali non vi è l’obbligo di registrazione se non formati per atto pubblico o scrittura privata autentica”.

Il decreto 50/2017

In seguito all’entrata in vigore del decreto, è possibile applicare le disposizioni in materia di “cedolare secca sugli affitti”, già utilizzabili per i redditi fondiari derivanti dalla locazione, anche ai redditi derivanti dai contratti di sublocazione, di concessione in godimento oneroso dell’immobile da parte del comodatario, di locazione breve che comprende servizi accessori (per esempio, la pulizia, la fornitura di biancheria).

La disciplina si applica sia quando i contratti sono conclusi direttamente tra il proprietario (o il sublocatore o il comodatario) e i locatari sia quando per la loro stipula o per il pagamento dei canoni o dei corrispettivi intervengono soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare o che gestiscono portali telematici.

In queste situazioni, la legge ha individuato precisi adempimenti nei confronti di questi soggetti.

La legge di bilancio 2024

La legge di bilancio 2024 (legge n. 213/2023) ha successivamente modificato il decreto legge n. 50, introducendo alcune novità che riguardano l’aliquota dell’imposta sostitutiva (dovuta da chi sceglie il regime della cedolare secca per la tassazione dei redditi derivanti dai contratti di locazione breve) e gli adempimenti a carico degli intermediari non residenti.

È importante ricordare, rammenta infine la guida, “che dal 2021 l’applicabilità della cedolare secca alle locazioni brevi è prevista solo se nell’anno si destinano a questa finalità al massimo quattro appartamenti. Oltre questa soglia, l’attività, da chiunque esercitata, si considera svolta in forma imprenditoriale”.

Le regole nella nuova guida

Da qui la necessità della pubblicazione della guida sulle locazioni brevi, in cui sono illustrate tutte le regole generali sulla tassazione dei contratti di locazione breve nonchè le modalità operative che gli intermediari immobiliari devono osservare per adempiere agli obblighi posti a loro carico.

Leggi anche Affitti brevi: cosa cambia con il nuovo decreto

anatocismo vietato

Anatocismo vietato senza se e senza ma La Cassazione ha ricordato che l'anatocismo è vietato a prescindere dalla delibera CICR ponendo fine al dibattito sorto in dottrina e giurisprudenza

Anatocismo vietato dal 1° dicembre 2014

Anatocismo vietato senza se e senza ma dal 1° dicembre 2014. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 21344-2024, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di contratti bancari, l’art. 120, comma 2, t.u.b., come sostituito dall’art. 1, comma 629, L. n. 147 del 2013, fa divieto di applicazione dell’anatocismo a far data dal 1 dicembre 2014 e tale prescrizione è da ritenersi operante indipendentemente dall’adozione, da parte del CICR, della delibera, prevista da tale norma, circa le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”.  

Capitalizzazione trimestrale degli interessi illegittima

La vicenda risolta dalla Suprema Corte di Cassazione ha inizio quando l’Associazione movimento consumatori contesta la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi applicata da alcune banche locali dopo il 1° gennaio 2014.

Per l’Associazione tale pratica è del tutto illegittima perché contraria agli interessi dei consumatori e ai principi di trasparenza, equità e correttezza da rispettare nella stipula di qualsiasi contratto. Per tutte le ragioni suddette l’Associazione attrice chiede la restituzione degli interessi maturati o il ricalcolo dei saldi senza l’applicazione dell’anatocismo.

Le banche convenute contestano le richieste. A loro dire la norma modificata nel 2014 non può essere applicata per la mancata emanazione dei provvedimenti attuativi del CICR.

Anatocismo vietato immediatamente o previa delibera CICR?

La Cassazione risolve la controversia fornendo la corretta interpretazione della normativa del 2013. La stessa infatti, secondo gli Ermellini, ha generato un acceso dibattito su due fronti perché non è chiaro se:

  • abbia definitivamente vietato l’anatocismo bancario;
  • tale divieto fosse immediato o subordinato a una delibera del CICR.

Anatocismo vietato: chiara la legge del 2013

La Cassazione chiarisce che la norma del 2013, diversamente da quella del 1999, non contiene più un riferimento esplicito agli “interessi sugli interessi”. La stessa si limita infatti a menzionare la produzione di interessi. Il testo, anche se formulato in modo non preciso, vieta chiaramente l’anatocismo. Del resto questa conclusione è del tutto conforme con l’intenzione del legislatore di mettere la parola “fine”al fenomeno della produzione di interessi nei periodi successivi da parte degli interessi capitalizzati.

La Cassazione precisa quindi che l’articolo 120, comma 2 del Testo Unico Bancario, modificato nel 2013, preclude ogni forma di anatocismo, non solo quella successiva alla prima capitalizzazione.

Le banche contro le quali ha agito l’Associazione movimento consumatori non potevano pertanto continuare a capitalizzare gli interessi dopo l’entrata in vigore della nuova normativa nel 2013. Il divieto di applicare gli interessi anatocistici, previsto dall’art. 1283 del codice civile è stato ripristinato per i contratti bancari.

La nuova norma inoltre non richiede ulteriori interventi da parte del CICR, rendendo superfluo qualsiasi completamento normativo in merito.

Divieto di anatocismo dal 1° dicembre 2014: non serve la delibera CIRC

In conclusione per la Suprema Corte l’articolo 120, comma 2 del Testo Unico Bancario, come modificato dalla legge n. 147/2013, vieta lanatocismo a partire dal 1° dicembre 2014. Tale divieto è efficace indipendentemente dall’adozione di una delibera CICR. Questo principio chiarisce in modo definitivo la normativa. Illegittima la pratica della capitalizzazione degli interessi passivi successivamente alla data indicata.

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Allegati

interessi di mora

Interessi di mora: 12,25% fino al 31 dicembre 2024 Il MEF ha reso noto il saggio applicabile al secondo semestre dell'anno, in leggera flessione (0,25 in meno) rispetto al primo semestre 2024

Interessi di mora 2024

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha reso noto con comunicato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 luglio 2024 il saggio applicabile per il secondo semestre dell’anno (4,25%), ossia per il periodo che va dal 1° luglio al 31 dicembre 2024. Un tasso che mostra una leggere flessione al ribasso (-0,25%) rispetto alla percentuale del primo semestre.

Cosa sono gli interessi di mora

Gli interessi moratori vanno pagati al creditore nell’ipotesi di ritardo nel pagamento di un’obbligazione pecuniaria (ex art. 1224 c.c.), salvo che il debitore dimostri che il ritardo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Gli interessi moratori vanno corrisposti anche laddove non espressamente pattuiti dalle parti. La loro funzione è in sostanza quella di un “ristoro” per le conseguenze pregiudizievoli subite dal creditore per via del ritardo nel pagamento.

Interessi moratori al 12,25%

Se il pagamento tardivo riguarda una transazione commerciale, gli interessi di mora decorrono sulla base del tasso di riferimento comunicato dal Mef, cui va aggiunta la maggiorazione dovuta alla competenza fissa per le transazioni commerciali, pari all’8%, come previsto dall’art. 2 del Dlgs. n. 192/2012. Il Mef ha comunicato che “ai sensi dell’art. 5 del dlgs n. 231/2002, come modificato dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 1 del decreto legislativo n. 192/2012 – per – il periodo 1° luglio – 31 dicembre 2024 il tasso di riferimento e’ pari al 4,25 per cento”.

Per cui, complessivamente per il secondo semestre 2024 la maggiorazione ammonterà a 12,25%.

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capacità giuridica

La capacità giuridica Definizione e profili storici della disciplina della capacità giuridica. In particolare: la tutela del concepito e le differenze con la capacità di agire

Capacità giuridica, definizione

La capacità giuridica è l’attitudine di una persona ad essere titolare di diritti e di doveri giuridici.

Tale istituto, tanto essenziale nei suoi caratteri quanto fondamentale nell’ambito di un ordinamento giuridico, è disciplinato dall’art. 1 del codice civile, che stabilisce che la capacità giuridica si acquista al momento della nascita.

Profili storici della disciplina della capacità giuridica

L’importanza di una disciplina espressa riguardo all’istituto in parola si coglie più compiutamente attraverso un confronto con la disciplina prevista in altri periodi storici, quando era contemplata la possibilità di limitare o privare della capacità giuridica (c.d. morte civile) taluni soggetti per motivi politici o razziali.

È ciò che avvenne, ad esempio, in Italia durante il regime fascista, e un importante riflesso ne è l’attuale testo dell’art. 22 della Costituzione, il quale espressamente dispone che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.

Acquisto e perdita della capacità giuridica: l’art. 1 del codice civile

Come si è detto, la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, con ciò intendendosi il momento del distacco del feto dal grembo materno.

Ciò significa che il nascituro non è considerato, nel nostro ordinamento, soggetto di diritto, sebbene sia comunque oggetto di tutela da parte della legge.

La capacità giuridica del concepito

Infatti, ad esempio, il concepito (e a dire il vero anche il non-concepito, se si intenda il figlio di una determinata persona vivente al tempo della morte del de cuius) può succedere per testamento e ricevere per donazione.

I diritti del nascituro, però, sono subordinati all’evento della nascita, come prevede il secondo comma dell’art. 1 del codice civile.

Perdita della capacità giuridica

Analogamente, la capacità giuridica di un soggetto termina con la sua morte naturale. Per vero, anche la dichiarazione (con sentenza) di morte presunta, ex art. 58 c.c., determina la perdita della capacità giuridica del soggetto, con contestuale apertura della relativa successione.

Capacità delle persone giuridiche

Oltre che appannaggio delle persone fisiche, la capacità giuridica è configurabile anche in capo alle persone giuridiche, sebbene ciò non postuli il possesso da parte di queste ultime di alcuni diritti propri delle persone fisiche (si pensi a quelli afferenti al diritto familiare).

Le persone giuridiche sono titolari, peraltro, di alcuni rilevanti diritti, quali quello al nome (o alla denominazione) e all’immagine.

Differenza tra capacità giuridica e capacità di agire

Sul tema in oggetto, è importante distinguere tra loro i concetti, ben differenti, di capacità giuridica e capacità di agire.

Se la capacità giuridica, come si è detto, attiene alla generica attitudine alla titolarità di diritti e obblighi giuridici, la capacità di agire indica, invece, la possibilità di porre in atto atti giuridici, e quindi di divenire volontariamente titolare di diritti o di obbligarsi verso terzi.

A differenza della capacità giuridica, la capacità d’agire non si acquista con la nascita ma, come disposto dall’art. 2 cod. civ., si consegue, come regola generale, alla maggiore età, attualmente fissata al compimento dei 18 anni.

In alcuni casi, peraltro, l’ordinamento prevede che determinati atti giuridici possano essere posti in atto anche dal minore (vedi le norme in tema di matrimonio e riconoscimento del figlio da parte del minore emancipato), e che in altri casi la capacità di agire possa essere limitata, anche a tutela del soggetto stesso (interdizione o inabilitazione).

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particolarità causa compensare spese

Non basta la particolarità della causa per compensare le spese La Cassazione chiarisce che la particolarità della controversia non è sufficiente per compensare le spese di lite

Compensazione spese di lite

Non è sufficiente la “particolarità” della causa per compensare le spese di lite. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 17966/2024 accogliendo il ricorso di un lavoratore. 

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Napoli respingeva il gravame di una Spa, confermando la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda di un lavoratore volta ad ottenere la condanna della società datrice al pagamento di una somma a titolo di “conguaglio ore”. 
La Corte territoriale, tuttavia, aveva disposto anche la compensazione delle spese del grado per la “particolarità della controversia e le oscillazioni della giurisprudenza di merito sulla questione esaminata”.

Il ricorso

L’uomo adiva quindi il Palazzaccio dolendosi della compensazione “in assenza di soccombenza reciproca, essendo la società appellante totalmente soccombente” e denunciando la nullità parziale della sentenza per motivazione apparente atteso che la “particolarità” e le “oscillazioni giurisprudenziali” non si evincevano nè dal provvedimento nè dalle allegazioni processuali.  

L’art. 92 c.p.c.

Per gli Ermellini, l’uomo ha ragione.
Nel caso di specie, premettono, “di procedimento iniziato in primo grado nel 2020, trova applicazione l’art. 92 c.p.c. nella formulazione successiva alle modifiche apportate dall’art. 13, decreto-legge. n. 132/14, convertito dalla legge n. 162/14, secondo cui: ‘Se vi è’ soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero’; a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 77 del 2018, la compensazione delle spese, parzialmente o per intero, può essere disposta ‘anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni’.
In base all’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche sopra citate, proseguono i giudici, “la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso di soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c.”. 
La “particolarità” della controversia, dunque, peraltro “non meglio specificata nella sentenza impugnata né desumibile dalla materia del contendere, non corrisponde a nessuno dei presupposti idonei a legittimare, per dettato normativo, la compensazione delle spese”. E neppure le “oscillazioni della giurisprudenza di merito, nella specie neanche individuate attraverso puntuali citazioni di precedenti di segno diverso, sono riconducibili alle ipotesi contemplate dal citato art. 92, caratterizzate da elementi di novità idonei ad alterare o, comunque, ad interferire sulla originaria prospettazione difensiva o da altre analoghe ragioni connotate da eccezionalità e gravità”.
Da qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza.
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giurista risponde

Assicurazione responsabilità civile e clausola claims made In tema di assicurazione della responsabilità civile in ambito sanitario è valida la clausola claims made che preveda l’ultrattività della polizza per un periodo inferiore a dieci anni?

Quesito con risposta a cura di Umberto De Rasis, Maurizio Della Ventura e Federica Florio

 

In tema di assicurazione della responsabilità civile, la clausola claims made che non preveda un periodo di ultrattività decennale della polizza conforme alla previsione di cui all’ art. 11 L. 24/2017 non può essere dichiarata per ciò solo nulla, dovendosi piuttosto procedere a verificare se nel caso concreto, anche alla luce del rapporto tra rischio e premio, risulti effettivamente svuotare di ogni ragion pratica il contratto. – Cass., sez. III, 12 marzo 2024, n. 6490.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso della compagnia di assicurazioni avverso la sentenza della Corte d’Appello che, dichiarata la nullità della clausola che limitava la validità della polizza al caso di richieste formulate entro dodici mesi dalla scadenza della stessa, l’ aveva sostituita con la clausola di ultrattività decennale di cui all’art. 11 L. 24/2017 in tema di responsabilità sanitaria.

I Giudici di legittimità ricordano a proposito che il potere di sostituzione della clausola claims made tratteggiato con la sentenza Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22437 presuppone anzitutto un corretto accertamento della nullità contrattuale e poi una corretta individuazione del sostrato sostitutivo che realizzi un equo contemperamento delle posizioni dei contraenti.

Nel caso di specie, invece, il giudice a quo era intervenuto ravvisando un “buco di copertura” dovuto alla mancata previsione di una clausola di ultrattività decennale, senza ulteriormente motivare se la specifica conformazione della clausola di ultrattività annuale, riguardata alla luce del rapporto tra rischio e premio, svuotasse effettivamente di ogni ragion pratica il contratto.

In altri termini la Corte d’Appello aveva considerato la previsione contenuta nel secondo periodo dell’art. 11, della legge Gelli Bianco quale regola generale in tema di copertura assicurativa in ambito sanitario, sanzionando con la nullità la convenzione non aderente a detto paradigma.

La Suprema Corte censura il difetto di motivazione e l’omessa indagine in concreto in ordine all’idoneità della clausola a realizzare gli interessi delle parti.

Si tratta di un’omissione ancor più significativa se si considera che in altre sedi la clausola claims made con previsione di ultrattività annuale è stata ritenuta valida dalla giurisprudenza di legittimità.

Infine, rileva che l’ultrattività decennale è prevista per la sola ipotesi della cessazione definitiva dell’attività professionale e che pertanto non costituisce un modello inderogabile in materia di assicurazioni sulla responsabilità civile del medico.

Contributo in tema di “Assicurazione della responsabilità civile”, a cura di Umberto De Rasis, Maurizio Della Ventura e Federica Florio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 76 / Luglio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

multa zlt cassazione

Ztl: basta una multa Addio alle multe seriali per chi gira nella Ztl con permesso scaduto, per la Cassazione basta una sola multa

Cassazione: multe Ztl

Le violazioni, anche in tempi diversi, della medesima norma relativa alla circolazione di un veicolo non avente i requisiti amministrativi richiesti dalla legge devono essere considerate come un’unica infrazione. Così la seconda sezione civile della Cassazione seconda nell’ordinanza n. 19680-2024.

La vicenda

La vicenda in esame origina dall’opposizione di un’automobilista avverso una cinquantina di verbali di violazione del Codice della Strada notificati in più tranches per aver circolato nella zona a traffico limitato sprovvista della prescritta autorizzazione, nell’arco di un paio di mesi.

La donna deduceva di essere incorsa in errore incolpevole, avendo – al momento della commissione delle diverse infrazioni – la convinzione di essere ancora titolare del permesso di circolare nella zona a traffico limitato, non avendo l’amministrazione comunale inviato alcuna comunicazione a distanza di circa due anni dal cambio di residenza dell’opponente, né avrebbe mai irrogato e notificato alcuna sanzione amministrativa prima di quelle oggetto di impugnazione.

Il Giudice di Pace, in parziale accoglimento dei ricorsi, annullava tutti i verbali tranne uno, determinando in euro 94,08 la somma da irrogare quale sanzione amministrativa pecuniaria. Il Comune proponeva appello e la donna si difendeva con appello incidentale.

Il giudice del gravame rigettava sia l’appello principale sia quello incidentale, confermando la sentenza del giudice di prime cure e l’amministrazione, a questo punto, adisce il Palazzaccio.

Il ricorso

Con l’unico motivo di ricorso il comune deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, legge 24 novembre 1981; dell’art. 198 D.Lgs. n. 285/1992, in riferimento all’art 360 comma 1, n. 3) cod. proc. civ. ritenendo la sentenza in palese contrasto, innanzitutto, con i principi espressi dalla Corte di legittimità in tema di scusabilità dell’errore di fatto sulla condotta illecita: “la mera tolleranza, ovvero la mancanza di controlli, non è in alcun modo idonea a configurare la buona fede del trasgressore e ad escludere l’elemento soggettivo dell’illecito” (Cass. n. 657/1999).

In secondo luogo, pur avendo il giudice accertato che si tratta di una pluralità di condotte, a dire del comune, “ne ha erroneamente ed illogicamente dedotto la riconducibilità dell’aspetto colposo delle violazioni alla sola prima infrazione commessa in forza di un’improbabile unificazione delle singole condotte. Invece, la configurazione di tali illeciti come un tutt’uno presupporrebbe il loro inquadramento nella categoria giuridica del concorso formale, tuttavia espressamente escluso per le violazioni alla disciplina in tema di zona traffico limitato ed aree pedonali dall’art. 198, comma 2, CdS”.

La decisione della Cassazione

Per gli Ermellini, il Comune ha torto.

“Le violazioni, anche in tempi diversi, della medesima norma (art. 7, comma 9, CdS) relativa alla circolazione di un veicolo non avente i requisiti amministrativi richiesti dalla legge (nel caso che ci occupa: mancanza del permesso di accesso a ZTL) devono, semmai, essere considerate come un’unica infrazione in quanto reiterazioni del medesimo illecito amministrativo (reiterazione specifica), ai sensi della legge vigente ratione temporis (v. art. 8-bis legge n. 689/1981; l’art. 198-bis CdS avente analogo contenuto è entrato i vigore il 06.08.2022, dunque successivamente alla commissione delle infrazioni), stante la sostanziale omogeneità degli illeciti perpetrati, e avuto riguardo alla natura dei fatti che le costituiscono e alle modalità della condotta” affermano innanzitutto i giudici.

Inoltre, proseguono, “a mente del comma 5 dell’art. 8-bis menzionato: ‘Le violazioni amministrative successive alla prima non sono valutate, ai fini della reiterazione, quando sono commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria’”.

Per cui, la Cassazione rigetta il ricorso e conferma la soluzione adottata dal giudice di seconde cure laddove ritiene valido ed efficace un unico verbale di contestazione: “non si tratta, infatti, di escludere l’elemento soggettivo del trasgressore con riferimento alle violazioni successive (il che vale a rispondere alla prima delle censure elevate dal ricorrente), quanto piuttosto – in applicazione della disposizione citata – di elidere la valutazione delle violazioni amministrative successive alla prima (Cass. n. 2965 del 16.02.2016)”.

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