Turbata libertà incanti e bando di gara Il delitto di turbata libertà degli incanti presuppone il condizionamento del contenuto del bando di gara?
Quesito con risposta a cura di Federico Cavalli, Nicolò Pignalosa, Vincenza Urbano
Il delitto di cui all’art. 353 c.p. non richiede che “il contenuto del bando venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente, né, a maggior ragione, che la scelta del contraente venga effettivamente condizionata. È sufficiente, invece, che si verifichi un turbamento del processo amministrativo, ossia che la correttezza della procedura di predisposizione del bando sia messa concretamente in pericolo, attraverso l’alterazione o lo sviamento del suo regolare svolgimento, e con la presenza di un dolo specifico qualificato dal fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della Pubblica Amministrazione”. – Cass., sez. VI, 28 ottobre 2022, n. 41094.
Nel caso in esame, gli imputati sono stati accusati di aver influito indebitamente sul procedimento amministrativo finalizzato all’aggiudicazione del servizio di gestione degli impianti sportivi comunali. Il giudice di primo ha ritenuto sussistente la responsabilità penale degli imputati, mentre la Corte di appello è pervenuta all’assoluzione.
In particolare, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’art. 353 c.p. delinei un reato di evento che, come tale, non punisce le mere irregolarità formali che non incidano sul contenuto del bando di gara. Il Procuratore generale presso la Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di assoluzione.
La Corte premette alcune considerazioni in tema di turbata libertà degli incanti. In primo luogo, la Cassazione precisa che “l’art. 353 cod. pen. configura un reato di evento di pericolo”.
In particolare, si tratta di un reato di evento in senso naturalistico, in quanto “è necessario accertare il verificarsi dell’impedimento della gara o del suo turbamento, e quindi la potenziale incidenza di una simile fraudolenta condotta sul futuro risultato della gara”.
Allo stesso tempo, si può definire un reato di pericolo “nel senso che il reato sussiste anche senza l’effettivo conseguimento del risultato perseguito dai soggetti agenti colludenti, essendo sufficiente che gli accordi collusivi siano idonei a influenzare l’andamento della gara”.
In altri termini, ciò che rileva è il verificarsi di un “turbamento”, cioè un disturbo del normale iter procedimentale, finalizzato ad inquinare il futuro contenuto del bando.
La Corte dunque ribadisce che il delitto in esame non richiede “un danno effettivo alla regolarità della gara”. Al contrario, è sufficiente che la condotta produca un “danno mediato e potenziale”, cioè l’idoneità degli atti ad influenzare l’andamento della gara, senza che sia necessario alternarne i risultati.
Tuttavia, l’impostazione descritta corre il rischio di attribuire rilievo penale a qualsiasi condotta in grado di perturbare lo svolgimento del procedimento. Per evitare tale rischio, la Corte precisa che “la condotta tipica deve essere idonea a ledere i beni giuridici protetti dalla norma, che si identificano non solo con l’interesse pubblico alla libera concorrenza, ma anche con l’interesse pubblico al libero gioco della maggiorazione delle offerte, a garanzia degli interessi della pubblica amministrazione”.
In conclusione, la fattispecie delineata dall’art. 353 c.p. consiste “nel turbare mediante atti predeterminati il procedimento amministrativo di formazione del bando, allo scopo di condizionare la scelta del contraente. Poiché il condizionamento del contenuto del bando è il fine dell’azione, è evidente che il reato si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine medesimo”.
In base alle considerazioni sopra sintetizzate, la Corte ha accolto il motivo di ricorso presentato dalla Procura generale e dunque ha annullato la sentenza di assoluzione, rimettendo la causa alla Corte di appello per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi enunciati.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass., sez. VI, 8 marzo 2019, n. 10272; Cass., sez. II, 13 febbraio 2019, n. 7013; Cass., sez. VI, 22 gennaio 2019, n. 2989 |