condanna alle spese

Condanna alle spese processuali: non è censurabile in Cassazione La condanna alle spese processuali da parte del giudice di merito rientra nel suo potere discrezionale e non è censurabile in Cassazione

Spese processuali

“La facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà”. Ne segue che la pronuncia di condanna alle spese processuali, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione”. E’ quanto affermato dalla prima sezione civile della Cassazione con ordinanza n. 25940/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il tribunale di Ancona aveva respinto la domanda di risarcimento danni all’immagine personale e professionale del ricorrente in conseguenza dell’ingiusto protesto di un assegno. In appello, anche la corte, svolta la premessa in ordine all’attuale abbandono giurisprudenziale della tesi del danno in re ipsa, così che la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno stesso, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, rigettava il gravame.

La questione approdava quindi innanzi alla Cassazione.

Danno alla reputazione per illegittimità del protesto

La Cassazione coglie l’occasione per ribadire che “la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è, di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non
futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando inoltre l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio (v., in senso conforme ai riferimenti dell’impugnata sentenza, Cass. Sez. 3n. 2226-12, Cass. Sez. 6-1 n. 21865-13, Cass. Sez. 1n. 23194-13)”. Si tratta invero, affermano gli Ermellini “di principio del tutto pacifico, peraltro sostenuto da rilievi comuni a distinte fattispecie, sia per le persone fisiche che per le persone giuridiche; principio declinato dal rilievo che ogni pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine e alla reputazione commerciale o professionale, non costituisce
un mero danno-evento, e cioè in re ipsa, ma deve essere oggetto di allegazione e prova, anche tramite presunzioni semplici (cfr. tra le più recenti Cass. Sez. 3 n. 19551-23, Cass. Sez. 3 n. 34026-22, Cass. Sez. 1 n. 11446-17; e v. pure, in altre fattispecie di danno del genere, Cass. Sez. 1 n. 479-23, Cass. Sez. 1 n. 26801-23)”.
Per cui, “l’epilogo indiscusso del percorso giurisprudenziale induce a rifiutare qualsivoglia automatismo valutativo” e l’insistere su un difforme criterio da parte del ricorrente, “senza argomenti idonei a un mutamento di indirizzo – integra la condizione di inammissibilità del mezzo ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ.”.

Condanna alle spese e decisione

Infine, in ordine al governo delle spese, la Corte non ritiene vi sia stata l’asserita violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., essendo, come sopra specificato, nella facoltà del giudice disporre o meno la compensazione tra le parti e la pronuncia di condanna alle spese non è censurabile in Cassazione (v. Cass. Sez. Un. 14989-05, cui adde, ex allis, Cass. Sez. 6-3 n. 11329-19).
Da qui l’inammissibilità del ricorso.

Allegati

giurista risponde

Azione di riduzione del prezzo L'acquirente può avvalersi dell'azione di riduzione del prezzo anche nei casi di mancanza di qualità promesse o essenziali?

Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Davide Venturi

 

L’azione di riduzione del prezzo va considerata esperibile da parte dell’acquirente anche nelle fattispecie contemplate dall’ art. 1497 c.c., relative alla mancanza delle qualità promesse ovvero delle qualità essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata (Cass., sez. II, 16 febbraio 2024, n. 4245).

La doglianza dalla quale prende l’avvio la pronuncia oggetto di commento riguarda il motivo di ricorso con il quale l’acquirente denuncia la violazione degli artt. 1490, 1492, 1497 c.c. nonché dell’art. 112 c.p.c. nella misura in cui l’impugnata sentenza, una volta inquadrato il caso di specie nell’ambito dell’art. 1497 c.c. poiché il bene oggetto della compravendita non era idoneo all’uso, ha statuito che l’unico rimedio fosse la risoluzione e quindi disatteso le domande di diminuzione del prezzo e di risarcimento del danno proposte in via principale. La Corte di Appello territorialmente competente, infatti, aveva argomentato nel senso che fosse da confermare la decisione del primo giudice che aveva accolto la sola domanda di risoluzione del contratto. Secondo questa, la natura dei vizi del bene era di ostacolo all’accoglimento delle domande proposte in via principale ex art. 1492 c.c., poiché entrambe presuppongono che il vincolo contrattuale permanga. In presenza di vendita di bene affetto da vizi, l’art. 1492 c.c. consente al compratore di chiedere (ove non esclusa dagli usi per determinati vizi) la risoluzione del contratto oppure la riduzione del prezzo, ma solo ove i vizi accertati risultino contenuti nei limiti di usuale tollerabilità. Ove invece, come nel caso di specie, i vizi si traducano in mancanza delle qualità essenziali, il rimedio deve essere solo la risoluzione del contratto come previsto dall’art. 1497 c.c.

La Cassazione, tuttavia, ritiene che questo orientamento sia in contrasto con la direzione in cui si stanno muovendo dottrina e giurisprudenza maggioritarie. Ad avviso della Suprema Corte, invero, i rapporti tra rimedi in caso di vizi ex art. 1490 c.c. e quelli in caso di mancanza delle qualità promesse o essenziali contenuti nell’art. 1497 c.c., risentono ancora dell’idea secondo la quale la tutela giurisdizionale vincolata a previsioni di rimedi specifici. In conseguenza di ciò, il passaggio da un rimedio all’altro determinerebbe tendenzialmente un mutamento dell’oggetto del processo. Questa lettura appare da superare in favore di una concezione moderna e “sostanzialistica” del diritto di azione che ricostruisca l’azione giudiziaria come atipica. Un diritto processuale che assume per presupposto l’affermazione della titolarità di un diritto sostanziale riconosciuto dall’ordinamento e per finalità la richiesta di un provvedimento giurisdizionale diretto nel suo contenuto a soddisfare il bisogno specifico di tutela. Ma se l’azione deve guardare alla sostanza del diritto fatto valere allora ne discende logicamente l’ammissibilità di ogni meccanismo idoneo a raggiungere tale risultato. Così acquistano cittadinanza domande complesse o gradate o che si configurino quali richieste di provvedimenti non ancora tipizzati legalmente purché rispondenti allo specifico bisogno di tutela fatto valere.

Questo il collegamento col caso concreto all’esame della Seconda sezione. Fin dall’inizio del processo l’acquirente aveva manifestato l’ordine di priorità che riteneva soddisfare il suo bisogno di tutela, ponendo al primo posto l’interesse al mantenimento della proprietà sulla cosa acquisita attraverso lo scambio contrattuale e in posizione subordinata l’interesse ad avviare una vicenda risolutiva. D’altra parte, prosegue la Corte, è proprio l’art. 1497 c.c., il quale si limita a disporre che in mancanza di qualità essenziali sono applicabili le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, che non esclude logicamente un permanente interesse dell’attore al mantenimento in vita del rapporto contrattuale. Argomentando a contrario, ad avviso della pronuncia, si perverrebbe all’assurda conclusione per cui sarebbe il convenuto a delineare l’ordine dei rimedi.

Sono le formule letterali degli artt. 1490 e 1497 c.c. che, frutto di retaggi culturali passati, vanno calate nel dinamismo delle relazioni economiche e degli interessi ambientati nel clima moderno, liberando le direzioni del diritto sostanziale dagli eccessivi vincoli restrittivi codificati nelle disposizioni di legge. Questa lettura conferma quegli orientamenti giurisprudenziali che argomentano nel senso di ritenere la presenza di vizi e la mancanza di qualità assoggettate alla stessa disciplina.

 

(*Contributo in tema di “Azione di riduzione del prezzo”, a cura di Manuel Mazzamurro e Davide Venturi, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

giudizio abbreviato

Giudizio abbreviato escluso per i delitti puniti con ergastolo Giudizio abbreviato: la Corte Costituzionale conferma la legittimità dell'art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale

Giudizio abbreviato e delitti puniti con l’ergastolo

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 2/2025, depositata il 17 gennaio 2025, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale. Tale norma prevede l’inammissibilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo, confermando così la scelta del legislatore di escludere per questi reati la possibilità di accedere al rito premiale.

La normativa contestata

L’art. 438, comma 1-bis, c.p.p., introdotto con modifiche normative recenti, stabilisce che il giudizio abbreviato non può essere richiesto per i delitti per i quali è prevista la pena dell’ergastolo.

Questa disposizione, secondo la Corte di assise di Cassino rimettente, violerebbe i principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza e diritto alla difesa, creando una disparità di trattamento rispetto ad altri imputati che possono accedere ai benefici del rito abbreviato.

Le questioni di legittimità sollevate

Nella specie, la Corte era stata chiamata a giudicare la responsabilità di un imputato per il reato di omicidio aggravato da motivi abietti e futili per il quale è prevista la pena dell’ergastolo. L’imputato aveva chiesto il rito abbreviato e il Gip aveva dichiarato la richiesta inammissibile atteso che il delitto rientrava, appunto, nella previsione di cui all’art. 438, comma 1-bis, c.p.p.

Ciò, secondo la corte rimettente contrasterebbe con gli artt. 3 e 27 Cost., accomunando fattispecie di reato punite con la pena dell’ergastolo con altre che, invece, come nel caso di specie, pervengono a tale pena soltanto in ragione della contestazione delle circostanze aggravanti.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, respingendo le questioni di legittimità, ha affermato che l’art. 438, comma 1-bis, c.p.p. non viola i principi costituzionali invocati.

La Corte ha sottolineato che l’esclusione del rito abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo è una scelta discrezionale del legislatore, finalizzata a preservare la gravità del trattamento sanzionatorio per i reati più gravi e a garantire il pieno svolgimento del contraddittorio nelle fasi dibattimentali.

Secondo la Corte, inoltre, richiamando un precedente (cfr. sent. n. 163/1992), “l’esclusione del giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo risponde a criteri di ragionevolezza e proporzionalità, tenuto conto della particolare rilevanza sociale e morale di tali delitti, nonché della necessità di assicurare un’adeguata valutazione probatoria in sede dibattimentale.”

Per cui non vi è alcuna “ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri reati, trattandosi di situazioni non omogenee”.

formazione continua avvocati

Formazione continua avvocati 2025 Il Consiglio Nazionale Forense ha emanato apposita delibera per disciplinare la formazione continua avvocati 2025

Formazione continua avvocati: le indicazioni del CNF

Formazione continua avvocati: anche l’anno solare dal 1° gennaio al 31 dicembre 2025 non verrà conteggiato ai fini del triennio formativo di cui al comma 3 dell’art. 12 del Regolamento CNF 6 del 16 luglio 2014 e ss mm. E’ una delle indicazioni fornite dal Consiglio Nazionale Forense con la delibera del 13 gennaio 2025.

Vengono “prorogate”, in sostanza, le medesime disposizioni degli scorsi anni, a partire dall’emergenza Covid19.

I crediti formativi necessari

Quanto ai crediti formativi necessari, viene previsto che “nell’anno solare dal 1° gennaio al 31 dicembre 2025 ciascun iscritto adempie l’obbligo formativo di cui all’art. 11 della L. 247 del 31 dicembre 2012 mediante il conseguimento di minimo quindici crediti formativi, di cui almeno tre nelle materie obbligatorie di ordinamento e previdenza forensi e deontologia ed etica professionale e dodici nelle materie ordinarie”.

Formazione a distanza

Infine, viene data la possibilità anche per quest’anno di acquisire i crediti formativi integralmente in modalità FAD.

Guida sotto effetto di stupefacenti: esame del sangue più affidabile Per provare la guida sotto effetto di stupefacenti l'esame del sangue è un metodo diagnostico più attendibile rispetto a quello delle urine

Guida sotto effetto di stupefacenti

Nella guida sotto effetto di stupefacenti, l’esame del sangue si dimostra prova più attendibile rispetto a quello delle urine. Questo quanto ribadito dalla Cassazione, nella sentenza n. 2020/2025. La decisione si fonda sulla diversa capacità diagnostica dei due metodi, con implicazioni significative per l’accertamento di reati legati alla sicurezza stradale.

La vicenda

La pronuncia della Corte di Cassazione trae origine da un caso concreto in cui un automobilista era stato condannato in appello per il reato di cui all’art. 187 comma 1 codice della strada,  per essersi messo alla guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti sulla base di esami delle urine ed ematici.

Il ricorso

L’imputato aveva contestato la validità della prova, sostenendo che l’esame rilevasse solo tracce residue di sostanze consumate in passato, senza dimostrare un’effettiva compromissione delle sue capacità di guida al momento del fermo. La Suprema Corte, investita della questione, ha stabilito che, per garantire un accertamento equo e scientificamente fondato, è necessario privilegiare l’esame del sangue.

Esame del sangue e affidabilità temporale

Secondo la Corte, “l’esame del sangue consente di rilevare la presenza di sostanze stupefacenti attive al momento dell’accertamento, fornendo un quadro chiaro della capacità psicofisica del conducente al tempo della guida.”

Questo metodo diagnostico si distingue per la sua precisione temporale, consentendo di verificare se le sostanze presenti abbiano effettivamente compromesso le capacità di guida.

Limiti dell’esame delle urine

Nella sentenza viene evidenziato che l’esame delle urine, “non garantisce la certezza di una correlazione diretta tra l’assunzione di stupefacenti e il momento della guida.” Tale metodo, infatti, può rilevare metaboliti che permangono nell’organismo anche molti giorni dopo il consumo, senza indicare una compromissione attuale delle facoltà del conducente.

La posizione della Cassazione

La Corte ha concluso che “l’esame del sangue deve costituire il principale strumento probatorio nei procedimenti relativi alla guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, in quanto offre maggiori garanzie di attendibilità rispetto agli esami delle urine.”

Rigettando anche le altre doglianze, la S.C. ha dichiarato pertanto il ricorso infondato e confermato la condanna.

Allegati

Processo telematico: “doppio binario” anche per gli avvocati L'Associazione Italiana dei Giovani Avvocati (AIGA) sottolinea in audizione al Senato la necessità del doppio binario anche per il deposito degli atti da parte degli avvocati

Processo telematico, la richiesta AIGA

Il Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA), Carlo Foglieni, ieri ha partecipato all’audizione in Commissione Giustizia Senato nell’ambito dell’esame del disegno di legge n. 766 sul Processo telematico.

In tale occasione, dopo aver evidenziato che molte delle proposte contenute nel DDL in esame sono state successivamente recepite dal D. Lgs. n. 164/2024 (cd. “Correttivo Cartabia Civile”) e dai diversi atti normativi e specifiche tecniche del DSGIA succedutesi nel tempo, il Presidente ha evidenziato le criticità legate al mancato funzionamento del processo penale telematico.

“Quello che gli operatori del diritto auspicano più di tutto è la piena funzionalità del processo telematico – afferma il Presidente – altrimenti vi è il serio rischio di ledere il diritto di difesa costituzionalmente garantito, come sta accadendo con il processo penale telematico, allorquando risulta telematicamente impossibile il deposito di atti nei termini perentori previsti dalla legge. A tal fine sarebbe auspicabile prevedere anche per gli avvocati la possibilità di depositare in modalità non telematiche (cd. “doppio binario”) in caso di malfunzionamento e/o mancata autorizzazione al fascicolo telematico, nonché nel corso delle udienze in camera di consiglio e dibattimentali”.

Al fine di raggiungere la piena funzionalità del processo telematico – conclude il Presidente – “sarebbe inoltre auspicabile l’istituzione di un ‘Osservatorio permanente’ che coinvolga tutti gli operatori del diritto, in primis la giovane avvocatura, che è quella più avvezza all’uso dei sistemi telematici e che più crede nella digitalizzazione del processo”.

pintopaga

PintoPaga: gli avvocati devono ripresentare le istanze Il Consiglio Nazionale Forense alla luce della nota del ministero della Giustizia invita gli avvocati a ripresentare le istanze di indennizzo entro il 30 giugno 2025

Progetto PintoPaga

Il Ministero della Giustizia ha avviato il 1° gennaio 2025 il Progetto straordinario PintoPaga, un’iniziativa volta a eliminare, entro due anni, l’arretrato accumulato in base alla legge Pinto, riguardante i decreti depositati dalle Corti d’appello tra il 2015 e il 31 dicembre 2022.

Obiettivi del progetto

Il progetto coinvolge circa 80.000 decreti di pagamento, con un debito complessivo di circa 400 milioni di euro. Questo importo comprende sia la sorte capitale, sia interessi e spese legali legate alle azioni esecutive intraprese dai beneficiari per ottenere il pagamento degli indennizzi.

Grazie alla digitalizzazione della procedura, si prevede di pagare tutti i decreti entro il 31 dicembre 2026.

Collaborazione da parte degli avvocati

Per garantire il successo del progetto, il CNF, a seguito della nota emanata dal ministero della Giustizia, invita gli avvocati a ricaricare le istanze di liquidazione e la documentazione necessaria sulla piattaforma SIAMM Pinto digitale entro il 30 giugno 2025.

L’amministrazione avrà tempo fino al 31 dicembre 2026 per valutare e liquidare le istanze.

Innovazione con SIAMM Pinto Digitale

L’elemento innovativo del progetto, spiega via Arenula, è l’estensione del sistema SIAMM Pinto digitale anche ai decreti relativi al periodo 2015-2022. Tale sistema, già utilizzato per i decreti emessi dal 2023, semplifica notevolmente la gestione delle pratiche.

La Legge n. 89/2001 (Legge Pinto) è stata modificata per consentire questa digitalizzazione, come previsto dall’art. 1, commi 817-821, della Legge di Bilancio 2025 (Legge 30 dicembre 2024, n. 207).

Funzionalità della piattaforma SIAMM Pinto Digitale

Accedendo al sistema SIAMM Pinto digitale con SPID o Carta Nazionale dei Servizi, gli utenti possono:

  • Fornire tutte le informazioni richieste;
  • Monitorare autonomamente lo stato delle pratiche;
  • Modificare i dati per il pagamento senza contattare l’amministrazione;
  • Ricevere notifiche automatizzate su ogni cambiamento di stato.

La piattaforma permette inoltre comunicazioni dirette tra i richiedenti e gli uffici incaricati, evitando l’uso di altri canali come PEC o email ordinaria.

Risultati iniziali di PintoPaga

Nei primi cinque giorni di attività sulla piattaforma SIAMM Pinto digitale, informa infine il dicastero, la Direzione Generale Affari Giuridici e Legali ha emesso ben 607 ordinativi di pagamento. Questo dimostra l’efficienza del nuovo sistema digitale.

usucapione la guida

Usucapione: la guida Usucapione: modo di acquisto a titolo originario che consente di acquistare la proprietà per garantire la circolazione della ricchezza

Usucapione nel codice civile

L’usucapione è un istituto giuridico di grande rilievo nel diritto italiano, regolamentato dagli articoli 1158 e seguenti del Codice Civile. Questo istituto giuridico consente l’acquisizione della proprietà o di altri diritti reali su beni mobili o immobili attraverso il possesso continuativo nel tempo, purché ricorrano determinate condizioni.

Cos’è l’usucapione?

L’usucapione rappresenta un modo di acquisto della proprietà. Essa si sostanzia in una forma di consolidamento giuridico del possesso, che trasforma un possesso di fatto in un diritto di proprietà o altro diritto reale.

Possesso e detenzione: differenze

Per chiarezza è necessario precisare che il possesso non deve essere confuso con la detenzione. Si tratta infatti di due situazioni giuridiche differenti, che riguardano il rapporto tra una persona e un bene.

Il possesso consiste in un potere che viene esercitato su un bene e che si manifesta esternamente in una attività che metterebbe in atto il soggetto titolare della proprietà o di un altro diritto reale.

La detenzione è invece una situazione di fatto in cui una persona ha la disponibilità materiale di un bene, ma riconosce che la proprietà appartiene ad un altro. Chi detiene un bene lo fa in nome e per conto di un altro (es: locatario, comodatario).

Il possesso si distingue dalla detenzione per le seguenti caratteristiche:

animus possidendi: il possessore ha l’intenzione di esercitare un potere sulla cosa come se fosse il proprietario, mentre il detentore riconosce un diritto superiore altrui;

titolo: il possessore può avere un titolo (anche non valido) capace di giustificare il suo possesso,   il detentore invece ha un titolo che lo lega a un altro soggetto (es: contratto di locazione).

Possesso: requisiti fondamentali

Ai sensi dell’articolo 1158 del Codice Civile, il possesso deve essere:

  • continuo e ininterrotto: l’utilizzatore del bene deve esercitare il possesso in modo stabile, senza interruzioni, per un determinato periodo di tempo;
  • pacifico: il possesso non deve essere acquisito con atti violenti o clandestini;
  • pubblico: deve essere evidente e non nascosto;
  • corretto (non vizioso): non deve derivare da dolo o mala fede.

Termini per usucapire

La durata necessaria per l’usucapione varia in base alla natura del bene e alla presenza di eventuali condizioni agevolative.

  • Beni immobili: secondo l’articolo 1158, il possesso continuato per 20 anni consente di acquisire la proprietà dell’
  • Beni mobili: per i beni mobili, il termine è ridotto a 10 anni, ai sensi dell’articolo 1161, se il possesso è accompagnato dalla buona fede e da un titolo idoneo.
  • Usucapione abbreviata: se si possiede un titolo idoneo e si è in buona fede, il termine per l’usucapione di beni immobili si riduce a 10 anni, ai sensi dell’articolo 1159.

Decorrenza dei termini

Il momento in cui inizia a “correre il tempo” per acquisire la proprietà di un bene attraverso l’usucapione è variabile.

  • Nell’usucapione ordinaria: il termine inizia a decorrere dal momento in cui si acquisisce il possesso del bene. Se inizialmente il possesso è stato violento o clandestino, il termine inizia a decorrere solo da quando cessa questa situazione.
  • Nell’usucapione abbreviata: invece inizia a decorrere dalla data in cui viene trascritto un titolo che, pur non essendo ancora perfetto, potrebbe in futuro diventare tale (ad esempio, un contratto preliminare).
  • Usucapione da parte di chi vanta un diritto reale minore: se una persona ha già un diritto su un bene (ad esempio, l’usufrutto), ma vuole diventare il proprietario, deve “cambiare titolo” al suo possesso. Questo cambio di titolo prende il nome di “interversione del possesso”, ed è da questo momento inizia a decorrere il termine per l’usucapione.
  • Usucapione da parte di chi ha un diritto personale: se una persona ha invece solo un diritto di godimento su un bene (ad esempio, un contratto di locazione), può diventare possessore e quindi iniziare l’usucapione se “muta la detenzione in possesso”. Anche in questo caso, il termine inizia a decorrere da questo momento.

Il termine per l’usucapione inizia quindi a decorrere dal momento in cui si verificano le condizioni necessarie per far scattare questo istituto giuridico.

Interruzione dell’usucapione

L’interruzione dell’usucapione si verifica nei seguenti casi:

– perdita del possesso;

– atti giudiziali che contestano il possesso, come l’azione di rivendicazione;

– atti di riconoscimento del diritto altrui.

Effetti dell’usucapione

L’usucapione produce l’effetto di trasferire la proprietà o altri diritti reali, come il diritto di usufrutto, ad esempio, senza la necessità di un atto formale di trasferimento. Tuttavia, il riconoscimento giuridico dell’usucapione richiede una sentenza accertativa da parte del tribunale o un accordo di natura stragiudiziale, soggetto a trascrizione presso i registri immobiliari.

Importanza dell’istituto

L’usucapione svolge una funzione economica e sociale, permettendo il recupero e l’utilizzo di beni abbandonati o non gestiti dal proprietario originario. Rappresenta un modo per garantire la circolazione della ricchezza immobiliare e per tutelare chi effettivamente investe e si occupa del bene.

 

Leggi anche: Diritto di proprietà

giurista risponde

Conducente in stato di ebbrezza e risarcimento del terzo passeggero Il passeggero terzo, vittima di un sinistro stradale, ha diritto ad ottenere il risarcimento dell’assicurazione se il conducente dell’auto ha bevuto alcolici?

Quesito con risposta a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo

 

L’accertamento dell’esistenza e del grado della colpa della persona che, accettando di farsi trasportare da un conducente in stato di ebbrezza, patisca danno in conseguenza d’un sinistro stradale, è apprezzamento riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità. La colpa non è sempre imputabile in capo a chi, dopo aver accettato di essere trasportato a bordo di un veicolo con una persona ubriaca alla guida, rimane coinvolto in un sinistro stradale di cui la responsabilità è rinvenibile a capo del conducente. È il giudice che deve valutare, caso per caso, l’esistenza e il grado della colpa del trasportato nel causare il sinistro (Cass., sez. III, 17 settembre 2024, n. 24920).

Il caso in oggetto prende le mosse dalle lesioni riportate da un soggetto trasportato a bordo di un autoveicolo. Di tale danno il terzo trasportato chiese il risarcimento al vettore ed al suo assicuratore.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello attribuirono alla vittima un concorso di colpa del 50%, in quanto il terzo trasportato aveva fornito un contributo causale all’avverarsi del da lui stesso sofferto, accettando di essere trasportato a bordo di un veicolo condotto da una persona in evidente stato di ebbrezza.

Il soggetto trasportato ricorre in Cassazione e questa dichiara improcedibile il ricorso.

Tuttavia, la Corte affronta la questione prendendo le mosse dal principio sancito dall’art. 1227 c.c. il quale prevede che, se il comportamento colpevole della vittima ha concorso a causare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. È quindi possibile escludere o ridurre il diritto al risarcimento del danno di persona trasportata su un veicolo condotto in stato di ebrezza.

In quest’ottica la Suprema Corte si occupa della questione concernente la compatibilità tra il diritto comunitario e l’art. 1227, comma 1, c.c. Sul punto, la Corte, nel richiamare la normativa comunitaria in materia, preliminarmente fa riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia 30 giugno 2005, che ha affermato due principi. Secondo il primo, il diritto comunitario, in tema di assicurazione, sarebbe “privato del suo effetto utile” in presenza d’una normativa nazionale che negasse al passeggero il diritto al risarcimento – ovvero lo limitasse in misura sproporzionata – “in base a criteri generali ed astratti”. Per il secondo, il diritto comunitario consente, invece, agli Stati membri di limitare il risarcimento dovuto al trasportato “in base ad una valutazione caso per caso” di circostanze eccezionali. Pertanto, mentre contrasterebbe con l’art. 13 Direttiva 2009/103 una norma di diritto interno che escludesse o limitasse ipso facto il diritto al risarcimento del passeggero, per il solo fatto di avere preso posto a bordo d’un veicolo condotto da persona ubriaca, non viola per contro il diritto comunitario una norma di diritto nazionale che, senza fissare decadenze o esclusioni in linea generale, consente al giudice di valutare caso per caso, secondo le regole della responsabilità civile, se la condotta della vittima possa o meno ritenersi colposamente concorrente alla produzione del danno.

Alla luce di quanto sopra premesso, la Corte enuncia dei principi fondamentali di diritto.

In primo luogo, afferma che l’art. 1227, comma 1, c.c., interpretato in senso coerente con la Direttiva 2009/103, non consente di ritenere, in via generale e astratta, che sia sempre e necessariamente in colpa la persona la quale, dopo aver accettato di essere trasportata a bordo d’un veicolo a motore condotto da persona in stato di ebbrezza, rimanga coinvolta in un sinistro stradale ascrivibile a responsabilità del conducente; una simile interpretazione infatti contrasterebbe con l’art. 13, par. 3, della Direttiva 2009/103, nella parte in cui vieta agli Stati membri di considerare “senza effetto”, rispetto all’azione risarcitoria spettante al trasportato, qualsiasi disposizione di legge […] che escluda un passeggero dalla copertura assicurativa in base alla circostanza che sapeva o avrebbe dovuto sapere che il conducente del veicolo era sotto gli effetti dell’alcol.

Spetterà, quindi, al giudice di merito valutare in concreto, secondo tutte le circostanze del caso, se ed in che misura la condotta della vittima possa dirsi concausa del sinistro, fermo restando il divieto di valutazioni che escludano interamente il diritto al risarcimento spettante al trasportato nei confronti dell’assicuratore del vettore. Da ultimo l’accertamento dell’esistenza e del grado della colpa della persona che, accettando di farsi trasportare da un conducente in stato di ebbrezza, patisca danno in conseguenza d’un sinistro stradale, è apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se rispettoso dei parametri dettati dal primo comma dell’art. 1227 c.c.

 

(*Contributo in tema di “Conducente in stato di ebbrezza e risarcimento del terzo passeggero”, a cura di Valentina Musorrofiti e Marilena Sanfilippo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

amministratore di condominio

Amministratore di condominio: chi è e cosa fa Amministratore di condominio: chi è, cosa fa, quali requisiti deve avere per gestire un condominio, nomina, revoca e compenso

Amministratore di condominio: chi è

L’amministratore di condominio è una figura fondamentale per la gestione ordinaria e straordinaria degli edifici condominiali. La normativa italiana disciplina il suo ruolo, i requisiti, le modalità di nomina e di revoca e i compiti che deve svolgere per garantire il buon funzionamento del condominio. In questo articolo approfondiamo tutto quello che c’è da sapere sull’amministratore di condominio secondo il Codice Civile e la giurisprudenza.

Chi può fare l’amministratore di condominio?

L’articolo 71-bis delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile stabilisce i requisiti per diventare amministratore di condominio. Nello specifico, può ricoprire questo ruolo chi:

  • ha il pieno godimento dei diritti civili;
  • non ha subito condanne penali per reati contro il patrimonio o per altri reati gravi;
  • non è stato sottoposto a misure di prevenzione;
  • è in possesso del diploma di scuola secondaria superiore;
  • ha frequentato un corso di formazione iniziale e svolge periodicamente corsi di aggiornamento.

Di tali requisiti devono essere in possesso anche agli amministratori interni al condominio, salvo il requisito del diploma e del corso di formazione.

Obblighi di formazione e aggiornamento

L’amministratore deve quindi frequentare corsi di formazione iniziale e aggiornamenti periodici per mantenere i requisiti di legge. Questa misura garantisce che la figura professionale sia sempre in linea con le normative e le buone prassi.

Quali sono i compiti dell’amministratore di condominio

L’amministratore di condominio svolge funzioni di gestione e rappresentanza, con compiti definiti dall’articolo 1130 del Codice Civile, tra i quali troviamo:

  • l’esecuzione delle delibere assembleari: assicura l’attuazione delle decisioni prese dall’assemblea condominiale;
  • la gestione delle parti comuni: cura la manutenzione ordinaria e straordinaria degli spazi condivisi come scale, cortili e impianti;
  • la riscossione delle quote condominiali: provvede a richiedere i contributi dai condomini e a gestire il fondo comune;
  • la tenuta dei registri condominiali: conserva il registro dei verbali delle assemblee, quello dell’anagrafe condominiale e gli altri documenti previsti dalla legge;
  • la rappresentanza legale del condominio: rappresenta il condominio nei rapporti con terzi e nelle eventuali controversie legali.

Come viene nominato l’amministratore di condominio

La nomina dell’amministratore è disciplinata dall’articolo 1129 del Codice Civile. Essa è obbligatoria nei condomini con più di otto condomini. La nomina viene deliberata dall’assemblea condominiale, con la maggioranza qualificata prevista dall’articolo 1136 comma 2, ossia con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.

La delibera deve indicare i termini del mandato, la durata (di norma annuale) e il compenso concordato.

Quando e come può essere revocato l’amministratore

La revoca può essere volontaria o giudiziale.

  • Revoca volontaria: l’assemblea può deliberare la revoca con le stesse modalità della nomina, anche prima della scadenza naturale del mandato.
  • Revoca giudiziale: prevista dall’articolo 1129, può essere richiesta da un singolo condomino al tribunale in caso di gravi irregolarità, come la mancata convocazione dell’assemblea annuale o la mancata rendicontazione delle spese.

Tra le gravi irregolarità che possono condurre alla revoca del mandato identificate dalla giurisprudenza vi sono:

  • l’utilizzo improprio dei fondi condominiali;
  • la mancata trasparenza nella gestione economica;
  • l’omissione di interventi urgenti per la manutenzione.

Quanto guadagna un amministratore di condominio

Il compenso dell’amministratore non è regolamentato dalla legge, ma deve essere concordato al momento della nomina e riportato nella delibera assembleare. Esso può variare in base alla complessità del condominio, al numero di unità abitative e ai servizi richiesti.

 

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