giurista risponde

Principio di rotazione affidamenti Come va inteso il principio di rotazione nel caso in cui gli affidamenti in successione concernano prestazioni solo parzialmente assimilabili?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il principio di rotazione non si applica nel caso di diversità tra le prestazioni oggetto degli affidamenti in successione, cioè a dire di “sostanziale alterità qualitativa” delle prestazioni oggetto delle due commesse. – Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2022, n. 7794.

Il Consiglio di Stato, richiamando la consolidata giurisprudenza sul punto, ricorda che il principio di rotazione e il conseguente divieto, nelle procedure sottosoglia, di invitare il precedente affidatario nell’affidamento delle nuove commesse, trae fondamento nell’esigenza di evitare rendite di posizione in capo al gestore uscente, la cui posizione di vantaggio deriva dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento.

Esso è volto a garantire il corretto esplicarsi del principio di concorrenza, garantendo la turnazione di diversi operatori nella realizzazione del “medesimo servizio”.

Il principio di rotazione non si applica, tuttavia, nel caso di diversità tra le prestazioni oggetto degli affidamenti in successione, cioè a dire di “sostanziale alterità qualitativa” delle prestazioni oggetto delle due commesse.

Dunque, nel caso in cui gli affidamenti in successione siano solo parzialmente assimilabili, ma contenutisticamente distinti, posto che il nuovo affidamento ha ad oggetto prestazioni nuove e diverse, afferenti ad una diversa categoria merceologiche, il suddetto principio non trova applicazione, non sussistendo il presupposto della continuità tra le prestazioni contrattuali.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2022, n. 1421; Id., 15 dicembre 2020, n. 8030;
Cons. Stato, sez. III, 25 aprile 2020, n. 2654)
giurista risponde

Sindacabilità provvedimento art. 80 co. 5 Codice contratti pubblici In che limiti è sindacabile dal giudice il provvedimento di esclusione ex art. 80, comma 5, in relazione alla ritenuta sussistenza di una condotta integrante un grave illecito professionale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Spetta alla stazione appaltante, nell’esercizio della sua discrezionalità, apprezzare autonomamente le pregresse vicende professionali dell’operatore economico, con la conseguenza che un provvedimento di esclusione adeguatamente motivato e che consenta di ricostruire agevolmente l’iter logico-giuridico seguito dall’amministrazione non risulta sindacabile. – Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 2022, n. 7823.

Nelle gare pubbliche il giudizio su gravi illeciti professionali è espressione di ampia discrezionalità da parte dell’Amministrazione, cui il Legislatore ha voluto riconoscere un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell’affidabilità dell’appaltatore.

L’art. 80, comma 5, lett. c), D.Lgs. 50/2016 non contempla alcun “automatismo” tra la pendenza di un procedimento penale per una ipotesi di reato astrattamente assimilabile ad un “grave illecito professionale” e la sanzione dell’esclusione della gara, ponendo, al contrario, in capo alla Stazione appaltante l’onere di verificare, in concreto, se le condotte rilevate in sede penale siano effettivamente idonee a rendere dubbia l’integrità e/o l’affidabilità dell’operatore economico.

Spetta alla stazione appaltante, nell’esercizio di tale ampia discrezionalità, apprezzare autonomamente le pregresse vicende professionali dell’operatore economico, persino se non abbiano dato luogo ad un provvedimento di condanna in sede penale, perché essa sola può fissare il punto di rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente.

Nel caso esaminato, la stazione appaltante aveva escluso un operatore economico sulla base di una richiesta di rinvio a giudizio per il reato di cui all’art. 353 c.p.p., ritenuta idonea a minare l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza, in simili circostanze, un provvedimento che reca una motivazione particolarmente ampia, enunciando le ragioni di fatto e individuando le disposizioni a giustificazione del contenuto, consentendo agevolmente la ricostruzione dell’iter logico-giuridico seguito dall’Amministrazione, non risulta sindacabile.

E infatti il sindacato che il giudice amministrativo è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della “non pretestuosità” della valutazione degli elementi di fatto compiuta; in particolare, la non manifesta abnormità, contraddittorietà o contrarietà a norme imperative di legge nella valutazione degli elementi di fatto. Il sindacato, inoltre, non può pervenire ad evidenziare una mera non condivisibilità della valutazione stessa.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2021, n. 7223
giurista risponde

Omissione pronuncia istanza rinvio CGUE La condotta del giudice che ometta di pronunciarsi sull’istanza di rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea, formulata da una delle parti in causa ex art. 267 T.F.U.E., è qualificabile come omissione di pronuncia dovuta ad errore di fatto con conseguente ammissibilità della revocazione della sentenza?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha sottoposto la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, sez. V, ord. 3 ottobre 2022, n. 8436.

La Sezione si interroga sull’omesso rinvio pregiudiziale in conseguenza del travisamento della questione di conformità del diritto interno al diritto unionale e se tale errore nel quale sia incorso il giudice possa essere qualificato come errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., cui rinvia l’art. 106, comma 1, cod. proc. amm., o se, invece, sia un errore di diritto, che esclude, come è noto, l’ammissibilità del rimedio revocatorio

Si afferma, in particolare che: “L’errore di fatto, cui consegua omessa pronuncia su domanda, motivo di ricorso o eccezione, è ragione di revocazione della sentenza del Consiglio di Stato per errore di fatto ai sensi dell’art. 395, comma 1, Cod. proc. civ., cui rinvia l’art. 106 Cod. proc. amm., alle condizioni fissate dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 22 gennaio 1997, n. 3, cui la giurisprudenza successiva si è costantemente uniformata. In particolare occorre che l’errore di fatto – quand’anche esiti nell’omissione di pronuncia – abbia le note caratteristiche dell’errore di fatto c.d. revocatorio ovvero: a) consistere nell’erronea percezione del contenuto materiale degli atti del processo (ovvero in una svista, in un errore di lettura, nell’ “abbaglio dei sensi”) per il quale il giudice abbia fondato il suo convincimento su di un falso presupposto di fatto; b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere decisivo, vale a dire trovarsi in un rapporto di stretta consequenzialità con la pronuncia adottata dal giudice (ovvero, più chiaramente, più opportunamente, la soluzione con la quale il giudice ha chiuso la controversia), di modo che si possa dire che se l’errore non sia fosse verificato l’esito sarebbe stato diverso”.

Tuttavia, il fraintendimento della questione di compatibilità euro-unitaria viene ritenuto tradizionalmente dalla giurisprudenza un errore di diritto.

In particolare, nel caso in cui l’errore riguardi l’individuazione (prima) e l’interpretazione (poi) della questione giuridica da risolvere, si è in presenza di un fraintendimento che non è dei sensi ma del giudizio e per tradizione tale errore si qualificherebbe come errore di diritto.

Dando atto, tuttavia, della sussistenza di recenti orientamenti contrastanti sul punto, la V Sezione del Consiglio di Stato ha sottoposto all’Adunanza plenaria le seguenti questioni:

a) se e a quali condizioni la condotta del giudice che ometta di pronunciarsi sull’istanza di rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea formulata da una delle parti in causa ex 267 T.F.U.E. sia qualificabile come omissione di pronuncia dovuta ad errore di fatto con conseguente ammissibilità della revocazione della sentenza pronunciata ai sensi degli artt. 106 cod. proc. amm. e 395, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.;

b) in particolare, se configuri l’omissione di pronuncia di cui sopra il caso in cui il giudice non si sia pronunciato sull’istanza di rinvio in conseguenza di un fraintendimento in cui è incorso in merito alla questione di possibile incompatibilità delle disposizioni interne da applicare per risolvere la controversia con il diritto dell’Unione europea prospettata dalla parte nei motivi di appello.

giurista risponde

Riparto giurisdizione controversie finanziamenti pubblici Come opera il riparto di giurisdizione sulle controversie riguardanti la concessione o la revoca di finanziamenti pubblici?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare gli effettivi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale. Qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. – C.G.A.R.S., 4 ottobre 2022, n. 1000.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia ha ribadito i confini tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa sulle controversie in riguardanti la concessione o la revoca di finanziamenti pubblici.

Si evidenzia, in particolare, che la controversia promossa per ottenere l’annullamento del provvedimento di revoca di un finanziamento pubblico, concerne una posizione di diritto soggettivo – devoluta quindi alla giurisdizione di un giudice ordinario –, tutte le volte in cui l’Amministrazione abbia inteso far valere la decadenza del beneficiario dal contributo in ragione della mancata osservanza, da parte sua, di obblighi al cui adempimento la legge o il provvedimento condizionano l’erogazione, mentre riguarda una posizione di interesse legittimo – con conseguente devoluzione al giudice amministrativo – allorché la mancata erogazione del finanziamento, pur oggetto di specifico provvedimento di attribuzione, sia dipesa dall’esercizio di poteri di autotutela dell’amministrazione, la quale abbia inteso annullare il provvedimento stesso per i vizi originari di legittimità o revocarlo per contrasto originario con l’interesse pubblico.

Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che: sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione.

Qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo, sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo.

In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione. Viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. Sez. Un. 30 luglio 2020, n. 16457;
Cons. Stato, sez. III, 12 aprile 2022, n. 2733
giurista risponde

Termine triennale art. 80 comma 10bis codice contratti pubblici Il termine triennale ex art. 80, comma 10bis del D.Lgs. 50/2016 decorre dall’accertamento del fatto o dal momento della sua realizzazione?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il termine triennale, ex art. 80, comma 10bis del codice dei contratti pubblici, volto ad escludere la rilevanza dei fatti determinanti l’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione, decorre non dalla commissione materiale del fatto in sé, bensì dall’accertamento del fatto. – Cons. Stato, sez. IV, 7 ottobre 2022, n. 8611.

Il Consiglio di Stato conferma l’adesione all’orientamento in forza del quale: “In assenza di un accertamento definitivo, contenuto in una sentenza o in un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile, per individuare il dies a quo del termine triennale capace di elidere la rilevanza dei fatti determinanti l’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione, deve aversi riguardo alla data dell’accertamento del fatto, idoneo a conferire a quest’ultimo una qualificazione giuridica rilevante per le norme in materia di esclusione dalle gare d’appalto e non, dunque, la mera commissione del fatto in sé.

Si evidenzia, inoltre, che: “Prima dell’accertamento definitivo, la condotta oggetto di procedimento penale, ai fini della valutazione ex art. 80, comma 5, lett. c), del codice degli appalti, può rilevare nella sua dimensione fattuale ed extra-penale entro il previsto limite temporale triennale e può continuare a rilevare, anche oltre tale limite, se e in quanto abbia formato oggetto di contestazione in giudizio, ossia allorquando la correlativa azione penale abbia varcato la soglia processuale di instaurazione del giudizio dibattimentale o di una sua forma alternativa per l’emissione di una pronuncia di condanna o di una pronuncia ad essa equiparabile (cfr. art. 80, comma 1), suscettibile, come tale, di accertare fatti integranti gravi illeciti professionali”. Ne deriva pertanto che la condotta oggetto di un procedimento penale e suscettibile di integrare un grave illecito professionale può rilevare anche oltre il suddetto limite temporale di durata triennale se e in quanto abbia formato oggetto di contestazione, nei termini sopra indicati.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. IV, 31 dicembre 2012, n. 8563;
Corte Giust. UE, Sez. IV, 24 ottobre 2018, in causa C- 124/17
giurista risponde

Impugnabilità bando di gara e clausole L’ambito di immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

L’ambito di immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti, ma ricomprende anche altre evenienze particolari, tra le quali quella in cui la lex specialis del caso concreto non sia tale da consentire la formulazione di una seria e ponderata offerta ovvero qualora si sia in presenza di disposizioni abnormi o illogiche che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica del partecipante alla gara. – Cons. Stato, sez. V, 26 ottobre 2022, n. 9138.

Ha chiarito il Consiglio di Stato che solo le cd. “clausole immediatamente escludenti” legittimano l’impugnazione anche dell’operatore economico che non abbia partecipato alla selezione, ricordando che, secondo la giurisprudenza, la categoria ricomprende: “a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura; b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così l’Ad. plen. 3/2001); c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980); d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 novembre 2011, n. 6135; sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293); e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222); f) bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come, ad esempio, quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” pt.); g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421)”.

Ne deriva che le rimanenti clausole, in quanto non immediatamente lesive, devono essere impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva (Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5282), postulando perciò la preventiva partecipazione alla gara.

Si precisa tuttavia, che: “L’ambito di immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti, ma ricomprende anche altre evenienze particolari, tra le quali quella in cui la lex specialis del caso concreto non sia tale da consentire la formulazione di una seria e ponderata offerta ovvero qualora si sia in presenza di disposizioni abnormi o illogiche che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica del partecipante alla gara. L’onere di immediata impugnativa delle prescrizioni di gara in evenienze della specie appare per altro verso un rimedio quanto mai efficace per evitare che un operatore economico partecipi alla gara in via “esplorativa”, se non addirittura opportunistica, ossia con la riserva mentale di impugnarne gli esiti, laddove sfavorevoli, denunciando proprio la vaghezza delle regole circa gli elementi strutturali ed i contenuti dell’offerta”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671;
Cons. Stato, Ad. plen. 11 giugno 2001, n. 3
giurista risponde

Controversie mobilità personale scolastico Le controversie concernenti le procedure di mobilità del personale scolastico si configurano come atti di macro-organizzazione rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Le controversie concernenti procedure di mobilità del personale scolastico rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario non configurandosi quali atti di macro-organizzazione, cioè atti di portata generale con i quali l’amministrazione organizza i propri uffici (come ad es. gli atti che fissano le piante organiche), ma piuttosto come meri atti privatistici di gestione del rapporto di lavoro. – Cons. Stato, sez. VII, 27 ottobre 2022, n. 9201. 

Il Consiglio di Stato ha ribadito l’insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie concernenti le procedure di mobilità del personale scolastico, non trattandosi di atti di macro-organizzazione.

Richiamando al riguardo quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, si ribadisce che: “In materia di procedura di trasferimento e mobilità del personale docente, la controversia avente ad oggetto la domanda di annullamento dell’ordinanza del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca dell’8 aprile 2016, n. 241, adottata ex art. 462, comma 6, D.Lgs. 297/1994, nella parte in cui non consente la valutazione del servizio pre-ruolo presso le scuole paritarie, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto l’ordinanza in questione, lungi dal dettare le linee fondamentali di organizzazione degli uffici o dal determinare le dotazioni organiche complessive, si limita alla previsione di norme di dettaglio circa i termini e le modalità di presentazione delle domande relative alle procedure di mobilità – che non possono essere ascritte alla categoria delle procedure concorsuali per l’assunzione, né equiparate all’ipotesi di passaggio da un’area funzionale ad altra – come definite dalla contrattazione collettiva integrativa nazionale, sicché il petitum sostanziale dedotto involge un atto di gestione della graduatoria, incidente in via diretta sulla posizione soggettiva dell’interessato e sul suo diritto al collocamento nella giusta posizione nell’ambito della graduatoria medesima. La mobilità quindi è vicenda che è relativa a rapporto già costituito anche quando esterna”.

Si richiama, altresì, quanto già affermato dal Consiglio che ha aderito a tale orientamento della Corte di Cassazione concludendo che: “In forza degli artt. 5 e 386 c.p.c., la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche, e soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione). In tema di lavoro pubblico “contrattualizzato” non sono configurabili situazioni di interesse legittimo con specifico riguardo ad ipotesi di procedura di mobilità del personale docente qualificando come diritto soggettivo l’interesse pregiudicato da decisioni assunte in esito a procedimenti riconducibili all’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, senza che rilevi che la pretesa giudiziale sia stata prospettata come richiesta di annullamento per il vizio prodotto dalla illegittimità di un atto amministrativo presupposti.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2020, n. 1625;
Cass., Sez. Un., 26 giugno 2019, n. 17123;
Id., 23 settembre 2013, n. 21677; Id., 27 dicembre 2011, n. 28800
giurista risponde

Permesso di costruire e ricorso del terzo In tema di edilizia e urbanistica, da quando decorre il termine per la proposizione del ricorso, da parte del terzo a ciò legittimato, avverso il permesso di costruire?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il termine per la proposizione del ricorso, da parte del terzo a ciò legittimato, avverso il permesso di costruire decorre dall’ultimazione dei lavori oppure dal momento in cui l’opera realizzata appaia in modo inequivoco difforme dalla disciplina urbanistico-edilizia vigente. L’onere di provare la tardività dell’impugnazione grava su colui che la deduce. – Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 2022, n. 9500.

Muovendo dal consolidato orientamento giurisprudenziale in forza del quale: “Ai fini della tempestività dell’impugnazione del titolo edilizio da parte del terzo a ciò legittimato, la piena conoscenza dalla quale decorre il termine decadenziale per la proposizione dell’impugnazione medesima va riferita al momento dell’ultimazione dei lavori, ovvero al momento nel quale la costruzione realizzata riveli in modo inequivoco le caratteristiche essenziali dell’opera agli effetti della sua eventuale difformità rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente, fermo restando che la prova della tardività dell’impugnazione deve essere fornita rigorosamente e incombe, secondo le regole generali, alla parte che la deduce”, il Consiglio di Stato ha risolto una controversia concernente la tempestività dell’impugnazione proposta avverso l’autorizzazione edilizia rilasciata per la installazione di un ripetitore per telefoni cellulari.

I Giudici chiariscono che non è possibile far risalire la decorrenza del termine per la notifica del ricorso dalla data di presentazione dell’istanza di accesso posto che, a tale data, nonostante l’affissione del cartello di inizio lavori, la lesività dell’intervento non risultava immediatamente percepibile, in quanto, da un lato, le opere non erano state ancora ultimate, dall’altro, il cartello di inizio lavori risultava illeggibile.

L’interesse a ricorrere si può, dunque, ritenere attualizzato solo al momento della percezione della lesività degli effetti degli atti impugnati, verificatosi, nel caso di specie, solo quando gli interessati hanno potuto visionare, mediante estrazione di copie, i documenti richiesti con l’istanza di accesso.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2021, n. 4502;
Cons. Stato, sez. II, 5 ottobre 2020, n. 5864; Id., 21 agosto 2020, n. 5170;
TAR Campania, Napoli, sez. VI, 27 ottobre 2020, n. 4873;
TAR Campania, sez. VII, 15 settembre 2016, n. 4321;
Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 2012, n. 6557; Id., 7 novembre 2012, n. 5657
giurista risponde

Giudizio di ottemperanza e mutamento normativo Il mutamento normativo consente di riproporre il giudizio di ottemperanza in origine dichiarato inammissibile?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, sez. IV, ord. 23 novembre 2022, n. 10342.

La vicenda esaminata attiene alla possibilità di riproporre l’azione di ottemperanza, in passato dichiarata inammissibile dalla Corte di cassazione per difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, stante la ritenuta natura meramente amministrativa del decreto decisorio del ricorso straordinario, insuscettibile, come tale, di essere eseguito con il rimedio giurisdizionale dell’ottemperanza.

Come è noto, infatti, nel 2009 è intervenuta la L. n. 69, che ha profondamente inciso sull’istituto del ricorso straordinario, elevato a rimedio sostanzialmente giurisdizionale, con evidenti riflessi sulla ammissibilità di un nuovo ricorso per l’ottemperanza.

Invero, in senso contrario si osserva che la rimodulazione legislativa del ricorso straordinario del 2009 non ha riguardato espressamente la sua efficacia retroattiva, successivamente esclusa dalla giurisprudenza.

Come affermato dai Giudici, si pone, pertanto, la necessità di valutare, in chiave processuale, se un giudicato in rito ostativo alla proposizione di un’azione possa sopravvivere al quadro normativo applicato (in altra prospettiva, se possa avere efficacia ultra-attiva insensibile alle successive modifiche legislative) ovvero se sia condizionato temporalmente alla vigenza di questo, specialmente allorché tale giudicato frustri ed inibisca definitivamente ed irrimediabilmente le istanze di giustizia avanzate dagli interessati.

In chiave sostanziale, inoltre, ci si chiede se la sopravvenuta modifica legislativa di uno strumento di tutela con effetti ampliativi delle facoltà defensionali dei privati (ossia, più in particolare, la rimodulazione della relativa disciplina in maniera così profonda da determinarne, secondo consolidata giurisprudenza, l’evoluzione della stessa natura giuridica, connotata ora da carattere sostanzialmente giurisdizionale) si rifletta e ridondi – in senso parimenti ampliativo – a beneficio delle istanze degli interessati già azionate in epoca antecedente alla novella legislativa e allora dichiarate inammissibili, consentendone hic et nunc la riproposizione, tenendo oltretutto presente che il maggioritario indirizzo pretorio ammette il rimedio dell’ottemperanza, ex art. 112 c.p.a., anche per le decisioni rese su ricorso straordinario nell’assetto normativo tradizionale, ossia quello antecedente alla novella del 2009.

Si afferma quindi che il rimedio giurisdizionale dell’ottemperanza era stato ritenuto inammissibile a motivo della natura amministrativa del decreto decisorio di ricorso straordinario, natura, tuttavia, non più predicabile in base alla vigente legislazione: il fatto che la precedente azione di ottemperanza non sia stata respinta nel merito, ma dichiarata inammissibile per ragioni processuali, potrebbe legittimare, in un’ottica esegetico-applicativa particolarmente attenta al valore ordinamentale dell’effettività della tutela giurisdizionale e della pienezza del diritto di difesa, l’attuale presentazione di una nuova istanza di ottemperanza, non ostandovi più la pronuncia di inammissibilità della Corte di cassazione, a suo tempo emessa sulla scorta di un paradigma normativo poi radicalmente travolto, sia pure con valenza ex nunc, dalle modifiche legislative medio tempore intervenute.

Quanto alla possibile violazione del ne bis in idem, si afferma, altresì, che la violazione di tale principio potrebbe tout court non venire in considerazione nella specie, qualora si valorizzasse fortemente la circostanza che l’attuale azione di esecuzione si muove entro una cornice normativa e giurisprudenziale del tutto diversa da quella vigente al momento del radicamento del precedente ricorso, sì che potrebbe assumersi – nell’intento di preservare le istanze di tutela sostanziale del privato – che non si tratti, a stretto rigore, della medesima azione.

Sulla base di tali premesse, la IV sezione del Consiglio di Stato ha rimesso la soluzione della questione all’Adunanza Plenaria, chiedendo in particolare se, dopo che la Corte di cassazione abbia dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione un ricorso per ottemperanza di un decreto decisorio di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la parte interessata possa radicare un nuovo giudizio di ottemperanza, adducendo a fondamento dell’ammissibilità dell’ulteriore azione tanto la sopravvenuta e incisiva modificazione legislativa dei caratteri del ricorso straordinario, quanto il consolidato orientamento pretorio che ammette l’ottemperanza di decreti decisori di ricorsi straordinari anche ove emessi prima della novella del 2009.

estinzione del reato

Estinzione del reato: riparazione entro il dibattimento La Consulta ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 274/2000

Estinzione del reato e riparazione del danno

Ai fini dell’estinzione del reato, l’imputato può procedere alla riparazione del danno entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento. Lo ha dichiarato la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 45-2024, dichiarando l’illegittimità dell’art. 35, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’estinzione del reato, le condotte riparatorie
debbano essere realizzate «prima dell’udienza di comparizione», anziché «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento».

La qlc

Il giudice di pace di Forlì, nel sollevare la questione, aveva censurato lo sbarramento temporale che imponeva, prima dell’udienza di comparizione, l’adempimento delle condotte risarcitorie e riparatorie del danno conseguente al reato, da lui commesso, deducendo che il predetto limite temporale fosse in sé irragionevole e tale da determinare una disparità di trattamento rispetto agli imputati dei reati di competenza del Tribunale, per i quali la riparazione integrale del danno è ammessa fino alla dichiarazione
di apertura del dibattimento (art. 162-ter c.p.).

Incoerenza del termine innanzi al giudice di pace

La Consulta ha ritenuto fondata la censura sotto il profilo della dedotta violazione del principio di ragionevolezza, osservando, in particolare, l’incoerenza del termine finale previsto dalla disposizione censurata rispetto al peculiare ruolo di “mediatore” del giudice di pace, il quale giudica reati di ridotta gravità, espressivi di conflitti interpersonali a carattere privato e alla finalità di semplificazione, snellezza e rapidità che connota il procedimento che innanzi a lui si svolge.
In particolare, ha sottolineato la Corte, “la funzione conciliatoria del giudice di pace (sancita come principio generale dall’art. 2 del d. lgs n. 274 del 2000), il cui luogo di fisiologica esplicazione è proprio l’udienza di comparizione, risultava impedita dal termine perentorio che, previsto prima di tale udienza, frustrava la stessa funzione del giudice non consentendogli di avviare l’imputato e la persona offesa ad un accordo sulla entità e sulle modalità degli adempimenti riparatori e risarcitori”.
La Corte ha evidenziato altresì che la rigida preclusione temporale determinava ricadute negative sul carico giudiziario, riducendo i casi di definizione anticipata del processo attraverso la dichiarazione di estinzione del reato, per l’esito positivo delle condotte riparatorie.
Invece, ha concluso il giudice delle leggi, “la fissazione del termine ad quem nella dichiarazione di apertura del dibattimento è coerente con la finalità deflattiva del carico giudiziario e, al tempo stesso, consente un evidente risparmio di attività istruttorie e di spese processuali, non dandosi corso – nel caso in cui risulti integrata la fattispecie estintiva del reato conseguente a condotte riparatorie – alla fase dibattimentale”.

Allegati