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Applicazione automatica pene accessorie e reati tentati e non consumati L’applicazione automatica delle pene accessorie previste dall’art. 609nonies c.p. può essere estesa anche alle fattispecie di reato tentate e non consumate?

Quesito con risposta a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin

 

In assenza di specifica previsione normativa, considerata la pervasività delle pene accessorie e la diversificata gamma di reati sessuali, non è possibile estendere l’applicazione automatica delle pene accessorie previste dall’art. 609nonies c.p. alle fattispecie tentate. La questione è, comunque, oggetto di contrasto giurisprudenziale. – Cass., sez. III, 5 marzo 2024, n. 9312.

A seguito di una condanna inflitta in primo grado con rito alternativo per i reati di maltrattamenti e tentata violenza sessuale aggravata ai danni della moglie, il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso in Cassazione denunciando l’asserita violazione di legge per la mancata applicazione automatica all’imputato delle pene accessorie previste dall’art. 609nonies c.p., sostenendo la compatibilità di tale disposizione anche con le fattispecie tentate (e non solo consumate).

La Suprema Corte non ha condiviso la doglianza ed ha, pertanto, ritenuto infondato il ricorso.

Preliminarmente la Corte rileva che l’art. 609nonies c.p. si riferisce ai “delitti” da intendersi come consumati e non tentati; evidenzia, inoltre, che il delitto tentato costituisce una figura autonoma rispetto alla fattispecie consumata, distinguendosi da questa perché caratterizzata da un minor grado di offensività, pur essendo perfetta in tutti i suoi elementi costitutivi (fatto tipico, antigiuridicità e colpevolezza). L’autonomia dogmatica del tentativo, pertanto, comporta che gli effetti giuridici previsti dalla norma penale per la consumazione del reato non possono estendersi automaticamente anche alla sua figura, a fortiori se manca una disposizione di legge che lo preveda.

E’ proprio da questo vulnus normativo che è sorta una divergenza di opinioni tra dottrina e giurisprudenza. La prima ritiene, pressoché in modo stabile da oltre quarant’anni, che il problema debba essere affrontato in base al singolo caso concreto, escludendo a monte la possibilità di una soluzione univoca e generalizzata. La giurisprudenza, invece, anche al di fuori delle ipotesi relative ai reati sessuali, ha pressoché risolto positivamente la questione rinvenendo, nella punibilità del tentativo, la medesima ratio repressiva dell’applicazione della pena nei delitti consumati.

Il tema è tuttora dibattuto e non risolto ed è, peraltro, oggetto di contrasto non solo tra dottrina e giurisprudenza, ma anche tra le Sezioni della Corte di Legittimità.

Nel caso di specie, la Corte, nella propria motivazione, ha richiamato e condiviso le argomentazioni della sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite Suraci (Cass., Sez. Un., 3 luglio 2019, n. 28910) in cui è stata evidenziata la distinzione tra le pene principali e quelle accessorie: mentre le prime hanno una funzione retributiva, di prevenzione generale e speciale, oltre che rieducativa, quelle accessorie, specialmente quelle interdittive e inabilitative, hanno una funzione prettamente specialpreventiva, oltre che di rieducazione personale, perché mirano a realizzare il forzoso allontanamento del reo dal contesto professionale, operativo e/o sociale nel quale sono maturati i fatti criminosi, per impedirgli di reiterare in futuro la sua condotta criminosa. Proprio in virtù dello specifico finalismo preventivo, è necessario modulare l’applicazione delle pene accessorie al disvalore del fatto e alla personalità del reo così che, in relazione allo specifico caso concreto, non necessariamente la durata della pena accessoria deve riprodurre quella della pena principale, così come prevede l’art. 37 c.p. Il Supremo Consesso, sulla base di queste considerazioni, ha espresso il seguente principio di diritto: “Le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p.”.

Aderendo a tali considerazioni, la Corte ritiene che, in mancanza di una disposizione espressa, e in ragione della forte invasività che caratterizza le pene accessorie previste dall’art. 609nonies c.p., non è possibile la loro automatica applicazione anche alle ipotesi solo tentate.

Così decidendo, pertanto, la Sezione Terza della Cassazione si è posta in continuità con uno dei suoi precedenti giurisprudenziali nel quale ha affermato che le misure di sicurezza personali previste, dall’art. 609nonies, comma 3, c.p., in caso di determinati reati consumati aggravati, sono applicabili solo nel caso di condanna a fattispecie consumate ivi previste, e non alle ipotesi tentate. Tale interpretazione si impone non solo in virtù della littera legis della disposizione, ma anche al fine di evitare il paradosso che la tentata violenza sessuale aggravata venga punita più gravemente rispetto ad una violenza sessuale consumata ma non aggravata. – Cass., sez. III, 24 maggio 2017, n. 25799.

*Contributo in tema di “Applicazione automatica delle pene accessorie”, a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

dipendente assegnazione vicino figli

Statali con figli piccoli: assegnati vicino alla famiglia La Consulta ha stabilito che il dipendente pubblico con figli fino a 3 anni di età può chiedere l'assegnazione temporanea nel luogo dove è fissata la residenza familiare

Figli piccoli e assegnazione temporanea

“Il dipendente pubblico con figli fino a tre anni di età, può chiedere di essere temporaneamente assegnato ad una sede di servizio della provincia o regione in cui è fissata la residenza familiare”. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 99-2024, depositata oggi, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 42˗bis, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto «ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa», anziché «ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l’altro genitore eserciti la propria attività lavorativa».

Trasferimento temporaneo: la ratio

La Corte ha innanzitutto chiarito che “il trasferimento temporaneo dei dipendenti pubblici che siano genitori di figli minori di tre anni, proponendosi di favorire la ricomposizione dei nuclei familiari nei primissimi anni di vita dei figli nel caso in cui i genitori si trovino a vivere separati per esigenze lavorative, è chiaramente preordinato alla realizzazione dell’obiettivo costituzionale di sostegno e promozione della famiglia, dell’infanzia e della parità dei genitori nell’accudire i figli”.

Proprio alla luce di una simile ratio dell’istituto, “non risulta ragionevole – e quindi in contrasto con l’art. 3 Cost. – consentire il trasferimento temporaneo solo nella provincia o regione in cui lavora l’altro genitore: una simile limitazione non assicura, infatti, una tutela adeguata in favore di quei nuclei familiari in cui entrambi i genitori lavorano in regioni diverse da quelle in cui è stata fissata la residenza familiare” ha sentenziato il giudice delle leggi.

Smart working e velocità dei trasporti

D’altronde, ha concluso la Consulta, “si tratta di un’ipotesi che nella realtà è divenuta sempre meno rara, anche alla luce delle trasformazioni che hanno investito sia le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative (attraverso le nuove tecnologie), sia i sistemi di trasporto”.

In relazione a tali casi, appare pienamente rispondente alla finalità dell’istituto consentire almeno a uno dei genitori di lavorare, nel primo triennio di vita del figlio, in una sede che si trova nella regione o nella provincia in cui è stata fissata la residenza della famiglia e in cui è domiciliato il minore (ai sensi dell’art. 45, comma secondo, del codice civile).

Secondo la Corte costituzionale, infine, “un simile ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto dell’assegnazione temporanea, oltre a risultare coerente con la finalità di protezione della famiglia e di sostegno all’infanzia, risponde all’esigenza di preservare la più ampia autonomia dei genitori nelle scelte concernenti la definizione dell’indirizzo familiare”.

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fondo garanzia mutuo prima casa

Mutui casa: per giovani e famiglie garanzia fino al 90% Istruzioni e chiarimenti sul Fondo di garanzia per i mutui prima casa nella nuova guida realizzata dall'Abi e dalle associazioni dei consumatori per il 2024

La guida sul fondo di garanzia acquisto prima casa

Agevolazioni e corsie preferenziali per giovani e famiglie numerose che acquistano una prima casa. Grazie al fondo di garanzia per i mutui prima casa infatti questi soggetti possono arrivare ad ottenere una garanzia addirittura fino al 90% del capitale di finanziamento richiesto. Questi ed altri chiarimenti sono illustrati nella guida 2024 preparata dall’Abi (Associazione bancaria italiana) e dalle principali associazioni dei consumatori con l’obiettivo di spiegare ai cittadini il funzionamento dello strumento pubblico del Fondo di garanzia, a quali mutui si applica e chi può farne richiesta.

La guida è in formato digitale, realizzata con un linguaggio semplice e accessibile e disponibile anche sulla pagina dedicata sul sito Abi.

Fondo di garanzia per i mutui prima casa: cos’è

Il Fondo di garanzia per i mutui prima casa, si ricorda, è destinato a favorire l’accesso ai mutui per l’acquisto – o per acquisto e ristrutturazione per efficientamento energetico – della prima casa a beneficio dei cittadini che non siano proprietari di altri immobili a uso abitativo, rilasciando garanzie pari al 50% della quota capitale su mutui ipotecari erogati per un importo non superiore a 250 mila euro.

Le condizioni e le agevolazioni

In generale, per l’accesso alla garanzia del Fondo non sono previsti limiti di reddito dei mutuatari.

Specifiche agevolazioni sono tuttavia previste per categorie di clienti individuati come “prioritari” quali in particolare: giovani e giovani coppie, con mutuatario di età inferiore ai 36 anni; e nuclei familiari monogenitoriali con figli minori. Per questi soggetti fino al 31 dicembre 2024 è previsto che, se l’importo del mutuo è superiore all’80% del prezzo dell’immobile da acquistare, la garanzia del Fondo può arrivare fino all’80% della quota capitale del finanziamento. Per le famiglie numerose la garanzia può invece arrivare fino al 90%.

Come accedere al fondo

Per richiedere di usufruire della misura, occorre compilare il modulo pubblicato sul sito di Consap, che si occupa della gestione del Fondo (www.consap.it/fondo-prima-casa/) e presentarlo ad una delle banche e degli intermediari finanziari aderenti all’iniziativa, il cui elenco è disponibile sul sito del gestore del Fondo.

nuovo processo cognizione

Nuovo processo di cognizione: va rispettato il contraddittorio La Corte Costituzionale si è pronunciata sul nuovo processo ordinario di cognizione introdotto dalla riforma Cartabia

Nuovo processo di cognizione e contraddittorio

Nel nuovo processo ordinario di cognizione, la previsione secondo cui il giudice decide con decreto in ordine alle verifiche preliminari, prima dell’udienza di comparizione, va inteprretata in modo che sia rispettato il principio del contraddittorio. E’ quanto ha affermato la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 96-2024, pronunciandosi sulle questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 171-bis cod. proc. civ., introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022 (riforma Cartabia), che prevede, nell’ambito della nuova disciplina del processo ordinario di cognizione, l’emanazione di un decreto di fissazione dell’udienza da parte del giudice, prima del deposito delle memorie illustrative delle parti e della comparizione delle stesse; decreto con cui il giudice, prima dell’udienza stessa e senza sentire le parti, decide in ordine alle “verifiche preliminari”.

Non fondata la qlc

La Corte ha ritenuto, innanzi tutto, non fondata la denunciata violazione della legge di delega (art. 76 Cost.), considerando che le “verifiche preliminari” compiute dal giudice nella fase iniziale della controversia sono riconducibili alla finalità di realizzare la concentrazione processuale nell’ottica della ragionevole durata del processo.

La Consulta ha altresì escluso che vi sia una ingiustificata disciplina differenziata (art. 3 Cost.), nell’ambito delle questioni rilevabili d’ufficio con il decreto di fissazione dell’udienza, tra quelle che il giudice può decidere, già in tale decreto, e quelle che lo stesso giudice si limita a segnalare alle parti stesse affinché possano trattarle già nelle memorie di cui all’art. 171-ter cod. proc. civ.

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 24 Cost. – prospettata sotto il profilo dell’attribuzione al giudice del potere di emanare provvedimenti fuori udienza e senza alcun contraddittorio preventivo con le parti – la Corte ha ritenuto non fondata la prospettata questione a condizione che si dia un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.

L’importanza del contraddittorio

Ribadita la fondamentale importanza del contraddittorio «quale primaria e fondamentale garanzia del giusto processo» che «chiama in causa non solo la dialettica tra le parti nel corso del processo, ma riguarda anche la partecipazione attiva del giudice», il giudice delle leggi ha svolto una serie di considerazioni in chiave di interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.

Innanzitutto, il giudice, nell’esercizio del potere direttivo del processo demandato allo stesso in generale dall’art. 175 cod. proc. civ., può fissare un’udienza ad hoc qualora avverta l’esigenza di interloquire con le parti sui provvedimenti da assumere all’esito delle “verifiche preliminari”.

Parimenti, scrive la Corte, “ove il giudice ritenga di adottare direttamente il decreto, la parte che non condivide il provvedimento emesso può richiedere la fissazione di un’udienza per discuterne in contraddittorio, onde evitare una successiva regressione del procedimento. Una tale udienza, se fissata dal giudice, realizza il contraddittorio delle parti prima di quella di comparizione e trattazione della causa. In ogni caso – ha sottolineato la Corte – il decreto di cui all’art. 171-bis cod. proc. civ., senza la fissazione di un’udienza ad hoc, può essere oggetto di discussione all’udienza di comparizione alla presenza delle parti”.

All’esito di tale udienza, i provvedimenti assunti con decreto, una volta vagliate le ragioni delle parti, possono essere confermati, modificati o revocati con ordinanza del giudice.

La Corte ha ulteriormente puntualizzato che, se la parte aveva chiesto, senza esito, la fissazione di un’udienza per interloquire con il giudice sui provvedimenti emanati con il decreto di cui all’art. 171-bis cod. proc. civ., alcuna conseguenza processuale pregiudizievole (quale, in ipotesi, l’estinzione del processo) può essere posta a carico della stessa, ove essa non si sia conformata a tale provvedimento confidando nella possibilità di argomentare le proprie ragioni nel contraddittorio delle parti.

Può esserci, in tal caso, ha concluso la Consulta, un allungamento dei tempi del processo, ma l’esigenza di rapidità non può pregiudicare la completezza del sistema delle garanzie della difesa e comprimere oltre misura il contraddittorio tra le parti, atteso che «un processo non giusto, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata».

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assistenza precompilata 2024

Precompilata 2024: assistenza extra del fisco Call center attivo anche nelle mattine di sabato 1 e 15 giugno, l'Agenzia delle Entrate illustra l'assistenza extra per i contribuenti

Precompilata 2024, assistenza telefonica extra

Un supporto in più dedicato ai cittadini che desiderano avere maggiori informazioni o assistenza per consultare e inviare la propria dichiarazione dei redditi precompilata. Lo comunica l’Agenzia delle Entrate, rendendo noto che il proprio call center sarà attivo, oltre ai consueti orari (dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 17), anche sabato 1° e sabato 15 giugno dalle 9 alle 13.

Un’iniziativa che ha il fine di “potenziare il servizio di assistenza telefonica dell’Agenzia in questa prima fase della stagione dichiarativa”.

I numeri

Per entrare in contatto con un esperto del Fisco, illustrano le Entrate, basterà comporre il numero verde 800.90.96.96 da rete fissa, lo 06.97.61.76.89 da cellulare o lo 0039.06.45.47.04.68 dall’estero.

Il servizio è curato dai consulenti telefonici delle Entrate che hanno aderito all’iniziativa ed è rivolto esclusivamente ai cittadini. Al termine della chiamata sarà anche possibile esprimere, in forma anonima, un giudizio sull’assistenza ricevuta.

Informazioni anche online

Rimane sempre il supporto web, grazie al sito dedicato “Info e assistenza” dove sono raccolti tutti i contenuti sulla stagione dichiarativa 2024 e le risposte alle domande più frequenti.

Disponibili inoltre sul sito delle Entrate una guida dedicata con i passi da seguire per inviare, con o senza modifiche, la dichiarazione 2024 e le guide a tema sulle agevolazioni della dichiarazione 2024.

Infine, a supporto anche il video pubblicato sul canale istituzionale YouTube che mostra in pillole le modalità per accedere e le principali date da ricordare.

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Prescrizione azione di ripetizione per somme illegittimamente addebitate In caso di somme illegittimamente addebitate al cliente dalla banca, da quando decorre il dies a quo del termine di prescrizione per l’azione di ripetizione?

Quesito con risposta a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin

 

La ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall’individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le voci o competenze accertate come illegittime e in concreto applicate dalla banca. Il dies a quo della prescrizione inizia a decorrere per quella parte delle rimesse sul conto corrente la cui funzione solutoria sia individuabile dopo la rettifica del saldo. – Cass., sez. I, 26 febbraio 2024, n. 5064.

La pronuncia della Suprema Corte trae origine dall’iniziativa giudiziaria di una società nei confronti della banca presso la quale aveva acceso un rapporto di conto corrente fin dall’anno 1981. La correntista chiedeva la restituzione delle somme illegittimamente addebitate dall’istituto di credito a titolo di interessi anatocistici. La banca eccepiva la prescrizione in relazione agli addebiti aventi natura di rimesse solutorie effettuati sul conto in data anteriore al decennio dalla notifica della citazione. Il Tribunale rigettava l’eccezione della banca ritenendo che la stessa non avesse indicato le rimesse solutorie e accoglieva la domanda dell’attrice provvedendo alla rideterminazione del saldo in seguito ad una c.t.u. contabile.

La decisione veniva riformata dal giudice del gravame sul presupposto che incombesse sulla correntista produrre in giudizio tutti gli estratti conto a partire dalla data di apertura del contratto.

Secondo la Corte di Appello solo attraverso l’integrale ricostruzione dei rapporti di dare/avere tra le parti si sarebbe potuti pervenire alla determinazione dell’eventuale credito della correntista e alla quantificazione degli importi da espungere, non essendo sufficienti a tale fine gli estratti conto scalari in quanto rappresentativi dei soli conteggi degli interessi attivi e passivi, senza possibilità di individuare le operazioni alla base delle annotazioni degli interessi e dei movimenti effettuati nell’arco di tempo considerato.

La società ha così proposto ricorso in Cassazione lamentando in prima battuta l’erronea statuizione riguardo la ripartizione degli oneri probatori con riferimento all’eccezione di prescrizione considerando che l’onere probatorio di un fatto estintivo incombe sul soggetto che lo eccepisce.

Secondariamente si è censurata l’erronea valutazione dei fatti costituivi posti a fondamento della domanda, posto che la ragione della produzione degli estratti conto scalari con riferimento ad un limitato periodo di tempo del conto corrente dipendeva dalla domanda, limitata a quell’intervallo temporale, con esplicita rinuncia a qualsiasi contestazione quanto ai periodi per i quali non vi era documentazione contabile. Si aggiungeva, altresì, l’assenza di una motivazione per il mancato accoglimento delle risultanze espresse nella consulenza tecnica.

In ultimo, veniva contestata la natura migliorativa della capitalizzazione degli interessi introdotta dalla delibera del Cicr del 9 febbraio del 2000 rispetto alla clausola anatocistica precedentemente applicata.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, accogliendo il ricorso, ricorda preliminarmente come in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte anteriore (così anche Cass., Sez. Un., 13 giugno 2019, n. 15895 – termine di prescrizione estintiva).

Tuttavia, ricorda la Corte che il principio opera solo sul versante dell’onere di allegazione ammettendo una simmetria, in quanto così come il correntista può limitarsi a indicare l’esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione previa verifica del saldo del conto, anche la banca può a sua volta limitarsi ad allegare l’inerzia dell’attore per il tempo necessario alla prescrizione.

Ciò posto, il problema delle rimesse solutorie si sposta sul piano dell’onere probatorio per cui all’allegazione consegue la prova della parte su cui, per legge, incombe il relativo onere, anche facendo luogo a una c.t.u., cosicché le relative risultanze probatorie vengano valutate dal giudice.

A tal riguardo, la Corte di Appello aveva disatteso le risultanze della consulenza tecnica sul presupposto di una non idonea documentazione in grado di evidenziare l’esistenza di rimesse con funzione solutoria, sostenendo come il conto corrente era contraddistinto dalla mancanza di affidamenti e ricavandone la funzione solutoria per tutte le rimesse, salvo prova contraria della correntista.

Tale motivazione viene ritenuta affetta da un’incongruenza logica in quanto, nel caso in cui un cliente citi in giudizio l’istituto di credito domandando la ripetizione di quanto indebitamente pagato a titolo di interessi anatocistici, relativamente ad un contratto di apertura di credito regolato in conto corrente, “la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall’individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le voci o competenze accertate come illegittime e in concreto applicate dalla banca. Questo si rende necessario ai fini della decorrenza del dies a quo della prescrizione, termine che inizia a decorrere per quella parte delle rimesse sul conto corrente la cui funzione solutoria sia individuabile dopo la rettifica del saldo” (termine di prescrizione per l’azione di ripetizione).

Spostandosi sul versante dell’onere probatorio a carico della correntista censurato dalla Corte di Appello, la Cassazione afferma che una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi anatocistici a carico della stessa, occorre distinguere il caso in cui essa è convenuta da quella in cui sia attrice. In quest’ultimo caso, invero, l’accertamento del dare e dell’avere può aversi tramite l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete tese a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto, in quanto l’estratto è un documento formato e proveniente dalla banca.

Da ciò deriva che è possibile ricostruire l’effettività del saldo finale partendo dai documenti esibiti dal correntista e provenienti dalla banca, anche tramite elaborazioni tecniche dei dati risultanti dai riassunti scalari così come anche statuito da Cass., sez. I, 18 aprile 2023, n. 10293.

Nel caso in esame, essendo il correntista ad agire in giudizio per la rideterminazione del saldo e la correlata ripetizione delle somme indebitamente considerate, ed avendo egli prodotto il primo degli estratti conto scalari con un saldo iniziale a suo debito, è legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni o diano giustificazione di un saldo diverso nel periodo di riferimento per effetto della eliminazione delle voci o delle competenze illegittimamente applicate fino a quel momento. In tal modo, la base di calcolo può essere determinata proprio sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, dato che questo costituisce un documento redatto dalla controparte in funzione riassuntiva delle movimentazioni del conto corrente, e rimane, nel quadro delle risultanze di causa, il dato più sfavorevole alla stessa parte attrice.

Su tali assunti, la Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte d’Appello, la quale dovrà uniformarsi ai principi esposti.

*Contributo in tema di “ termine di prescrizione per l’azione di ripetizione ”, a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin, estratto da Obiettivo Magistrato n. 73 / Aprile 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

giustizia accelera ufficio processo

La giustizia accelera grazie all’ufficio per il processo La ricerca sugli effetti dell'ufficio per il processo sul funzionamento della giustizia civile mostra riflessi positivi sull'abbattimento dell'arretrato e la riduzione dei tempi dei processi

Ufficio per il processo, acceleratore della giustizia civile

L’assunzione degli addetti Upp prevista dal Pnrr ha avuto un impatto positivo sulla definizione dei processi, soprattutto i più complessi, con riflessi positivi anche sull’abbattimento dell’arretrato e la riduzione dei tempi. A dirlo, come riporta via Arenula sul proprio sito, sono i dati del lavoro “Gli effetti dell’ufficio per il processo sul funzionamento della giustizia civile” condotto da un gruppo di ricercatori del Ministero della Giustizia e della Banca d’Italia nell’ambito di un accordo di collaborazione per la valutazione dell’impatto delle misure del Pnrr.

Il testo completo della ricerca – curata da Mario Cannella, Marialuisa Cugno, Sauro Mocetti, Giuliana Palumbo, Gianluca Volpe – sarà pubblicato a breve.

Nel frattempo, spiega il ministero che le stime, sin dall’immissione del primo gruppo di addetti Upp, nel primo trimestre 2022, fino alla fine del 2023, “mostrano come i tribunali che hanno ricevuto un numero maggiore di addetti hanno registrato una variazione nel numero dei procedimenti definiti di circa 4 punti percentuali più elevata; per i procedimenti più complessi la variazione è di circa 10 punti percentuali”.

Un incremento complessivo valutabile in circa 100.000 procedimenti civili all’anno, pari a circa 1/3 dell’arretrato 2019.

“Il contributo degli addetti risulta essere maggiore nei tribunali che prima della pandemia avevano già livelli di produttività elevata – prosegue via Arenula -, segno che gli uffici con maggiore capacità organizzativa hanno saputo sfruttare meglio le nuove risorse”.

L’analisi ha messo in luce solo gli effetti di breve periodo, “nella consapevolezza che solo in un orizzonte temporale più lungo sarà possibile osservare a pieno i benefici – in termini di quantità e qualità – di una nuova organizzazione del lavoro all’interno degli uffici giudiziari”.

protocollo tutela professionisti

Minacce ai professionisti: siglato il protocollo E' stata firmata l'intesa al Viminale tra avvocati, notai e commercialisti e dipartimento della pubblica sicurezza per la tutela dei professionisti

Protocollo a tutela dei professionisti

“Monitorare gli episodi intimidatori compiuti nei confronti degli avvocati, dei commercialisti e dei notai chiamati a svolgere funzioni sussidiarie delle Autorità giudiziarie e indipendenti”. È questo l’obiettivo ispiratore dell’intesa firmata ieri pomeriggio al Viminale tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Consiglio Nazionale Forense, il Consiglio Nazionale dei Commercialisti e il Consiglio Nazionale del Notariato.

L’accordo è stato firmato dal Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Prefetto Vittorio Pisani; dal Vicepresidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Napoli; dal Presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, Elbano de Nuccio; dal Presidente del Consiglio Nazionale del Notariato, Giulio Biino. Presente anche il Prefetto Annunziato Vardé, Direttore dell’Ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione delle Forze di Polizia.

Al via l’Osservatorio dedicato

“L’istituzione di un Osservatorio dedicato consentirà di avere un quadro completo del fenomeno e di mettere in campo azioni concrete per contrastarlo. L’intimidazione dei professionisti rappresenta un attacco al diritto di difesa e al corretto funzionamento della giustizia” spiega il presidente del CNF, Francesco Greco.

Il protocollo, conclude, è “un passo fondamentale nella tutela degli avvocati e di tutti i professionisti che, nell’esercizio delle loro funzioni, subiscono minacce e intimidazioni”.

guida bonus fiscali

Agevolazioni fiscali: online le guide sui bonus L'Agenzia delle Entrate ha reso disponibile online le guide "Tutte le agevolazioni della dichiarazione 2024"

Online le guide sui bonus fiscali per i cittadini

Dalle spese sanitarie agli interessi sul mutuo prima casa, passando per contributi previdenziali, premi assicurativi e bonus edilizi. Sono alcune delle guide alle agevolazioni della dichiarazione 2024, rese disponibili online sul sito dell’Agenzia delle Entrate.

Il fine è quello, si legge nella nota stampa del fisco, di mettere a disposizione dei cittadini “con informazioni complete e aggiornate, tutto ciò che occorre per beneficiare dei vari sconti fiscali di cui è possibile usufruire”.

Una “guida” per ogni argomento

Per agevolare la consultazione, ad ogni tema della raccolta “Tutte le agevolazioni della dichiarazione 2024” è dedicata una guida: spese sanitarie, interessi sui mutui, spese di istruzione, erogazioni liberali, premi di assicurazione, ecc. Nella raccolta anche le guide tematiche sui diversi bonus casa: ristrutturazioni, riqualificazione energetica, bonus mobili e superbonus.

Le guide, al passo con le novità normative e i documenti di prassi dell’Agenzia, forniscono chiarimenti anche alla luce delle risposte fornite ai quesiti di cittadini e addetti ai lavori. Previsto anche, concludono le Entrate, “un focus sui documenti che i contribuenti devono presentare a Caf e professionisti abilitati e sulle regole che questi ultimi devono osservare nella conservazione della documentazione”.

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Estorsione e richiesta di rinunciare a parte della retribuzione La condotta del datore di lavoro che, al momento dell’assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l’alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell’opportunità di lavoro è estorsione?

Quesito con risposta a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin

 

Non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che al momento dell’assunzione prospetta agli aspiranti dipendenti l’alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione, oppure la perdita dell’opportunità di lavoro. In particolare, pur realizzandosi un ingiusto profitto per il datore di lavoro grazie alle prestazioni d’opera sottopagate, per il lavoratore rispetto ad una precedente situazione di disoccupazione non è possibile dimostrare che l’occupazione conseguita possa recare un danno. – Cass., sez. II, 2 febbraio 2024, n. 9823.

Il reato di estorsione infatti, come riconosce la Cassazione, può essere integrato solo nel contesto delle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, e non nella fase genetica della sua creazione. Pertanto non grava sul datore di lavoro “alcun obbligo giuridico di assumere le persone offese che, infatti, risultano essersi spontaneamente rivolte alla medesima società chiedendo l’assunzione: se, pertanto, la pretesa della società di subordinare questa ad una rinuncia a parte dello stipendio comportava per la parte datoriale l’ingiusto profitto del conseguimento di prestazione d’opera sottopagata, non risulta la prova del danno ingiusto arrecato al lavoratore al momento dell’assunzione, giacché non vi è prova che il conseguimento di un lavoro, per quanto sottopagato, abbia arrecato […] un danno rispetto alla situazione preesistente di mancanza di lavoro”.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto da Tizio avverso la sentenza della Corte di Appello che confermando la sentenza del GIP presso il tribunale della stessa città, condannava il ricorrente alla pena di giustizia per il delitto di cui all’art. 629 c.p. In particolare il motivo di doglianza atteneva alla violazione di legge e vizio di motivazione in merito all’erronea qualificazione della condotta ascritta in termini estorsivi. La difesa rilevava nello specifico come sul tema difettasse qualsiasi motivazione, tenuto conto delle modalità consensuali con le quali si addiveniva all’accordo tra imputato (datore di lavoro offerente la posizione lavorativa) e lavoratori, al momento genetico costitutivo il rapporto di lavoro. La Corte ha ritenuto fondato tale motivo, ritenendo assorbiti i successivi, attesa in primo luogo, una libera adesione ab origine dei lavoratori alla proposta lavorativa caratterizzata da retribuzione inferiore rispetto a quella prevista dalla contrattazione collettiva, non intaccando in alcun modo una pretesa giuridicamente tutelata. Infatti, come sottolinea la Suprema Corte, ai fini dell’integrazione della fattispecie estorsiva, deve apparire in primo luogo provato l’elemento centrale delle condotte, quale nel caso di specie la minaccia volta all’ottenimento dell’ingiusto profitto. Come già censurato con specifico motivo di appello, le condizioni di lavoro oggetto di accertamento non sono mai state imposte nel corso del rapporto di lavoro mediante minaccia, ma oggetto di specifico e previo accordo antecedente all’inizio effettivo del rapporto lavorativo, prima dunque dell’assunzione. Di conseguenza, non appare emergere alcuna minaccia in relazione alla determinazione della retribuzione, già oggetto di esplicito accordo tra le parti al momento della conclusione del contratto di assunzione. In secondo luogo i giudici di legittimità hanno riconosciuto la natura apparente e contraddittoria della motivazione della sentenza di appello, dove si afferma che l’imputato abbia approfittato della necessità di lavoro dei dipendenti per imporre condizioni retributive sfavorevoli ed inferiori alle previsioni della contrattazione collettiva, riferendosi però in questo modo alla fase iniziale e dunque genetica del rapporto di lavoro, senza specificare invece in che momento del rapporto lavorativo già in essere la minaccia anche implicita avesse avuto luogo. Pertanto la Suprema Corte di Cassazione ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello competente che dovrà verificare, colmando la carenza motivazionale evidenziata, se tra le parti sia intercorso un mero accordo antecedente alla concreta fase di espletamento dell’attività lavorativa in cui è stato determinato (ed accettato) il quantum della retribuzione, o se siano state poste in essere ulteriori condotte da provare puntualmente in sede di merito, attraverso cui si sia integrata la minaccia di licenziamento a carico dei lavoratori durante il corso delle attività lavorative nell’ambito dell’azienda del ricorrente, al fine di contrastare le loro legittime pretese contrattuali, eventualmente integrando la contestata estorsione.

*Contributo in tema di “ reato di estorsione ”, a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica