patto marciano

Patto marciano Cos’è il patto marciano, le origini, la definizione, la normativa e le differenze con il patto commissorio

Cos’è il patto marciano?

Il patto marciano è un accordo tra creditore e debitore in base al quale, in caso di inadempimento del debitore, il creditore acquisisce la proprietà di un bene dato in garanzia, previa valutazione del suo valore al momento dell’inadempimento e con restituzione al debitore dell’eventuale eccedenza rispetto al credito. Questo meccanismo garantisce un equilibrio tra le parti, tutelando il diritto del creditore a ottenere soddisfazione e il debitore da un’appropriazione ingiusta del bene.

Origini del patto marciano

Il patto marciano trova le sue radici nel diritto romano.  Esso si distingueva dal patto commissorio per la previsione della stima del bene e la restituzione dell’eccedenza. Il nome deriva da Marco Terenzio Varrone, che descrisse questo meccanismo nelle sue opere. Nel corso dei secoli, il patto marciano è stato rivalutato come uno strumento equilibrato di tutela dei diritti delle parti coinvolte in una relazione creditizia.

Normativa di riferimento

La normativa italiana non contiene una disciplina esplicita del patto marciano. Esso  è stato progressivamente riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina come lecito. Tale patto è infatti conforme ai principi generali di correttezza e buona fede. A differenza del patto commissorio, vietato dall’art. 2744 del codice civile, il patto marciano infatti è ritenuto legittimo perché non comporta un arricchimento ingiustificato del creditore.

Con la riforma del pegno mobiliare non possessorio (D.l. n. 59/2016, convertito in L. n. 119/2016), il patto marciano ha trovato un’applicazione concreta nel diritto positivo, prevedendo espressamente la possibilità di utilizzare meccanismi di tipo marciano nella costituzione di garanzie sui beni mobili.

Da segnalare anche larticolo 48 bis TUB il quale prevede che: “Il contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca o altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico ai sensi dell’articolo 106 può essere garantito dal trasferimento, in favore del creditore o di una società dallo stesso controllata o al medesimo collegata (…) della proprietà di un immobile o di un altro diritto immobiliare dell’imprenditore o di un terzo, sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore a norma del comma 5. (…) 2. In caso di inadempimento, il creditore ha diritto di avvalersi degli effetti del patto di cui al comma 1, purché al proprietario sia corrisposta l’eventuale differenza tra il valore di stima del diritto e l’ammontare del debito inadempiuto e delle spese di trasferimento.”

Come funziona il patto marciano?

Il funzionamento del patto marciano si articola in diverse fasi.

  • Accordo tra le parti: il debitore e il creditore stabiliscono che, in caso di inadempimento, il bene dato in garanzia sarà valutato da un terzo imparziale.
  • Valutazione del bene: al momento dell’inadempimento, il bene viene stimato per determinarne il valore attuale.
  • Compensazione del credito: il creditore acquisisce il bene a compensazione del credito, restituendo al debitore l’eventuale eccedenza tra il valore del bene e l’importo del credito.

Quando è vietato il patto marciano?

Il patto marciano non è vietato. Esso è illecito se viola i principi di buona fede, se maschera un patto commissorio, se è privo della valutazione imparziale del bene, se non prevede la restituzione dell’eccedenza al debitore. In questi casi, i giudici potrebbero dichiarare il patto nullo.

Differenza tra patto marciano e patto commissorio

La principale differenza tra patto marciano e patto commissorio risiede nella tutela del debitore.

Patto commissorio (art. 2744 c.c.): è vietato dalla legge e prevede che il creditore acquisisca direttamente il bene dato in garanzia in caso di inadempimento, senza alcuna valutazione del valore del bene e senza obbligo di restituzione dell’eventuale eccedenza.

Patto marciano: è lecito e prevede una valutazione equa del bene e la restituzione al debitore dell’eventuale eccedenza rispetto al credito.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza italiana ha chiarito e confermato la liceità del patto marciano in diverse sentenze:

  • Cassazione n. 27615/2022: non viene violato il divieto di patto commissorio nei casi in cui il contratto di vendita immobiliare con funzione di garanzia contenga un patto marciano. Quest’ultimo prevede che, in caso di inadempimento, il creditore diventi proprietario del bene del debitore, con l’obbligo di restituire l’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto all’importo del debito inadempiuto. Tale valore viene determinato al momento dell’inadempimento da un soggetto terzo e imparziale. A differenza del patto commissorio vietato dall’ 2744 c.c., il patto marciano è considerato lecito.  Esso infatti, analogamente al pegno irregolare disciplinato dall’art. 1851 c.c., mira a tutelare il debitore da possibili abusi del creditore, garantendo un equilibrio tra le parti.
  • Cassazione n. 844/2020: la vendita è considerata nulla se la convenzione marciana ad essa collegata non stabilisce criteri certi e oggettivi per la valutazione del bene, garantendo al debitore un prezzo equo in caso di inadempimento. Il contratto di vendita quindi può essere utilizzato anche come strumento di garanzia per il creditore, assicurandogli il pagamento di un debito preesistente e prevedendo l’obbligo di ritrasferire il bene al debitore nel caso in cui il debito venga estinto. Tuttavia, è fondamentale che le parti abbiano concordato in anticipo criteri chiari per determinare il “giusto prezzo” di acquisizione della proprietà in caso di inadempimento, così da garantire al debitore la restituzione di un eventuale eccedenza di valore.

 

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quota 103

Quota 103 Quota 103: cos’è, quali requisiti servono, come funziona la pensione flessibile anticipata nel 2025 e come fare domanda

Cos’è Quota 103

Quota 103 rappresenta una delle principali misure di pensione anticipata introdotte dalla legge di bilancio 2023 (L. 197/2022), con l’obiettivo di offrire maggiore flessibilità ai lavoratori prossimi alla pensione. Grazie a questo strumento, è possibile accedere alla pensione prima dell’età prevista dalla pensione di vecchiaia standard, a condizione che siano soddisfatti specifici requisiti anagrafici e contributivi.

Tale regime consente ai lavoratori di andare in pensione una volta raggiunta la somma di 62 anni di età e 41 anni di contributi. Il sistema prende il nome proprio dalla somma dei due requisiti, che devono essere entrambi soddisfatti per poter accedere al trattamento pensionistico.

Questa misura si inserisce nella scia di altre forme di pensionamento anticipato, come Quota 100 e Quota 102, ma offre condizioni leggermente più favorevoli, permettendo un’uscita anticipata dal mondo del lavoro per un numero maggiore di contribuenti.

Requisiti di accesso

Per poter beneficiare della Quota 103, i lavoratori devono rispettare i seguenti requisiti:

  • Età anagrafica: almeno 62 anni.
  • Contributi versati: minimo 41 anni di contributi (anche non continuativi).

È importante sottolineare che non è sufficiente soddisfare uno solo dei due requisiti: entrambi devono essere raggiunti. Inoltre, il sistema prevede alcune particolarità:

  • I contributi figurativi (come quelli per disoccupazione o malattia) sono riconosciuti, ma esistono delle limitazioni per i periodi non lavorati.
  • La misura è accessibile sia ai lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato che ai lavoratori autonomi e iscritti alla Gestione Separata INPS.

Quota 103: come funziona nel 2025

La legge di bilancio 2025 ha prorogato Quota 103, confermando così la possibilità di accedere alla pensione anticipata anche per l’anno in corso. Vediamo quindi come funziona la pensione anticipata flessibile nel 2025.

Finestre mobili

Per i lavoratori del settore privato e gli autonomi la finestra mobile è di 7 mesi dalla maturazione dei requisiti.

Per i lavoratori del settore pubblico, la finestra si allunga a 9 mesi.

Importo dell’assegno: limiti

Il calcolo della pensione con Quota 103 prevede un tetto massimo. Per il 2025 è stato infatti confermato che l’assegno non possa superare 4 volte il trattamento minimo INPS fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia. Solo successivamente l’importo sarà ricalcolato senza limiti.

Incompatibilità con il lavoro

I beneficiari di Quota 103 non possono svolgere attività lavorative dipendenti o autonome che producano redditi superiori a 5.000 euro annui fino al compimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia (attualmente 67 anni).

Come fare domanda

La domanda per la pensione anticipata con Quota 103 deve essere presentata tramite i servizi telematici dellINPS o rivolgendosi a un patronato. È necessario fornire la documentazione relativa alla propria posizione contributiva e verificare che i requisiti siano stati effettivamente raggiunti. Una volta accettata la domanda, i tempi per il primo pagamento dipendono dalla finestra mobile prevista che, come abbiamo visto, è diversa per i dipendenti pubblici e privati.

Fin quando si può andare in pensione con Quota 103

La misura di Quota 103 è stata prorogata per tutto il 2025, ma al momento non ci sono certezze su unulteriore estensione oltre questa data. La scadenza ufficiale è fissata al 31 dicembre 2025, termine entro il quale i lavoratori devono maturare i requisiti per poter accedere alla pensione anticipata con questa formula.

Dopo questa data, sarà necessario attendere le decisioni del governo riguardo a una possibile proroga o modifica della misura. In assenza di nuove disposizioni, i lavoratori dovranno fare riferimento alle modalità standard di pensionamento previste dal sistema previdenziale italiano.

 

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decreto penale di condanna

Decreto penale di condanna Cos’è il decreto penale di condanna, qual è la normativa di riferimento, come funziona e come si può fare opposizione

Cos’è il decreto penale di condanna?

Il decreto penale di condanna è un provvedimento giurisdizionale previsto dal codice di procedura penale italiano, che consente di definire rapidamente procedimenti per reati di minore gravità senza ricorrere a un processo ordinario. Questo strumento mira a ridurre il carico di lavoro dei tribunali e accelerare i tempi della giustizia penale.

Normativa di riferimento

La disciplina di questo istituto è contenuta negli articoli da 459 a 464 del codice di procedura penale. Con la riforma Cartabia (D.lgs. n. 150/2022), sono state introdotte importanti modifiche al procedimento.

  • un termine di tempo più ampio al Pm per la richiesta di decreto penale di condanna a partire dalla data di iscrizione del soggetto ritenuto responsabile del reato;
  • la possibilità di convertire la pena detentiva prevista per il reato in lavoro di pubblica utilità;
  • la possibilità per l’imputato di chiedere la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità senza formulare l’atto di opposizione;
  • la previsione che il decreto penale di condanna debba contenere anche l’avviso all’imputato della facoltà di accesso ai programmi di giustizia riparativa e l’avviso di poter effettuare il pagamento della pena pecuniaria nella misura ridotta di 1/5 entro 15 giorni dalla notifica del decreto, rinunciando all’opposizione.

Come funziona il decreto penale di condanna

Il decreto può essere richiesto dal pubblico ministero quando ritiene che le prove raccolte siano sufficienti per una condanna e che il reato sia punibile con una pena pecuniaria o una pena detentiva sostituibile con una pena pecuniaria.

La procedura tipica di emissione del decreto penale di condanna passa attraverso fasi determinate.

  • Richiesta del pubblico ministero: il pubblico ministero presenta al giudice per le indagini preliminari (GIP) la richiesta di emissione del decreto, corredata dalle prove.
  • Emissione del decreto: se il GIP ritiene fondata la richiesta, emette il decreto penale di condanna, che viene notificato all’
  • Notifica e termine per l’opposizione: l’imputato ha 15 giorni dalla notifica per presentare opposizione.

Quando viene emesso

Il decreto penale di condanna è emesso in caso di reati di minore entità, come ad esempio:

  • guida in stato di ebbrezza;
  • lesioni personali lievi;
  • reati contro il patrimonio di modesta entità;
  • violazioni amministrative con rilevanza penale.

L’emissione è subordinata alla presenza di prove evidenti e all’assenza di necessità di ulteriori accertamenti.

Opposizione al decreto penale di condanna

L’imputato che riceve un decreto penale di condanna ha la possibilità di opporsi entro 15 giorni dalla notifica. L’opposizione comporta:

  • Richiesta di giudizio ordinario: l’imputato può chiedere di essere giudicato con il rito ordinario o con rito abbreviato.
  • Richiesta di patteggiamento: l’imputato può chiedere l’applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento).
  • Decisione del giudice: il giudice fissa l’udienza per valutare il caso solo nei casi in cui l’imputato si opponga al decreto penale, negli altri casi il contraddittorio con l’imputato non sussiste.

La riforma Cartabia ha introdotto la possibilità di presentare l’opposizione anche in via telematica, semplificando le procedure.

Giurisprudenza decreto penale

La giurisprudenza italiana ha affrontato diverse questioni relative a questo istituto, chiarendo le modalità e i limiti del procedimento:

Cassazione 2773/2025:  Il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, dopo l’emissione del decreto penale di condanna, respinge la richiesta di sostituzione della pena pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, del codice della strada, senza disporre il giudizio immediato, risulta anomalo alla luce della normativa introdotta dall’art. 28 del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

Corte Costituzionale n. 209/2024:   infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., sollevata in riferimento all’art. 111 della Costituzione, nella parte in cui non stabilisce l’incompatibilità del giudice per le indagini preliminari a pronunciarsi su una nuova richiesta di decreto penale dopo aver respinto la precedente per inadeguatezza della pena indicata dal pubblico ministero.

Cassazione 138/2016: in caso di richiesta di restituzione nel termine per proporre opposizione a un decreto penale di condanna, l’onere dell’istante si limita ad allegare le ragioni della mancata conoscenza del provvedimento notificato. Il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 175, comma 2, c.p.p., come modificato dalla L. n. 67/2014, deve verificare se l’interessato abbia effettivamente ignorato la notifica. Se permane un’incertezza oggettiva sulla tempestiva conoscenza del decreto e l’istante ha adempiuto al proprio onere, il giudice deve concedere la restituzione nel termine.

 

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giurista risponde

Furto di energia elettrica e aggravante (art. 625, comma 1, n. 7, c.p.) È legittima la contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7 c.p. al soggetto che, al fine di procurarsi un profitto e soddisfare il proprio fabbisogno elettrico, si impossessi di energia elettrica sottraendola dalla società fornitrice Servizio Elettrico Nazionale?

Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Serena Ramirez

 

 

In tema di furto di energia elettrica, può ritenersi legittimamente contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7, c.p., in quanto l’energia elettrica, su cui ricade la condotta di sottrazione, è un bene funzionalmente destinato a un pubblico servizio, essendo idoneo a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone e a soddisfare un’esigenza di rilevanza pubblica (Cass., sez. IV, 31 ottobre 2024, n. 40161).

La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a valutare i confini e i limiti applicativi della circostanza aggravante del furto commesso su cose destinate a pubblico servizio. Ad un maggior grado di dettaglio, ai giudici di legittimità viene domandato se l’energia elettrica, oggetto di sottrazione e impossessamento, rappresenti un bene destinato a pubblico servizio.

I fatti di causa possono essere riassunti come segue. I giudici di merito non avevano riconosciuto l’aggravante in commento, sulla scorta dell’argomentazione che l’imputato si era limitato ad ottenere – con l’uso della fraudolenta esclusione della registrazione del consumo – l’illecito fine di usufruire dell’energia senza pagarne il prezzo. Non vi sarebbe, pertanto, pregiudizio per il servizio pubblico cui la risorsa è destinata in quanto detta condotta incide solo sul rapporto contrattuale tra utente e società distributrice della fornitura. Ne derivava la pronuncia ex art. 129 c.p.p. di non doversi procedere per mancanza di querela in relazione al delitto previsto e punito dagli artt. 624 e 625, comma 2, n. 1 c.p.

Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica per violazione di legge. Si deduceva, quindi, la sussistenza dell’aggravante in parola poiché l’allacciamento abusivo ai terminali collocati in una proprietà privata risultava incidente sulla destinazione della cosa al pubblico servizio. Il precipitato della contestazione dell’aggravante è rappresentato dalla procedibilità di ufficio del delitto, anche in seguito alla modifica apportata dall’art. 2 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.

I giudici di legittimità rammentano la nozione di destinazione a pubblico servizio: questa non è data dalla fruizione pubblica del bene, bensì dalla qualità del servizio che viene organizzato anche attraverso la destinazione di risorse umane e materiali, e che viene destinato alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati (Cass. 3 dicembre 2013, n. 698). La Corte, inoltre, ricorda come a fianco di una lettura soggettiva del concetto di servizio pubblico, si staglia una lettura oggettiva che riconosce rilevanza alle prestazioni dei servizi pubblici non in ragione del soggetto che ne assicura la fornitura quanto delle caratteristiche oggettive delle prestazioni erogate in considerazione del numero indeterminato dei destinatari che ne traggono giovamento.

Da tali considerazioni consegue che la destinazione del bene-energia, oggetto di furto, a pubblico servizio, legittima la punizione più severa dell’azione ablativa dell’agente in quanto pertinente ad un bene che, per volontà del proprietario, ovvero per la qualità ad essa inerente, serve ad un uso di pubblico vantaggio. Dalla corretta applicazione della circostanza aggravante di cui al comma settimo dell’art. 625 c.p. deriva la procedibilità d’ufficio del reato ascritto.

Per tali motivi, la Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla Pubblica Accusa, al quale consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza cassata e la trasmissione degli atti al Tribunale competente per l’ulteriore corso del processo.

 

(*Contributo in tema di “Furto di energia elettrica e circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7, c.p.”, a cura di Mariarosaria Cristofaro e Serena Ramirez, estratto da Obiettivo Magistrato n. 80 / Dicembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

Riforma gratuito patrocinio: le proposte dell’AIGA Ecco le proposte dei giovani avvocati per una riforma organica del patrocinio a spese dello Stato

Riforma gratuito patrocinio

Riforma gratuito patrocinio: adeguamento del Testo Unico Spese di Giustizia dopo più di vent’anni dall’entrata in vigore, anche alla luce delle novità normative e degli orientamenti giurisprudenziali; ⁠uniformità dei requisiti soggettivi e oggettivi per ammissione e liquidazione, superando il “federalismo giudiziario”; ⁠digitalizzazione della procedura di liquidazione e previsione di termini perentori per emissione decreto di pagamento; ⁠compenso equo e stop alla liquidazione al di sotto dei parametri minimi. Va in quattro direzioni la proposta di riforma del patrocinio a spese dello Stato dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA), presentata questa mattina nella Sala del Refettorio della Camera dei Deputati.

Piena effettività del gratuito patrocinio

“L’obiettivo è far fronte alle numerose criticità registrate in questi ultimi anni, che vanificano l’effettività sostanziale dell’istituto e si riverberano in modo negativo sui professionisti”, ha affermato Carlo Foglieni, presidente nazionale AIGA, per il quale si avverte la necessità “di potenziare le piante organiche degli uffici giudiziari territoriali, affinché le procedure di liquidazione siano evase con maggiore celerità ed efficienza. Questi interventi sono essenziali per garantire la piena effettività del patrocinio a spese dello Stato e per tutelare la dignità professionale degli avvocati”.

Gli interventi

L’onorevole Annarita Patriarca, Ufficio di Presidenza Camera dei Deputati, ha evidenziato nel suo indirizzo di saluto: “Il miglioramento della qualità del sistema giudiziario è una delle sfide più importanti per il presente e il futuro. L’incontro con AIGA è fondamentale per ascoltare le esperienze di chi ogni giorno lavora sul campo e per costruire insieme un percorso che porti a una giustizia più accessibile, giusta e pronta a rispondere alle esigenze della società”.

Alla conferenza stampa sono intervenuti numerosi parlamentari delle commissioni Giustizia di Senato e Camera dei Deputati, nonchè il coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense (OCF), Mario Scialla. Per AIGA sono intervenuti anche Anna Coppola, segretario Nazionale; Gaetano Fontana, coordinatore Dipartimento Giunta Nazionale Rapporti con il Parlamento; Giuseppe Mandarino, coordinatore Dipartimento Spese di Giustizia.

esami avvocati

Esami avvocati con le vecchie regole e voto più basso Soddisfazione dell'Aiga per il parere favorevole agli emendamenti del Milleproroghe riguardanti gli esami avvocati 2024

Emendamenti Milleproroghe

Esami avvocati con le vecchie regole e passaggio a un voto minimo più basso. Queste le novità del decreto Milleproroghe in dirittura d’arrivo al Senato, accolte dal plauso dell’AIGA. L’Associazione Italiana Giovani Avvocati, in una nota, infatti, “accoglie con profonda soddisfazione il parere favorevole espresso dalla commissione Affari Costituzionali del Senato agli emendamenti del “Decreto Milleproroghe” riguardanti l’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense, fortemente voluti dalla nostra Associazione”.

Proroga regime transitorio

“Con gli emendamenti – prosegue nella nota AIGA – si prevede la proroga del regime transitorio delle modalità di svolgimento dell’esame di abilitazione alla professione forense anche per l’anno 2025, confermando quelle adottate per le sessioni 2023 e 2024 e mantenendo la modalità speciale di svolgimento dell’esame che prevede una prova scritta (atto giudiziario) e un orale trifasico, già sperimentata con successo nella scorsa sessione.

Voto minimo

Positivo anche il cambiamento del voto minimo per la prova orale, che passa da 105 a 90, come richiesto dall’Associazione.

Stabilità delle modalità d’esame

“Si tratta di una conquista fondamentale per i giovani praticanti avvocati – afferma il presidente nazionale AIGA, Carlo Foglieni –. La stabilità delle modalità d’esame garantirà continuità, certezza e uniformità di trattamento tra i candidati delle diverse sessioni. Questo rappresenta un passo concreto verso la riforma dell’esame di abilitazione attualmente in discussione alla costituente dell’avvocatura istituita presso il Consiglio Nazionale Forense. Un sistema di accesso alla professione chiaro ed equo è essenziale per la crescita della nostra categoria”.

Per il presidente dei Giovani Avvocati, la proroga delle modalità dell’esame di abilitazione e il passaggio del voto minimo da 105 a 90 è un “risultato significativo, frutto di un impegno costante e della determinazione con cui AIGA ha portato avanti le istanze della giovane avvocatura, garantendo un futuro più solido e giusto per chi si affaccia alla professione legale”.

 

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mae

MAE: la protezione internazionale non è un ostacolo assoluto Il riconoscimento della protezione internazionale da parte di uno Stato membro dell’Unione europea non impedisce la consegna del cittadino straniero a un altro Stato membro che abbia emesso un regolare mandato d’arresto europeo

Mae e protezione internazionale

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 5793/2025, ha stabilito un principio di rilievo in materia di mandato d’arresto europeo (MAE) e protezione internazionale. Secondo i giudici di legittimità, il riconoscimento della protezione internazionale da parte di uno Stato membro dell’Unione europea non impedisce la consegna del cittadino straniero a un altro Stato membro che abbia emesso un regolare mandato d’arresto europeo.

Il caso esaminato dalla Cassazione

La vicenda trae origine dalla richiesta di consegna da parte della procura di Salonicco (Grecia) di un cittadino straniero residente in Italia, sulla base di un mandato d’arresto europeo emesso per il reato di tentato furto. L’uomo, tuttavia, aveva ottenuto in Italia lo status di rifugiato richiedente asilo politico e lavorava in Italia come aiuto cuoco. Da qui il ricorso al Palazzaccio, dove la difesa lamentava che la Corte di appello aveva negato lo status di rifugiato benchè dal permesso di soggiorno risultasse la richiesta di asilo politico. Inoltre, rappresentava che poichè l’uomo risiedeva e lavorava in Italia sussistevano “le ragioni per opporre il motivo di rifiuto facoltativo della consegna” per il suo interesse a che la pena fosse eseguita in Italia.

Protezione internazionale e MAE

La Cassazione, con la sentenza in esame, ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato.

A prescindere dalla carenza o meno della prova dello stato di rifugiato richiedente asilo politico deve rammentarsi, osservano i giudici, “che essendo il mandato d’arresto europeo un meccanismo di consegna che esplica i suoi effetti unicamente all’interno dell’area territoriale propria dell’Unione, il riconoscimento del diritto di protezione sussidiaria da parte dello Stato italiano non costituisce causa ostativa alla consegna ad altro paese dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 2 della legge 22 aprile 2005, n. 69”.

Non refoulement

Invero, “il rilievo che il consegnando non potrebbe fruire delle stesse garanzie costituzionali in tema di asilo è palesemente infondato, atteso che, da un lato, l’art. 33 della Convenzione di Ginevra sulla protezione dei rifugiati sancisce che il principio del ‘non refoulement’ riguarda soltanto i territori in cui la vita o la libertà del soggetto sarebbero minacciate a motivo della razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un gruppo sociale, opinioni politiche, e, dall’altro, lo status di asilo o di protezione internazionale attribuito nell’ambito dell’Unione europea ha natura uniforme ed è valido in tutti gli Stati Membri (Sez. 6, n. 9821 del 10/03/2021)”.

MAE: presupposti del rifiuto

Quanto al motivo di rifiuto correlato alla residenza la S.C. rileva l’assoluta genericità della doglianza atteso che alcun documento è stato sottoposto alla Corte di appello a dimostrazione del radicamento nel quinquennio nel territorio nazionale.
Al riguardo, osservano da piazza Cavour “che anche dopo la modifica dell’art. 18-bis per effetto del d.l. 13 giugno 2023 n. 69, convertito con modificazioni nella legge 10 agosto 2023 n. 103, in vigore dal 1 agosto 2023, il presupposto del motivo di rifiuto in esame, quanto alla durata minima della presenza stabile nel territorio nazionale, è rimasto immutato. La modifica ha riguardato, invero, solo l’ambito dei soggetti interessati, non più limitato al cittadino italiano o al cittadino di altro Stato membro, ma esteso a qualunque persona (senza attributo alcuno di cittadinanza) che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, sempre che al Corte stessa disponga l’esecuzione in Italia della pena o della misura di sicurezza per cui la consegna viene richiesta conformemente al diritto interno”.
In altri termini, “solo se la presenza sul territorio nazionale presenti i caratteri della stabilità e della durata non inferiore a cinque anni richiesti dal comma 2, sorge la necessità di giustificare il mancato esercizio della facoltà di avvalersi del motivo di rifiuto sulla base degli ulteriori indici specificati nel comma 2-bis cit.”.

Da qui l’inammissibilità del ricorso.

Allegati

passo carrabile

Passo carrabile Passo carrabile: guida completa sulla normativa, la richiesta, le voci di costo da sostenere e le sanzioni per chi trasgredisce

Cos’è il passo carrabile

Il passo carrabile, detto anche passo carraio, è un elemento fondamentale della viabilità urbana e privata. La sua regolamentazione è contenuta negli articoli 3 e 22 del Codice della Strada (Decreto legislativo n. 285/1992).

Articoli 3 e 22 del Codice della Strada

Il passo carrabile è l’accesso a un’area privata destinata alla sosta o al transito di veicoli dalla pubblica via. Si tratta di un’area che interrompe il marciapiede o la carreggiata e che richiede un’autorizzazione specifica per impedire la sosta dei veicoli davanti all’accesso.

L’articolo 3 del Codice della Strada lo definisce come “un accesso ad area laterale idonea al transito di veicoli” e l’articolo 22 stabilisce che la sua installazione è soggetta a specifica autorizzazione del Comune.

Come si richiede il passo carrabile e quanto costa

Per ottenerlo è necessario presentare una domanda al Comune di competenza, allegando:

  • modulo di richiesta fornito dal Comune;
  • planimetria dell’area privata con la posizione dell’accesso;
  • documentazione fotografica dello stato attuale;
  • dichiarazione di proprietà o consenso del proprietario.

L’autorizzazione è soggetta a valutazione tecnica da parte degli uffici comunali, che verificano la conformità urbanistica e la viabilistica dell’accesso.

Costi per l’autorizzazione

I costi variano in base al Comune e alla tipologia del passo carrabile. Le principali voci di spesa sono rappresentate:

  • dai diritti di segreteria, bolli, spese di istruttoria e sopralluogo;
  • dagli oneri per loccupazione di suolo pubblico (TOSAP o COSAP): il costo annuo dipende dalla metratura e dal regolamento comunale, anche se è bene sapere che alcuni Comuni hanno abolito questa tassa;
  • dal costo del cartello segnaletico;
  • dal costo eventualmente richiesto per la tassa di rinnovo annuale. 

Come deve essere il segnale di passo carrabile?

Il cartello è obbligatorio e deve rispettare le seguenti caratteristiche:

  • deve essere di forma rettangolare;
  • deve avere lo sfondo bianco con il bordo nero;
  • deve contenere la scritta “Passo carrabile” in nero, il numero dell’autorizzazione comunale, il Comune di rilascio e il simbolo del divieto di sosta (circolare con sfondo blu e barra rossa).

Il cartello deve essere ben visibile e posizionato frontalmente all’accesso. La mancanza del segnale rende inefficace il divieto di sosta.

Quali sono le multe per i trasgressori?

Il Codice della Strada all’art. 158, comma 5 prevede per chi parcheggia allo sbocco del passo carrabile;

  • multe da 41 a 168 euro (art. 158 CdS) per i ciclomotori e da 87 a 344 per i restanti veicoli;

Se il proprietario di un passo carrabile trova un veicolo in sosta irregolare, può chiamare la Polizia Municipale, che procederà all’irrogazione della sanzione e alla rimozione del mezzo.

 

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donazione indiretta

Donazione indiretta La donazione indiretta: cos’è, qual è normativa e come funziona, quali sono gli effetti e quale forma è richiesta

Cos’è la donazione indiretta

La donazione indiretta è una forma di liberalità che si realizza attraverso atti o negozi giuridici che, pur non avendo la forma tipica della donazione, producono effetti equivalenti. A differenza della donazione diretta, che richiede un atto formale e pubblico, la donazione indiretta si manifesta in operazioni quotidiane, come il pagamento di un debito altrui o l’acquisto di un bene intestato a un terzo.

Normativa di riferimento

La disciplina è rappresentata principalmente sull’articolo 809 del Codice Civile, il quale stabilisce che le liberalità che risultano da atti diversi dalla donazione sono soggette alle norme sulle donazioni nella misura in cui queste siano compatibili. Pertanto, le donazioni indirette devono rispettare le norme sulle donazioni in termini di revocabilità e impugnabilità, ma non necessitano della forma solenne richiesta per le donazioni dirette.

Come funziona la donazione indiretta

La donazione indiretta si realizza attraverso atti che comportano un arricchimento patrimoniale per il beneficiario senza un corrispettivo. Alcuni esempi comuni includono:

  • il pagamento di un debito altrui senza obbligo di rimborso;
  • l’acquisto di un bene intestato a un terzo;
  • la rinuncia a un diritto a favore di un altro soggetto.

L’elemento distintivo dell’istituto è l’animus donandi, ovvero l’intenzione di arricchire il beneficiario senza richiedere nulla in cambio.

Effetti della donazione indiretta

Gli effetti di questo tipo particolare di donazione sono simili a quelli della donazione diretta, in quanto comportano un arricchimento del beneficiario. Tuttavia, non essendo soggetta agli stessi requisiti formali, la donazione indiretta può essere più difficile da contestare. Tuttavia, resta soggetta alle norme in materia di revocazione per ingratitudine (art. 801 c.c.), sopravvenienza di figli (art. 803 c.c.) e riduzione per poter integrare la quota dovuta ai legittimari (art.  553 e s. C.c).

Forma della donazione indiretta

A differenza della donazione diretta, che richiede l’atto pubblico con la presenza di due testimoni (art. 782 c.c.), la donazione indiretta non è soggetta a forme particolari. Tuttavia, è consigliabile documentare adeguatamente l’operazione per evitare contestazioni future, soprattutto in ambito successorio.

Giurisprudenza recente

La giurisprudenza italiana ha spesso affrontato il tema delle donazioni indirette, chiarendo i confini e le implicazioni di tali atti. Ad esempio:

Cassazione n. 9379/2020: La donazione indiretta si realizza attraverso un atto che, pur non assumendo formalmente la veste di una donazione, è caratterizzato da uno spirito di liberalità e comporta un arricchimento gratuito del beneficiario. L’intento donativo, tuttavia, non è immediatamente evidente ma deve essere desunto indirettamente da un’attenta valutazione delle specifiche circostanze del caso concreto. Tale accertamento deve avvenire nel rispetto delle regole processuali, richiedendo che gli elementi probatori siano dedotti e dimostrati in modo corretto e tempestivo in giudizio.

Cassazione n° 7442/2024: in materia di imposta sulle donazioni, l’interpretazione dell’art. 56-bis del D. Lgs. implica che le liberalità diverse dalle donazioni formali – ovvero quegli atti che determinano un arricchimento del beneficiario a fronte di un impoverimento del donante, senza rispettare la forma solenne prevista dall’art. 760 c.c. – costituiscono espressione di capacità contributiva e, pertanto, sono soggette a tassazione. Sebbene non vi sia un obbligo di registrazione, tali liberalità possono essere accertate e assoggettate all’imposta qualora emergano da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti di accertamento tributario e superino le attuali soglie di esenzione.

Cassazione n. 16329/2024: se un soggetto acquista un immobile con denaro proprio, ma lo intesta a un’altra persona, che intende beneficiare, la compravendita funge da mero strumento per il trasferimento del bene. In tal caso, si configura una donazione indiretta dell’immobile stesso e non del denaro impiegato per l’acquisto.Tuttavia, non si può parlare di donazione indiretta dell’immobile se il donante contribuisce solo in parte al pagamento del prezzo. In questa circostanza, il trasferimento del denaro rappresenta un atto autonomo e non uno strumento per realizzare la liberalità dell’intero immobile, a meno che il disponente non ne sostenga integralmente il costo.

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patto commissorio

Patto commissorio Il patto commissorio: definizione, normativa e giurisprudenza, il divieto di cui all’art. 2744 del codice civile

Cos’è il patto commissorio

Il patto commissorio è un accordo stipulato tra creditore e debitore che prevede la possibilità per il creditore di acquisire automaticamente la proprietà di un bene dato in garanzia nel caso in cui il debitore non adempia alla propria obbligazione. Questo meccanismo consente al creditore di soddisfare il proprio credito senza dover ricorrere alle ordinarie procedure esecutive.

Normativa di riferimento

Il patto commissorio è disciplinato dall’articolo 2744 del codice civile italiano, che stabilisce il divieto di stipulare tali accordi. La norma recita: “È nullo il patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore”.

Questo divieto è finalizzato a proteggere il debitore da possibili abusi da parte del creditore, evitando che quest’ultimo possa appropriarsi di beni di valore superiore rispetto al credito vantato.

Come funziona

Il funzionamento del patto commissorio prevede che, in caso di inadempimento del debitore, il creditore acquisisca direttamente la proprietà del bene dato in garanzia, senza necessità di procedere a una valutazione del bene o a una procedura giudiziale. Tuttavia, questa pratica è vietata dalla legge italiana, rendendo nullo qualsiasi accordo che contempli tale meccanismo.

Il divieto del patto commissorio e le sue implicazioni

Il divieto sancito dall’art. 2744 c.c. ha importanti implicazioni pratiche:

  1. Tutela del debitore: Il divieto impedisce al creditore di ottenere un arricchimento ingiustificato a discapito del debitore.
  2. Necessità di procedure esecutive: In caso di inadempimento, il creditore deve ricorrere alle ordinarie procedure di esecuzione forzata per soddisfare il proprio credito.
  3. Nullità del patto: Qualsiasi patto che preveda il trasferimento automatico della proprietà del bene in caso di inadempimento è considerato nullo.

Differenza tra patto commissorio e patto marciano

A differenza del patto commissorio, il patto marciano è considerato lecito in quanto prevede la valutazione del bene al momento dell’inadempimento e la restituzione dell’eventuale eccedenza al debitore. Questo garantisce un equilibrio tra le parti, evitando l’appropriazione ingiusta del bene da parte del creditore.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza italiana ha spesso ribadito il divieto del patto commissorio e chiarito i suoi limiti applicativi:

  • Civ., Sez. III, n. 11545/2013: Ha ribadito che il divieto del patto commissorio si applica a tutte le forme di garanzia reale, inclusi pegno e ipoteca.
  • Civ., Sez. I, n. 19211/2017: Ha chiarito che anche gli accordi che, pur non configurandosi formalmente come patti commissori, ne riproducono gli effetti sono da considerarsi nulli.
  • Civ., Sez. II, n. 30214/2020: Ha stabilito che il divieto si applica anche ai contratti atipici che prevedono il trasferimento automatico della proprietà del bene in caso di inadempimento.