simulatore pensione inps

Simulatore pensione INPS: la mia Pensione Futura Simulatore pensione INPS: come funziona e come utilizzare il servizio offerto dall’istituto per sapere quando e con quale importo si potrà andare in pensione

Cos’è “La mia pensione INPS Futura”?

Simulatore pensione INPS: “La mia pensione INPS Futura” è un servizio online messo a disposizione dall’istituto che permette ai lavoratori di simulare l’importo della loro futura pensione in base ai contributi versati e alle normative vigenti. Lo strumento offre un’analisi personalizzata, aiutando gli utenti a pianificare con maggiore consapevolezza il loro futuro previdenziale.

A chi è riservato?

Il servizio è destinato ai lavoratori iscritti alle diverse gestioni previdenziali dell’INPS, inclusi:

  • Lavoratori dipendenti pubblici e privati;
  • Lavoratori autonomi e professionisti iscritti alla Gestione Separata;
  • Lavoratori iscritti a fondi pensione integrativi o complementari.

Come funziona il servizio

Per accedere a “La mia pensione INPS Futura”, gli utenti devono autenticarsi sul sito dell’INPS tramite:

  • SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale);
  • CIE (Carta d’Identità Elettronica);
  • CNS (Carta Nazionale dei Servizi).

Dopo l’accesso, il sistema fornisce:

  • Un calcolo stimato dell’assegno pensionistico basato sui contributi già versati;
  • Una simulazione della data di pensionamento in base alla normativa attuale;
  • Possibili scenari di contribuzione futura, permettendo agli utenti di valutare l’effetto di eventuali variazioni nella loro carriera lavorativa.

Il servizio “Pensami”: una simulazione semplificata

L’INPS mette a disposizione anche “Pensami“, un simulatore che consente di ottenere un’idea generale dell’età pensionabile e del possibile importo dell’assegno, senza la necessità di autenticarsi.

Il servizio è disponibile online sul sito dell’INPS e accessibile anche tramite l’app mobile INPS, offrendo una valutazione rapida basata sulle informazioni fornite direttamente dall’utente. Pensami permette di: ottenere una stima dell’età pensionabile e dell’importo della pensione, oltre che di esplorare diverse ipotesi di carriera lavorativa e contribuzione.

frontalini dei balconi

Frontalini dei balconi: cosa sono e chi paga le spese Frontalini dei balconi: definizione, disciplina condominiale dei balconi e ripartizione delle spese di manutenzione

Cosa sono i frontalini dei balconi

I frontalini sono le parti frontali verticali dei balconi, visibili sulla facciata dell’edificio. Essi rivestono sia una funzione estetica, contribuendo al decoro architettonico dell’immobile, sia una funzione protettiva, preservando la struttura del balcone dagli agenti atmosferici.

I frontalini dei balconi rappresentano un elemento architettonico spesso al centro di discussioni condominiali riguardanti la ripartizione delle spese di manutenzione. Comprendere la loro funzione e la relativa disciplina giuridica è fondamentale per la loro corretta gestione.

Disciplina dei balconi in condominio

Nel contesto condominiale, è essenziale distinguere tra due tipologie di balconi:

  • Balconi incassati: sono quelli integrati nel corpo dell’edificio, senza sporgenze rispetto alla facciata. La loro struttura funge da copertura per il piano inferiore e da sostegno per quello superiore.
  • Balconi aggettanti: sono invece quelli sporgono rispetto alla facciata dell’edificio e non svolgono una funzione di copertura per i piani sottostanti.

Questa distinzione è cruciale poiché influisce sulla proprietà e sulla ripartizione delle spese di manutenzione dei frontali.

Frontalini dei balconi: ripartizione spese condominiali

La giurisprudenza ha più volte affrontato la questione della ripartizione delle spese per la manutenzione dei frontalini dei balconi. In particolare, la Corte di Cassazione ha stabilito che:

  • i balconi aggettanti sono considerati prolungamenti dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva. Di conseguenza, le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei frontalini spettano al proprietario dell’appartamento;
  • se però i frontalini contribuiscono al decoro architettonico dell’edificio, le spese per la loro manutenzione possono essere ripartite tra tutti i condomini, in quanto rientrano tra le parti comuni.

Ad esempio, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6624/2012, ha affermato che “i balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. (Cass. n. 14576 del 30/07/2004; Cass. n. 587 del 12.1.11; Cass. n. 15913 del 17/07/2007).”

La Cassazione n. 27413/2018 ha confermato il principio suddetto affermando che:“gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio – come i cementi decorativi relativi ai frontali (ed ai parapetti) – svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all’intero edificio inserendosi nel suo prospetto, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117, n. 3, c.c., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno.”

 

Leggi anche Modiglioni: con funzione decorativa sono beni condominiali

porto d'armi

Porto d’armi: come si ottiene Guida all’ottenimento del porto d’armi, quali sono le tipologie, come si presenta la domanda, qual è la normativa di riferimento

Il porto d’armi: cos’è

Il porto d’armi è un’autorizzazione rilasciata dalle autorità competenti che consente ai cittadini di detenere e, in alcuni casi, portare armi da fuoco. In Italia, la normativa che disciplina il porto d’armi è principalmente contenuta nel Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) e nelle relative disposizioni attuative.

Normativa di riferimento

La disciplina del porto d’armi in Italia è regolata principalmente dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) e dalle relative disposizioni attuative. Nel corso degli anni, diverse modifiche legislative hanno aggiornato la materia, tra cui il Decreto Legislativo n. 104 del 2018, che ha recepito la Direttiva UE 2017/853, introducendo novità sia per il rilascio del porto d’armi per difesa personale sia per la detenzione di armi in casa.

Tipologie di porto d’armi

Esistono diverse tipologie di porto d’armi, ciascuna con specifiche finalità e requisiti:

  • Porto d’armi per difesa personale: autorizza il titolare a portare un’arma fuori dalla propria abitazione per difesa personale. Ha una validità di un anno ed è rilasciato dalla Prefettura.
  • Porto d’armi per uso sportivo: consente di detenere e utilizzare armi per attività sportive, come il tiro a segno o il tiro a volo. La licenza ha una validità di cinque anni ed è rilasciata dal Questore.
  • Porto d’armi per uso venatorio: permette di portare fucili da caccia durante la stagione venatoria. Anch’essa ha una validità di cinque anni ed è rilasciata dal Questore.
  • Licenza per collezione di armi: autorizza la detenzione di armi a scopo collezionistico, senza possibilità di utilizzarle. Questa licenza ha carattere permanente.

Procedura per la richiesta

La procedura per ottenere il porto d’armi varia in base alla tipologia richiesta, ma generalmente include i seguenti passaggi:

  1. Presentazione della domanda: la richiesta deve essere inoltrata all’autorità competente (Questura o Prefettura) utilizzando gli appositi moduli disponibili presso gli uffici di Polizia o Carabinieri.
  2. Requisiti del richiedente: è necessario essere maggiorenni, non avere precedenti penali e dimostrare l’idoneità psico-fisica attraverso certificati medici specifici.
  3. Documentazione aggiuntiva: a seconda della licenza richiesta, potrebbero essere necessari ulteriori documenti, come l’attestato di frequenza a corsi di tiro per uso sportivo o il tesserino venatorio per uso caccia.

Rinnovo del porto d’armi

Il rinnovo dell’autorizzazione deve essere richiesto prima della scadenza della licenza in possesso. La procedura è simile a quella per il primo rilascio e richiede la presentazione di una nuova domanda corredata dalla documentazione aggiornata. È fondamentale rispettare i termini di validità per evitare sanzioni o il ritiro dell’autorizzazione. Per la licenza ad uso sportivo o per quella di caccia esempio il rinnovo deve avvenire prima della scadenza dei 5 anni, per la difesa personale invece prima del decorso di un anno.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza italiana ha più volte affrontato temi legati al porto d’armi:

Corte di Cassazione n. 28320/2019: Il possesso di un’autorizzazione per il porto d’armi a fini sportivi non legittima il trasporto dell’arma per scopi differenti da quelli previsti dal provvedimento amministrativo.

Consiglio di Stato n. 6789/ 2020: La normativa sulle autorizzazioni di polizia, secondo gli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S., mira a impedire il rilascio del porto d’armi a persone che, per il loro passato, dimostrino scarsa affidabilità nel corretto utilizzo delle armi, rappresentando un potenziale rischio per la sicurezza pubblica. Tuttavia, è necessario che i precedenti del richiedente evidenzino una propensione alla violenza o all’uso improprio delle armi, tale da far prevedere, in via preventiva, un pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza altrui.

Consiglio di Stato n. 7545/2024 Il ritiro della licenza di detenzione di armi è legittimo in caso di abuso, come nello svolgimento illegale dell’attività venatoria, poiché qualsiasi elemento che generi dubbi sulla possibilità di un uso improprio delle armi giustifica l’intervento dell’autorità. In Italia, non esiste un diritto costituzionale al possesso di armi, ma vige un divieto generale, con la possibilità di concedere licenze solo a soggetti ritenuti pienamente affidabili. Il controllo amministrativo in questo ambito è particolarmente rigoroso, poiché mira a prevenire rischi per la sicurezza pubblica e l’incolumità dei cittadini. La concessione della licenza, quindi, è subordinata a un’attenta valutazione comparativa tra l’interesse del richiedente e il dovere dello Stato di garantire la sicurezza collettiva, con la tutela della pubblica incolumità che assume sempre un ruolo prioritario.

 

Leggi anche gli altri articoli del sito dedicati alle armi

compensi anche per le udienze

Avvocato: compensi anche per le udienze di mero rinvio All’avvocato d’ufficio spettano i compensi anche per le udienze di mero rinvio nel processo penale

Il diritto ai compensi per le udienze di rinvio

Al difensore d’ufficio spettano i compensi anche per le udienze di mero rinvio. Questa regola si applica anche nei casi in cui il rinvio sia stato disposto per la ricerca dell’imputato irreperibile. La presenza obbligatoria del difensore, infatti, comporta un’attività professionale che deve essere adeguatamente remunerata. Così la Cassazione, nella sentenza n. 4539/2025.

La vicenda

Nella vicenda, l’avvocato aveva chiesto al tribunale di Reggio Calabria, la liquidazione dei compensi e il rimborso delle spese in relazione all’attività difensiva d’ufficio svolta nell’interesse dell’imputato ammesso al gratuito patrocinio. Il tribunale rigettava la richiesta e, proposto ricorso in opposizione, anche questo veniva rigettato sul presupposto che il difensore avesse presenziato a quattro udienze di mero rinvio, che si erano rese necessarie per l’espletamento delle ricerche dell’imputato poi dichiarato irreperibile, e che erano escluse, in quanto tali, dalla liquidazione ai sensi dell’art. 12, comma 1, del D.M. n. 55/2014.

La questione approdava, quindi, in Cassazione, innanzi alla quale l’avvocato si doleva del rigetto dell’istanza di liquidazione onorari sul presupposto della mancanza di attività difensiva, senza, invece, considerare che nel processo penale vige il principio dell’obbligatorietà del diritto di difesa dalla quale discende l’obbligatorietà dell’attività difensiva, tanto più nel momento in cui il difensore sia nominato d’ufficio e quindi debba onorare un incarico avente natura pubblica, in virtù del quale è tenuto a presenziare anche alle udienze di mero rinvio, non celebrabili in assenza del difensore.

Compensi difensore d’ufficio

Per gli Ermellini, il motivo è fondato.

L’art. 117 d.P.R. n. 115 del 2002, premettono, stabilisce, infatti, al comma 1 che “L’onorario e le spese spettanti al difensore di ufficio della persona sottoposta alle indagini, dell’imputato o del condannato irreperibile sono liquidati dal magistrato nella misura e con le modalità previste dall’articolo 82”, ni virtù del quale “L’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa”.

Lo stesso art. 12 del d.m. n. 55 del 2014, stabilisce che li compenso si liquida per fasi, intendendosi con ciò la fase di studio, ivi compresa l’attività investigativa, la fase introduttiva del giudizio, la fase istruttoria o dibattimentale e la fase decisionale.

Per cui proseguono i giudici, “nessuno sbarramento è, dunque, imposto dal legislatore in ordine alla liquidazione spettante al difensore d’ufficio di persona irreperibile in relazione alla natura delle specifiche attività svolte, ossia all’an della spettanza dei compensi, incidendo le specifiche attività svolte soltanto sulla valutazione del quantum della pretesa, come evincibile dal ridetto art. 82, che richiama per l’appunto l’impegno professionale profuso nello svolgimento dell’incarico”.

Il DM 55/2014

Con riguardo a questo specifico aspetto, inoltre, l’art. 12, secondo capoverso, del d.m. n. 55 del 2014, fornisce ulteriori precisazioni, allorché stabilisce che “Ai fini della liquidazione del compenso spettante per l’attività penale […] si tiene altresì conto del numero di udienze, pubbliche o camerali, diverse da quelle di mero rinvio, e del tempo necessario all’espletamento delle attività medesime”, oltre naturalmente agli altri criteri specificati nella prima parte, ossia “delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della complessità del procedimento, della gravità e del numero delle imputazioni, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, dei contrasti giurisprudenziali, dell’autorità giudiziaria dinanzi cui si svolge la prestazione, della rilevanza patrimoniale, del numero dei documenti e degli atti da esaminare, della continuità dell’impegno anche in relazione alla frequenza di trasferimenti fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, nonché dell’esito ottenuto avuto anche riguardo alle conseguenze civili e alle condizioni finanziarie del cliente”.

Compensi anche per le udienze di mero rinvio

“Ciò comporta – affermano quindi da piazza Cavour – che la partecipazione ad udienze di mero rinvio non incide sull’esistenza del diritto al compenso, comunque dovuto ai sensi del terzo comma dell’art. 12 d.m. n. 55 del 2014, ma semmai sulla sola quantificazione dello stesso, in uno con gli ulteriori criteri meglio specificati nel comma 1 della predetta disposizione”.

Del resto, negli stessi termini si è già espressa la Cassazione, nell’interpretare li ridetto art. 12, comma 1, affermando, “che il tempo necessario per lo svolgimento della prestazione professionale rileva unicamente ai fini della quantificazione del compenso conseguentemente maturato, ma non può in alcun modo comportare che, in ragione della asserita brevità temporale di esecuzione della stessa, li compenso relativo possa essere addirittura negato (Cass., Sez. 6-2, 10/9/2020, n. 18791)”.

La decisione

Alla luce delle premesse svolte, dunque, ha errato il giudice di merito nel rigettare la pretesa liquidazione sul presupposto che le quattro udienze alle quali aveva partecipato il difensore fossero di mero rinvio, non soltanto perché non ha considerato che, nel processo penale, l’assistenza del difensore è sempre obbligatoria e che questi svolge attività anche solo con la sua necessaria presenza, ma anche perché, nella specie, i rinvii si erano resi necessari al fine di svolgere le ricerche dell’imputato irreperibile e attenevano, perciò, alla fase introduttiva del giudizio.

Peraltro, il giudice, concludono dalla S.C., avrebbe anche dovuto valutare quali ulteriori attività il difensore avesse avuto modo di compiere, anche tenendo conto del momento della nomina, se in udienza o fuori da essa.

In definitiva, il ricorso è fondato e l’ordinanza impugnata cassata con rinvio.

Allegati

casella pec piena

Casella pec piena: obbligo di secondo invio La Cassazione ha chiarito l'obbligo per la PA di effettuare un secondo invio della notifica in caso di casella pec piena

Casella pec piena

Casella pec piena: la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3703/2025, ha chiarito l’obbligo per la Pubblica Amministrazione di effettuare un secondo invio della notifica a mezzo PEC quando la casella del destinatario risulta satura. Non è invece necessario un secondo invio in caso di indirizzo non valido.

Il caso concreto

La vicenda trae origine dal ricorso di una contribuente contro un’intimazione di pagamento, contestando l’omessa notifica di alcune cartelle e sollevando l’eccezione di prescrizione e decadenza. La CTP ha accolto il ricorso, e la CTR ha respinto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, che ha poi ricorso in Cassazione.

Il principio stabilito dalla Cassazione

“In caso di notifica a mezzo PEC ex art. 60 D.P.R. 600/1973, ove l’indirizzo risulti non valido o inattivo, il completamento della notifica tramite deposito telematico e pubblicazione dell’avviso su InfoCamere, con successiva raccomandata, non richiede un secondo invio PEC, che è necessario solo in caso di casella satura al primo tentativo.”

Allegati

remissione di querela

Remissione di querela: guida e modello Remissione di querela: cos'è, quali sono le conseguenze e la giurisprudenza rilevante in materia

Cos’è la remissione di querela

La remissione di querela, disciplinata dall’art. 152 del Codice Penale, è l’atto con cui la persona offesa revoca la querela sporta per un reato perseguibile a querela di parte, provocando l’estinzione del reato. Questa facoltà è fondamentale nei procedimenti per reati minori, favorendo la composizione bonaria delle controversie.

Quando si può fare la remissione di querela

La remissione è possibile solo per i reati procedibili a querela di parte, come:

  • ingiuria (prima della depenalizzazione), diffamazione, lesioni lievi, violenza privata;
  • danneggiamento semplice, minacce non aggravate.

Essa può essere effettuata:

  • prima dell’inizio del processo o durante il processo, ma prima della condanna, ad eccezione dei casi previsti dalla legge;
  • in sede processuale o extraprocessuale in modo espresso o tacito (se il querelante compie atti incompatibili con la volontà di portare avanti la querela);
  • senza apporre alla stessa termini o condizioni, in essa però si può indicare la rinuncia al diritto di ottenere restituzioni e risarcimento del danno.

Conseguenze della remissione di querela:

  • estinzione del reato: il procedimento penale cessa;
  • impossibilità di riproporre la querela, in quanto l’atto è irrevocabile.

Accettazione della remissione

L’art. 155 c.p. stabilisce che:

  • la remissione non produce effetti se il querelato la ricusa in modo espresso o tacito;
  • se il querelato è un minore o un interdetto, non ha un rappresentante o è in conflitto con lo stesso, la remissione è accettata dal curatore speciale.

Giurisprudenza rilevante sulla remissione di querela

Di seguito alcune massime della Cassazione:

Cassazione n. 16375/2019

La rinuncia alla denuncia, una volta che la persona accusata l’ha formalmente accettata, porta alla chiusura del procedimento penale, annullando il reato. Questo effetto ha la precedenza su qualsiasi altra ragione di chiusura del caso. Se questa rinuncia avviene mentre il caso è in esame presso la Corte di Cassazione, i giudici devono obbligatoriamente dichiarare la fine del processo. La decisione di chiudere il caso per rinuncia alla denuncia cancella automaticamente tutte le condanne civili legate al reato.

Cassazione n. 35539/2021

“integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela (Sez. U, n. 31668 del 23/06/2016).

Cassazione n. 31832/2024

“Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.”

Cassazione n. 6031/2025

“ammissibile il ricorso per cassazione proposto anche al solo fine di introdurre nel processo la remissione della querela, ritualmente accettata, intervenuta dopo la sentenza impugnata e prima della scadenza del termine per la presentazione dell’impugnazione.”

Modello di remissione di querela

Oggetto: Remissione di querela
Spett.le Procura della Repubblica presso il Tribunale di [Città]
Io sottoscritto/a [Nome e Cognome], nato/a il [data] a [luogo], C.F. [codice fiscale], residente in [indirizzo], dichiaro di rimettere la querela sporta in data [inserire data] nei confronti del Sig./Sig.ra [Nome dell’imputato], nato/a il [data], per il reato di [indicare il reato] (art. [articolo c.p.]).
Dichiaro di essere consapevole che la remissione è irrevocabile e comporta l’estinzione del reato.
[Luogo, Data]
Firma: _____________________
Allega: copia del documento di identità.

 

 

Leggi anche: Il singolo condomino può proporre querela

certificato di residenza

Certificato di residenza: cos’è e a cosa serve Certificato di Residenza: cos'è, a cosa serve, qual è la normativa di riferimento, come ottenerlo online, tempi e costi

Cos’è il certificato di residenza

Il certificato di residenza è uno dei documenti ufficiali più richiesti in Italia. Si tratta di una dichiarazione che attesta ufficialmente l’indirizzo di residenza di una persona, ovvero il luogo in cui vive abitualmente, ed è rilasciato dal Comune di residenza. Il certificato riporta informazioni relative al nome, cognome, data e luogo di nascita, nonché l’indirizzo completo di residenza della persona richiesta.

Il certificato di residenza è diverso dal certificato di stato civile. Mentre il primo attesta il luogo di residenza, il secondo riguarda lo stato civile del richiedente (ad esempio se è celibe, sposato, divorziato, etc.).

Normativa di riferimento

Il rilascio del certificato di residenza è regolato principalmente dalla Legge 675/1996 e dal D.P.R. 223/1989, che disciplinano l’ordinamento delle anagrafi dei comuni italiani. L’articolo 1 del D.P.R. 223/1989 stabilisce che  “L’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza, nonché delle posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio.” Ogni soggetto quindi deve  dichiarare la propria residenza nel Comune in cui dimora abitualmente, e ogni Comune ha l’obbligo di raccogliere e aggiornare i dati relativi alla residenza.

Nel contesto delle modifiche recenti e dei tentativi di digitalizzazione dei servizi pubblici, l’art. 2 del Decreto legge n. 179/2012 sancisce l’istituzione dell’anagrafe nazionale della popolazione residente e l’introduzione dei servizi anagrafici online, permettendo ai cittadini di richiedere documenti come il certificato di residenza attraverso internet.

A cosa serve il certificato di residenza?

Il certificato di residenza è richiesto in numerosi casi nella vita quotidiana, tra cui:

  • iscrizioni scolastiche: alcune scuole richiedono il certificato di residenza per verificare la zona di residenza degli studenti;
  • pratiche burocratiche: per richieste di agevolazioni fiscali, iscrizioni a servizi pubblici o altre pratiche amministrative;
  • contratti e utenze: spesso è necessario per l’attivazione di contratti di fornitura di gas, luce, acqua, e anche per stipulare un contratto di locazione;
  • riconoscimento di benefici: in alcuni casi, come per l’accesso a bonus sociali o altre agevolazioni, è necessario comprovare la propria residenza;
  • cittadinanza e cittadinanza di famiglia: in alcune situazioni legate alla cittadinanza o allo stato civile, la residenza può essere un requisito fondamentale.

Come ottenere il certificato di residenza online

Oggi, grazie alla digitalizzazione dei servizi pubblici, è possibile ottenere il certificato di residenza online senza recarsi fisicamente presso gli uffici comunali.

Certificato di residenza online comune

Ogni Comune italiano ha attivato piattaforme che consentono la richiesta del certificato in modo semplice e rapido. Vediamo come fare:

  1. Accedere al sito del Comune di residenza: per prima cosa, è necessario collegarsi al sito web del Comune in cui si è registrata la propria residenza. La maggior parte dei Comuni ha una sezione “Servizi Online” o “Anagrafe” in cui è possibile richiedere vari certificati.
  2. Registrarsi al portale: alcuni Comuni richiedono una registrazione al portale online per poter usufruire dei servizi, che può comprendere la creazione di un account personale.
  3. Selezionare il servizio richiesto: all’interno della sezione anagrafica online, occorre cercare l’opzione per il rilascio del certificato di residenza. Solitamente, viene richiesto di specificare alcune informazioni, come i dati anagrafici e il motivo della richiesta.
  4. Autenticazione con SPID o CIE: molti Comuni richiedono l’autenticazione tramite SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) o CIE (Carta d’Identità Elettronica) per garantire l’identità dell’utente e la validità della richiesta.
  5. Ricezione del certificato: una volta effettuata la richiesta e completati i passaggi, il certificato verrà inviato in formato digitale (PDF) alla mail indicata o sarà disponibile per il download direttamente dalla piattaforma.
  6. Stampa e utilizzo: il certificato scaricato può essere stampato e utilizzato per tutte le necessità legali o amministrative.

La richiesta online del certificato di residenza è, nella maggior parte dei casi, gratuita. Tuttavia, alcuni Comuni per il rilascio del documento chiedono il costo del bollo e dei diritti di segreteria. I tempi di rilascio variano in base al Comune, ma di solito si riceve il certificato in pochi giorni, se non immediatamente, in formato digitale.

Certificato di residenza online ANPR

Il certificato di residenza può essere richiesto anche online sul sito dell’Anagrafe Nazionale (ANPR), sia singolarmente che insieme ad altre tipologie di certificato. Basta seguire le istruzioni guidate, a partire dalla sezione “Accedi ai servizi”, “Certificati” e poi selezionare tipologia, uso (ecc.) sino al completamento dell’operazione che consente di scaricare direttamente il documento o di riceverlo via mail o presso il proprio domicilio digitale. Il certificato è gratuito, se l’uso rientra tra i motivi di esenzione previsti dalla legge; in caso si debba richiedere un certificato in bollo, si dovrà procedere al pagamento dell’imposta di 16 euro.

I certificati anagrafici ottenuti attraverso l’ANPR hanno la stessa validità giuridica di quelli rilasciati presso gli sportelli anagrafici comunali.

Leggi anche: Residenza fiscale: i chiarimenti delle Entrate

polizza condominio

Polizza condominio anche senza unanimità Polizza condominio: la Cassazione sostiene che l'assemblea ha la facoltà di stipulare una polizza assicurativa senza unanimità dei consensi

Polizza condominio: cosa dice la Cassazione

L’assemblea condominiale ha la facoltà di stipulare una polizza assicurativa per la tutela legale senza l’unanimità dei consensi. Ciò perché la spesa rientra tra i costi relativi alla gestione comune dell’edificio e deve essere ripartita tra tutti i condomini. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4340/2025.

Il caso giuridico

Una condomina ha citato in giudizio il condominio per ottenere la dichiarazione di nullità o l’annullamento della delibera condominiale, con la quale veniva approvato l’addebito, nel bilancio condominiale, di un premio di € 1.688,91 per la stipula di una polizza assicurativa di tutela legale.
L’attrice sosteneva che tale spesa era lesiva del diritto individuale dei condomini, regolato dall’art. 1132 c.c., e deduceva che la delibera non rientrava nei poteri assembleari di cui all’art. 1135 c.c. Chiedeva, altresì, la condanna dell’indicato Condominio al risarcimento danni ex art. 96, co. 1 e 3, c.p.c.
Il giudice di pace adito respingeva la domanda che veniva rigettata anche in appello dal tribunale di Forlì, il quale richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11349/2022 e n. 23254/2021), sosteneva che l’assemblea condominiale, nei limiti dell’art. 1135 c.c., può validamente deliberare spese per coprire costi processuali inerenti le parti comuni, senza violare il diritto dei condomini dissenzienti.
La questione approdava quindi in Cassazione.

La decisione della Cassazione

Innanzi al Palazzaccio, la condomina si doleva che la delibera assembleare approvando la stipula di una polizza assicurativa di tutela legale, con addebito del premio a tutti i condomini, avesse violato li diritto dei dissenzienti previsto dall’art. 1132 c.c., che consente loro di estraniarsi dalle conseguenze delle liti deliberate dall’assemblea, eccedendo “i poteri dell’assemblea previsti dall’art. 1135 c.c., in quanto ha imposto un onere generalizzato anche sui condomini non partecipanti alle controversie, incidendo sui diritti individuali e determinando un aggravio economico ingiustificato”.

Per gli Ermellini, tuttavia, la donna ha torto. Richiamando l’orientamento univoco ormai espresso in più pronunce, la S.C. ha ribadito che “l’assemblea condominiale ha li potere di stipulare una polizza per la tutela legale nell’ambito della propria discrezionalità gestionale”.  Inoltre, “l’articolo 1132 del codice civile non può essere invocato per invalidare la stipula della polizza, poiché questa non impone ai condomini dissenzienti di contribuire alle spese processuali di una controversia specifica, ma ha una finalità più generale di tutela del condominio. Questa Corte ha sottolineato che le spese per la stipula della polizza devono essere ripartite tra tutti i condomini in base ai criteri stabiliti dall’articolo 1123 c.c., trattandosi di una spesa relativa alla gestione comune dell’edificio (cfr., per tutte, Cass. n. 23254/2021 e Cass.
п.11891/2024)”.
Il ricorso è quindi inammissibile.

Allegati

riforma disabilità

Riforma disabilità: l’INPS recepisce le nuove norme Riforma disabilità: l'istituto recepisce le nuove norme e annuncia le semplificazioni procedurali e l'allargamento della sperimentazione

Riforma Disabilità

Riforma disabilità: l’INPS annuncia il recepimento di importanti cambiamenti nel quadro della riforma, attuata dal decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62, e avviata in via sperimentale dal 1° gennaio 2025 in nove province italiane. Questa riforma, fortemente sostenuta dal Ministro Locatelli, mira a semplificare l’accertamento della disabilità e a migliorare l’esperienza degli utenti.
Tra le principali novità, si segnala l’introduzione di nuove funzionalità per facilitare la compilazione del certificato medico introduttivo, primo passo del processo valutativo. L’obiettivo è quello di ridurre i tempi burocratici, migliorando l’accesso alla documentazione e semplificando il ricorso alla firma digitale.

Tutorial disponibili e sperimentazione estesa

Tutorial informativi su allegazione documentazione sanitaria e firma digitale sono già disponibili online per guidare i medici certificatori.
Inoltre, il decreto “Milleproroghe” estende la sperimentazione ad altre 11 nuove province, portando così il numero complessivo a 20, e prolunga il periodo di test da 12 a 24 mesi. Queste modifiche garantiscono un periodo adeguato per valutare l’efficacia delle nuove disposizioni che partiranno poi sull’intero territorio nazionale da gennaio 2027.

Competenza esclusiva accertamento all’INPS

Un cambiamento significativo riguarda il passaggio della competenza esclusiva per l’accertamento della disabilità all’INPS, ora previsto per un anno dopo rispetto alla scadenza iniziale. Questo assicura che la visita per la disabilità sia gestita da un unico ente pubblico, snellendo il processo attraverso la trasmissione telematica del certificato medico.

creator digitali

Creator digitali: le linee guida Inps L'istituto ha pubblicato una circolare riguardante l'inquadramento previdenziale e contributivo dei creator digitali

Creator digitali: fisco e contributi

L’INPS ha pubblicato la circolare 19 febbraio 2025, n. 44 riguardante l’inquadramento previdenziale e contributivo dei creator digitali (DCC), un settore in rapida evoluzione che coinvolge soprattutto i giovani.

Il documento fornisce linee guida chiare e pratiche, per facilitare la gestione degli obblighi fiscali e contributivi legati a queste nuove professioni.

Adattare le norme alle professioni dell’economia digitale

L’obiettivo principale della circolare è quello di adattare le normative esistenti alle specifiche esigenze delle professioni legate all’economia digitale, che spesso sfuggono a schemi consolidati; essa descrive le caratteristiche distintive dell’attività di creazione di contenuti, le diverse modalità di svolgimento e remunerazione, e i vari rapporti di lavoro che possono sorgere tra i DCC, le aziende e le agenzie intermediarie.

Chi sono i creator digitali: dagli influencer ai pro gamer

Particolare attenzione è riservata alla figura del creator, che comprende influenceryoutuberstreamerpodcaster e pro gamer, con l’intento di fornire un quadro flessibile e comprensibile, che possa evolvere con il settore. La circolare non intende creare un elenco rigido di figure professionali, ma piuttosto stabilire principi comuni per inquadrare le diverse attività.

La disciplina previdenziale applicabile

La parte centrale del documento si concentra sulla disciplina previdenziale applicabile, affrontando l’inquadramento giuridico di queste professioni in mancanza di normative specifiche. L’Istituto utilizza criteri già esistenti per definire il regime previdenziale appropriato, esaminando variabili chiave come le modalità di attività e l’organizzazione del lavoro.
Inoltre, la circolare è stata elaborata con il coinvolgimento del mondo associativo di settore, garantendo che le osservazioni e le indicazioni dei professionisti siano state integrate nel testo.