cedolino della pensione

Cedolino della pensione: cos’è e come funziona Cedolino della pensione: documento che permette al pensionato di visionare la pensione mensile e conoscere i motivi di eventuali variazioni

Cedolino della pensione: il servizio INPS

Il cedolino della pensione è il documento che riporta tutta una serie di informazioni relative alla pensione che viene erogata mensilmente dall’INPS. Grazie a questo documento i pensionati possono controllare in particolare l’importo che l’INPS eroga ogni mese e, in presenza di eventuali variazioni, di conoscerne i motivi.

Contenuto del cedolino della pensione

Il cedolino della pensione è suddiviso graficamente in tre parti.

  1. Nella prima parte il documento contiene tutta una serie di informazioni di carattere generale.

In alto compare il numero della rata della pensione, la data a cui si riferisce il cedolino, l’importo in pagamento e la valuta. Il cedolino riporta poi i dati anagrafici del beneficiario e il suo codice fiscale.

Seguono le modalità di pagamento della pensione, ossia a mezzo conto corrente bancario o postale.

Il documento riporta poi i dati dell’Ufficio pagatore, seguito dallo stato del pagamento e dalla data della valuta. In ultimo compaio la categoria della pensione e il numero della prestazione.

  1. Nella seconda parte, il documento riporta invece i dati del cedolino, ossia:
  • la pensione lorda del mese di riferimento;
  • il contributo fisso EX-ONPI;
  • le trattenute IRPEF mensili sulla base delle aliquote in vigore;
  • le trattenute addizionali IRPEF regionali a debito dell’anno precedente;
  • le trattenute addizionali IRPEF comunali a debito del pensionato dell’anno precedente;
  • l’acconto dell’Addizionale IRPEF comunale;
  • l’eventuale contributo associativo del sindacato;
  • l’importo netto della pensione messo in pagamento’
  1. Nella terza e ultima parte del cedolino compare infine l’importo lordo dellIRPEF dovuta dal pensionato e le detrazioni di imposta applicate come quelle relative al lavoro, al nucleo familiare o al reddito.

Servizio Inps: come si usa

Per poter consultare il proprio cedolino mensile della pensione l’INPS ha messo a disposizione un servizio on line, disponibile 24 ore su 24, a cui si può accedere anche da un dispositivo mobile.

Nella homepage, scorrendo verso il basso, è disponibile un link che porta alla pagina descrittiva del cedolino in cui, a fondo pagina è presente l’accesso al servizio cliccando sulla voce “utilizza lo strumento”.

Cliccando su questo link compare la schermata del servizio a cui il pensionato potrà accedere previa autenticazione (SPID, PIN INPS, CIE, CNS).

Grazie alla formulazione di domande relative ai vari argomenti di interesse, il servizio consente di:

  • confrontare i cedolini;
  • visualizzare l’elenco dei vari prospetti di liquidazione;
  • gestire le deleghe sindacali;
  • vedere le comunicazioni INPS;
  • cambiare l’ufficio pagatore;
  • recuperare e stampare la certificazione unica;
  • visualizzare il riepilogo dei dati anagrafici e di pagamento;
  • chiedere il duplicato del libretto della pensione;
  • verificare i conguagli IRPEF;
  • gestire la cessione del Quinto;
  • recuperare gli indebiti;
  • verificare il bonus 14° e il bonus da 154 euro.

Aumentare l’importo della pensione

Dalla pagina che consente l’ accesso allo strumento del cedolino è possibile anche avvalersi di un consulente digitale per verificare se esistono le condizioni per avere diritto a prestazioni integrative per far aumentare l’importo della pensione.

Basta cliccare sulla voce “Approfondisci” contenuta nell’apposito riquadro in fondovalle pagina e si apre subito una pagina dedicata alla consulenza, dalla quale si può accedere allo strumento cliccando sulla voce “Utilizza lo strumento”. Subito si apre una pagina con una serie di domande a cui rispondere per la consulenza personalizzata sulla propria posizione pensionistica.

 

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amministratore di condominio

L’amministratore di condominio può essere un agente immobiliare Corte UE: l’amministrazione condominiale è un'attività compatibile con quella di mediazione immobiliare per il diritto UE

Corte UE: compatibili amministrazione condominiale e mediazione

La Corte UE nella decisione del 4 ottobre 2024 ha stabilito che lamministratore di condominio può fare anche lagente immobiliare. Il quadro normativo italiano prevede l’incompatibilità tra l’esercizio della professione di agente immobiliare e amministratore di condominio. Questo in contrasto con la Direttiva 2006/123/CE che nel considerando 101 prevede la necessità, a tutto vantaggio dei consumatori, che i prestatori di servizi “abbiano la possibilità di fornire servizi multidisciplinari”.

La vicenda

La vicenda che viene portata all’attenzione della Corte UE ha inizio perché un’impresa individuale svolge contemporaneamente l’attività di amministratore condominiale e di agente immobiliare. Il Ministero dello Sviluppo economico, in seguito a una denuncia, chiede alla Camera di commercio competente di effettuare delle verifiche per appurare l’eventuale esistenza di un’incompatibilità o conflitto di interessi tra l’attività e di mediazione e di amministrazione condominiale. La Camera di Commercio ritiene che l’impresa svolga due attività incompatibili, per cui le vieta l’esercizio dell’attività di mediatore immobiliare, iscrivendola nel registro economico e amministrativo degli amministratori di condominio. L’impresa ricorre al TAR, che respinge il ricorso ritenendo che gli immobili gestiti nell’ambito dell’attività di amministratore possono essere indebitamente favoriti rispetto a quelli disponibili sul mercato, con conseguenze quanto all’imparzialità di cui dovrebbe dar prova un mediatore immobiliare.”

Questione pregiudiziale presentata dal Consiglio di Stato alla Corte UE

L’impresa appella la decisione al Consiglio di Stato, che si rivolge alla Corte UE per chiedere la pronuncia pregiudiziale anche sull’interpretazione dell’art. 25 della Direttiva 2006/123/CE e dell’art. 59 della Direttiva 2005/36/CE. La Direttiva 2005/36/CE disciplina in particolare l’accesso alle professioni regolamentate e il loro esercizio disponendo che gli Stati debbano riconoscere le qualifiche professionali riconosciute in uno o più Stati, che permettono al titolare di esercitare la relativa professione, senza discriminazioni.

La Direttiva 2006/123 invece contempla in particolare la possibilità di poter offrire ai consumatori servizi multidisciplinari.

L’articolo 25 di questa Direttiva prevede infatti che: Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori non siano assoggettati a requisiti che li obblighino ad esercitare esclusivamente una determinata attività specifica o che limitino l’esercizio, congiunto o in associazione, di attività diverse.Tuttavia, tali requisiti possono essere imposti ai prestatori seguenti:

  1. le professioni regolamentate, nella misura in cui ciò sia giustificato per garantire il rispetto di norme di deontologia diverse in ragione della specificità di ciascuna professione, di cui è necessario garantire l’indipendenza e limparzialità;
  2. b) i prestatori che forniscono servizi di certificazione, di omologazione, di controllo, prova o collaudo tecnici, nella misura in cui ciò sia giustificato per assicurarne l’indipendenza e limparzialità.”

Mediazione immobiliare incompatibile con diverse attività

L’ordinamento italiano viola quanto sancito dall’articolo 25 della Direttiva 2006/123 perché l’articolo 5 della legge n. 39/1989 stabilisce diverse incompatibilità con lesercizio dellattività di mediazione. Questa attività risulta infatti incompatibile con:

  • lesercizio di attività imprenditoriale di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni afferenti al medesimo settore merceologico per il quale si esercita l’attività di mediazione; – con la qualità di dipendente di tale imprenditore;
  • con l’attività svolta in qualità di dipendente di ente pubblico o di dipendente o collaboratore di imprese esercenti i servizi finanziari di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59;
  • con l’esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l’attività di mediazione e comunque in situazioni di conflitto di interessi.”

Corte UE: l’amministratore di condominio può essere anche mediatore immobiliare

La Corte UE nell’interpretare l’art. 59 della Direttiva 2005/36 ritiene la questione pregiudiziale irricevibile. Quando procede all’interpretazione dell’art. 25 della Direttiva 2006/123 per verificare se questa disposizione osti a una normativa nazionale che preveda l’incompatibilità tra attività di mediazione e di amministrazione condominiale la Corte fornisce un importante chiarimento.

Per l’autorità giudiziaria europea infatti l’articolo 25 della Direttiva 2006/123/Ce che si occupa dei servizi nel mercato interno deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede, in via generale, un’incompatibilità tra l’attività di mediazione immobiliare e quella di amministratore di condomini, esercitate congiuntamente.”

 

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palmario

Palmario: componente aggiuntiva del compenso dell’avvocato Palmario: componente aggiuntiva o straordinaria o premio per l'importanza e la difficoltà della prestazione dell'avvocato

Che cos’è il palmario

Il palmario si identifica con il compenso che il cliente promette o riconosce all’avvocato in una misura determinata. Esso sostituisce l’onorario o si aggiunge allo stesso, nel caso in cui la controversia gestita dal legale, anche in sede stragiudiziale, si concluda positivamente. Il riconoscimento di una somma ulteriore che il cliente riconosce all’avvocato in base alla complessità dell’attività svolta o al risultato raggiunto deve scaturire da un accordo scritto.

Il palmario è un compenso legittimo. Le parti possono infatti convenire liberamente un compenso aggiuntivo rispetto all’onorario che spetterebbe al legale in base alle tariffe professionali.

Questa definizione è stata di recente confermata anche dalla Corte di Cassazione. Gli Ermellini infatti, nella sentenza n. 23738/2024 hanno sancito che il palmario rappresenta una quota aggiuntiva del compenso che il cliente riconosce all’avvocato se la lite si conclude con un esito favorevole. Questo a titolo di compenso straordinario o di premio collegato alla difficoltà e all’importanza della prestazione.

Il palmario non è un patto di quota lite

La definizione del palmario potrebbe creare un certa confusione con un altro tipo di accordo.In origine il comma 3 dell’articolo 2233 del Codice civile vietava il patto di quota lite.  

Dal 2006 al 2012: patto di quota lite consentito

Dal 2006 però il patto di quota lite è consentito. Questo in virtù delle  modifiche che l’articolo 2 del dl n. 223/2006 (convertito con modifiche dalla legge n. 248/2006) ha apportato al testo della norma.

Le modifiche hanno previsto in particolare l’abrogazione delle disposizioni che prevedevano il divieto di concordare compensi parametrati in base agli obiettivi raggiunti.

Il comma 3bis del decreto n. 223/2006, nel riscrivere   lultimo comma dellarticolo 2233 del codice civile, aveva stabilito che qualora il cliente e l’avvocato si fossero accordati per regolare i patti sui compensi professionali gli stessi avrebbero dovuto redigerli in forma scritta. Sotto la vigenza di questa norma quindi i patti tra cliente e avvocati erano liberi, purché redatti in forma scritta.

La legge professionale n. 247/2012 vieta di nuovo il patto

A queste modifiche è seguita poi quella dell’ordinamento della professione forense (legge n. 247/2012).

In base all’art. 13 comma 2 della legge professionale “Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale.”

Il comma 3 stabilisce invece che: “La pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.

Il comma 4 però dispone che: “Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.”

In base a questa norma, sono ammessi in sostanza solo i patti commisurati, anche in percentuale, al valore dell’affare mentre è vietato il patto di quota lite calcolato in base al risultato raggiunto.

Ratio del divieto del patto di quota lite

Il patto di quota lite evita commistioni inutili tra cliente e avvocato, che sarebbero presenti qualora il compenso fosse collegato anche solo in parte al risultato della lite. Questo accordo in effetti trasformerebbe il rapporto professionale in un rapporto associativo.

La Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 21420/2022 ha chiarito infatti che: “il divieto del cosiddetto “patto di quota lite” tra l’avvocato ed il cliente, sancito dalla norma di cui all’art. 2233 c.c., nella (…) trova il suo fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli. Ne consegue che il patto di quota lite va ravvisato non soltanto nell’ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione.”

Palmario e patto di quota lite a confronto

Dall’analisi effettuata emerge che il patto di quota lite e il palmario sono accordi assai diversi tra loro. La differenza principale tra questi due istituti è stata messa in evidenza dalla sentenza del Tribunale di Monza n. 247/2013. Essa ha infatti chiarito che il patto di quota lite è un contratto aleatorio. Il compenso infatti varia al variare dei benefici riconducibili all’esito favorevole della lite. La sua caratteristica principale è rappresentata dall’elemento di rischio. Il risultato da perseguire infatti non è certo nel quantum, ma soprattutto nell’an. L’aleatorietà è quindi il tratto distintivo che differenzia il patto di quota lite dal palmario.

 

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Avvocato molesta l’aspirante segretaria: quale sanzione? L'avvocato che molesta l'aspirante segretaria durante il colloquio merita una pena più severa dell'avvertimento

Avvocato molesta aspirante segretaria: giudizio disciplinare

Un avvocato molesta l’aspirante segretaria durante un colloquio. Lo stesso viene quindi condannato alla pena sospesa della reclusione di 9 mesi e allinterdizione dai pubblici uffici per la stessa durata. L’imputato avrebbe toccato con intenzioni inequivoche la mano e i fianchi della donna recatasi presso il suo studio per un colloquio di lavoro.

L’aspirante segretaria denuncia l’avvocato, che viene sottoposto anche a procedimento disciplinare. Il legale è ritenuto responsabile di aver violato i doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 comma 2 codice deontologico) e l’obbligo di comportarsi in modo da non compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi (art. 63 codice deontologico).

Per i suddetti motivi il Consiglio distrettuale di disciplina lo sanziona con la sanzione dell’avvertimento.

Avvertimento: pena inappropriata per l’avvocato molestatore

Il procuratore generale però impugna la decisione ritenendo inappropriata la sanzione irrogata.

Il CNF accoglie l’impugnazione e sanziona l’avvocato con la sospensione dallesercizio dellattività professionale per la durata di 6 mesi. Il Consiglio nazionale Forense ritiene che la condotta dell’avvocato abbia violato l’articolo 9 del Codice deontologico. La norma sancisce in particolare i doveri di dignità, probità e decoro. L’avvocato però non avrebbe violato l’articolo 63 comma 3 del Codice deontologico, ma la legge penale. Inappropriata quindi la sanzione dell’avvertimento prevista da quest’ultima norma.

Corretta la sospensione di 6 mesi per l’avvocato che molesta

L’avvocato impugna la decisione davanti alla Corte di Cassazione contestando la violazione dell’articolo 4 comma 2 del Codice deontologico che rimanda alla violazione consapevole della legge penale. Per il legale la rilevanza penale della condotta non lo avrebbe sottratto dall’applicazione dell’art. 63 del codice deontologico, ma avrebbe potuto comportare a suo carico l’applicazione delle aggravanti previste dall’articolo 22 comma 2 del codice deontologico.

Per le Sezioni Unite Civili della Cassazione (sentenza n. 26369/2024), il CNF ha individuato correttamente di sussumere la violenza sessuale nella previsione generale invece che in quella speciale. Rispetta la proporzione la decisione di non far rientrare un fatto sanzionabile penalmente nella previsione deontologica che sanziona la condotta   in misura più lieve. Conforme a misura anche la decisione di escludere l’applicazione dell’art. 63 del codice deontologico. In base alla tesi del ricorrente si finirebbe infatti per punire con l’avvertimento qualsiasi illecito extraprofessionale.

La Cassazione del resto afferma ormai da tempo che:il giudice disciplinare è libero di individuare l’esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali, quanto in diverse norme deontologiche o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme.”

Infondato il motivo con cui il ricorrente contesta la violazione dell’art. 653 c.p.c da parte del giudice penale. Se il giudice aveva infatti escluso l’aggravante contemplata dall’art. 61 n. 11 cp ossia di abuso di relazioni d’ufficio, il CNF ha disposto la sospensione semestrale dalla professione perché l’avvocato avrebbe tenuto la condotta sanzionata abusando della propria posizione di datore rispetto alla soggettiva sudditanza in cui si trovava l’aspirante impiegata al ruolo di segretaria.

Inammissibile infine il motivo con cui l’avvocato precisa che la sanzione della sospensione possa essere irrogata solo in due casi, ossia in presenza di comportamenti o responsabilità gravi o quando non sussistono ragioni per irrogare la censura. La correttezza della scelta della sanzione non è infatti censurabile in sede di legittimità.

 

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Decreto ingiuntivo: titolo inoppugnabile per ammissione al passivo Decreto ingiuntivo: inoppugnabile per l’ammissione al passivo se il giudizio si è estinto e sono decorsi i 10 giorni per il reclamo

Decreto ingiuntivo opposto e ammissione al passivo

Il decreto ingiuntivo opposto acquisisce efficacia di giudicato sostanziale e diventa titolo idoneo per l’ammissione al passivo del fallimento a condizione che il giudizio di opposizione si sia estinto e nel momento in cui viene emessa la sentenza di fallimento, il termine di 10 giorni per proporre il reclamo verso l’ordinanza di estinzione sia già decorso. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 22125/2024.

Titolo inidoneo se diventa definitivo dopo il fallimento

Una banca vorrebbe partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni immobili che la debitrice fallita ha ceduto a un’altra società fallita. Sui beni immobili la banca aveva iscritto un’ipoteca giudiziale in virtù di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Il giudice del fallimento ritiene rituale la domanda avanzata dalla banca. Costui però la respinge perché l’ipoteca si fonderebbe su un decreto ingiuntivo, che è stato dichiarato esecutivo in via definitiva dopo il fallimento delle due società, quella cedente e quella cessionaria.  

Decreto ingiuntivo definitivo dopo il fallimento: ipoteca inopponibile

La banca presenta la sua opposizione al fallimento ai sensi dell’art. 98 della legge fallimentare. Il Tribunale però la respinge per due ragioni.

  • Il titolare di ipoteca non può avvalersi del procedimento di verifica del passivo nella procedura fallimentare. Occorre instaurare un contraddittorio con il debitore e far valere il suo diritto nelle modalità previste dagli articoli 602-604 c.p.c.
  • L’ipoteca giudiziale non è opponibile al fallimento perché il decreto è diventato esecutivo in via definitiva dopo il fallimento.

Titolo definitivo dopo l’estinzione dell’opposizione

La banca ricorre quindi in Cassazione per contestare le ragioni del rigetto.

Nel primo motivo precisa di aver presentato una domanda di partecipazione al riparto di quanto ricavato dalla vendita degli immobili.

Con il secondo motivo invece chiarisce che il decreto ingiuntivo è diventato esecutivo in via definitiva dopo l’estinzione del giudizio di opposizione a causa della mancata riassunzione del giudizio da parte del curatore fallimentare.

Decreto ingiuntivo, giudicato sostanziale e ammissione al passivo

La Corte, nel respingere il primo motivo di doglianza richiama la Cassazione a sezioni unite n. 8557/2023 e i principi in essa sanciti ossia che “i creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito (…) possono (…)  intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell’attivo, per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati in loro favore.” 

Nell’accogliere il secondo motivo invece la Cassazione spiega che il decreto ingiuntivo della banca ricorrente è divenuto definitivo nei confronti della debitrice principale con la sentenza con cui il tribunale ha dichiarato estinto il giudizio di opposizione, prima della dichiarazione di fallimento della società a cui la debitrice principale aveva ceduto i propri immobili a cui quindi doveva ritenersi opponibile.

Decreto ingiuntivo opposto dal debitore fallito

L’ordinanza n. 9933/2018 della Cassazione sul punto aveva precisato che: il decreto ingiuntivo che sia stato opposto dal debitore poi fallito è opponibile alla massa fallimentare, a condizione che sia stata pronunciata sentenza di rigetto dell’opposizione, ovvero ordinanza di estinzione, divenute non più impugnabili – per decorso del relativo termine – prima della dichiarazione di fallimento, restando irrilevante che con i detti provvedimenti sia stata dichiarata l’esecutorietà del decreto monitorio, ex art. 653 c.p.c., ovvero che sia stato pronunciato, prima dell’apertura del concorso tra i creditori, il decreto di esecutività di cui all’art. 654 c.p.c.” 

Alla luce di questa e di altre decisioni  ribadisci Ermellini sanciscono infine che “il decreto ingiuntivo, in caso di opposizione, acquista efficacia di giudicato sostanziale idoneo a costituire titolo inoppugnabile per l’ammissione al passivo, purché il relativo giudizio si sia estinto e, al momento della sentenza di fallimento, sia già decorso il termine di dieci giorni per proporre reclamo avverso l’ordinanza di estinzione.”

 

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delega unica agli intermediari

Delega unica agli intermediari Delega unica agli intermediari: pubblicato il provvedimento sul modello unico di delega e fornisce le istruzioni per la sua comunicazione

Delega unica agli intermediari: il modello

Arriva la delega unica agli intermediari. Il Direttore dell’Agenzia delle Entrate con il provvedimento del 2 ottobre 2024 protocollo n. 0375356/2024 attua l’articolo 21 del decreto legislativo n. 1/2024 sul modello unico di delega previsto per gli intermediari al fine di accedere ai servizi online dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione.

Modello unico di delega per l’accesso: art. 21

  • L’articolo 21 che il provvedimento del Direttore attua dispone infatti che il contribuente possa delegare gli intermediari previsti dall’ 3, comma 3 del DPR n. 322/1998 all’utilizzo dei servizi messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate e dall’Agenzia delle Entrate Riscossione, compilando un modello unico.

Trattasi in particolare dei seguenti intermediari:

  • gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, ragionieri, periti commerciali e consulenti del lavoro; 
  • i soggetti iscritti al 30.09.1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria;
  • le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori indicate nell’articolo 32, comma 1, lettere a)b)c), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché quelle che associano soggetti appartenenti a minoranze etnico-linguistiche;
  • i centri di assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati;
  • gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.”

La delega deve indicare specificamente quali tipi di servizi intende delegare.

Contenuto della delega unica

La delega deve contenere determinati dati e informazioni:

  • codice fiscale, dati anagrafici del delegante e dell’intermediario;
  • servizi online che il delegante vuole delegare o revocare;
  • data della delega o della revoca.

Servizi che possono essere delegati

Il punto 4 del provvedimento precisa quali servizi è possibile delegare agli intermediari:

– consultazione del Cassetto fiscale delegato;

– uno o più servizi relativi alla Fatturazione elettronica/corrispettivi telematici, ovvero:

  1. consultazione e acquisizione delle fatture elettroniche o dei loro duplicati informatici,
  2. consultazione dei dati rilevanti ai fini IVA,
  3. registrazione dell’indirizzo telematico,
  4. fatturazione elettronica e conservazione delle fatture elettroniche,
  5. accreditamento e censimento dispositivi;

– acquisizione dei dati ISA e di quelli per la determinazione della proposta di concordato preventivo biennale;

-servizi online dell’area riservata dell’Agenzia delle entrate Riscossione.

Delega unica: conferimento, durata, rinnovo, revoca e rinuncia

La delega può essere conferita, al massimo, a due intermediari. In questo caso occorrono due comunicazioni distinte all’Agenzia delle Entrate.

Come anticipato la delega dura fino al 31 dicembre del 4° anno successivo a quello in cui la stessa viene conferita. Il delegante però può sempre revocarla così come il delegato rinunciarvi.

La delega può essere rinnovata se non è ancora scaduta e se non ci sono variazioni. La comunicazione del rinnovo deve essere eseguita a partire dal 90° giorno antecedente la scadenza originaria. Il rinnovo non causa la revoca della delega, ma ne prolunga l’efficacia a partire dal giorno successivo a quello della scadenza originaria.

Il delegante può revocare la delega e comunicarlo direttamente. A questo adempimento può provvedere anche l’intermediario.

La delega è revocata anche in caso di variazione di uno o più dati, questo comporta l’attivazione di una nuova delega con i dati nuovi e la scadenza in questo caso decorre dalla data di attivazione di quella nuova.

La rinuncia alla delega da parte dell’intermediario è comunicata dallo stesso tramite apposita modalità web presente all’interno della sua area riservata ed è immediatamente efficace.

Comunicazione della delega unica

La comunicazione dei dati della delega all’Agenzia è necessaria per l’attivazione. La comunicazione può essere fatta dal contribuente delegante dalla sua area riservata o dall’intermediario tramite la trasmissione di un file xml sottoscritto con firma digitale, FEA CIE o FEA (firma elettronica avanzata).

La comunicazione può essere effettuata inoltre tramite un sevizio web specifico per il conferimento della delega dopo apposita convenzione tra intermediario e Agenzia.

Leggi le specifiche tecniche per la comunicazione dei dati relativi alla delega unica

Obblighi intermediario

L’intermediario delegato può utilizzare i servizi delegati previa accettazione. Con l’accettazione esso di impegna a utilizzare le informazioni del contribuente per le finalità della delega. Il delegato deve poi conservare le deleghe e i documenti a queste collegati fino al 10° anno successivo.

Essi devono tenere inoltre un registro in cui annotare le deleghe e dati specifici.

L’Agenzia può effettuare dei controlli presso gli intermediari. In presenza di irregolarità nella gestione delle deleghe o delle loro revoche l’Agenzia può procedere alla revoca, fatta salva la responsabilità civile e l’applicazione di sanzioni penali.

 

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licenziato il dipendente scortese

Licenziato il dipendente scortese con i clienti Licenziato il dipendente scortese con il cliente anziano se per la modalità della condotta non è possibile proseguire il rapporto

Licenziamento del dipendente per condotta col cliente

Licenziato il dipendente scortese con i clienti, che invece di chiedere scusa prosegue il diverbio con toni sempre più accesi. Questa la decisione della Corte di Cassazione contenuta nell’ordinanza n. 26440/2024, che nel respingere il ricorso del dipendente gli contesta di non aver sollevato critiche specifiche alla decisione della Corte di appello. L’art. 2119 c.c. che contempla il licenziamento per giusta guisa contempla la clausola generale in base alla quale “qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” di lavoro.

Dipendente scortese con un cliente anziano

Una società licenzia un suo dipendente. Costui impugna il licenziamento disciplinare e il giudice di primo grado accoglie le sue richieste. In sede di appello però la Corte accoglie il reclamo della S.R.L. La datrice contesta all’addetto al banco macelleria di essersi rivolto in maniera sgarbata, scurrile e volgare a un cliente di una certa età. La condotta è grave perché il dipendente, invece di chiedere scusa, ha proseguito il diverbio con toni accessi sempre crescenti, dando vita uno spettacolo indecoroso e preoccupante.

Per la datrice il lavoratore ha violato l’art. 215 del c.c.n.l, che punisce le gravi violazioni degli obblighi previsti dall’art. 210, tra i quali è presente quello di “usare modi cortesi con pubblico e di tenere una condotta conforme ai civici doveri.” La società datrice nel licenziare il dipendente tiene conto anche di altre violazioni disciplinari, dalle quali emerge disprezzo delle regole. È evidente che una condotta simile non consente alla datrice di proseguire il rapporto.

Insussistenza dei motivi che impediscono di proseguire il rapporto

Il dipendente ricorre in Cassazione sollevando 5 motivi di doglianza. Con il primo contesta l’inattendibilità del cliente perché costui ha omesso di riportare la frase esatta che lo stesso gli ha rivolto. Nel secondo sottolinea l’età di soli 67 anni del cliente e l’atteggiamento tutt’altro che remissivo dello stesso. Nel terzo critica la rilevanza dei gesti che gli sono stati contestati, come lo spostamento della bilancia e il tentativo di colpire il cliente in pieno viso con uno schiaffo. Con il quarto dimostra il proprio disappunto sulle affermazioni della datrice relative alle precedenti condotte che avrebbe tenuto sul posto di lavoro. Con il quinto infine si oppone all’affermata violazione delle norme del c.c.n.l riportate dalla datrice. La Corte d’appello non ha preso della dovuta considerazione i profili oggettivi e soggettivi dei fatti, ossia l’intenzionalità, la condotta arrogante della controparte e l’assenza di altri clienti al momento dei fatti. Tali elementi, valutati nel loro complesso,  denotano in particolare la scarsa offensività della condotta per l’immagine della datrice.

Giusta causa di licenziamento

La Cassazione decide di trattare congiuntamente tutti i motivi del ricorso per valutare la sussistenza dei fatti, l’integrazione della giusta causa del recesso e la proporzionalità della sanzione irrogata.

La Suprema Corte, alla luce di quanto emerso nei precedenti gradi di merito, rigetta il ricorso del dipendente. Per prima cosa gli Ermellini precisano di non aver il potere di riesaminare la vicenda processuale nel merito. Essi possono solo verificare la correttezza delle argomentazioni del giudice dal punto di vista logico e giuridico. La Cassazione non rileva poi alcuna violazione delle norme sull’onere probatorio. Per quanto riguarda invece la rilevanza della condotta del dipendente dal punto di vista disciplinare la suprema corte ricorda di aver affermato in diverse occasioni che la giusta causa di licenziamento sussiste quando il fatto commesso non permette la prosecuzione del rapporto in base alla valutazione del giudice di merito, che nel compiere questa operazione deve rispettare anche clausole generali come quella contenuta nell’art. 2119 c.c, che fa riferimento alla “causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.”

Tale critica però non è sempre consentita. La Cassazione può sindacare l’attività integrazione del precetto contenuto dall’art. 2119 cc se la censura è generica, come nel caso di specie. Il ricorrente infatti non identifica nel ricorso i parametri integrativi della clausola contenuta nell’art. 2119 c.c, che la corte d’appello avrebbe violato. Lo stesso si limita solo a sollecitare una rivisitazione dei fatti e a ribadire l’inesistenza di una giusta causa di licenziamento.

 

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cid digitale

CID digitale: sostituirà quello cartaceo? Un CID digitale in sostituzione di quello cartaceo. E' la proposta dell'IVASS ma associazioni e periti segnalano le problematiche

Arriva il CID digitale

Il CID digitale rimpiazzerà quello cartaceo? Al momento non c’è nulla di certo, è solo un’ipotesi. L’Ivass sta pensando di apportare questa modifica in sede di revisione del regolamento Isvap n. 13/2008. In questo modo non sarebbe più necessario compilare il modulo blu cartaceo. La denuncia di sinistro potrà essere effettuata avvalendosi di applicazioni mobile o web.

L’obiettivo è quello di semplificare la normativa e di renderla omogenea rispetto alla dematerializzazione del contrassegno e alla digitalizzazione di diversi documenti assicurativi.

CID Digitale: le associazioni dei consumatori e i periti dicono no

Le associazioni dei consumatori, ma anche i periti assicurativi non ritengono che il CID digitale sia una novità da accogliere con favore. Essi riscontrano infatti numerosi rischi nell’adozione del CID digitale. A preoccupare è soprattutto la tutela della privacy. In presenza di feriti potrebbe essere necessario inserire nel modulo i dati sensibili di natura sanitaria di questi soggetti.

C’è però un altro problema, di non poco conto. In Italia il modulo blu è documento molto utile perché  se viene firmato da tutti i soggetti coinvolti nel sinistro significa che tutti concordano sulla dinamica del sinistro. In questo modo le assicurazioni hanno la possibilità di gestire il sinistro in tempi decisamente più rapidi. Qualora dovesse essere introdotto il CID digitale il rischio è che, in caso di sinistro, soggetti poco “tecnologici” si scoraggino e non si dimostrano disponibili a firmare l’accordo sulla dinamica.

Anche i periti hanno manifestato gli stessi dubbi. I periti che fanno parte dell’Aiped (Associazione nazionale periti estimatori danni) ritengono che a oggi non tutti gli utenti della strada hanno le competenze necessarie per poter utilizzare un’applicazione. Quando si verifica un sinistro, nessuno dei soggetti coinvolti dovrebbe trovarsi in una condizione di svantaggio rispetto agli altri solo perché ha una minore competenza digitale.

CID digitale: meglio la doppia opzione

Le associazioni, alla luce di tutti i dubbi sollevati sul possibile inserimento del CID digitale, propongono la doppia opzione. Le assicurazioni devono essere obbligate a consegnare al cliente il modulo di constatazione amichevole in formato cartaceo. Il CID digitale dovrebbe rappresentare solo un’opzione, ma dovrebbe essere fornito da un terzo soggetto, per evitare che, qualora il cliente cambi compagnia, sia costretto a scaricare  una nuova e diversa applicazione.

Non si può trascurare inoltre il fatto che un applicazione scaricata sul telefono potrebbe presentare problemi a causa della mancata copertura. Il contraente dovrebbe essere lasciato libero, nell’immediatezza di un sinistro, ossia in un momento impegnativo anche dal punto di vista emotivo, di scegliere il metodo che lo faccia sentire più a suo agio.

CID o CAI? Facciamo chiarezza

Il vecchio CID, acronimo di Convenzione Indennizzo Diretto, noto anche come modulo blu, è un termine che viene ancora utilizzato, ma in modo improprio. Il modulo di cui stiamo parlando in realtà è il CAI, acronimo di Constatazione Amichevole di Incidente, che ha preso il posto del vecchio CID.

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cannabis light

Cannabis light: il ddl sicurezza la vieta Cannabis light: il ddl sicurezza non punisce la produzione agroindustriale, vuole contrastare il commercio delle inflorescenze e dei derivati

Cannabis light: vietata per motivi di sicurezza pubblica

Il ddl-sicurezza, in attesa dell’approvazione definitiva in Senato, modifica la disciplina sulla cannabis light. Il disegno interviene sulla legge n. 242/2016, che promuove la coltivazione e la filiera agroindustriale della canapa per contrastare la criminalità e le condotte pericolose per la sicurezza pubblica.

Le modifiche alla legge n. 242/2016, apportate dall’art. 18, comma 1, sono precedute infatti da un’importante premessa: “Al fine di evitare che l’assunzione di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.) o contenenti tali infio­rescenze possa favorire, attraverso altera­zioni dello stato psicofisico del soggetto as­suntore, comportamenti che espongano a ri­schio la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale.”

Cannabis light: come cambiano gli artt. 1 e 2 della l. n. 242/2016

Le due norme su cui interviene il disegno di legge sono gli articoli 1 e 2 della legge n. 242/2016. Questo il tenore letterale che potrebbero assumere le disposizioni delle due norme, prestando attenzione soprattutto ai termini in grassetto.

Articolo 1 Legge n. 242/2016

  1. La presente legge reca norme per il sostegno e la promozione della coltivazione della filiera industriale della canapa (Cannabis sativa.)”
  2. Il sostegno e la promozione riguardano la coltura della canapa finalizzata:
  3. a) alla coltivazione e alla trasformazione;
  4. b) all’incentivazione della realizzazione di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente locali per gli usi consentiti dalla legge.

3 bis. Le disposizioni della presente legge non si applicano allimportazione, alla lavorazione, alla detenzione, alla cessione, alla distribuzione, al commercio, al trasporto, allinvio, alla spedizione, alla consegna, alla vendita al pubblico e al consumo di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, o contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati. Restano ferme le disposizioni del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.” 

Con queste novità in pratica il ddl specifica che le misure di sostegno e di promozione previste dalla legge stessa riguardano solo la filiera industriale e si rivolgono esclusivamente alla coltura della canapa con comprovate finalità alle attività previste dalla legge.

Tra le varie finalità di sostegno e promozione della canapa il ddl elimina l’impiego e il consumo dei semilavorati, finalizzando la realizzazione dei semilavorati solo agli usi consentiti dalla legge.

Il ddl chiarisce infine che la legge n. 242/2016 non si applica a quanto specifica nel nuovo comma 3 bis.

Articolo 2 Legge 242/2016

“Dalla canapa coltivata ai sensi del comma 1 (ossia senza autorizzazione per le varietà indicate nellarticolo 1) è possibile ottenere:

  1. g)  coltivazioni destinate al florovivaismo

3bis. Sono vietati limportazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, linvio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa coltivata ai sensi del comma 1 del presente articolo, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati. Si applicano le disposizioni sanzionatorie previste dal titolo VIII del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.” 

Con queste modifiche il ddl precisa che la coltivazione della canapa non necessita di autorizzazione se dalla stessa si ottengono prodotti destinati al florovivaismo professionale.

Nel nuovo comma 3 bis invece sancisce i divieti delle attività elencate relative alle infiorescenze della canapa coltivata anche in forma semilavorata, ecc.

Cannabis light: il divieto preoccupa le associazioni di categoria

Le associazioni di categoria si dicono preoccupate della modifica che rende illegali le infiorescenze della canapa e i suoi derivati. Si tratta di una misura che mette a rischio anche i settori collegati a questi prodotto, soprattutto quello alimentare e quello tessile. Molte imprese, gestite soprattutto da giovani imprenditori, tra cui molte donne, hanno investito energie e risorse in queste attività commerciale e in quelle collegate.

Dipartimento delle Politiche antidroga: chiarimenti

Il Dipartimento competente però non ha tardato a fornire importanti chiarimenti sulle misure del ddl relative alla cannabis light.

Il ddl non vuole criminalizzare la coltivazione e la filiera agro industriale della canapa. Esso mira a contrastare più che altro la produzione e la commercializzazione delle inflorescenze e dei suoi derivati per uso ricreativo praticata dai cannabis shop. A causa di queste attività infatti, nella società si è diffusa, a torto, l’idea della legalizzazione della cannabis light. Ciò che il decreto vuole contrastare quindi è solo l’uso improprio di queste sostanze e tutte quelle condotte degli assuntori che, in stato di alterazione psico fisica, possono mettere a rischio l’incolumità e la sicurezza pubblica.

 

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referendum autonomia differenziata

Referendum autonomia differenziata Referendum autonomia differenziata: la raccolta firme, il quesito, le ragioni dell'iniziativa e i tempi della procedura

Referendum sull’autonomia differenziata

Il 20 e il 21 luglio 2024 è iniziata la campagna per la raccolta delle firme del referendum abrogativo della legge sulla autonomia differenziata n. 86/2024. Il referendum è stato promosso da un comitato referendario variegato. In esso si sono riunite diverse forse sociali, politiche e associative. Le firme necessarie per sostenete l’iniziativa erano 500.000, ma il risultato è stato raggiunto ampiamente grazie all’istituzione della piattaforma gratuita e pubblica dedicata.

Ragioni del referendum

Le ragioni della proposta di referendum contro l’autonomia differenziata dei rinvenirsi nell’approvazione della legge sulla autonomia differenziata n. 86/2024. Questa legge, proposta dal Ministro Calderoli, è considerata da molti un vero e proprio attacco ai principi della Costituzione. La previsione di livelli differenziati di autonomia tra regioni mette in pericolo l’unità e provoca danni al Nord Italia e al Sud Italia dal punto di vista economico, ambientale, sanitario, scolastico e lavorativo.

Le altre iniziative referendarie

La legge sull’autonomia differenziata è contestata anche a livello regionale. In Trentino ad esempio sono state avviate iniziative di sensibilizzazione dell’elettorato che andrà a votare. In Emilia Romagna invece sono stati votati due quesiti referendari. La regione Toscana ha invece fatto ricorso alla Corte Costituzionale per chiedere che la legge n. 86/2024 venga dichiarata incostituzionale. La regione Campania ha seguito l’esempio della Toscana, così come la Puglia.

Sulle questioni di legittimità costituzionale delle Regioni leggi “Autonomia differenziata: la Consulta ha fissato l’udienza

Legambiente dice no alla legge e promuove il referendum abrogativo. L’autonomia differenziata creerebbe divari territoriali anche in tema di accesso alle risorse naturali. Dello stesso avviso il WWF. La materia ambientale rientra infatti tra quelle che si prestano meno di altre a una frammentazione.

Il quesito referendario

Il quesito del referendum sull’autonomia differenziata è semplice e diretto: “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”?

Criticità della legge n. 86/2024

Diversi costituzionalisti hanno preso posizione sulla legge del Ministro Calderoni. L’appello è presente sul sito dedicato referendumautunomiadifferenziata.com.

Nell’appello i costituzionalisti esaminano la legge n. 86/2024 e la  confrontano con le norme della Costituzione dedicate all’autonomia regionale: articoli 116 e 117.

Effettuata la disamina i costituzionalisti giungono alla conclusione che la realizzazione dell’autonomia differenziata sacrificherebbe l’uguaglianza e l’uniformità dei diritti fondamentali dei cittadini italiani. Tutto questo si pone in contrasto con la necessità di creare  forme di autonomie più efficienti e capaci di soddisfare le esigenze reali dei cittadini.

Referendum autonomia differenziata: i tempi

La legge n. 352/1970, che disciplina i referendum previsti dalla Costituzione detta anche i tempi del procedimento.

Conclusa la raccolta delle firme è necessario procedere al deposito dei fogli che contengono le firme presso la cancelleria della Corte di Cassazione. Questo adempimento deve essere rispettato nel termine di 3 mesi, che decorrono dalla data di apposizione del timbro sui fogli stessi da parte di almeno tre dei promotori.

L’ufficio centrale della Cassazione esamina alla richiesta referendaria ed entro il 31 ottobre emette un’ordinanza. In presenza di irregolarità, l’ufficio notifica il provvedimento per consentire la presentazione di memorie o procedere alla sanatoria.

Entro il 15 dicembre l’ufficio decide in via definitiva sulla legittimità della richiesta con ordinanza. Il provvedimento è comunicato poi al Presidente della Corte Costituzionale.

Entro il 20 gennaio dell’anno successivo a quello dell’ordinanza predetta, il Presidente fissa il giorno per la deliberazione in camera di consiglio e nomina il relatore.

La Corte Costituzionale decide con sentenza, che deve essere pubblicata entro il 10 febbraio e in cui specifica quali richieste sono ammesse e quali invece sono respinte.

La sentenza viene poi comunicata “al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle due Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, nonché ai delegati o ai presentatori, entro cinque giorni dalla pubblicazione della sentenza stessa. Entro lo stesso termine il dispositivo della sentenza è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.”

A questo punto il Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, fissa la data di convocazione degli elettori in una domenica che deve essere compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.

 

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