indennità di frequenza

Indennità di frequenza Cos'è l'indennità di frequenza per minori disabili: requisiti, importi, durata, come fare domanda e come rinnovare la richiesta

Cos’è l’indennità di frequenza

L’indennità di frequenza è un beneficio economico destinato ai minori con disabilità, finalizzato a favorire il loro inserimento scolastico e sociale. Questo contributo è disponibile su richiesta per i minori di 18 anni con difficoltà persistenti nello svolgimento delle attività quotidiane o con ipoacusia significativa.

Il nome “indennità di frequenza” è dovuto al fatto che viene riconosciuta se il minore frequenta in modo continuo o periodico:

  • ambulatori o centri diurni di natura privata (convenzionata) o pubblica, per la terapia o la riabilitazione;
  • scuole pubbliche o private di ogni ordine e grado, scuola materna compresa;
  • centri di formazione professionale per il reinserimento sociale.

La misura viene concessa in relazione alla reale durata della frequenza dei corsi, delle scuole o dei centri di cura.

Durata e importo dell’indennità di frequenza

Per il 2025, l’indennità di frequenza ammonta a 336,00 euro mensili, con un limite di reddito personale annuo di 5.771,35 euro.

L’indennità viene erogata per un massimo di 12 mensilità, a partire dal mese successivo all’inizio della frequenza del corso o trattamento terapeutico.

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Requisiti per la misura

I principali requisiti per accedere all’indennità di frequenza includono:

–  età inferiore ai 18 anni;

  • difficoltà persistenti nel compiere le attività quotidiane o una perdita uditiva superiore a 60 decibel;
  • frequenza di istituzioni educative o centri di formazione riconosciuti;
  • reddito personale inferiore alla soglia stabilita (5.771,35 euro per il 2025)

–  cittadinanza italiana o adeguata regolarità della residenza per cittadini stranieri;

–  residenza stabile e abituale in Italia

Incompatibilità

L’indennità di frequenza non può essere cumulata con:

  • qualsiasi forma di ricovero;
  • indennità di accompagnamento per invalidi civili totali;
  • indennità di accompagnamento per ciechi totali;
  • speciale indennità per ciechi parziali;
  • indennità di comunicazione per sordi prelinguali.

È possibile però optare per il trattamento più favorevole al soggetto.

Come fare domanda

Per richiedere l’indennità, è necessario seguire questi passaggi:

  1. ottenere un certificato medico introduttivo da un medico certificatore;
  2. inserire il codice del certificato nella domanda di accertamento sanitario;
  3. compilare i dati amministrativi necessari, inclusi quelli relativi alla frequenza scolastica;
  4. inviare la domanda tramite il servizio INPS “Invalidità civile – Procedure per l’accertamento del requisito sanitario”.

Presentata la domanda al richiedente viene comunicata la data della visita di accertamento della disabilità, che sarà eseguita da una specifica Commissione medica. Se il minore è affetto da ma patologia tumorale la visita viene fissata entro il termine di 15 giorni, che decorrono dalla domanda.

Documentazione e tempistiche

La domanda può essere presentata direttamente online sul sito dell’INPS o tramite un patronato. L’INPS invia il verbale di invalidità civile tramite raccomandata A/R o PEC. La documentazione rimane disponibile nel servizio Cassetta postale online.

Per le prestazioni economiche per i maggiorenni, la domanda può essere presentata sei mesi prima del compimento dei 18 anni. L’INPS procederà alla liquidazione provvisoria, soggetta a conferma dopo il successivo accertamento sanitario.

Scadenza e rinnovo dell’indennità di frequenza

Il termine ordinario per l’emanazione dei provvedimenti è di 30 giorni, salvo specifiche disposizioni di legge che prevedano tempi diversi. Per maggiori dettagli, consulta le norme previste dalla legge n. 241/1990 e successive integrazioni.

La durata dell’indennità di frequenza è limitata e ogni anno i genitori devono presentare il relativo certificato che indichi il periodo di inizio e fine delle attività affinchè l’INPS possa effettuare le dovute verifiche al fine di mantenere l’erogazione del beneficio.

Di regola, l’indennità scade con la conclusione dell’anno scolastico e/o delle attività riabilitative e la domanda va rinnovata, tra agosto e settembre o comunque in concomitanza con la ripresa delle attività (scolastiche o riabilitative, appunto).

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Intelligenza artificiale: in vigore i divieti dell’Europa AI ACT: in vigore dal 2 febbraio i divieti per i sistemi di intelligenza artificiale, mancano atti linee guida e impianto di governance

AI Act:  divieti in vigore ma normativa incompleta

Dal 2 febbraio 2025 sono in vigore i divieti previsti dall’AI Act, il regolamento dell’Unione Europea sull’intelligenza artificiale. Questo rappresenta un primo passo verso una regolamentazione completa. Nei mesi e anni a venire sarà essenziale completare il quadro normativo e istituzionale, oltre a fornire un supporto adeguato agli operatori del settore per assicurare una corretta applicazione del regolamento.

Cosa stabilisce l’AI Act

L’AI Act costituisce il primo tentativo di regolare l’intelligenza artificiale. Il regolamento adotta un approccio basato sul rischio: quanto maggiore è il rischio di violazione dei diritti umani da parte di un sistema IA, tanto più rigorosi sono i requisiti e gli obblighi imposti.

Il regolamento include una serie di divieti riguardanti l’impiego dell’IA in specifici contesti, come ad esempio:

  • Sistemi di IA che manipolano il comportamento umano o sfruttano le vulnerabilità;
  • Sistemi di IA che classificano le persone in base a caratteristiche sensibili;
  • Sistemi di IA che effettuano riconoscimento facciale in tempo reale in spazi pubblici (salvo alcune eccezioni);
  • Sistemi di IA che valutano il rischio di reati basandosi esclusivamente su profilazioni.

Cosa manca per completare la normativa

Nonostante l’entrata in vigore dei primi divieti, l’AI Act rimane incompleto. Mancano all’appello circa 60 provvedimenti attuativi, tra cui atti esecutivi, atti delegati e linee guida della Commissione. Questi provvedimenti sono necessari per chiarire e specificare le disposizioni del regolamento e offrire indicazioni pratiche agli operatori del settore.

Inoltre, la struttura di governance dell’AI Act non è ancora stata completamente definita, né a livello europeo né nazionale. A livello europeo, l’AI Office è stato formalmente istituito, ma i suoi componenti e sottostrutture sono ancora da definire. A livello nazionale, i singoli Stati membri dovranno istituire proprie autorità nazionali che avranno un ruolo cruciale nella sorveglianza e nell’applicazione del regolamento.

I prossimi passi per implementare l’AI Act

La tabella di marcia dell’AI Act prevede diverse fasi nei prossimi mesi e anni.

Entro il 2 maggio 2025, l’AI Office dovrà elaborare codici di buone pratiche per l’attuazione dei modelli IA generali.

Entro il 2 agosto 2025, gli Stati membri dovranno designare o istituire le autorità nazionali di governance.

Entro il 2 febbraio 2026, la Commissione UE dovrà emanare atti esecutivi per creare piani di monitoraggio post-commercializzazione dei sistemi IA ad alto rischio.

L’applicazione completa del regolamento, inclusi obblighi e sanzioni, è prevista entro il 2 agosto 2026. Entro tale data, gli Stati membri dovranno aver definito criteri per l’applicazione delle sanzioni e altre misure esecutive.

 

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Canna fumaria condominio: legittima la revoca dell’autorizzazione Canna fumaria condominio: legittima la revoca dell’autorizzazione all’uso precario se altera la destinazione e impedisce l’uso agli altri

Canna fumaria condominio: uso della cosa comune

Il Tribunale di Torino con la sentenza n. 199/2025 ha confermato la legittimità della revoca di un’autorizzazione concessa in via precaria per l’uso di una colonna di scarico dei rifiuti come canna fumaria in condominio. L’articolo 1102 c.c permette a ogni condomino di utilizzare la cosa comune, tale uso però non deve alterare la destinazione della cosa comune e non deve impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

Canna fumaria condominio: revocata l’autorizzazione all’uso

La vicenda giudiziari ha inizio quando l’assemblea straordinaria di un condominio delibera la revoca dell’autorizzazione concessa a un singolo condomino per l’uso dell’ex colonna di scarico dell’immondizia come canna fumaria. La decisione viene presa all’unanimità.

La titolare della proprietà interessata contesta la delibera, sostenendo che il diritto all’uso deriva dall’art. 1102 c.c., che consente a ciascun condomino di servirsi della cosa comune. Per parte ricorrente l’utilizzo della canna fumaria deve quindi ritenersi legittimo in base al principio di uso più intenso della cosa comune. Per questa ragione chiede l’annullamento della delibera condominiale. La parte convenuta replica però che l’uso della colonna di scarico come canna fumaria è stato autorizzato solo in via precaria, con diritto di revoca da parte dell’assemblea condominiale.

Legittima la revoca dell’autorizzazione

Il tribunale, condividendo la tesi della parte convenuta respinge il ricorso, confermando la legittimità della revoca dell’autorizzazione.  L’autorità giudiziaria ritiene in effetti che l’uso della colonna di scarico per il passaggio di fumi e odori abbia comportato un’alterazione della destinazione d’uso della cosa comune. L’occupazione esclusiva ha inoltre impedito agli altri condomini di esercitare il loro diritto all’uso del bene.

Art 1102 c.c.: limiti all’utilizzo della cosa comune

Il Tribunale ricorda che l’art. 1102 c.c consente a ciascun condomino di utilizzare la cosa comune, purché ciò non pregiudichi il pari uso da parte degli altri. La sentenza della Cassazione n. 18038/2020 ha ribadito inoltre che l’uso più intenso è ammesso solo se compatibile con i diritti altrui. Ipotesi che non ricorre nel caso di specie, tanto è vero che l’assemblea ha espressamente concesso l’autorizzazione in via precaria, con possibilità di revoca.

Il Tribunale evidenzia inoltre come il precedente utilizzatore della canna fumaria si era impegnato a eseguire lavori per eliminare gli odori sgradevoli. Tali interventi però non sono mai stati effettuati. L’uso della canna fumaria ha quindi continuato a provocare disagi ai condomini. Alla luce di tutto quanto esposto, la revoca non può essere considerata un atto arbitrario, ma il legittimo esercizio del diritto di ripristinare l’uso originario del bene comune.

 

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cancellazione sospesa

Cancellazione sospesa per l’avvocato che ha cause di valore Cancellazione sospesa dalla sezione degli avvocati stabiliti per il legale che deve riassumere cause appese di ingente valore

Cancellazione sospesa per l’avvocato

Cancellazione sospesa per l’avvocato che deve riassume perentoriamente cause di ingente valore entro il 31 gennaio 2025. Lo hanno deciso le Sezioni Unite della Cassazione con l’ordinanza interlocutoria n. 1899/2025. La prova dei giudizi pendenti e la richiesta del PM di accogliere le richieste dell’avvocato hanno convinto le SU ad accogliere le richieste del legale. Sospesa pertanto l’esecuzione della sentenza con cui il CNF ha disposto la cancellazione del legale dalla sezione speciale degli avvocati stabiliti.

Richiesta di sospensione della cancellazione dall’albo

Un avvocato ha presentato ricorso in Cassazione contro il provvedimento del Consiglio Nazionale Forense (CNF) che ha disposto la sua cancellazione dalla sezione speciale dell’albo degli avvocati stabiliti. La motivazione della cancellazione risiedeva nell’assenza del titolo di studio necessario. Tuttavia, il legale ha chiesto anche la sospensione dell’esecuzione della decisione, sottolineando un aspetto cruciale: deve riassumere urgentemente alcune cause di ingente valore economico entro il termine perentorio del 31 gennaio 2025. Un eventuale ritardo potrebbe compromettere il corretto svolgimento dei processi e arrecare danni ai clienti coinvolti.

Cancellazione sospesa: avvocato può seguire giudizi pendenti

La Cassazione ha esaminato la richiesta e ha accolto l’istanza del ricorrente, sospendendo l’esecuzione della sentenza del CNF. La decisione è motivata da due elementi principali.

  • In primo luogo, l’avvocato ha fornito prove concrete dell’esistenza di procedimenti in corso di rilevante importanza economica, per i quali è necessaria la sua immediata riassunzione.
  • In secondo luogo, il termine del 31 gennaio 2025 è perentorio e non prorogabile. La cancellazione dall’albo, infatti, ha comportato un’automatica interruzione dei processi in cui il legale era coinvolto, rendendo indispensabile la sua reintegrazione per garantire la continuità della difesa.

Un ulteriore elemento a sostegno della sospensione è la richiesta del Pubblico Ministero, che ha espresso parere favorevole all’accoglimento del ricorso dell’avvocato. La Cassazione, pur sospendendo l’esecuzione della decisione del CNF, ha chiarito che la questione principale resta aperta: dovrà essere esaminata nel merito ogni singola motivazione dell’impugnazione presentata dal legale. La decisione definitiva sulla validità della cancellazione sarà dunque presa successivamente, ma nel frattempo l’avvocato potrà continuare ad esercitare la professione e adempiere agli obblighi processuali urgenti.

 

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bonus mamme

Bonus mamme: la guida Bonus mamme: fino al 2026 esonero totale dei contributi per mamme con tre figli, stop per mamme con due figli

Bonus mamme: esonero contributivo totale

Il bonus mamma è un beneficio contributivo che la legge di bilancio 2024 n. 213/2023  ha previsto per favorire la natalità e il lavoro femminile.

Il comma 180 dell’articolo 1 prevede che per i periodi di paga compresi tra il 1° gennaio 2024 fino al 31 dicembre 2026, alle lavoratrici madri di tre o più figli, che hanno un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (escluso quello domestico) spetti un esonero contributivo del 100%.

L’esonero riguarda la quota dei contributi dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, che sono a carico del lavoratore fino al compimento del 18° anno di età del figlio più piccolo.

Limite annuo dell’esonero contributivo

Il limite annuo dell’esonero è fissato in 3000 euro. L’importo va comunque riparametrato su base mensile.

Facendo un rapido calcolo, e quindi dividendo l’importo annuo di 3000 euro per 12 mensilità l’importo mensile massimo di esonero contributivo è di 250,00 euro.

Esonero in via sperimentale per le mamme con due figli

Il comma 181 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024 prevede inoltre, in via sperimentale, in relazione ai periodi di paga compresi tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024, l’esonero contributivo totale anche per le lavoratrici madri di due figli e con un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato fino al compimento del 10° anno di vita dei figlio più piccolo. Da questo esonero sono esclusi però i rapporti di lavoro domestico.

Esonero contributivo: come fare?

Con la circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 l’INPS ha fornito le istruzioni sugli aspetti pratici della misura. Il documento dispone che le lavoratrici in possesso dei requisiti richiesti per ottenere l’esonero possano comunicare al loro datore di lavoro la volontà di avvalersene. A tal fine devono comunicare il numero dei figli e per ciascuno di essi il codice fiscale. I datori di lavoro possono quindi esporre nelle denunce retributive l’esonero spettante alla lavoratrice.

In alternativa, la lavoratrice potrà comunicare direttamente all’INPS il numero dei figli e i codici fiscali di ciascuno, compilando un applicativo dedicato.

Il messaggio INPS del 6 maggio 2024 n. 1702 ha infatti comunicato il rilascio dell’applicazione denominata “Utility esonero lavoratrici madri” il cui utilizzo è limitato alle lavoratrici fruitrici del bonus i cui figli non abbiano i codici fiscali inseriti nel flusso Uniemens.

Bonus mamme: compatibilità esoneri a carico datore

Poiché il bonus mamme va a sgravare la lavoratrice dal pagamento dei contributi dovuti per la sua quota, esso è compatibile con gli esoneri contributivi previsti per i datori di lavoro.

Il bonus mamme è alternativo però all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, ossia sulla quota IVS, che sono sempre a carico del lavoratore, come previsto dal comma 15 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024.

Bonus mamme 2025: precisazioni INPS

Come precisato dal messaggio INPS n. 401 del 31 gennaio 2025 la legge di bilancio non ha confermato il bonus mamme previsto dal comma 181 della legge di bilancio 2024. Le mamme con due figli e con contratto a tempo indeterminato dal 1° gennaio 2025 infatti non beneficeranno più di questo bonus.

Continuano invece a beneficiare del bonus le mamme lavoratrici con tre figli perché la misura è stata confermata fino al 2026 “anche nelle ipotesi in cui la nascita (o laffido/adozione) del terzo figlio (o successivo) si verifichi nel corso delle annualità 2025-2026″. 

L’INPS chiarisce infine che la legge di bilancio 2025, dal 1° gennaio 2025, ha previsto in favore delle lavoratrici dipendenti (escluso il settore del lavoro domestico) e autonome con retribuzione o reddito imponibile ai fini previdenziali non superiore a 40.000 euro su base annua un esonero contributivo parziale “della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore.” Queste donne devono essere mamme di due o più figli e l’esonero spetta fino al compimento del 10° anno del figlio più piccolo.

 

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rifiuto rapporti sessuali

Rifiuto rapporti sessuali: addebito del divorzio contrario alla CEDU Rifiuto rapporti sessuali: contrasta con il rispetto della vita privata ritenerlo causa di addebito del divorzio

Rifiuto rapporti sessuali nel vincolo matrimoniale

Rifiuto rapporti sessuali e addebito del divorzio. La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 23 gennaio 2025 affronta il tema del dovere coniugale di intrattenere rapporti sessuali e dei riflessi giuridici per il coniuge che non lo rispetta. La decisione a cui giunge la Corte riconosce il diritto di ogni individuo di scegliere se avere o meno rapporti sessuali, anche all’interno del matrimonio. Il consenso, ha ribadito la Corte, è un elemento imprescindibile per la libertà sessuale e qualsiasi atto sessuale non consensuale costituisce violenza. I giudici sono chiamati a interpretare le norme sui diritti e doveri coniugali in linea con il rispetto della vita privata e della libertà sessuale di ciascun coniuge.

Rifiuto rapporti sessuali: divorzio addebitato alla moglie

La sentenza pone fine a una vicenda che vede protagonista una coppia francese in crisi matrimoniale. L’autorità giudiziaria competente addebita il divorzio alla moglie, ritenuta responsabile di aver interrotto i rapporti intimi con il marito per oltre dieci anni. La Corte d’Appello di Versailles ha ritenuto questo rifiuto una violazione grave e ripetuta dei doveri matrimoniali, rendendo intollerabile la vita comune. La donna però ha impugnato la decisione fino alla Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso. A quel punto, la parte soccombente ha adito la Corte Edu, affermando il suo diritto al rispetto della vita privata (articolo 8 Cedu), che la sentenza avrebbe violato.

Diritto francese: i rapporti sessuali sono un dovere coniugale

Il codice civile francese, così come quello italiano, prevede una serie di diritti e doveri derivanti dal matrimonio, tra cui la “comunione di vita”, spesso interpretata come “comunità di letto”. La giurisprudenza francese include tra i doveri coniugali anche quello di intrattenere rapporti sessuali, sanzionando la prolungata astensione dalle relazioni intime.

Vita privata comprende quella sessuale, serve consenso

La Corte Edu però ha accolto il ricorso della donna, rilevando una violazione dell’articolo 8 della Cedu da parte dell’ordinamento francese. La Corte ha sottolineato come la nozione di “vita privata” includa anche la vita sessuale e che, di conseguenza, qualsiasi ingerenza in tale ambito debba essere giustificata e proporzionata. Nel caso specifico, la Corte ha criticato l’approccio del diritto francese, che sanziona il rifiuto di rapporti sessuali all’interno del matrimonio. Un tale obbligo, secondo la Corte, è sproporzionato e contrario al principio per cui solo ragioni gravi possono giustificare ingerenze nella sfera sessuale.

La Corte ha inoltre evidenziato come il dovere coniugale, previsto dall’ordinamento francese, non tenga conto del consenso ai rapporti sessuali, elemento fondamentale per la libertà sessuale di ciascun individuo. Qualsiasi atto sessuale non consensuale, ha ricordato la Corte, costituisce violenza sessuale.

Cosa prevede l’ordinamento italiano

Anche l’ordinamento italiano, pur non prevedendo espressamente un obbligo di vita sessuale, include tale aspetto tra i doveri coniugali. Il rifiuto di intrattenere rapporti sessuali può essere sanzionato con l’addebito della separazione, come confermato da diverse sentenze della Cassazione.

Attenzione però, perché la sentenza della Corte Edu impone una nuova interpretazione delle norme che regolano i rapporti coniugali. I giudici dovranno quindi considerare la vita sessuale come un elemento importante della relazione, ma mai determinante per una pronuncia sanzionatoria nei confronti del coniuge che rifiuti il proprio consenso a rapporti sessuali.

 

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reato di minaccia

Reato di minaccia (612 c.p.) Il reato di minaccia (612 c.p.) si configura qualora un soggetto minacci un altro di un danno ingiusto, se aggravato è punito con la reclusione

Reato di minaccia: cos’è

Il reato di minaccia è contemplato dall’art. 612 del codice penale. Esso si configura quando un soggetto minaccia un altro soggetto di cagionargli un danno ingiusto. La norma tutela la libertà morale e psichica contro ogni tipo di condotta in grado di creare un turbamento derivante dal prospettare un male ingiusto alla vittima. Il danno minacciato può consistere in una lesione o nella sola messa in pericolo di un interesse che ha rilievo giuridico. L’ingiustizia del danno si riferisce ai danni che vengono cagionati da condotte illecite.

Il reato di minaccia è definito “di pericolo” perché non richiede il verificarsi di un evento, è sufficiente che il male venga  prospettato e che questo induca nella vittima il timore che il danno minacciato si potrebbe effettivamente verificare.

Procedibilità del reato di minaccia

Il reato di minaccia è punibile a querela della persona offesa.

Si procede d’ufficio se:

  • la minaccia si realizza in uno dei modi contemplati dall’articolo 339 del codice penale;
  • la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti con effetto speciale diverse dalla recidiva;
  • la persona offesa è incapace per età o per infermità.

Minaccia aggravata: art. 339 c.p.

La minaccia è aggravata se il soggetto agente la commette:

  • durante manifestazioni che si svolgono in un luogo pubblico o aperto al pubblico;
  • con l’uso delle armi;
  • da un soggetto dal volto coperto;
  • da più soggetti riuniti;
  • con uno scritto anonimo;
  • ricorrendo alla forza intimidatorie di associazioni segrete, esistenti o anche solo supposte;
  • lanciando o utilizzando corpi contundenti o altri oggetti idonei a offendere come i fuochi d’artificio, tutti oggetti che creano situazioni di pericolo per le persone.

Elemento soggettivo

Per integrare il delitto di minaccia la legge richiede che il soggetto agisca con dolo generico ossia con la coscienza e la volontà di minacciare un altro soggetto di un danno ingiusto.

Come è punito il reato di minaccia

Il reato di minaccia viene punito con una multa che può arrivare fino a 1.032,00 euro.

Se la minaccia è grave o è commessa nei modi previsti dall’articolo 339 c.p il reato è punito con la pena della reclusione fino a un anno.

Minaccia: rapporto con altri reati

Il reato di minaccia può essere confuso con altri reati contro la persona, ma può anche rappresentare una componente di altre condotte illecite complesse. La Cassazione nel tempo ha fornito importanti chiarimenti al riguardo.

Minaccia in concorso con violenza privata

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 50702/2019 ha chiarito che: “il reato di violenza privata si distingue dal reato di minaccia per la coartata attuazione da parte del soggetto passivo di un contegno (commissivo od omissivo) che egli non avrebbe assunto, ovvero per la coartata sopportazione di una altrui condotta che egli non avrebbe tollerato. Ne consegue che i due reati, pur promossi da un comune atteggiamento minatorio, dando luogo ad eventi giuridici di diversa natura e valenza, concorrono tra loro.”

Minacce assorbite dal reato di maltrattamenti in famiglia

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 17599/2021 ha precisato che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe il delitto di minaccia previsto dall’art. 612 c.p. purché le minacce rivolte alla persona offesa non siano il risultato di una condotta criminosa autonoma e indipendente, ma costituiscano una delle condotte per mezzo delle quali si mette in atto il reato di maltrattamenti.

Minacce assorbite o in concorso con il reato di stalking

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 12720/2020 ha sancito che il delitto di minaccia contemplato dall’art. 612 c.p. è assorbito da quello di atti persecutori disciplinato dall’art. 612 bis c.p a condizione che le minacce vengano poste in essere nello stesso contesto temporale e fattuale che integrano lo stalking. Qualora invece le minacce risalgano a un periodo anteriore all’inizio degli atti persecutori allora le minacce concorrono con il reato di stalking.

 

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apprendistato duale

Apprendistato duale: i chiarimenti Inps Apprendistato duale: regime contributivo e retributivo della trasformazione dell’apprendistato di primo livello in alta formazione e ricerca

Apprendistato duale: le novità del Collegato Lavoro

Il messaggio INPS n. 285 del 24 gennaio 2025 illustra le nuove disposizioni sull’apprendistato duale. La legge n. 203/2024, meglio nota come “Collegato Lavoro”  ha infatti modificato l’articolo 43 del decreto legislativo n. 81/2015, permettendo la trasformazione dell’apprendistato di primo livello in apprendistato di alta formazione e ricerca.

Come precisato nel messaggio il contratto di apprendistato di alta formazione è valido per tutti i settori, pubblici e privati. Possono accedervi giovani tra i 18 e i 29 anni con diploma di istruzione secondaria superiore o diploma professionale integrato da una specializzazione tecnica superiore.

La trasformazione del contratto consente di proseguire la formazione per ottenere titoli di studio avanzati. Tra questi, figurano lauree, dottorati, diplomi ITS e praticantati per l’accesso alle professioni ordinistiche. Il contratto resta in continuità con il precedente rapporto di apprendistato.

Sottoscrizione protocollo con ente di formazione

Il datore di lavoro deve sottoscrivere un protocollo con l’ente formativo o di ricerca. Questo accordo definisce durata e modalità della formazione, anche quella a carico dell’azienda. La formazione esterna deve avvenire presso l’istituto di istruzione tecnica superiore frequentato dall’apprendista e non deve superare il 60% dell’orario previsto.

La retribuzione dell’apprendista segue le stesse regole previste per l’apprendistato di primo livello. La regolamentazione della formazione e la durata del periodo di apprendistato dipendono dalle Regioni e dalle Province autonome. In caso di assenza di regolamenti regionali, si applicano le disposizioni nazionali.

Apprendistato duale: trattamento contributivo

Dal punto di vista contributivo se il contratto  di apprendistato viene trasformato in apprendistato di apprendistato di alata formazione e ricerca, il datore di lavoro deve versare un’aliquota del 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Deve inoltre pagare la contribuzione NASpI (1,31%) e il contributo per la formazione continua (0,30%).

Le aziende soggette a CIGO/CIGS e ai Fondi di solidarietà bilaterali devono versare ulteriori contributi previsti per questi regimi.

 

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organismo incompetente mediazione

Organismo incompetente mediazione: l’accordo salva il giudizio Organismo incompetente mediazione: la domanda è improcedibile, solo se le parti si accordano per un’altra sede il giudizio è salvo

Organismo incompetente mediazione

La sentenza emessa dal Tribunale di Vasto, giudice Fabrizio Pasquale, l’11 dicembre 2024 ha dichiarato improcedibile la domanda di risarcimento danni presentata contro un geometra a causa dell’incompetenza territoriale dell’organismo di mediazione adito. Nel decidere la questione di rito il tribunale sottolinea l’importanza di rispettare i criteri di competenza territoriale nella scelta dellorganismo di mediazione, pena l’improcedibilità dell’azione giudiziale. L’attore, avendo presentato l’istanza a un organismo incompetente, ha visto infatti rigettata la propria richiesta senza poter entrare nel merito. Solo l’accordo tra le partirebbe potuto salvare il giudizio.

Richiesta risarcitoria per responsabilità professionale

L’attore ha convenuto in giudizio il geometra incaricato della redazione di un frazionamento catastale, ritenuto responsabile di errori tecnici che avrebbero causato lesito sfavorevole di un altro contenzioso civile in cui l’attore era coinvolto. In particolare, l’attore ha richiesto un risarcimento danni di 60.000 euro, sostenendo che la perizia errata del geometra avesse influenzato negativamente le decisioni nei giudizi civili contro altri eredi in una controversia possessoria. Il convenuto ha contestato ogni addebito, chiedendo il rigetto della domanda.

Eccezione di improcedibilità

Alla prima udienza il geometra ha sollevato uneccezione preliminare di improcedibilità della domanda, sostenendo che il tentativo di mediazione obbligatorio era stato svolto dinanzi a un organismo territorialmente incompetente, in violazione dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010.

Il giudice ha quindi limitato il dibattito alla sola questione preliminare relativa alla validità della mediazione e ha fissato un’udienza per decidere su tale punto.

Competenza territoriale organismo di mediazione

Dalla documentazione è emerso che l’attore aveva avviato la mediazione presso lorganismo della Camera di Commercio di Chieti-Pescara, con sede a Pescara. Tuttavia, il giudice ha sottolineato che:

  • il foro competente per la controversia era il Tribunale di Vasto;
  • l’organismo di mediazione avrebbe dovuto avere una sede nel circondario del tribunale territorialmente competente;
  • il D.Lgs. n. 28/2010 prevede che la mediazione sia effettuata presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente, salvo accordo tra le parti, che in questo caso non era stato raggiunto.

Ne è derivata la conclusione che la procedura di mediazione era stata svolta in violazione della legge e non poteva considerarsi valida ai fini della procedibilità della domanda.

Dichiarazione di improcedibilità: conseguenze

Secondo la giurisprudenza prevalente, la presentazione della domanda di mediazione a un organismo territorialmente incompetente comporta limprocedibilità dellazione giudiziale, poiché la condizione di procedibilità non può considerarsi soddisfatta.

Il Tribunale ha respinto le argomentazioni dellattore, il quale sosteneva che il giudice avrebbe dovuto concedere un termine per ripetere la mediazione. Infatti, con la Riforma Cartabia (D.Lgs. 149/2022), è stata abrogata la possibilità per il giudice di assegnare un nuovo termine per la mediazione in caso di irregolarità.

Il Tribunale di Vasto ha quindi deciso di dichiarare improcedibile la domanda dell’attore.

 

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Invalidità: nuove regole per le visite di revisione INPS L'istituto chiarisce le nuove regole in materia di accertamento e revisione dell'invalidità alla luce della legge di bilancio 2025

Visite revisione INPS: cambiano le regole

Invalidità, cambiano le regole per le viste di revisione INPS. La legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di Bilancio 2025), ha introdotto modifiche rilevanti nel processo di accertamento della disabilità. Con il messaggio n. 188/2025 l’Istituto nazionale di Previdenza Sociale ha fornito importanti chiarimenti in relazione alle procedure per l’accertamento delle disabilità e dell’invalidità previdenziale.

Le nuove regole, valide sul piano nazionale, si applicano anche alle nove provincie in cui è in fase di sperimentazione la valutazione base.

La semplificazione punta a ridurre i disagi per i cittadini e a ottimizzare i tempi degli accertamenti.

Visite revisione INPS patologie oncologiche

Dal 1° gennaio 2025 e per tutto l’anno, gli accertamenti di revisione per patologie oncologiche si baseranno prioritariamente sulla documentazione sanitaria disponibile. L’interessato riceverà una comunicazione e dovrà fornire i documenti necessari nel termine di 40 giorni. Se la documentazione medica fornita risulterà completa, la Commissione medica potrà concludere l’accertamento senza sottoporre il richiedente a visita diretta. Gli interessati possono tuttavia  chiedere di essere sottoposti a una visita diretta, inviando specifica richiesta tramite posta elettronica.

Revisione patologie non oncologiche

Per i soggetti che risultano affetti da patologie non oncologiche, per tutto il 2025 varranno invece le regole di valutazione in vigore.

Semplificazione per accertamenti multipli

Il messaggio INPS informa che sono state semplificate anche le procedure per le visite di accertamento dell’invalidità civile, cecità, sordità e disabilità.

Dal 1° gennaio al 31 dicembre 2025, l’INPS dovrà effettuare accertamenti sanitari in un’unica visita quando vengono presentate istanze simultanee per diversi benefici assistenziali e previdenziali. Le commissioni mediche, in questi casi, potranno integrare la propria composizione al fine di garantire un accertamento completo della condizione del richiedente.

Questo approccio dovrò essere seguito anche per le visite di revisione programmate entro l’anno, a condizione che non vi siano più di tre mesi tra due accertamenti.

 

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