mandato d'arresto europeo

Mandato d’arresto europeo (MAE) Cos’è il mandato d’arresto europeo, quando si usa, qual è la procedura e quali sono i possibili motivi di rifiuto del MAE 

Cos’è il mandato d’arresto europeo

Il mandato darresto europeo (MAE) è uno strumento giuridico creato per facilitare la cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione Europea in materia penale. Introdotto con la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio UE, esso mira a garantire un meccanismo rapido e semplificato per la consegna di persone accusate o condannate di reati. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta, come funziona e in quali casi è possibile rifiutare l’esecuzione del MAE.

Quando può essere utilizzato il MAE

Il mandato d’arresto europeo è un provvedimento giudiziario emesso da uno Stato membro dell’Unione Europea per richiedere l’arresto e la consegna di una persona che si trovi in un altro Stato membro. Può essere utilizzato sia per procedere nei confronti di un indagato in fase di accertamento del reato sia per eseguire una sentenza di condanna definitiva.

Il MAE ha sostituito i tradizionali strumenti di estradizione all’interno dell’Unione, eliminando ostacoli burocratici e abbreviando i tempi necessari per la consegna del soggetto ricercato. Il principio fondamentale su cui si basa è quello del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra gli Stati membri, che garantisce una maggiore efficienza nella lotta contro il crimine transfrontaliero.

Qual è la procedura per il mandato d’arresto europeo?

La procedura del mandato d’arresto europeo è articolata in diverse fasi, tutte disciplinate da norme comuni che si applicano in ogni Stato membro. Ecco i principali passaggi:

  1. Emissione del MAE: il mandato è emesso dall’autorità giudiziaria competente dello Stato richiedente, che lo trasmette tramite il Sistema Informativo Schengen (SIS) o altri canali come l’Interpol o la Rete Giudiziaria Europea.
  2. Arresto e notifica: una volta individuata la persona ricercata, le autorità dello Stato di esecuzione procedono all’arresto e notificano il MAE all’
  3. Convalida dellarresto e audizione: la persona arrestata viene presentata a un giudice nello Stato di esecuzione, il quale verifica i requisiti formali del MAE e garantisce che i diritti fondamentali della persona siano rispettati.
  4. Decisione sullesecuzione: il giudice dello Stato di esecuzione decide se accogliere o rifiutare il mandato d’arresto, considerando le condizioni previste dalla normativa UE e dal diritto nazionale.
  5. Consegna: se il MAE viene accettato, la persona è consegnata alle autorità dello Stato richiedente entro un termine massimo di 60 giorni dall’ In caso di ricorso, il termine può estendersi a 90 giorni.

Quando si può rifiutare il mandato d’arresto europeo

Nonostante la natura vincolante del MAE, ci sono situazioni in cui lo Stato di esecuzione può o deve rifiutare l’esecuzione del mandato. I principali motivi di rifiuto possono essere quindi obbligatori e facoltativi.

Motivi obbligatori

  • La persona è già stata giudicata in via definitiva per lo stesso reato in uno Stato membro (principio del ne bis in idem).
  • Il reato oggetto del MAE non è punibile nello Stato di esecuzione per amnistia.
  • Il soggetto è minorenne e, secondo la legislazione dello Stato di esecuzione, non può essere considerato penalmente responsabile.

Motivi facoltativi

  • Nel paese di esecuzione il fatto che è alla base del mandato di arresto non è reato
  • Azione penale in corso nel paese di esecuzione
  • Azione penale o pena prescritte.
  • Sentenza definitiva di uno Stato terzo.

Il MAE può essere rifiutato anche se esistono fondati motivi per ritenere che la persona rischi trattamenti inumani o degradanti nello Stato richiedente, come previsto dall’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

MAE: il manuale dell’Unione Europea

La Commissione europea ha reso disponibile un Manuale sull’emissione e l’esecuzione del mandato d’arresto europeo, concepito per agevolare e rendere più efficienti le attività quotidiane delle autorità giudiziarie coinvolte. Questo strumento fornisce indicazioni pratiche e dettagliate sulle varie fasi procedurali legate all’emissione e all’esecuzione del MAE. Inoltre, il manuale include un’ampia analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, offrendo chiarimenti su specifiche disposizioni contenute nella decisione quadro relativa al MAE.

 

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ai act

Intelligenza artificiale: in vigore i divieti dell’Europa AI ACT: in vigore dal 2 febbraio i divieti per i sistemi di intelligenza artificiale, mancano atti linee guida e impianto di governance

AI Act:  divieti in vigore ma normativa incompleta

Dal 2 febbraio 2025 sono in vigore i divieti previsti dall’AI Act, il regolamento dell’Unione Europea sull’intelligenza artificiale. Questo rappresenta un primo passo verso una regolamentazione completa. Nei mesi e anni a venire sarà essenziale completare il quadro normativo e istituzionale, oltre a fornire un supporto adeguato agli operatori del settore per assicurare una corretta applicazione del regolamento.

Cosa stabilisce l’AI Act

L’AI Act costituisce il primo tentativo di regolare l’intelligenza artificiale. Il regolamento adotta un approccio basato sul rischio: quanto maggiore è il rischio di violazione dei diritti umani da parte di un sistema IA, tanto più rigorosi sono i requisiti e gli obblighi imposti.

Il regolamento include una serie di divieti riguardanti l’impiego dell’IA in specifici contesti, come ad esempio:

  • Sistemi di IA che manipolano il comportamento umano o sfruttano le vulnerabilità;
  • Sistemi di IA che classificano le persone in base a caratteristiche sensibili;
  • Sistemi di IA che effettuano riconoscimento facciale in tempo reale in spazi pubblici (salvo alcune eccezioni);
  • Sistemi di IA che valutano il rischio di reati basandosi esclusivamente su profilazioni.

Cosa manca per completare la normativa

Nonostante l’entrata in vigore dei primi divieti, l’AI Act rimane incompleto. Mancano all’appello circa 60 provvedimenti attuativi, tra cui atti esecutivi, atti delegati e linee guida della Commissione. Questi provvedimenti sono necessari per chiarire e specificare le disposizioni del regolamento e offrire indicazioni pratiche agli operatori del settore.

Inoltre, la struttura di governance dell’AI Act non è ancora stata completamente definita, né a livello europeo né nazionale. A livello europeo, l’AI Office è stato formalmente istituito, ma i suoi componenti e sottostrutture sono ancora da definire. A livello nazionale, i singoli Stati membri dovranno istituire proprie autorità nazionali che avranno un ruolo cruciale nella sorveglianza e nell’applicazione del regolamento.

I prossimi passi per implementare l’AI Act

La tabella di marcia dell’AI Act prevede diverse fasi nei prossimi mesi e anni.

Entro il 2 maggio 2025, l’AI Office dovrà elaborare codici di buone pratiche per l’attuazione dei modelli IA generali.

Entro il 2 agosto 2025, gli Stati membri dovranno designare o istituire le autorità nazionali di governance.

Entro il 2 febbraio 2026, la Commissione UE dovrà emanare atti esecutivi per creare piani di monitoraggio post-commercializzazione dei sistemi IA ad alto rischio.

L’applicazione completa del regolamento, inclusi obblighi e sanzioni, è prevista entro il 2 agosto 2026. Entro tale data, gli Stati membri dovranno aver definito criteri per l’applicazione delle sanzioni e altre misure esecutive.

 

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nuovi limiti contante

Nuovi limiti contante anche per le prepagate Nuovi limiti contante per chi entra ed esce dai paesi UE, per chi li supera e non lo dichiara sequestro e sanzioni

Denaro contante: limiti per chi entra ed esce dall’UE

Nuovi limiti al contante. Il limite per l’utilizzo del denaro contante nelle transazioni in Italia è di 5.000 euro. Nessun limite di importo invece è previsto per chi desidera tenere in casa dei contanti per affrontare delle spese che ha in programma. Il discorso cambia quando ci si reca all’estero. Per chi entra o esce dall’Europa è infatti previsto il divieto di detenere importi superiori a 10.000 euro.

Adeguamento alla normativa UE

Il decreto legislativo n. 211 del 10 dicembre 2024, pubblicato sulla GU del 2 gennaio 2025, al fine di adeguare la normativa interna al Regolamento UE 2018/1672, che riguarda i controlli sul denaro contante in entrata o in uscita dell’UE, è in vigore dal 17 gennaio 2025.

Il testo però prevede dei limiti che, ad essere ben precisi, non si riferiscono solo al denaro contante, ma anche:

  • alle carte prepagate (“carte non nominative … che contengono valore in moneta o liquidità o vi danno accesso ovvero che possono essere usate per operazioni di pagamento, per l’acquisto di beni o servizi o per la restituzione di valuta, qualora non collegata a un conto corrente e ad altri mezzi di pagamento”)
  • e ad altri mezzi di pagamento.

Chi decide quindi di recarsi in un paese UE deve tenere conto di questo limite. Chi detiene ad esempio dei contanti e una carta prepagata e superi il valore di 10.000 euro ha l’obbligo di farne denuncia alla dogana.

Denaro contante e altri valori da dichiarare

I imiti di valore imposti per il passaggio in entrata e in uscita dai paesi UE è previsto al fine di scongiurare la commissione del reato di riciclaggio e di reati strumentali al finanziamento di attività criminali.

Detto questo, il limite dei 10.000 euro previsto dal decreto legislativo di adattamento al Regolamento UE a cosa si riferisce?

Senza dubbio al denaro contante, a seguire agli assegni turistici come i traveller’s chèque, agli assegni, ai vaglia cambiari, agli ordini di pagamento al portatore emessi senza indicazione specifica del nome del beneficiario, a quelli emessi in favore di un beneficiario fittizio, o a quelli che richiedono la sola consegna per il passaggio del titolo.

Il soggetto che porti con sé uno o più dei suddetti strumenti di pagamento per un valore superiore ai 10.000 euro metterlo a disposizione della Agenzia delle dogane e dei monopoli ai fini del controllo.

Il limite di importo deve essere rispettato anche se il denaro o uno degli altri strumenti di pagamento interessati vengono inviati in un plico a mezzo posta. Non occorre cioè che la persona li porti con sé.

Mancata dichiarazione denaro contante

Il decreto legislativo prevede il sequestro e l’applicazione di sanzioni piuttosto elevate nei confronti di coloro che non dichiarano il superamento del limite di importo dei 10.000 euro. Vediamo in che termini e in che misura.

Sequestro percentuale

Per la parte di importo non dichiarato oltre il limite dei 10.000 euro il decreto prevede:

  • il sequestro nella misura del 50% se il valore supera la soglia dei 10.000 euro e l’eccedenza non supera i 10.000;
  • la percentuale del sequestro sale al 70% dell’importo eccedente i 10.000 se l’eccedenza supera i 10.000 ma non i 100.000 euro;
  • il sequestro infine è totale se, al netto della soglia, l’importo supera i 100.000 euro.

Nei casi in cui il soggetto fornisca informazioni inesatte sull’importo è previsto il sequestro:

  • nella misura 25% della differenza tra quanto trasferito e quanto dichiarato, se la differenza non supera i 10.000 euro;
  • la percentuale sale al 35% se la differenza tra trasferito e dichiarato supera i 10.000,00 ma non i 30.000,00 euro;
  • passa al 70% se la differenza tra trasferito supera i 30.000 ma non i 100.000,00 euro;
  • è totale infine se la differenza tra quanto dichiarato e quanto si tenta di trasferire supera l’importo di 100.000,00 euro.

Il decreto nel modificare l’articolo 7 del decreto legislativo n. 195/2008 prevede che il soggetto a cui è stata contestata l’omessa dichiarazione o la dichiarazione inesatta o completa possa chiedere l’estinzione della violazione effettuando il pagamento in misura ridotta, in percentuale variabile, sulla parte di denaro eccedente la soglia prevista.

Sanzioni amministrative

Qualora si commettano violazioni consistenti nell’omesso adempimento dichiarativo si dispone l’applicazione della sanzione pecuniaria amministrativa minima di 900,00 euro.

Se la violazione consiste invece nell’aver fornito informazioni inesatte o incomplete in relazione all’obbligo dichiarativo, allora è prevista la sanzione amministrativa minima di 500,00 euro.

 

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Parità di genere nelle società quotate: la direttiva UE Parità di genere: da dicembre 2024 in vigore la Direttiva UE 2022/2381 sull'equilibrio di genere nei CdA delle società quotate

La direttiva UE sulla parità di genere

Da dicembre 2024 è in vigore nell’Unione Europea la direttiva 2381/2022 sulla parità di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate. L’obiettivo è garantire una maggiore rappresentanza del sesso sottorappresentato e promuovere la parità di genere in tutta l’UE.

Obiettivi della direttiva

La direttiva stabilisce che entro il 30 giugno 2026 le grandi società quotate debbano raggiungere i seguenti risultati:

  • almeno il 40% di rappresentanza del sesso sottorappresentato tra gli amministratori senza incarichi esecutivi;
  • almeno il 33% di rappresentanza in tutti i ruoli di amministratore, includendo sia quelli con che senza incarichi esecutivi.

Questi obiettivi mirano a superare le attuali disuguaglianze di genere e promuovere un processo decisionale più inclusivo e bilanciato.

La situazione attuale in Europa sulla parità di genere dei CdA

Secondo i dati del 2024, la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in Europa si attesta al 34% in media. Tuttavia, esistono significative differenze tra gli Stati membri:

  • nei paesi con quote di genere vincolanti, la rappresentanza femminile è pari al 39,6%.
  • nei paesi con misure non vincolanti, la percentuale scende al 33,8%;
  • nei paesi senza misure specifiche, le donne occupano appena il 17% dei posti nei consigli di amministrazione.

Questi dati dimostrano l’efficacia delle normative vincolanti nel migliorare la parità di genere.

Criteri di selezione trasparenti

Le società quotate che non raggiungono gli obiettivi fissati dovranno adeguare le proprie procedure di selezione e nomina. I nuovi processi dovranno essere basati su:

  • criteri chiari, neutrali e trasparenti.
  • valutazioni comparative dei candidati, focalizzandosi sulle loro qualifiche e sul merito.
  • preferenza per il candidato del sesso sottorappresentato in caso di pari qualifiche, salvo obiettive ragioni contrarie.

Queste disposizioni mirano a garantire che le nomine nei consigli di amministrazione siano eque e inclusive.

Benefici della parità di genere

L’UE riconosce che un maggiore equilibrio di genere nei consigli di amministrazione contribuisce a rafforzare la crescita economica, migliorare la competitività delle imprese e affrontare le sfide demografiche.

Inoltre, una maggiore partecipazione femminile ai processi decisionali in ambito economico può generare effetti positivi sull’occupazione femminile e sull’intera economia.

Obblighi degli Stati membri

Gli Stati membri dovevano recepire la direttiva entro il 28 dicembre 2024. Le norme prevedono:

  • misure vincolanti per garantire una selezione trasparente e neutrale dal punto di vista del genere;
  • obblighi di comunicazione per le società quotate, che dovranno fornire informazioni annuali sulla rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione;
  • sanzioni proporzionate per le società non conformi, incluse ammende e possibili annullamenti delle nomine irregolari.

Gli Stati membri dovranno inoltre pubblicare un elenco delle società che raggiungono gli obiettivi della direttiva e designare organismi per monitorare e promuovere l’equilibrio di genere.

Progressi e sfide sulla parità di genere

Dal 2010, la presenza femminile nei consigli di amministrazione è migliorata, ma i progressi restano disomogenei. Nei paesi con misure vincolanti, i risultati sono decisamente più evidenti. L’indice 2024 dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere assegna un punteggio di 57,6 su 100 per l’emancipazione femminile nei processi decisionali economici, con un incremento di 2,9 punti rispetto all’anno precedente.

La Commissione Europea monitorerà l’attuazione della direttiva da parte degli Stati membri. Saranno inoltre avviate procedure di infrazione per coloro che non recepiranno correttamente le disposizioni. La Commissione supporterà gli Stati membri con seminari e consulenze bilaterali per garantire un recepimento efficace.

La direttiva UE sull’equilibrio di genere rappresenta un passo importante verso la parità di genere nelle società quotate. Grazie a obiettivi chiari e a criteri di selezione trasparenti, l’UE punta a superare le attuali disparità, promuovendo una governance aziendale più inclusiva. Tuttavia, il successo dipenderà dall’impegno degli Stati membri e delle società nel rispettare e attuare le nuove disposizioni.

 

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whistleblowing

Il whistleblowing Whistleblowing: istituto introdotto dalla legge n. 190/2012 per consentire al lavoratore di segnalare illeciti garantendo allo stesso tutele specifiche

Whistleblowing: quadro normativo

Il whistleblowing è un tema di crescente importanza, sia a livello nazionale che internazionale, legato alla segnalazione di atti illeciti o comportamenti non etici all’interno delle organizzazioni pubbliche che private.

In Italia, questo concetto è stato formalmente introdotto dalla Legge 190/2012 e successivamente aggiornato con il Decreto Legislativo n. 24/2023, che recepisce la Direttiva UE 2019/1937 sul whistleblowing.

In questo articolo, analizziamo le principali normative italiane che regolano la protezione dei whistleblower, le implicazioni pratiche e come le aziende e le pubbliche amministrazioni sono tenute ad adeguarsi alle nuove disposizioni.

Cos’è il Whistleblowing?

Il whistleblowing si riferisce alla pratica di segnalare comportamenti illeciti o scorretti all’interno di un’organizzazione. Le segnalazioni possono riguardare una vasta gamma di tematiche, come corruzione, frodi, malversazioni, discriminazioni, violazioni ambientali e altre attività dannose per l’interesse pubblico o aziendale. Il termine “whistleblower” identifica la persona che fa la segnalazione, solitamente un dipendente o collaboratore, che rivela illeciti o pratiche scorrette, spesso a rischio di ritorsioni.

Legge 190/2012:  la prima legge in Italia sul whistleblowing

La Legge 190/2012, nota anche come Legge Anticorruzione, ha rappresentato il primo passo significativo nella regolamentazione del whistleblowing in Italia. In particolare, l’articolo 54-bis, introdotto dalla Legge 190/2012 nel “D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 contenente le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” stabiliva la possibilità, per i dipendenti pubblici, di segnalare atti di corruzione o illeciti di cui erano venuti a conoscenza durante il loro servizio, senza temere ritorsioni. La legge stabiliva anche una procedura interna di segnalazione, obbligando le pubbliche amministrazioni ad adottare canali protetti e garantendo la riservatezza dell’identità del whistleblower. Per questo soggetto sono state previste specifiche misure di protezione per i whistleblower, come il divieto di licenziamento, demansionamento o penalizzazioni per chi segnala illeciti. Tuttavia, la legge 190/2012 si applicava esclusivamente al settore pubblico, limitando inizialmente l’efficacia della protezione.

Decreto Legislativo n. 24/2023: recepimento Direttiva UE 2019/1937

Il Decreto Legislativo n. 24/2023, entrato in vigore il 15 luglio 2023, rappresenta l’attuazione della Direttiva UE 2019/1937 (la Direttiva sul whistleblowing), che impone agli Stati membri dell’Unione Europea di adottare misure specifiche per proteggere i whistleblower e favorire la segnalazione di illeciti.

Tutele estese al settore privato

Il decreto estende la protezione anche al settore privato, una novità significativa rispetto alla legge del 2012, che riguardava solo la pubblica amministrazione. La nuova normativa prevede che anche le aziende private, con più di 50 dipendenti, debbano adottare canali interni sicuri per la segnalazione di illeciti, al fine di consentire ai dipendenti di segnalare abusi, frodi, comportamenti non etici e violazioni senza temere ripercussioni. Le piccole e medie imprese (PMI), con meno di 50 dipendenti, sono esonerate dall’obbligo di implementare tali canali, ma sono comunque invitate a fornire una modalità per la segnalazione.

Misure di protezione più severe

Il Decreto Legislativo n. 24/2023 introduce anche una serie di misure di protezione più rigorose, tra cui:

  • protezione contro le ritorsioni: i whistleblower non possono subire danni professionali, come licenziamenti, degradamenti o altre forme di discriminazione sul posto di lavoro a causa della loro segnalazione;
  • confidenzialità e anonimato: le segnalazioni devono avvenire attraverso canali sicuri e protetti, garantendo la riservatezza dell’identità del segnalante, anche nel caso in cui venga fatta una segnalazione anonima;
  • accesso a vie esterne: se la segnalazione interna non produce risultati o se il whistleblower teme ritorsioni, è prevista la possibilità di rivolgersi a autorità esterne come l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) o l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.
  • obbligo di feedback: le aziende e le amministrazioni pubbliche sono tenute a fornire un feedback tempestivo alla persona che ha effettuato la segnalazione, informandola dell’esito della valutazione dell’illecito segnalato.

Implicazioni pratiche per aziende e PP.AA.

Con l’introduzione del Decreto Legislativo n. 24/2023, le organizzazioni italiane, sia pubbliche che private, sono obbligate a conformarsi a nuove normative più stringenti in tema di whistleblowing. Le principali implicazioni comportano:

  • la creazione di canali di segnalazione: le aziende devono istituire modalità sicure e protette per la ricezione delle segnalazioni, garantendo la riservatezza e l’anonimato del whistleblower. Questi canali devono essere facilmente accessibili e garantire una protezione contro eventuali ritorsioni;
  • la formazione e la sensibilizzazione: le organizzazioni sono chiamate a sensibilizzare e formare i propri dipendenti sul tema del whistleblowing, evidenziando le modalità di segnalazione e le protezioni previste per chi denuncia;
  • monitoraggio e reporting: le aziende devono monitorare le segnalazioni ricevute e garantire la gestione corretta delle stesse, comunicando i risultati alle autorità competenti, se necessario, e ai whistleblower, garantendo trasparenza e rispetto delle tempistiche;
  • sanzioni in caso di inadempimento: le aziende che non rispettano gli obblighi previsti dal decreto legislativo possono incorrere in sanzioni amministrative.

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limite uso contante

Limite uso contante: dal 2027 a 10.000 euro Limite uso contante: il regolamento UE n. 1624/2024 fissa il limite a 10.000 euro a partire dal 10 luglio 2027

Limite uso contante UE

Limite uso contante fino a 10.000 euro a partire dal 10 luglio 2027. Lo stabilisce il regolamento UE n. 1624/2024. Il regolamento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea e in vigore dal 9 luglio stabilisce nuove regole per l’uso del contante in Europa.

Dal 10 luglio anche l’Italia dovrà rispettare il nuovo tetto dei 10.000 euro per quanto riguarda l’uso dei contanti. Le finalità di queste misure, come sempre, sono principalmente due: ostacolare il reato di riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.

Attualmente in Italia il tetto massimo stabilito per l’utilizzo dei contanti è di 5.000 euro, la metà rispetto a quello che l’Unione Europea vuole introdurre nel 2027.

Art. 80 Regolamento UE: uso contanti fino a 10.000 euro

A fissare il limite dei 10.000 euro è l’articolo 80 del regolamento UE 1624/2024 dedicato proprio ai “Limiti ai pagamenti in contanti di importo elevato in cambio di beni o servizi.”

Il comma 1 stabilisce infatti che: Le persone che commerciano beni o forniscono servizi possono accettare o effettuare un pagamento in contanti fino a un importo di 10 000 EURO o importo equivalente in valuta nazionale o estera, indipendentemente dal fatto che la transazione sia effettuata con un’operazione unica o con diverse operazioni che appaiono collegate.” 

Il comma 2 non vieta agli Stati dell’UE di adottare limiti inferiori a quello di 10.000 euro previsto dal comma 1. Gli stessi devono però consultare preventivamente la Banca Centrale Europea.

Per quanto riguarda invece gli Stati che già applicano limiti inferiori,  potranno continuare ad adottarli con l’obbligo di notificare questi limiti alla Commissione UE entro, l’oramai trascorso, 10 ottobre 2024.

Eccezioni al limite dei 10.000 euro

Il comma 4 dell’articolo 80 stabilisce che il limite dei 10.000 euro non si applica:

a) ai pagamenti tra persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di una professione;

  1. b) ai pagamenti o ai depositi effettuati presso i locali degli enti creditizi, degli emittenti di moneta elettronica quali definiti all’articolo 2, punto 3), della direttiva 2009/110/CE e dei prestatori di servizi di pagamento quali definiti all’articolo 4, punto 11), della direttiva (UE) 2015/2366.”

Sanzioni nel caso in cui vi sia il sospetto che persone fisiche o giuridiche che agiscano nell’esercizio della loro professione violino i limiti imposti all’utilizzo del contante.

 

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salario minimo

Salario minimo: la guida Salario minimo: cos’è, come si stabilisce, a cosa serve e cosa prevede la Direttiva UE che gli Stati devono recepire entro il 15 novembre 2024

Salario minimo: che cos’è

Il salario minimo è la retribuzione minima del lavoratore. Si tratta della somma minima, sotto la quale non si può scendere, che i datori di lavoro devono riconoscere e corrispondere ai loro dipendenti, operai o impiegati.

In molti paesi il salario è stabilito per legge da più di un secolo, in altri invece deve ancora trovare uno spazio nella legislazione interna, come in Italia. La misura aspira a riconoscere ai lavoratori una retribuzione più adeguata ai bisogni tipici della società moderna.

Salario minimo: determinazione

Il salario minimo può essere determinato dalla legge (salario minimo legale), dalla contrattazione collettiva nazionale o dalla combinazione tra queste due fonti. In Italia la sua determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva.

L’unico riferimento normativo che si limita a indicare i criteri di determinazione dell’importo della retribuzione e l’articolo 36 della Costituzione. La norma riconosce al lavoratore il diritto di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro. Essa deve essere corrisposta comunque in misura sufficiente a garantire al lavoratore stesso e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

A questa norma si ricollega l’articolo 39 della Costituzione. Esso che riconosce ai sindacati il potere di stipulare i contratti collettivi di lavoro vincolanti per i lavoratori della categoria a cui si riferisce il contratto specifico.

La situazione reale del nostro paese però è caratterizzata dalla mancata estensione dell’efficacia dei contratti collettivi a tutti i lavoratori della categoria con conseguente moltiplicazione dei contratti stessi.

Riferimento normativo UE

Il salario minimo rappresenta l’oggetto della Direttiva 2022/2041, che è stata approvata il 14 settembre del 2022. Essa ha stabilito l’obbligo di recepimento da parte degli stati UE entro 2 anni dalla sua entrata in vigore. Gli Stati quindi devono adeguarsi alla Direttiva entro il 15 novembre 2024.

Questo perché in 21 paesi europei il salario minimo è già previsto e disciplinato, mentre in altri paesi UE come l’Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia, la sua determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva e non appare equa e in grado di soddisfare le finalità della direttiva.

La Direttiva UE  2022/2041

La Direttiva europea 2022/2041 si pone l’obiettivo di garantire salari minimi in grado di assicurare ai lavoratori condizioni di lavoro, ma anche di vita, dignitose. Essa mira alla convergenza sociale verso l’alto e alla eliminazione delle differenze retributive.

La Direttiva, per sua natura, non può imporre agli Stati che ricorrono alla contrattazione collettiva di adottare un salario minimo per legge. Nello stesso modo non può imporre di dichiarare un contratto collettivo applicabile universalmente a tutti i lavoratori.

Per garantire uniformità essa prevede che gli Stati UE che abbiano già adottato i salari minimi legali debbano rideterminarli e aggiornarli per perseguire le finalità della normativa. Nei paesi che invece ne affidano la determinazione alla contrattazione collettiva la Direttiva la promuove nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali coinvolte.

La Direttiva prevede inoltre che gli Stati UE debbano essere monitorati. Ogni due anni dovranno infatti fornire alcuni dati alla Commissione UE. Questi dati variano a seconda che il salario minimo sia definito con legge o tramite contrattazione collettiva.

I progetti di legge in materia

Nel corso della precedente legislatura e di quella in corso sono stati presentati diversi progetti di legge sul salario minimo.

Per approfondire leggi la documentazione parlamentare dedicata al “Salario Minimo”

In particolare, il 2 ottobre scorso, la commissione lavoro del Senato, ha avviato l’esame congiunto dei ddl 126 e 281 e dei ddl 956 e 957, quest’ultimo già approvato dalla Camera (“Equa retribuzione”), che prevede una delega al governo in materia di rappresentanza sindacale e di efficacia della contrattazione collettiva, introducendo strumenti per aumentare i salari minimi.
Nis 2

NiS 2: cosa cambia con la nuova direttiva UE L’Italia ha recepito la Direttiva europea 2022/2555, relativa a misure per un livello comune elevato di cybersicurezza nell’Unione, la cosiddetta NIS 2 in vigore dal 16 ottobre 2024. Vediamo cosa cambia per la sicurezza informatica

NIS 2: il governo recepisce la direttiva

La NIS 2 è la nuova direttiva UE sulla cyber security, ossia l’insieme di tecnologie, processi e misure di protezione progettate per ridurre il rischio di attacchi informatici.

Il Governo in data 7 agosto 2024 ha approvato definitivamente lo schema del decreto legislativo, che ha recepito la NIS 2, la Direttiva europea (direttiva UE 2022/2555), relativa a misure per un livello comune elevato di cybersicurezza nell’Unione, con la quale si introducono le misure per un livello comune elevato di Cybersicurezza nell’Unione europea.

Il decreto legislativo n. 138/2024, di recepimento della direttiva UE è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’1 ottobre per entrare in vigore il 16 ottobre 2024.

L’Agenzia per la Cybesicurezza nazionale (ACN)

Come si evince dal testo, l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) assume un ruolo chiave nella supervisione dell’attuazione della Nis 2, con poteri di vigilanza nonché di previsione di sanzioni elevate in caso di inosservanza della normativa sulla cybersicurezza, con possibilità di disporre la misura dell’incapacità temporanea per i dirigenti.

Gli altri punti chiave della NIS 2

Nello specifico, la Direttiva stabilisce una serie di requisiti fondamentali che le organizzazioni devono soddisfare per garantire un elevato livello di sicurezza informatica e che includono: politiche di analisi dei rischi e di sicurezza informatica, nonchè la gestione degli incidenti.  

Obblighi per gli operatori manager e personale

La Direttiva NIS 2 stabilisce in primo luogo che gli operatori, organi di amministrazione e organi direttivi inclusi nel proprio  campo di applicazione dovranno adottare misure tecniche, operative e organizzative adeguate e proporzionate per gestire i rischi connessi alla sicurezza dei sistemi informatici e delle reti e saranno obbligati a notificare all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale,  senza indebito ritardo, eventuali incidenti che abbiano un impatto significativo sulla fornitura dei loro servizi.

A tal fine sono previsti corsi di formazione obbligatori ed essenziali a garantire l’acquisizione di conoscenze e competenze.

Notifiche degli incidenti al CSRT Italia e relative sanzioni

Gli operatori distinti in essenziali e importanti, in base alle loro competenze ed obblighi,  sono tenuti a notificare all’ACN, – che in Italia assume il nome di CSRT Italia – senza ritardo, e non appena ne vengono a conoscenza e comunque entro le 24 ore in via preliminare e non oltre le 72 ore in maniera dettagliata ,  dell’incidente informatico significativo.

Le amministrazioni centrali, regionali e locali, comprese le ASL e i comuni con più di 100 mila abitanti, sono coinvolti in prima linea nella risposta.

La Direttiva prevede diverse sanzioni severe in funzione del fatto che un operatore sia qualificato come essenziale o come importante.

Nel merito, scattano da parte dell’ACN, dopo la diffida:

  • per i soggetti essenziali, possono arrivare fino a 10 milioni di euro o al 2% del fatturato annuo globale;
  • per i soggetti importanti, fino a 7 milioni di euro o all’1,4% del fatturato annuo globale.

Viene introdotta anche la possibilità di incapacità temporanea per dirigenti che non rispettano le normative.

La Cultura come settore da proteggere

l’Italia, unica in Europa, ha inserito la Cultura – e in particolare i soggetti che svolgono attività di interesse culturale – tra i settori critici e strategici maggiormente da proteggere dal punto di vista della cybersecurity. Il controllo e l’attenzione da parte degli organi è tanto maggiore quanto più  lo sono i soggetti che gestiscono la cultura, operano in territori per i quali queste attività rappresentano un asset fondamentale, come ad esempio le città d’arte.

Basti pensare all’interruzione dell’erogazione online dei ticket per accedere al Colosseo, avvenuta lo scorso anno, a causa di un attacco cibernetico.

 

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whistleblowing

Whistleblowing: riorganizzazione struttura come atto ritorsivo È possibile qualificare la riorganizzazione della struttura organizzativa come atto ritorsivo contro il segnalante ai sensi del d.lgs. n. 24/2023 (“Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”)?

La delibera ANAC

Con la delibera n. 380/2024 del 30 luglio (pubblicata il 20 settembre 2024), l’ANAC ha dichiarato ritorsivi i provvedimenti assunti dal direttore di un’agenzia pubblica nei confronti di un dirigente. Il direttore avrebbe, infatti, assunto comportamenti punitivi sul dirigente tali da impattare negativamente sulle attribuzioni e sulla posizione del dirigente. L’ANAC a seguito di istruttoria ha comminato al direttore una sanzione pecuniaria di 10.000,00 euro.

In particolare, il dirigente aveva segnalato al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’agenzia, in cui egli lavorava, alcuni presunti illeciti a carico del direttore dell’ agenzia, tra cui: (i) l’attribuzione di incarichi in violazione della procedura interna dell’agenzia e (ii) un presunto conflitto di interessi consistente nel fatto che  il direttore risultava comproprietario di una società erogatrice di servizi molti dei quali assimilabili per natura a quelli forniti dall’agenzia.

Atti ritorsivi

A seguito di tale segnalazione, il dirigente aveva iniziato ad essere vittima di gravi atti ritorsivi nei suoi confronti.  Tra i più eclatanti: la rimozione della sua posizione lavorativa – avvenuta mediante disposizioni di formale riorganizzazione della struttura, adottate alcuni giorni dopo la segnalazione e proseguite nelle settimane successive – nonché una valutazione delle performance molto negativa, dopo anni di punteggi elevati.

Il dirigente aveva quindi segnalato tali condotte, in prima battuta, mediante il canale di segnalazione interna di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 24/2023[1] e, non avendo ricevuto riscontro, successivamente all’ANAC, chiedendo l’accertamento della natura ritorsiva dei comportamenti subiti.

Dirigente qualificato come whistleblower

L’ANAC, a seguito di una approfondita istruttoria, ha ritenuto che:

  • la segnalazione ricevuta integrava pienamente i presupposti normativi per qualificare il dirigente come whistleblower ai sensi del d.lgs. n. 24/2023 e, quindi, per applicare la tutela normativamente prevista;
  • il canale di segnalazione interna all’agenzia non aveva garantito la dovuta riservatezza del segnalante;
  • la rotazione del personale nelle posizioni dirigenziali – giustificazione adottata dal direttore a fondamento degli atti di riorganizzazione – era unicamente un espediente utilizzato per danneggiare il segnalante;
  • nelle memorie presentate dal direttore non era stata indicata alcuna prova a discarico.

La nuova disciplina del D.Lgs. 24/2023

L’importanza della delibera ANAC si nota in particolare con riferimento a due profili che sono estrinsecazione dell’applicazione della nuova disciplina di cui al d.lgs. n. 24/2023:

  • L’ANAC ha infatti sanzionato direttamente l’autore della ritorsione (ossia il direttore dell’agenzia), con applicazione di una sanzione pecuniaria, in considerazione dell’uso distorto della funzione da lui esercitata;
  • nonostante il caso oggetto di decisione sia relativo a una disposizione previgente (articolo 54-bis, del Dlgs 165/2001, oggi abrogato), le relative previsioni sono state incorporate ed estese nell’articolo 21 del d.lgs. n.24/2023. Restano pienamente attuali i parametri in base ai quali è stata applicata dall’ANAC la tutela del segnalante contro gli atti ritorsivi nel rapporto di lavoro, così come la sanzione contro l’autore della ritorsione.

Il d.lgs. n. 24/2023, infatti, prevede espressamente che i lavoratori del settore pubblico e privato possono comunicare all’ANAC le ritorsioni che ritengono di aver subito (articolo 19, primo comma), con apertura dell’istruttoria (rispetto alla quale l’ANAC può avvalersi dell’Ispettorato della funzione pubblica e dell’Ispettorato nazionale del lavoro). Inoltre, se viene accertata la natura ritorsiva di una condotta nei confronti del segnalante, i relativi atti sono affetti da nullità (articolo 19, terzo comma) e l’ANAC può applicare una sanzione pecuniaria sino a 50.000 euro direttamente a carico del responsabile della ritorsione (articolo 21, numero 1, lettera a).

Riorganizzazione struttura vale come atto ritorsivo

In conclusione, alla luce della nuova delibera ANAC è stato stabilito che la riorganizzazione della struttura organizzativa può essere considerata come un atto ritorsivo nei confronti del segnalante se e quando sia utilizzata come mero espediente per danneggiare lo stesso e la misura di riorganizzazione sia stata attuata “per mere ragioni di opportunità” da parte del soggetto agente.

 

[1] Giova rilevare che il canale di segnalazione interna affinché sia conforme alle esigenze imposte dal d.lgs. n. 24/2023 deve prevedere strumenti di trasmissione-ricezione delle segnalazioni che garantiscano, anche attraverso il ricorso alla crittografia, la riservatezza (i) dell’identità della persona segnalante, (ii) della persona coinvolta, (iii) della persona comunque menzionata nella segnalazione, (iv) del contenuto della stessa e (v) della relativa documentazione. La gestione di siffatto canale deve essere affidata una persona o a un ufficio interno autonomo con personale specificamente formato ovvero a un soggetto esterno che si dimostri, parimenti, autonomo e dotato di risorse formate da impiegare nel processo.

seggiolini auto

Seggiolini auto: nuove regole dal 1° settembre 2024 Seggiolini auto: dal 1° settembre 2024 è in vigore il Regolamento 129 che prevede obblighi diversi in base alla statura del minore

Seggiolini auto: dal 1° settembre in vigore le regole ECE R129

Nuove regole per i seggiolini auto dal 1° settembre 2024. Da questa data sono cambiati infatti i criteri dei sistemi di ritenuta per i bambini. I seggiolini non sono più catalogati in base al peso.

Il Regolamento Europeo 129  cataloga infatti i seggiolini in base all’altezza del minore, sostituendo la normativa ECE R44. I seggiolini omologati in base alle previsioni di questa normativa infatti non possono essere più venduti.

Seggiolini auto adeguati al peso: art. 172 Codice della Strada

A dire il vero il criterio della statura per i seggiolini auto dei bimbi non è una novità assoluta per il nostro ordinamento. L’articolo 172 del Codice della Strada, che disciplina l’uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta e sicurezza per bambini, al comma 1 stabilisce che i minori di statura inferiore a 1,5 m “devono essere assicurati al sedile con un sistema di ritenuta per bambini, adeguato al loro peso, di tipo omologato secondo le normative stabilite dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti, conformemente ai regolamenti della commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite o alle equivalenti direttive comunitarie.”

Le nuove regole ECE R129

Le nuove regole Europee sui seggiolini auto per i bambini prevedono il rispetto di diverse nuove regole.

  • Per bambini di età compresa tra 0 e 15 mesi occorre installare il seggiolino in direzione contraria a quella del senso di marcia. In questo modo si riescono a proteggere meglio il collo e la testa del minore.
  • Per bambini di altezza non superiore ai 105 cm di altezza c’è anche l’obbligo di utilizzare il sistema Isofix, un sistema standardizzato internazionale per ancorare il seggiolino al sedile, senza dover utilizzare le cinture di sicurezza.
  • Per bambini di altezza superiore ai 105 cm fino ai 150 cm, in genere ragazzini fino ai 2 anni di età, il seggiolino deve essere posizionato nello stesso senso di marcia. Previste inoltre le cinture di sicurezza o il sistema Isofix, che in questo caso però non è obbligatorio.

Sistema sanzionatorio

Per chi trasgredisce le sanzioni sono piuttosto severe:

  • La multa minima è di Euro 80,00, quella massima di euro 323,00. Prevista inoltre la decurtazione di 5 punti dalla patente di guida.
  • Chi commette la stessa violazione per due volte nell’arco temporale di due anni può andare incontro anche alla sospensione della patente da un minimo di 15 giorni fino a un massimo di due mesi.