Geolocalizzazione lavoratori smart working
Il Garante per la protezione dei dati personali condanna le pratiche di sorveglianza dei lavoratori in smart working con il provvedimento n. 135 del 13 marzo 2025. Una controversia portata all’attenzione dell’Autorità privacy è culminata infatti con una sanzione di 50mila euro ai danni di un’azienda.
La contestazione riguarda l’illecita geolocalizzazione di circa cento lavoratori durante la loro attività lavorative da remoto. L’intervento del Garante è stato innescato dal reclamo di una dipendente e da una segnalazione dell’Ispettorato della Funzione Pubblica. Dall’istruttoria sono emerse significative violazioni della normativa sulla privacy.
Geolocalizzazione illecita
L’istruttoria condotta dal Garante ha svelato che l’azienda attuava il monitoraggio sistematico della posizione geografica dei propri dipendenti. L’obiettivo era verificare la corrispondenza tra il luogo effettivo di lavoro e l’indirizzo dichiarato nell’accordo individuale di smart working.
Questo tipo di controllo avveniva anche attraverso procedure mirate: i dipendenti, selezionati a campione, venivano contattati telefonicamente e invitati ad attivare la geolocalizzazione dei propri dispositivi (pc o smartphone) per effettuare una timbratura tramite app.
Subito dopo veniva richiesta una dichiarazione via e-mail del luogo in cui i lavoratori si trovavano fisicamente. Queste verifiche potevano anche evolversi in procedimenti disciplinari. Il tutto però senza una valida base giuridica e senza un’informativa adeguata. Inammissibile quindi questa intrusione nella sfera privata dei lavoratori, che contravviene al Regolamento europeo e al Codice della privacy.
Dignità del lavoratore e controllo a distanza
Il Garante privacy ha ribadito le legittime esigenze di controllo sulla diligenza dei dipendenti che operano in smart working. Queste però non possono giustificare l’impiego di strumenti tecnologici che comprimono la libertà e la dignità della persona.
Queste pratiche configurano un monitoraggio diretto dell’attività lavorativa che non è consentito né dallo Statuto dei lavoratori né dai principi costituzionali.
Occorre un equilibrio tra le esigenze organizzative del datore di lavoro e la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, soprattutto in un contesto di lavoro agile dove il rispetto della privacy ha un’importanza ancora maggiore.
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