Cos’è il bossing
Il bossing è una forma specifica di abuso sul luogo di lavoro, in cui le condotte vessatorie provengono direttamente da un superiore gerarchico. Si tratta di un fenomeno sempre più riconosciuto, spesso assimilato al mobbing, ma con caratteristiche e dinamiche proprie che lo rendono particolarmente insidioso e complesso da affrontare.
Il termine bossing deriva dall’inglese “boss” (capo) e si riferisce nello specifico a comportamenti ostili, sistematici e ripetuti nel tempo, messi in atto da parte di un datore di lavoro o superiore gerarchico nei confronti di un lavoratore subordinato.
Le finalità del bossing possono includere:
- l’allontanamento del dipendente dall’ambiente lavorativo;
- l’induzione alle dimissioni volontarie;
- la svalutazione della persona o delle sue competenze;
- l’esclusione sistematica dalle attività lavorative.
Differenze tra bossing e mobbing
Il mobbing è un comportamento persecutorio sul luogo di lavoro che può essere esercitato da colleghi, superiori o anche da subordinati. Il bossing, invece, è una sottospecie del mobbing, caratterizzata dall’origine verticale dell’azione, ossia dalla posizione di potere di chi la esercita.
Mobbing → può essere orizzontale, ascendente o discendente.
Bossing → è solo discendente e coinvolge sempre un superiore.
Esempi di bossing:
- assegnazione di compiti dequalificanti o umilianti;
- isolamento intenzionale del dipendente;
- richieste impossibili o fuori orario;
- continue critiche ingiustificate o umiliazioni pubbliche.
Cosa dice la legge sul bossing
L’ordinamento giuridico italiano non prevede un reato autonomo di “bossing”, così come non lo prevede per il mobbing. Tuttavia, le condotte riconducibili a tale fenomeno possono integrare illeciti civili e penali, tra cui:
- violazione dell’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore;
- molestie morali sul luogo di lavoro, che possono essere riconosciute in sede giudiziaria;
- reati come l’abuso d’ufficio, lesioni personali (art. 582 c.p.), maltrattamenti (art. 572 c.p.) e stalking (art. 612-bis c.p.), a seconda della topologia dei comportamenti.
Le tutele per il lavoratore vittima di bossing
Il lavoratore che subisce bossing ha diritto a una serie di strumenti giuridici di tutela:
1. Tutela in sede civile
Può agire per:
- il risarcimento dei danni patrimoniali (perdita di reddito, cure mediche) e non patrimoniali (danno morale, biologico);
- Ottenere la declaratoria di responsabilità del datore di lavoro per violazione dell’art. 2087 c.c.
2. Tutela in sede penale
Se i comportamenti costituiscono reato, è possibile presentare querela nei termini previsti. L’autorità giudiziaria , in questo modo, potrà avviare un procedimento penale contro il superiore.
3. Denuncia all’Ispettorato del lavoro
Il lavoratore può rivolgersi all’Ispettorato territoriale del lavoro, che ha competenza in materia di salute, sicurezza e benessere nei luoghi di lavoro.
4. Intervento sindacale
I sindacati possono fornire assistenza nella documentazione delle molestie e nell’attivazione di procedure conciliative.
Come difendersi dal bossing
Se si decide di denunciare la condotta del superiore o di agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno è fondamentale raccogliere prove documentali e testimoniali delle condotte vessatorie:
- email, messaggi, ordini di servizio anomali;
- testimonianze di colleghi;
- referti medici o relazioni psicologiche;
- segnalazioni al medico competente o al RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza).
Per impostare una difesa e tutelare la propria posizione può essere utile rivolgersi invece a :
- un avvocato giuslavorista esperto nei diritti dei lavoratori;
- uno psicologo del lavoro o un medico del Servizio Sanitario;
- un’associazione per la tutela dei lavoratori.
Giurisprudenza della Cassazione
Cassazione n. 35061/2021: confermata la condanna per bossing del datore di lavoro e del capufficio di una dipendente, anche se quest’ultima era stata vittima di vessazioni unicamente da parte del suo superiore gerarchico. La Suprema Corte ha ritenuto responsabile il datore di lavoro per la sua colpevole inerzia di fronte alle condotte persecutorie, evidenziando come le testimonianze avessero accertato una lesione che coinvolgeva sia gli obblighi contrattuali che i diritti fondamentali della lavoratrice, quali la salute e la dignità sul posto di lavoro, tutelati dalla Costituzione. Di conseguenza, l’ammontare del risarcimento per il danno biologico è stato raddoppiato per compensare la sofferenza morale derivante dalla lesione della dignità della dipendente nell’ambiente lavorativo.
Cassazione n. 2012/2017: non si può parlare di “bossing” e, di conseguenza, non sussiste alcun diritto al risarcimento, quando il comportamento del responsabile, pur manifestandosi in modi burberi, bruschi e rozzi, non sia specificamente diretto a un singolo lavoratore “preso di mira”, ma si estenda indistintamente a tutto il personale. In tali circostanze, tali modalità espressive rivelano unicamente un tratto caratteriale del soggetto, per quanto criticabile, senza alcuna intenzione di accanirsi contro un individuo in particolare.
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