guida in stato di ebbrezza

Guida in stato di ebbrezza: tolleranza zero Guida in stato di ebbrezza: come cambiano le regole del Codice della Strada dal 14 dicembre 2024, quando entra in vigore la riforma

Guida in stato di ebbrezza: nuove regole dal 14 dicembre

Cambiano le regole per chi guida in stato di ebbrezza. Il 14 dicembre 2024 entrerà in vigore la legge 25 novembre 2024, n. 177, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 novembre. Questa legge introduce misure incisive per migliorare la sicurezza stradale e assegna al Governo una delega per la revisione completa del Codice della Strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285).

Le nuove norme facilitano anche la sospensione della patente per chi guida sotto l’effetto di alcol, una punizione che si aggiunge a un quadro sanzionatorio già severo per infrazioni legate alla distrazione. L’obiettivo è ridurre l’incidentalità stradale e uniformare il sistema normativo alle esigenze moderne.

Tolleranza zero per chi guida in stato di ebbrezza

Tra le principali modifiche spicca l’inasprimento delle sanzioni per la guida in stato di ebbrezza. Le conseguenze legali diventano più severe.

Le nuove disposizioni prevedono le seguenti sanzioni, graduate in base al tasso alcolemico rilevato:

  • tasso alcolemico 0,5-0,8 g/l: sanzione amministrativa tra 573 e 2.170 euro e sospensione della patente da 3 a 6 mesi;
  • tasso alcolemico 0,8-1,5 g/l: arresto fino a 6 mesi, pecuniaria (800-3.200 euro) e sospensione della patente da 6 mesi a 1 anno;
  • tasso alcolemico oltre 1,5 g/l: arresto da 6 mesi a 1 anno, ammenda tra 1.500 e 6.000 euro e sospensione della patente da 1 a 2 anni.

Ogni violazione comporta anche la decurtazione, fino a 10, dei punti dalla patente di guida.

Introduzione dell’alcolock

La riforma introduce nel Codice della strada l’alcolock, un sistema che impedisce l’avviamento del motore se rileva un tasso alcolemico superiore a zero. Il conducente deve soffiare in un dispositivo collegato alla centralina del veicolo: se il tasso è superiore al limite infatti l’auto non parte. Questo strumento è pensato come deterrente per ridurre la recidiva nella guida in stato di ebbrezza.

Secondo il nuovo art. 186 del Codice della Strada, i giudici, quando la violazione consiste nella guida con tassi di 0,8-1,5 g/l e oltre 1,5 g/l, possono applicare i codici unionali 68 (“Niente alcool”) e 69 (“Solo veicoli con alcolock”) sulla patente dei condannati:

  • Codice 68: vieta completamente l’uso di alcol;
  • Codice 69: permette la guida solo su veicoli dotati di alcolock.

Questi obblighi permangono per due anni in caso di infrazioni moderate (tasso alcolemico 0,8-1,5 g/l) e per tre anni in caso di violazioni gravi (oltre 1,5 g/l). La commissione medica, competente per i rinnovi della patente, può comunque prolungare questo periodo. Per chi tenta di manomettere l’alcolock, le sanzioni si inasprisco o ulteriormente.

Problemi applicativi e criticità

L’alcolock solleva tuttavia alcune questioni operative perché non è chiaro come è possibile gestire i trasgressori che non possiedono un veicolo. La norma prevede infatti l’installazione dell’alcolock solo sui mezzi intestati ai conducenti condannati. Questo lascia scoperti casi in cui il trasgressore utilizzi veicoli aziendali, in leasing o appartenenti a terzi.

Inoltre, l’obbligo di installazione dell’alcolock scatta solo dopo la sentenza definitiva. Considerando i tempi della giustizia, potrebbero passare anni prima che il dispositivo venga effettivamente applicato. Nel frattempo, il trasgressore potrebbe dimostrare un comportamento virtuoso, rendendo meno efficace la misura punitiva.

Un decreto ministeriale, da emanare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, definirà le specifiche tecniche del dispositivo, le modalità di installazione e le officine autorizzate.

Revisione complessiva del Codice della Strada

Oltre alle misure immediatamente operative, la legge delega il Governo a una revisione globale del Codice della Strada. Entro 12 mesi dovranno essere emanati i decreti legislativi necessari per adeguare la normativa alle esigenze attuali. Questo processo punta a semplificare il quadro normativo e a rendere più efficaci le misure di sicurezza stradale.

La Legge 177/2024 segna un passo avanti nella lotta contro la guida in stato di ebbrezza e l’incidentalità stradale. L’introduzione dell’alcolock rappresenta una svolta significativa, anche se permangono alcune criticità applicative. La revisione complessiva del Codice della Strada, affidata al Governo, costituirà un ulteriore banco di prova per modernizzare il sistema e garantire maggiore sicurezza sulle strade.

 

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monopattini elettrici

Monopattini elettrici: targa e assicurazione obbligatorie Monopattini elettrici: cosa cambia dal 14 dicembre 2024 dopo la riforma del Codice della Strada per questi mezzi di mobilità eco-sostenibili

Monopattini elettrici: cosa cambia dal 14 dicembre 2024

Dal 14 dicembre 2024 entreranno in vigore le nuove norme sui monopattini elettrici previste dalla recente riforma del Codice della Strada, contenuta nella legge n. 177/2024. L’obiettivo principale delle modifiche apportate è quello di garantire una maggiore sicurezza per utenti e pedoni, regolamentando l’uso di questi mezzi. L’introduzione delle nuove regole rappresenta un passo avanti verso una mobilità più sicura. Gli obblighi di targa, casco e assicurazione responsabilizzeranno gli utenti. I limiti di circolazione e i requisiti tecnici miglioreranno invece la sicurezza stradale. Resta da vedere come le norme verranno implementate e accolte dai cittadini e dai gestori dei servizi di sharing. Vediamo nel dettaglio le principali novità introdotte.

Obbligo di targa, assicurazione e casco

Tutti i monopattini elettrici dovranno essere dotati di una targa adesiva e plastificata, fornita dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. La targa sarà composta da tre lettere e tre numeri.

Anche l’assicurazione di Responsabilità Civile (RC) diventa obbligatoria, con l’obiettivo di coprire eventuali danni a terzi. Chi non rispetta queste disposizioni rischia sanzioni tra 100 e 400 euro, anche nel caso in cui il contrassegno, pur presente, non sia visibile o risulti alterato o contraffatto.

Il casco sarà obbligatorio per tutti i conducenti, indipendentemente dall’età. Questa misura si applicherà sia ai monopattini privati sia a quelli in sharing. I gestori del servizio di noleggio dovranno affrontare le sfide di distribuzione e sanificazione dei caschi.

Requisiti tecnici e limiti di sosta e circolazione

I monopattini dovranno essere equipaggiati con indicatori luminosi per la svolta e freni su entrambe le ruote. Chi circolerà senza queste dotazioni rischierà multe tra 200 e 800 euro.

Saranno vietati i mezzi che non rispetteranno i requisiti tecnici definiti da un decreto ministeriale attuativo.

La circolazione sarà consentita solo su strade urbane con un limite di velocità di 50 km/h. Saranno esclusi dalle piste ciclabili, dalle aree pedonali e dalle strade con limiti di velocità superiori. I monopattini in sharing dovranno essere dotati inoltre di un dispositivo che ne blocchi l’uso al di fuori delle aree consentite.

Regole per la sosta dei monopattini

I monopattini non potranno sostare sui marciapiedi a meno che il marciapiede, per dimensioni e caratteristiche, lo consenta, previa individuazione dell’area di sosta con ordinanza comunale. In questo caso sarà necessario garantire anche la circolazione di pedoni e ciclisti. In ogni caso ai monopattini sarà consentita la sosta negli stalli previsti per velocipedi, ciclomotori e motoveicoli.

Norme per un uso responsabile dei monopattini elettrici

Secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Mobilità Sostenibile, in Italia ci sono circa 100.000 monopattini in uso tra proprietà private e sharing. L’uso crescente ha portato a un aumento degli incidenti. Nel 2022, l’ACI-ISTAT ha registrato 2.929 incidenti con monopattini, con 16 decessi e 3.195 feriti. Le nuove norme mirano a ridurre questi numeri, aumentando la consapevolezza e promuovendo un uso responsabile dei mezzi. Tuttavia, l’effettiva applicazione delle regole dipenderà dai decreti attuativi, attesi nei prossimi mesi.

 

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Diffamazione su WhatsApp: esclusa l’aggravante della pubblicità Diffamazione su WhatsApp: esclusa l’aggravante delle pubblicità, la chat conserva una sua riservatezza, non è un sito o un social media

Diffamazione su una chat di WhatsApp

Esclusa la diffamazione aggravata dal mezzo della pubblicità del messaggio offensivo su una chat di WhatsApp. Lo ha stabilito la sentenza n. 42783/2024 della Corte di Cassazione. La decisione ha stabilito infatti che l’invio di un messaggio offensivo su una chat di WhatsApp non comporta automaticamente l’applicazione dell’aggravante del “mezzo di pubblicità”. La sentenza chiarisce che l’uso di piattaforme come WhatsApp, anche se coinvolge numerosi partecipanti, non equivale a una comunicazione pubblica. La riservatezza intrinseca di queste chat limita la diffusività del messaggio e impedisce l’applicazione automatica di aggravanti legate alla pubblicità.

Militare assolto dal reato di diffamazione

Il caso di cui si sono occupati gli Ermellini riguarda un militare, accusato di aver diffamato una collega tramite un commento offensivo inviato a una chat WhatsApp denominata “181 ESEMPIO”, composta da 156 membri. Per l’accusa il numero di iscritti configura l’aggravante del “mezzo di pubblicità”, rendendo il reato procedibile d’ufficio. Tuttavia, il giudice di primo grado ha assolto l’imputato per “particolare tenuità del fatto” ai sensi dell’articolo 131 bis del codice penale.

La Corte Militare d’Appello ha confermato la condanna, sostenendo la natura pubblica della comunicazione nella chat. Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell’imputato ha sollevato tre punti: erronea identificazione della persona offesa, contraddittorietà nella qualificazione dell’offesa e impropria applicazione della legge riguardo alla presunta “pubblicità” del messaggio.

Aggravante della pubblicità inapplicabile

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso in merito all’errata applicazione dell’aggravante del mezzo di pubblicità. Secondo i giudici, una chat WhatsApp, seppur con numerosi iscritti, conserva una dimensione riservata e non può essere equiparata a strumenti come social network o siti web pubblici. La decisione si basa su un’analisi dettagliata delle caratteristiche tecniche della piattaforma. La sentenza distingue infatti i mezzi di comunicazione in grado di raggiungere un pubblico indeterminato dagli strumenti più circoscritti come le chat private.

Aggravante della pubblicità configurabile su social e siti web

Nelle piattaforme social, come Facebook, la diffusione di contenuti può teoricamente raggiungere un numero indefinito di utenti, configurando una “pubblicità” che giustifica l’applicazione dell’aggravante. Nel caso delle chat WhatsApp, invece, il messaggio è accessibile solo agli iscritti, i quali devono essere stati precedentemente accettati nel gruppo. Questa caratteristica preserva un elemento fondamentale di riservatezza, anche se il numero di membri può essere elevato. La Cassazione sottolinea che la diffusione di un messaggio all’interno di un gruppo chiuso non determina automaticamente la “perdita di riservatezza”. Con l’esclusione dell’aggravante, il reato contestato al militare è procedibile solo su querela di parte e non d’ufficio. La mancanza di una querela valida ha quindi portato all’annullamento senza rinvio della sentenza d’appello, rendendo improcedibile il caso.

 

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sospeso l'avvocato

Sospeso l’avvocato che non controlla la pec Il CNF sull'inadempimento al mandato e la responsabilità disciplinare per negligenza nel controllo della propria pec

Notifiche via pec “ignorate”

Può essere sospeso l’avvocato che non controlla la pec. “Costituisce – infatti – violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita (art. 26 cdf), come nel caso di negligente ovvero omessa verifica delle comunicazioni o notifiche ricevute nella propria casella di posta elettronica certificata”. Così il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 134/2024 confermando la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio professionale inflitta a un avvocato dal Consiglio distrettuale di disciplina.

La vicenda

Nel caso di specie, il professionista non si era accorto della notifica PEC dell’opposizione a decreto ingiuntivo, il cui giudizio si era concluso nella contumacia dell’opposto. All’esito del procedimento disciplinare, il CDD gli infliggeva la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio professionale per otto mesi.

L’avvocato adiva il CNF lamentando che “avere ignorato la PEC di notifica, potrebbe al più comportare responsabilità civile ma, in assenza di specifica motivazione sulla trascuratezza degli interessi della parte assistita, non potrebbe comportare responsabilità disciplinare”.

La decisione

Per il CNF, il ricorso è infondato e pertanto va rigettato confermando la decisione assunta dal CDD, le cui motivazioni il Consiglio condivide anche con riguardo alla scelta della sanzione comminata. L’argomentare logico del ricorrente secondo il quale, la mancata visione della pec di notifica sarebbe stata “una mera svista” non convince il Collegio il quale ritiene invece che tale definizione rappresenti “un artificio linguistico dietro cui celare il comportamento negligente, documentalmente provato”.

Non verificare la PEC, “nella consapevolezza, anche solo per la vicenda in oggetto, del periodo nel quale potesse maturare un’opposizione ad un decreto ingiuntivo, è circostanza che di per sé denota negligenza con le dirette conseguenze in termini di configurabilità della violazione di cui all’art. 26 comma 3” aggiunge il CNF. Si tratta, di una negligenza che nasce dal “disinteresse” nei confronti delle sorti del cliente, “ed è certamente rilevante e si pone al di sotto della diligenza media, proprio perché al ricorrente era chiaro che si sarebbe potuto trovare innanzi ad una opposizione e per tanto avrebbe dovuto usare il massimo della diligenza nella verifica di eventuali PEC. Tutto ciò configura – prosegue ancora il Consiglio – anche la violazione degli articoli 9,10 e 12 in quanto nella vicenda in oggetto il disvalore del comportamento negligente è fornito proprio dalla mancata costituzione nel giudizio di opposizione”.

Per cui, il ricorso è rigettato e la sanzione ritenuta congrua.

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permessi legge 104

Permessi legge 104: non c’è una data di scadenza I permessi ex legge 104 non hanno una data di scadenza, vengono meno se non sussistono i requisiti richiesti dalla legge

Permessi legge 104: nessuna scadenza automatica

I permessi retribuiti previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992 non hanno una data di scadenza prefissata. Tuttavia, il diritto alla fruizione rimane subordinato alla verifica continua della sussistenza dei requisiti richiesti. Questo principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, nella sentenza n. 30628/2024.

Richiesta permessi per assistere parente disabile

Il principio sancito dagli Ermellini chiude una vicenda che ha inizio quando un lavoratore chiede i permessi per assistere un congiunto con disabilità grave. L’INPS inizialmente concede l’autorizzazione, poi la limita a un periodo definito. La società datrice di lavoro chiede quindi il rimborso delle somme indebitamente erogate.  Per la società infatti il dipendente non aveva più diritto ai permessi. La Corte d’Appello accoglie le richieste dell’azienda, ma il lavoratore impugna la decisione, portando il caso davanti alla Cassazione.

I permessi della legge 104 non scadono automaticamente

La Suprema Corte chiarisce che il diritto ai permessi nasce con la presentazione della domanda amministrativa e il riconoscimento dell’ente previdenziale. Una volta accertato il diritto, questo non può essere arbitrariamente limitato nel tempo dall’INPS o dal datore di lavoro, a meno che non intervengano cambiamenti nei requisiti iniziali. I benefici previsti dalla Legge 104 non sono soggetti a “scadenza automatica”. Eventuali modifiche o revoche possono avvenire solo in caso di accertamenti successivi che dimostrino l’assenza dei presupposti di legge.

Onere del lavoratore: domanda corretta e completa

Il lavoratore ha l’onere di presentare una domanda amministrativa corretta e completa. Questa domanda è infatti un atto essenziale per accedere al beneficio. Essa permette all’INPS di verificare l’esistenza delle condizioni previste dalla normativa. Una volta approvata, la prestazione previdenziale diventa obbligatoria e permanente fino a prova contraria.

Nel caso specifico, la Cassazione, nell’accogliere  il ricorso del dipendente, evidenzia che l’INPS non aveva il diritto di circoscrivere temporalmente il beneficio, salvo verifiche capaci di dimostrare la perdita dei requisiti.

INPS o datore: devono provare il venir meno dei requisiti

Un elemento cruciale riguarda però l’onere della prova. Spetta all’INPS o al datore di lavoro dimostrare che i requisiti per i permessi siano venuti meno. Questo ribalta la prospettiva: una volta riconosciuto il diritto, il lavoratore non deve dimostrare continuamente di averne diritto. Sono le istituzioni competenti a dover provare eventuali irregolarità.

Implicazioni pratiche lavoratori e datori

La sentenza della Cassazione sancisce in conclusione che:

  • i permessi ex Legge 104 non decadono automaticamente;
  • la richiesta del lavoro relativa ai permessi deve essere chiara, completa e conforme ai requisiti di legge;
  • l’INPS può controllare la persistenza dei requisiti, ma non può imporre limiti temporali arbitrari;
  • il diritto ai permessi decade solo se emergono modifiche che rendono non applicabile la normativa.

Ne consegue che le aziende devono prestare maggiore attenzione nel gestire i permessi. Anticipare somme senza verifiche adeguate può comportare rischi finanziari. La richiesta di rimborso al lavoratore deve essere supportata da prove solide che dimostrino eventuali irregolarità nel godimento dei permessi 104.

E’ necessario inoltre che vi sia equilibrio tra il diritto del lavoratore e il controllo dei requisiti da parte dell’INPS. Il sistema previdenziale deve essere equo e il diritto al sostegno per i familiari con disabilità deve essere garantito senza ostacoli burocratici o interpretazioni restrittive.

 

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notifiche avvocati

Notifiche avvocati: come si usa l’area web Notifiche avvocati: il D.lgs n. 164/2024 introduce importanti novità in materia di notifiche a mezzo pec in caso di fallimento della notifica

Notifiche avvocati: le modifiche del D.lgs. 164/2024

In materia di notifiche effettuate dall’avvocato il D.lgs n. 164/2024, che contiene il  correttivo più recente della Riforma Cartaria, apporta significative modifiche alla legge n. 53/94. In questo modo il decreto uniforma le notifiche in proprio degli avvocati a quelle degli ufficiali giudiziari nei casi in cui il messaggio risulti impossibile da recapitare. Questo intervento è parte di un più ampio processo di informatizzazione del sistema giudiziario italiano finalizzato a renderlo più rapido ed efficiente. 

Novità articolo 3-ter legge n. 53/94

L’articolo 6 del D.lgs n. 164/2024 ha rivisto la disciplina delle notifiche tramite posta elettronica certificata (PEC), modificando i commi 2 e 3 dell’articolo 3-ter della legge n. 53/94.

Notifica fallita per causa imputabile al destinatario

Ora, quando una notifica via PEC non viene recapitata per cause imputabili al destinatario, l’atto è inserito in un’area riservata del Portale dei Servizi Telematici (PST) del Ministero della Giustizia “unitamente ad una dichiarazione sulla sussistenza dei presupposti per l’inserimento, all’interno di un’area riservata collegata al codice fiscale del destinatario e generata dal portale.”

Il perfezionamento della notifica avviene al decimo giorno dall’inserimento nel portale, oppure il giorno in cui il destinatario accede all’area riservata, se precedente.

Notifica fallita per causa non imputabile al destinatario

Se invece il mancato recapito è dovuto a cause non imputabili al destinatario, la notifica deve essere eseguita con modalità tradizionali, dall’avvocato a mezzo posta o dall’ufficiale giudiziario in base a quanto previsto all’art. 137 c.p.c e seguenti. A questo scopo l’avvocato dichiara all’ufficiale giudiziario che il destinatario della notificazione non dispone di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi ovvero che la notificazione a mezzo posta elettronica certificata non è risultata possibile o non ha avuto esito positivo per la causa non imputabile al destinatario specificamente indicata.” 

Notifiche avvocati: le implicazioni delle modifiche

Queste modifiche rappresentano un passo significativo verso la digitalizzazione del sistema giuridico. Uniformando le procedure di notifica degli avvocati a quelle degli ufficiali giudiziari, si semplificano i processi e si migliorano i tempi di gestione.

La creazione dell’area riservata sul Portale dei Servizi Telematici è un esempio di come la tecnologia possa essere utilizzata per ridurre gli ostacoli burocratici. Allo stesso tempo, essa è in grado anche di garantire il rispetto dei diritti del destinatario, con regole chiare e uniformi per il perfezionamento della notifica.

Con l’informatizzazione del processo civile, cresce anche la responsabilità degli avvocati nell’utilizzo degli strumenti digitali. Adeguarsi a queste novità è fondamentale per operare efficacemente nel contesto giuridico in continua evoluzione.

 

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avvocati

Avvocati: addio responsabilità per colpa lieve Responsabilità professionale avvocati: la proposta di legge Zanettin la limita a solo e alla colpa grave come per i magistrati

Responsabilità professionale avvocati: la pdl

Avvocati, addio responsabilità per colpa lieve? Il senatore Zanettin propone una modifica della responsabilità professionale avvocati intervenendo sull’articolo 3 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che regola la professione forense. Il disegno di legge, assegnato alla seconda Commissione permanente Giustizia il 28 novembre 2024, mira a uniformare il regime di responsabilità degli avvocati a quello dei magistrati, introducendo una limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave. 

Responsabilità professionale avvocati: il contesto attuale

La legge  n. 247/2012 non contiene disposizioni specifiche sulla responsabilità degli avvocati. La giurisprudenza prevalente stabilisce che l’avvocato risponda anche per colpa lieve, salvo in casi di problemi tecnici di particolare complessità. Questa regola lascia gli avvocati esposti a contestazioni, anche in situazioni di incertezza giuridica. Un problema crescente è l’aumento delle azioni legali contro gli avvocati, spesso legate a ricorsi dichiarati inammissibili dalla Corte di Cassazione. Queste situazioni, dovute anche a errori interpretativi o mutamenti nella giurisprudenza, alimentano il contenzioso. I giudici, invece, operano in un regime diverso. La legge 13 aprile 1988, n. 117, limita infatti la responsabilità dei magistrati ai casi di dolo e colpa grave, escludendo errori di interpretazione del diritto.

Responsabilità limitata al dolo e alla colpa grave

Per questo il disegno di legge vuole equiparare la responsabilità degli avvocati a quella dei magistrati, aggiungendo un periodo al comma 2 dell’articolo 3 della legge n. 247 del 2012. Il testo prevede infatti che lavvocato risponda solo per dolo o colpa grave, escludendo la responsabilità per attività di interpretazione delle norme giuridiche.

Perché questa riforma è necessaria

La proposta si fonda su due considerazioni principali:

  • incertezza del diritto: l’avvocato opera in un contesto giuridico complesso e in continua evoluzione, simile a quello dei magistrati. Errori interpretativi possono derivare dalla mutevolezza degli orientamenti giurisprudenziali, non da negligenza;
  • riduzione del contenzioso: limitare la responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave potrebbe ridurre le azioni legali pretestuose contro gli avvocati, soprattutto in caso di ricorsi inammissibili.

Questa riforma mira quindi a uniformare il regime di responsabilità delle due principali categorie di operatori del diritto, avvocati e magistrati. Con la modifica si otterrebbe il riconoscimento del contesto di incertezza in cui entrambi operano e un passo avanti verso un sistema giuridico più equilibrato e in grado di garantire maggiore tutela professionale. Resta da vedere come sarà accolta soprattutto dagli operatori del settore.

 

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decreto giustizia

Decreto giustizia: tutte le novità Decreto giustizia n. 178/2024: tutte le novità sulle misure per la giustizia, sulla tutela delle vittime, e sulle riforme della magistratura

Decreto giustizia: in Gazzetta il DL n. 178/2024

Il Decreto giustizia n. 178/2024, contenente “Misure urgenti in materia di giustizia”, approda sulla Gazzetta Ufficiale n. 280 del 29 novembre 2024 ed entra in vigore il 30 novembre. Questo provvedimento, composto da 11 articoli, introduce diverse disposizioni per rafforzare il sistema giudiziario. Il testo dedica anche particolare attenzione alla tutela delle vittime di violenza di genere, alla gestione delle misure cautelari e all’organizzazione interna della magistratura.

Vittime di violenza: novità sul braccialetto elettronico

Il decreto giustizia potenzia gli strumenti a disposizione dell’autorità giudiziaria per proteggere le vittime di violenza di genere e atti persecutori. In particolare, vengono perfezionate le norme sulle modalità di utilizzo del braccialetto elettronico. La polizia giudiziaria, prima che il giudice decida la misura cautelare, deve verificare la fattibilità tecnica e operativa dello strumento.

Questo controllo tiene conto dei seguenti aspetti:

  • caratteristiche dei luoghi coinvolti;
  • distanze e copertura della rete;
  • qualità del collegamento e tempi di invio dei segnali;
  • capacità gestionale dello strumento.

Un rapporto dettagliato su queste verifiche deve essere trasmesso all’autorità giudiziaria entro 48 ore. Se il braccialetto non è tecnicamente od operativamente idoneo, il giudice può adottare misure più severe, anche in combinazione con quelle già in atto.

In caso di violazioni gravi o reiterate delle prescrizioni imposte, il giudice ha la facoltà di revocare gli arresti domiciliari e optare per la custodia cautelare in carcere.

Proroga elezioni giudiziarie e misure per la magistratura

Un’altra importante disposizione del decreto giustizia riguarda la proroga delle elezioni per i Consigli giudiziari e il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, ora fissate per aprile 2025. Questa decisione permette di riallineare le date elettorali alle recenti modifiche normative e assicurare una gestione più fluida delle procedure di rinnovo.

Il decreto modifica inoltre i criteri per il conferimento degli incarichi direttivi di legittimità, riservandoli ai magistrati che garantiranno almeno due anni di servizio prima del collocamento a riposo, anziché quattro.

In vista della piena operatività del nuovo Tribunale per le persone, i minorenni e la famiglia, si introduce una deroga temporanea ai limiti di permanenza nell’incarico per i magistrati già assegnati a procedimenti familiari. Questa misura intende incentivare l’integrazione dei magistrati esperti nella nuova struttura.

Formazione e impiego dei giudici onorari

Per accelerare i conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi, l’obbligo di frequenza dei corsi di formazione viene posticipato all’avvenuto conferimento dell’incarico, da completare entro sei mesi. Tale modifica riduce i tempi burocratici, agevolando una più rapida assegnazione delle responsabilità.

Il periodo di assegnazione dei giudici onorari di pace all’ufficio del processo è ridotto da due anni a uno. Questa decisione punta a rendere più efficiente l’impiego delle risorse selezionate, velocizzando il loro contributo concreto all’attività giudiziaria.

Emergenza carceraria ed edilizia penitenziaria

Tra le misure adottate spiccano le modifiche alla disciplina del Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. L’obiettivo è affrontare con maggiore efficienza la crisi del sistema carcerario, migliorando le strutture e ottimizzando l’allocazione delle risorse.

Insolvenza, INAIL e lavori di pubblica utilità

Il provvedimento chiarisce alcune disposizioni transitorie relative al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Inoltre, si introducono misure specifiche per estendere la copertura INAIL ai soggetti impegnati in lavori di pubblica utilità. Questa previsione amplia le tutele per i lavoratori, garantendo un maggiore riconoscimento della loro attività.

Temi esclusi dal decreto giustizia

Nonostante le aspettative iniziali, il testo definitivo del decreto non include norme riguardanti gli illeciti dei magistrati. Le polemiche suscitate dalla proposta di introdurre nuove fattispecie di illeciti disciplinari hanno portato alla loro esclusione.

Allo stesso modo, non sono state inserite le norme sulla cybersicurezza, che avrebbero attribuito al procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo funzioni di impulso per reati informatici.

 

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assegno di mantenimento

Assegno di mantenimento: rileva il dovere di assistenza materiale Assegno di mantenimento: se dovuto in caso di separazione non si può trascurare l’assistenza materiale prestata dal coniuge richiedente

Mantenimento e dovere di assistenza materiale

Nel determinare l’assegno di mantenimento occorre considerare anche il dovere di assistenza materiale. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 30119/2024, in cui sottolinea che il principio di assistenza materiale tutela il coniuge economicamente più debole e garantisce che le scelte prese durante il matrimonio, come la divisione dei ruoli e delle responsabilità, non penalizzino una parte in modo sproporzionato in caso di separazione.

Separazione e assegno di mantenimento per la moglie

Il caso, originato da una richiesta di separazione legale, vede il marito contestare l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento mensile di 300 euro stabilito in primo grado. L’uomo sottolinea l’autosufficienza economica della moglie, che ha sempre lavorato, e lamenta l’errata valutazione patrimoniale delle parti, nonché l’utilizzo di un criterio prognostico basato sulle aspettative pensionistiche future della controparte. La Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado, motivando la decisione con una valutazione complessiva delle condizioni economiche e reddituali delle parti e ribadendo il dovere di assistenza materiale tra coniugi.

Dovere di assistenza morale permane durante la separazione

Il ricorso del marito giunge infine in Cassazione. Gli Ermellini rigettano le istanze, sottolineando alcuni principi chiave. La Corte ribadisce in particolare che l’assegno di mantenimento conseguente alla separazione personale si basa sulla necessità di garantire al coniuge economicamente più debole un tenore di vita comparabile a quello goduto durante il matrimonio, nel rispetto del dovere di assistenza materiale, che permane anche durante la separazione.

L’art. 156 c.c disciplina l’assegno di mantenimento e stabilisce che esso non è legato alla solidarietà post-coniugale, tipica dei procedimenti di divorzio, ma a un vincolo coniugale ancora in essere. Il giudizio non può quindi prescindere dall’analisi del contributo materiale ed economico offerto da ciascun coniuge durante la vita matrimoniale.

Assistenza materiale: ruolo nella determinazione dell’assegno

L’aspetto cruciale evidenziato nel caso  di specie riguarda il ruolo dell’assistenza materiale fornita da un coniuge all’altro, sia in termini economici che di supporto concreto nella gestione familiare. La Corte chiarisce che questa assistenza è un elemento fondamentale da considerare per stabilire l’ammontare dell’assegno. Anche se entrambi i coniugi hanno capacità lavorative, la disparità patrimoniale e reddituale deve essere bilanciata per evitare ingiuste sperequazioni. Nel caso specifico, il marito ha evidenziato il basso tenore di vita mantenuto durante il matrimonio e l’assenza di contributo economico diretto della moglie al ménage familiare. La Corte però ha riconosciuto il diritto all’assegno sulla base di una disparità patrimoniale accertata e sul contributo non economico offerto dalla moglie.

 

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tabella unica nazionale

Tabella Unica Nazionale: risarcimento danni non patrimoniali Tabella Unica Nazionale risarcimento danni non patrimoniali: approvato il regolamento che uniforma i criteri per i danni da lesione

Tabella Unica Nazionale: approvato il regolamento

Approvata la Tabella Unica nazionale per il risarcimento dei danni non patrimoniali da lesioni gravi conseguenti a sinistri stradali e responsabilità sanitaria. Dopo quasi vent’anni di attesa e dibattiti, l’Italia si avvia così verso una regolamentazione più equa e uniforme dei risarcimenti per i danni non patrimoniali gravi.

Con l’approvazione definitiva, il 25 novembre 2024, del Regolamento recante la Tabella Unica Nazionale (TUN), il panorama normativo in materia di danno non patrimoniale subisce una significativa trasformazione.

La TUN, ossia la Tabella Unica Nazionale, prevista dall’articolo 138 del Codice delle Assicurazioni (D.Lgs. n. 209/2005), punta a uniformare i criteri di risarcimento per le lesioni fisiche e psico-fisiche gravi derivanti da sinistri stradali e responsabilità sanitaria.

L’introduzione della Tabella Unica Nazionale segna un passo fondamentale verso una maggiore equità e uniformità nel sistema risarcitorio italiano.

Sebbene ci siano ancora aspetti da perfezionare, la TUN rappresenta un esercizio di civiltà giuridica che offre nuove certezze sia ai danneggiati che agli operatori del settore.

Con questo strumento, si apre infatti la strada a una gestione più razionale e sostenibile dei risarcimenti, ponendo fine a decenni di disomogeneità e contenziosi.

Il nuovo sistema sarà applicabile ai sinistri verificatisi dopo l’entrata in vigore del regolamento, garantendo chiarezza nei tempi di attuazione.

Iter normativo: l’intervento del Consiglio di Stato

L’elaborazione della TUN ha incontrato diversi ostacoli, tra cui una sospensione significativa lo scorso febbraio, quando il Consiglio di Stato ha sollevato critiche su aspetti tecnici e giuridici del testo. Questi rilievi hanno spinto il Governo a rivedere il regolamento, senza però stravolgerne l’impianto originario.

Il risultato è un sistema tabellare che concilia i criteri previsti dall’articolo 138 con la consolidata giurisprudenza in materia di danno non patrimoniale. Il Consiglio di Stato, pur approvando il testo rivisto, ha evidenziato la necessità di mantenere un equilibrio tra la tutela dei diritti dei danneggiati e la sostenibilità economica per le imprese assicurative.

Obiettivi della Tabella Unica Nazionale

L’introduzione della TUN risponde a molteplici obiettivi.

  1. Superare le disomogeneità delle tabelle attualmente in uso, come quelle dei Tribunali di Milano e Roma.
  2. Garantire risarcimenti proporzionati e adeguati alle lesioni, riducendo disparità territoriali.
  3. Offrire parametri certi per la liquidazione dei danni, favorendo soluzioni stragiudiziali.
  4. Fornire uno strumento chiaro per avvocati, giudici, medici legali e compagnie assicurative.

Limiti delle tabelle preesistenti

Fino a oggi, l’assenza di un sistema unitario ha portato all’adozione di tabelle differenti a seconda della giurisdizione, con disallineamenti significativi, soprattutto per le lesioni più gravi. Ad esempio, mentre la tabella del Tribunale di Roma tende a riconoscere somme più alte, quella di Milano gode di un primato di applicazione grazie a un’ampia accettazione da parte della Cassazione.

Contenuti della Tabella Unica Nazionale

Il Regolamento introduce un sistema basato su coefficienti precisi che tengono conto de seguenti aspetti:

  • punti di invalidità: ogni punto, da 10 a 100, è associato a un valore economico progressivo;
  • età del danneggiato: il valore del punto diminuisce con l’aumentare dell’età;
  • danno morale: previsti incrementi percentuali in base alla gravità della lesione e alle particolari circostanze personali.

Il regolamento prevede inoltre la possibilità di personalizzare il risarcimento fino al 30% nei casi di specifiche incidenze sulle attività quotidiane o relazionali.

Allegati: strumenti di calcolo

Il Regolamento comprende allegati che dettagliano i parametri per il calcolo dei risarcimenti:

Allegato I: definisce i coefficienti moltiplicatori per determinare il valore economico di ogni punto di invalidità;

Allegato II: include tabelle che indicano il risarcimento totale, considerando età, danno biologico e morale.

Ad esempio, il valore del primo punto di invalidità per lesioni lievi è fissato a 939,78 euro (dato aggiornato al 2023). Questo importo viene poi adeguato in base ai coefficienti relativi all’età e alla gravità delle lesioni.

TUN: impatto sul sistema risarcitorio

L’approvazione della TUN introduce benefici significativi, perché un sistema tabellare unico limita le discrezionalità nelle decisioni giudiziarie, la presenza di parametri chiari agevolano la risoluzione stragiudiziale delle controversie, una maggiore prevedibilità dei costi contribuisce alla stabilità del mercato assicurativo.

Criticità e prospettive

Nonostante i progressi, permangono alcune sfide. La valutazione del danno morale e la sua correlazione con il danno psichico o relazionale possono sollevare dubbi interpretativi. Inoltre, restano da definire tabelle specifiche per le macro-invalidità superiori al 10%, un passo necessario per completare il quadro normativo.

Un’altra criticità riguarda il danno parentale, che non è stato ancora oggetto di regolamentazione uniforme. Questo aspetto potrebbe rappresentare il prossimo capitolo nella riforma del risarcimento dei danni non patrimoniali.

 

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