genitore sulla cie

La Cassazione ripristina la parola “genitore” sulla CIE La parola “genitore” sulla CIE è maggiormente rappresentativa della realtà sociale attuale delle famiglie con due padri o con due madri

Cassazione: “genitore” sulla CIE

C’è la possibilità di indicare il termine “genitore” sulla CIE al posto delle tradizionali diciture “padre” e “madre”? Su questo tema si è espressa la Corte di Cassazione (sentenza n. 9216/2025) sul ricorso del Ministero dell’Interno avverso le sentenze di primo e secondo grado, entrambe favorevoli a una coppia omogenitoriale.

“Genitore”: rappresentazione più aderente alla realtà

La vicenda portata all’attenzione degli Ermellini prende origine dal Tribunale di Roma, che ordina al Ministero dell’Interno di modificare la modalità di compilazione della CIE per un minore con due madri – una biologica, l’altra adottiva.

Il giudice stabilisce che, disapplicando il decreto ministeriale del 31 gennaio 2019, occorre riportare sulla carta la dicitura “genitore” o, in alternativa, formule inclusive come “padre/genitore” e “madre/genitore”.

La decisione viene confermata anche dalla Corte d’Appello di Roma. Il modello ministeriale impone in effetti una rappresentazione familiare non più aderente alla realtà giuridica, come dimostrato dalla presenza, sempre più frequente, di famiglie con due genitori dello stesso sesso. In particolare, l’adozione in casi particolari – disciplinata dalla legge 184/1983 – è idonea a creare un legame di piena parentela, e quindi a legittimare la richiesta di un’identificazione coerente del genitore adottivo anche nei documenti d’identità del minore.

“Padre e madre” sulla CIE: discriminatorio

Il Ministero dell’Interno di fronte alla Cassazione solleva però tre motivi di doglianza nei confronti della sentenza della Corte d’Appello.

Il primo denuncia un vizio di motivazione della sentenza della Corte d’Appello, perché carente e generica. La Cassazione però ritiene infondata la critica. La Corte territoriale ha infatti esaminato tutte le doglianze, rigettandole in modo esplicito e motivato, sottolineando come la scelta del Ministero generi discriminazione e irragionevolezza, precludendo al minore la possibilità di ottenere una CIE valida per l’espatrio.

Il secondo motivo contesta la disapplicazione del decreto ministeriale, perché lesiva del principio di bigenitorialità e contraria al quadro normativo vigente. Anche in questo caso però la Cassazione dimostra di pensarla diversamente. Gli Ermellini ricordano che il decreto in questione ha carattere meramente tecnico e non normativo. Lo stesso inoltre si pone in contrasto con l’art. 3, comma 5, del T.U.L.P.S., che consente l’indicazione del termine “genitori” nella CIE. Il termine neutro è più adeguato per rappresentare la realtà giuridica di famiglie con due madri o due padri. In questo modo si tutela il diritto del minore all’identità e alla verità affettiva e giuridica della propria famiglia.

Il terzo motivo infine sostiene che l’indicazione dei termini “padre” e “madre” è obbligatoria in virtù della disciplina dello stato civile, la quale prevede solo tali qualificazioni. La Cassazione però esclude la fondatezza anche di questo motivo. Il caso di specie infatti non riguarda una modifica degli atti di stato civile, ma unicamente le modalità di compilazione della CIE. L’adozione in casi particolari in ogni caso produce effetti pieni, inclusa la nascita di relazioni parentali con i familiari dell’adottante, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 79/2022.

Corretto indicare “genitore” sulla CIE

La decisione finale della Cassazione conferma quindi le sentenze dei giudici di merito, ritenendo corretta la disapplicazione del decreto ministeriale e legittima la scelta di indicare sulla CIE la parola “genitore“. In questo modo sì riafferma il principio per il quale la pubblica amministrazione è tenuta a rappresentare fedelmente, anche nei documenti ufficiali, le diverse forme familiari oggi riconosciute dalla legge.

In conclusione la dicitura “padre/madre” non più essere considerata universalmente rappresentativa. La società cambia, e con essa anche il diritto: a ogni famiglia deve essere garantita dignità e visibilità giuridica, senza discriminazioni.

 

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Allegati

Genitori responsabili dei profili social dei figli Genitori responsabili dei profili social dei figli: spetta a loro vigilare sulle attività, facendo attenzione anche ai software di manipolazione

Profili social dei figli

Genitori responsabili di quanto fanno i figli sui social. Essi hanno l’obbligo di controllare i profili social dei figli, anche se falsi, soprattutto se la prole è fragile o immatura. Il controllo serve a prevenire comportamenti illeciti o pericolosi. Non basta chiedere le password o dire di aver fatto il possibile. I genitori devono sorvegliare in modo attivo e costante. Il Tribunale di Brescia, con la recente sentenza n. 879/2025, ribadisce questo principio e condanna i genitori di una ragazza con un lieve ritardo intellettivo a risarcire 15mila euro alla vittima del comportamento della figlia.

Diffamazione aggravata e altri reati

Una ragazza crea più profili fake e con questi insulta una compagna e pubblica immagini pornografiche ottenute con un software di manipolazione delle immagini. Le indagini penali per diffamazione aggravata, atti persecutori e detenzione di materiale pedopornografico portano alla giovane.

I genitori della vittima decidono quindi di agire in giudizio e chiedono il risarcimento dei danni subiti dalla figlia. La giovane racconta infatti di aver ricevuto insulti continui su Instagram. A causa di questi episodi inoltre ha iniziato ad avere paura a uscire di casa da sola e ha temuto in diverse occasioni di essere  perseguitata da malintenzionati.

Genitori responsabili: attenzione massima ai social

Il Tribunale nel decidere sulle responsabilità e sul risarcimento richiesto, chiarisce quali sono i doveri dei genitori nella sorveglianza dei dispositivi digitali dei figli. Nel caso di specie la ragazza frequentava le superiori, aveva un’insegnante di sostegno e un’educatrice. Quest’ultima in particolare aveva avviato un percorso educativo sull’uso dei social, avvisando anche i genitori sui rischi di questi strumenti. Tutto questo però evidentemente non è bastato. La ragazza infatti ha creato molti profili falsi e sconosciuti alla famiglia e tramite questi ha commesso gli illeciti di rilievo penale che le sono stati contestati in sede penale.

I genitori si difendono dalle accuse loro rivolte, affermando di aver fatto il possibile. Il giudice però ritiene che quanto affermato non sia sufficiente. Per evitare la responsabilità genitoriale (art. 2047 c.c.) serve infatti dimostrare di non aver creato o tollerato situazioni pericolose. Il compito dei genitori è di prevenire i rischi, non di reagire solo quando è troppo tardi.

Massima attenzione anche alle immagini manipolabili

Il Tribunale si sofferma inoltre sull’impiego dei contenuti manipolati con software. I ragazzi oggi possono accedere facilmente a strumenti di intelligenza artificiale per modificare immagini o video. Per questo motivo i genitori devono aumentare ancora di più il controllo sui figli in relazione a questi strumenti. Lasciare i figli soli davanti allo schermo può avere infatti gravi conseguenze legali.

La giurisprudenza recente è concorde nel rafforzare l’obbligo di vigilanza dei genitori sull’utilizzo dei social da parte dei figli. I genitori sono chiamati a limitare sia il tempo sia le modalità di accesso ai social da parte dei figli. L’educazione digitale deve essere concreta e continua. Non basta dire ai figli cosa è giusto: è necessario verificare che lo mettano in pratica.

La precoce autonomia digitale dei minori non solleva i genitori dalle loro responsabilità. Al contrario, li obbliga a educare in modo ancora più attento e moderno. Serve un impegno reale nell’insegnare e verificare l’uso corretto delle tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale.

 

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ascolto del minore

L’ascolto del minore dopo la riforma Cartabia Ascolto del minore d’età: cosa è cambiato con la riforma Cartabia e cosa dice la giurisprudenza

Ascolto del minore

L’ascolto del minore è un principio fondamentale nei procedimenti giudiziari che lo riguardano. La normativa italiana, in conformità con le convenzioni internazionali, garantisce al minore capace di discernimento il diritto di esprimere la propria opinione in tutte le questioni che lo coinvolgono. Con la riforma Cartabia (D.lgs. 149/2022), il legislatore ha rafforzato e precisato le modalità di ascolto, introducendo importanti novità procedurali.

Normativa di riferimento

L’ascolto del minore trova fondamento in diverse fonti normative, tra cui:

  • Art. 12 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (1989): riconosce al minore il diritto di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano.
  • Art. 315-bis c.c.: sancisce il diritto del minore ad essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano.
  • Art. 473-bis.4 c.p.c. (introdotto dalla riforma Cartabia): disciplina le modalità di ascolto nei procedimenti di famiglia e minorili.

Ascolto del minore: novità della riforma Cartabia

La riforma Cartabia ha introdotto significativi cambiamenti nella disciplina dell’ascolto del minore, tra cui:

  1. generalizzazione dell’obbligo di ascolto: l’ascolto è ora obbligatorio per tutti i minori capaci di discernimento, salvo che sia manifestamente contrario al loro interesse;
  2. formalizzazione della procedura: l’ascolto deve avvenire in un ambiente idoneo, con modalità tali da evitare qualsiasi forma di pressione psicologica sul minore;
  3. ruolo del giudice e dei consulenti tecnici: il giudice deve provvedere all’ascolto personalmente, con l’eventuale supporto di esperti in psicologia dell’infanzia;
  4. maggior attenzione alla tutela del minore: il minore può essere affiancato da un curatore speciale in caso di conflitto tra i genitori;
  5. nullità del provvedimento in assenza di ascolto: se l’ascolto non viene effettuato senza una giustificazione adeguata, il provvedimento può essere dichiarato nullo.

Giurisprudenza rilevante sull’ascolto del minore

Numerose pronunce giurisprudenziali hanno sottolineato l’importanza dell’ascolto del minore.

Cassazione n. 4561/2025

L’ascolto del minore rappresenta un principio fondamentale, ma non è un obbligo assoluto. Nei procedimenti riguardanti l’affidamento e la regolamentazione dei rapporti familiari, il giudice deve sempre valutare l’interesse del minore, potendo escludere l’audizione solo con una motivazione rigorosa e adeguata. La Riforma Cartabia ha introdotto maggiori tutele per garantire il diritto del minore a esprimere la propria opinione, ma ha comunque mantenuto un margine di discrezionalità per il giudice, il quale deve decidere caso per caso in base alle specifiche circostanze del procedimento.

Cassazione n. 3537/2024

Nel contesto dell’affidamento del minore, il suo ascolto non può essere considerato superfluo solo perché il giudice ritiene di aver già individuato la soluzione migliore per il suo interesse. Al contrario, il principio generale impone che il minore venga ascoltato prima che il giudice maturi una decisione sull’affidamento.L’unica eccezione a questa regola si verifica quando il minore rifiuta esplicitamente l’audizione, quando vi è un concreto rischio di pregiudizio da accertare in modo specifico e non astratto, oppure quando l’ascolto risulti superfluo, ossia non apporti alcun ulteriore beneficio ai suoi interessi, pur senza arrecare danno.

Cassazione n. 3456/2023

L’ascolto del minore è un diritto soggettivo che gli riconosce la possibilità di essere informato ed esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano. Questo diritto integra una forma di partecipazione alle decisioni che incidono sulla sua sfera individuale e rappresenta uno strumento di tutela dei suoi interessi (Cass. n. 6129/2015). Pur non essendo formalmente parte del processo, il minore è considerato parte sostanziale, poiché portatore di interessi propri, che possono essere distinti o in contrasto con quelli delle altre parti. Pertanto, la legge impone che gli sia garantito il diritto al contraddittorio attraverso l’ascolto. Il mancato ascolto costituisce una violazione di tale diritto e vizia il provvedimento giudiziale (Cass. n. 16410/2020). Tuttavia, l’ascolto non è obbligatorio in tutti i procedimenti, ma solo in quelli che incidono su aspetti rilevanti della vita, della crescita o della tutela degli interessi del minore.

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diritti e doveri dei coniugi

Diritti e doveri dei coniugi Diritti e doveri dei coniugi: quali sono, le norme di riferimento, le conseguenze previste dalla legge in caso di violazione

Diritti e doveri derivanti dal matrimonio

Il matrimonio in Italia comporta una serie di diritti e doveri dei coniugi, così come sanciti dall’articolo 143 del Codice Civile. Tali obblighi hanno lo scopo di garantire la stabilità e la collaborazione all’interno del rapporto coniugale, regolando gli aspetti fondamentali della vita matrimoniale.

L’articolo 143 del Codice Civile stabilisce che “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”. In particolare, i coniugi sono tenuti a rispettare i seguenti obblighi:

1. Obbligo di fedeltà

  • I coniugi devono mantenere reciproca fedeltà, evitando comportamenti che possano compromettere la fiducia e l’integrità del rapporto matrimoniale.

2. Obbligo di assistenza morale e materiale

  • I coniugi devono sostenersi reciprocamente, sia dal punto di vista morale che economico. Ciò implica un dovere di cura e supporto nei momenti di difficoltà.

3. Obbligo di collaborazione nell’interesse della famiglia

  • I coniugi devono contribuire al benessere familiare, sia attraverso il lavoro domestico che mediante attività lavorative esterne.

4. Obbligo di coabitazione

  • La convivenza è un elemento essenziale del matrimonio, salvo giustificati motivi che ne impediscano l’attuazione (ad esempio, esigenze lavorative o motivi di salute).

5. Obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia

I coniugi devono infine contribuire ai bisogni della famiglia, ciascuno in base alle proprie sostanze e alle rispettive capacità professionali o di lavoro casalingo.

Normativa diritti e doveri dei coniugi

Oltre all’articolo 143 del Codice Civile, ci sono altre norme che regolano i diritti e doveri dei coniugi:

  • Articolo 144 c.c.: disciplina l’accordo tra i coniugi sull’indirizzo della vita familiare e sulla residenza della famiglia in base alle esigenze di entrambi e della stessa.
  • Articolo 145 c.c.: regola l’intervento del giudice in caso di disaccordo sulla convivenza o su altri affari essenziali della famiglia.
  • Articolo 146 c.c.: prevede l’esonero dall’assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che si allontana senza giusta causa dalla residenza familiare.
  • Articolo 147 c.c.: sancisce i doveri dei coniugi verso i figli.

Violazione doveri coniugali 

La violazione dei doveri matrimoniali può comportare diverse conseguenze di natura giuridica:

1. Separazione per colpa

Se uno dei coniugi viene meno ai propri doveri matrimoniali in maniera grave, l’altro coniuge può richiedere la separazione con addebito. Questo significa che il coniuge responsabile perderà alcuni diritti, come l’eventuale assegno di mantenimento.

2. Domanda di divorzio

In caso di rottura irreversibile del rapporto coniugale, il mancato rispetto dei doveri coniugali può essere una delle cause scatenanti il divorzio.

3. Riflessi economici

La violazione degli obblighi di assistenza materiale può portare a richieste di risarcimento danni o all’obbligo di versare un assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole.

 

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comunione dei beni

La comunione dei beni Comunione dei beni: regime patrimoniale legale della famiglia: come funziona e differenza con la separazione dei beni

Cos’è la comunione dei beni

La comunione dei beni è il regime patrimoniale legale previsto dall’ordinamento italiano per le coppie sposate, disciplinato dagli articoli 159 e seguenti del Codice Civile. In assenza di una diversa scelta espressa dai coniugi, questo regime si applica automaticamente al matrimonio, determinando la condivisione dei beni acquisiti durante la vita coniugale.

Cos’è il regime patrimoniale della famiglia?

Il regime patrimoniale della famiglia stabilisce le norme che regolano la proprietà e la gestione dei beni dei coniugi durante il matrimonio. In Italia, i principali regimi patrimoniali sono la comunione dei beni e la separazione dei beni. La scelta del regime influisce significativamente sulla titolarità e sull’amministrazione del patrimonio familiare.

Come funziona

In virtù di questo regime i beni acquistati dai coniugi durante il matrimonio, sia congiuntamente che separatamente, diventano automaticamente di proprietà comune. Questo implica che entrambi i coniugi possiedono una quota indivisa del 50% su tali beni, indipendentemente dal contributo economico effettivamente apportato da ciascuno.

Beni rientranti nella comunione

Secondo l’articolo 177 del Codice Civile, rientrano nella comunione legale:

  • i beni acquistati dai coniugi durante il matrimonio, ad eccezione di quelli personali;
  • gli utili e gli incrementi delle aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio;
  • i frutti dei beni propri di ciascun coniuge, se percepiti e non consumati al momento dello scioglimento della comunione.

Beni esclusi dalla comunione

Sono esclusi dalla comunione e considerati beni personali:

  • i beni posseduti prima del matrimonio dal singolo coniuge;
  • i beni acquisiti durante il matrimonio per donazione o successione, salvo diversa volontà del donante o del testatore di destinarli alla comunione.
  • i beni di uso strettamente personale e quelli necessari all’esercizio della professione di ciascun coniuge.
  • i beni ottenuti a titolo di risarcimento per danni e pensioni attinenti alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa.

Vantaggi e svantaggi della comunione dei beni

L’istituto della comunione applicata ai coniugi presenta vantaggi e svantaggi. Vediamoli più in dettaglio.

Vantaggi

  • parità patrimoniale: entrambi i coniugi beneficiano equamente dei beni acquisiti durante il matrimonio;
  • tutela del coniuge economicamente più debole: garantisce una protezione patrimoniale a chi ha contribuito meno finanziariamente.

Svantaggi

  • responsabilità condivisa: i debiti contratti per esigenze familiari ricadono su entrambi i coniugi;
  • limitazioni nella gestione autonoma: per atti di straordinaria amministrazione è necessario il consenso di entrambi.

Differenze con la separazione dei beni

Nel regime di separazione dei beni, ciascun coniuge mantiene la proprietà esclusiva dei beni acquisiti sia prima che durante il matrimonio. Questo comporta una netta distinzione patrimoniale, offrendo maggiore autonomia nella gestione dei propri beni. Tuttavia, in caso di scioglimento del matrimonio, il coniuge che ha contribuito meno economicamente potrebbe trovarsi in una posizione svantaggiata.

Principali differenze

  • Proprietà dei beni: nella comunione, i beni acquisiti durante il matrimonio sono condivisi; nella separazione, ogni coniuge è proprietario esclusivo dei beni acquistati a proprio nome.
  • Gestione patrimoniale: nella comunione, per atti di straordinaria amministrazione è richiesto il consenso di entrambi; nella separazione, ciascun coniuge gestisce autonomamente i propri beni.
  • Responsabilità sui debiti: i debiti contratti per esigenze familiari gravano su entrambi; nella separazione, ciascun coniuge risponde dei propri debiti, salvo quelli contratti per necessità familiari.

 

 

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separazione dei beni

La separazione dei beni Cos’è la separazione dei beni, come funziona, quando è opportuna, vantaggi e svantaggi, differenze con la comunione

Cos’è la separazione dei beni

La separazione dei beni è un regime patrimoniale matrimoniale in cui ciascun coniuge mantiene la proprietà esclusiva dei beni acquisiti sia prima che durante il matrimonio. Questo implica che ogni coniuge gestisce autonomamente il proprio patrimonio, senza condivisione automatica con l’altro.

Come funziona il regime

Nel regime di separazione dei beni, ogni coniuge è proprietario esclusivo dei beni acquistati a proprio nome, sia prima che dopo il matrimonio. Tuttavia, è possibile che i coniugi decidano di acquistare beni in comune; in tal caso, la proprietà sarà condivisa secondo le quote stabilite al momento dell’acquisto. È importante sottolineare che, indipendentemente dal regime patrimoniale scelto, entrambi i coniugi hanno l’obbligo di contribuire alle necessità della famiglia in proporzione alle proprie capacità economiche e lavorative.

Normativa di riferimento

In Italia, il regime patrimoniale legale previsto in assenza di diversa scelta è la comunione dei beni. Per adottare la separazione dei beni, i coniugi devono esprimere una volontà esplicita. Questa scelta può essere effettuata:

  • prima del matrimonio: mediante una dichiarazione resa davanti a un notaio in presenza di testimoni;
  • al momento del matrimonio: dichiarando la scelta all’ufficiale di stato civile o al ministro di culto che celebra il matrimonio, affinché venga annotata nell’atto matrimoniale;
  • dopo il matrimonio: modificando il regime patrimoniale attraverso un atto notarile.

Quando scegliere la separazione dei beni

La scelta del regime di separazione dei beni può essere opportuna in diverse situazioni, tra cui:

  • attività imprenditoriali o professionali a rischio: per proteggere il patrimonio personale del coniuge non coinvolto da eventuali obbligazioni o debiti derivanti dall’attività dell’altro coniuge;
  • differenze patrimoniali significative: quando uno dei coniugi possiede un patrimonio significativamente superiore e desidera mantenerne la gestione separata.
  • secondo matrimonio o famiglia allargata: per tutelare gli interessi patrimoniali dei figli avuti da precedenti unioni.

Vantaggi del regime di separazione

  • autonomia patrimoniale: ogni coniuge mantiene il controllo esclusivo sui propri beni e sulle decisioni economiche correlate.
  • tutela dalle obbligazioni altrui: i creditori di un coniuge non possono aggredire il patrimonio dell’altro, limitando così i rischi finanziari.

Svantaggi della separazione dei beni

  • mancata condivisione automatica: i beni acquistati non sono automaticamente condivisi, il che potrebbe richiedere accordi specifici per la gestione di patrimoni comuni.
  • gestione separata delle risorse: potrebbe risultare più complesso coordinare le finanze familiari, soprattutto in presenza di figli o spese comuni significative.

Differenze con la comunione dei beni

La principale differenza tra separazione e comunione dei beni risiede nella titolarità dei beni acquisiti durante il matrimonio:

  • Comunione dei beni: i beni acquistati dopo il matrimonio, ad eccezione di quelli personali, sono di proprietà comune di entrambi i coniugi.
  • Separazione dei beni: i beni acquistati da ciascun coniuge restano di proprietà esclusiva di chi li ha acquistati.

Inoltre, nel regime di comunione, i creditori possono rivalersi sui beni comuni per debiti contratti da uno dei coniugi nell’interesse della famiglia, mentre nella separazione dei beni, i creditori possono aggredire solo il patrimonio del coniuge debitore.

La scelta tra comunione e separazione dei beni dovrebbe essere ponderata attentamente, considerando le specifiche esigenze e situazioni patrimoniali della coppia, al fine di adottare la soluzione più idonea alla tutela degli interessi di entrambi i coniugi.

 

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promessa di matrimonio

Promessa di matrimonio Promessa di matrimonio: significato, definizione, riferimenti normativi, valore giuridico, procedura, documenti ed effetti

Cos’è la promessa di matrimonio

La promessa di matrimonio, disciplinata dagli articoli 79 e seguenti del Codice Civile, rappresenta un impegno reciproco tra due persone di contrarre matrimonio in futuro. Sebbene abbia un valore morale e sociale, il nostro ordinamento non la considera un obbligo giuridico vincolante, salvo specifiche eccezioni.

Tipologie di promessa di matrimonio

Si tratta, dunque, di un impegno che due persone assumono reciprocamente con l’intento di sposarsi. Essa può essere:

  • semplice, quando si traduce in un accordo informale tra le parti;
  • solenne, se formalizzata attraverso un atto ufficiale davanti all’ufficiale di stato civile o con scrittura privata autenticata.

Nonostante il suo carattere vincolante dal punto di vista etico e sociale, la promessa non obbliga legalmente al matrimonio, evitando qualsiasi forma di costrizione nell’unione coniugale.

Valore giuridico e conseguenze della rottura

Secondo l’art. 79 c.c., questo istituto non ha effetti vincolanti sul futuro matrimonio.

La norma prevede infatti che la mera promessa, di fatto, non obbliga le parti a contrarlo, così come non prevede di eseguire quanto convenuto in caso di mancato adempimento.

L’art. 80 c.c prevede però alcune conseguenze in caso di revoca:

se la promessa è stata formalizzata e revocata senza giusta causa, l’altra parte può chiedere il risarcimento delle spese sostenute per i preparativi delle nozze e delle eventuali obbligazioni assunte in vista del matrimonio.

ai sensi dell’art. 80 c.c., i regali fatti in previsione del matrimonio devono essere restituiti se le nozze non vengono celebrate per cause non imputabili a chi li ha ricevuti.

Procedura e documenti necessari

Sebbene la promessa non sia obbligatoria, nei casi in cui si decida di formalizzarla, la procedura prevede:

  • dichiarazione davanti all’ufficiale di stato civile, che registra l’intento dei promessi sposi;
  • documenti richiesti:
    • carta d’identità e codice fiscale di entrambi i futuri sposi;
    • certificati di nascita;
    • certificati di residenza e stato libero;
    • eventuale documentazione aggiuntiva in caso di precedenti matrimoni.

Dopo la formalizzazione, la promessa può essere utilizzata come presupposto per richiedere le pubblicazioni di matrimonio, un passaggio obbligatorio prima delle nozze.

Effetti della promessa di matrimonio

La promessa ha effetti limitati dal punto di vista legale, ma può avere conseguenze  sotto il profilo patrimoniale e morale, come abbiamo potuto vedere:

  • obbligo di risarcimento in caso di revoca ingiustificata, ma solo se la promessa è stata resa in forma solenne;
  • restituzione dei doni ricevuti in previsione delle nozze;
  • non può essere imposta l’esecuzione forzata del matrimonio, in quanto lederebbe la libertà personale garantita dalla Costituzione.

 

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bonus asilo nido

Bonus asilo nido Il bonus asilo nido è un contributo per pagare le rette degli asili e avere supporto per l'assistenza di minori affetti da patologie croniche certificate

Bonus asilo nido: cos’è

Il bonus asilo nido è una misura di sostegno al reddito che si traduce nell’erogazione di un contributo da parte dell’INPS in favore dei genitori che sostengono il costo della retta dell’asilo.

Riferimenti normativi

Il bonus asilo nido è stato introdotto dalla legge di bilancio per il 2017 n. 232/2016, che ne contiene la disciplina base nel comma 355. L’INPS nel tempo ha chiarito il funzionamento della misura con divise circolari e messaggi:

Dal 2025 però questo contributo presenta delle novità in virtù della legge di bilancio che ha incrementato gli importi e diversificato la misura in base alla situazione economica delle famiglie destinatarie.

La circolare INPS n. 60/2025 del 20 marzo 2025 illustra gli aggiornamenti in vigore dal 2025.

Vai alla scheda dedicata al Bonus asilo nido aggiornata al 2025

A chi spetta il bonus asilo nido

Il bonus silo nido spetta ai genitori di figli che non abbiano ancora compiuto i tre anni di età e che frequentano un asilo nido pubblico o privato o che siano affetti da una patologia cronica purché certificata e che necessitano quindi di cure presso la residenza.

Requisiti soggettivi per fare domanda

I genitori richiedenti devono essere in possesso dei seguenti requisiti soggettivi:

  • residenza in Italia;
  • siano cittadini italiani o di un paese UE o di un paese extracomunitario in possesso di un permesso di soggiorno UE valido per i soggiornanti di lungo periodo;
  • se titolari di permesso di soggiorno, almeno semestrale, possono accedere al contributo gli stranieri apolidi, i rifugiati politici o titolari della protezione internazionale;
  • se titolari di Carta Blu devono essere “lavoratori altamente qualificati”
  • titolari di permesso di soggiorno per lavoro autonomo, subordinato, lavoro stagionale, per assistenza minori, per protezione speciale, per casi speciali.

Per la concessione del bonus inoltre:

  • il richiedente deve il genitore che esercita la potestà genitoriale, il tutore, l’affidatario del minore in affido temporaneo o preadottivo.

Requisiti ISEE e importo del bonus

L’importo del contributo varia in base al valore dell’ISEE minorenni e alla data di nascita del minore:

Per minori nati prima del 1° gennaio 2024 valgono i seguenti requisiti economici;

  • 3.000 euro all’anno per chi presenta un ISEE minorenni fino a 25.000,99 euro (per 10 mesi l’importo mensile è di Euro 272,73, per l’undicesima mensilità è di Euro 272,70);
  • 2.500 euro all’anno per chi presenta un ISEE minorenni compreso tra i 25.001,00 e i 40.000,00 (per 10 mesi l’importo mensile è di 227,27 euro, per l’undicesima mensilità è 227,30 euro);
  • 1.500 euro all’anno per chi presenta un ISEE minorenni non presente, difforme discordante, non calcolabile o superiore a 40.000,00 euro (per 10 mensilità l’importo è di 136,37 euro, per l’undicesima è di 136,30 euro).

Per i bambini nati dopo il 1° gennaio 2024 i requisiti reddituali sono i seguenti:

  • 3.600 euro all’anno nell’ipotesi di ISEE minorenni in corso di validità minore o uguale a 40.000 euro (10 rate da 327,27 euro e una da 327,30 euro);
  • 1.500 euro all’anno nell’ipotesi di con ISEE minorenni non presente, difforme, discordante, non calcolabile o superiore alla soglia di 40.000 euro (dieci rate da 136,37 euro e una da 136,30 euro).

La legge di bilancio 2025 prevede che nella determinazione dell’ISEE minorenni non si debba tenere conto delle somme erogate a titolo di assegno unico e universale (decreto legislativo n. 230/2021).

Forme di supporto presso l’abitazione

Per i nuclei familiari che hanno bambini affetti da una patologia cronica certificata attestante l’impossibilità di frequentare un asilo nido, la circolare n. 60/2025 precisa che completata la richiesta il servizio attribuisce un codice identificativo.

Occorre inoltre, per prenotare le risorse, che il pediatra del minore attesti che il minore, per l’intero anno, si trovi nell’impossibilità di frequentare gli asilo nido a causa della grave patologia.  Per il pagamento di questo contributo il servizio è integrato con il “Sistema Unico di gestione IBAN”.

Quando e come presentare domanda

La domanda per il contributo deve essere presentata da quando il servizio di presentazione è aperto. La data viene comunicata ogni anno dall’INSP con messaggio apposito e termina il 31 dicembre dell’anno solare di riferimento. La richiesta va inoltrata attraverso il servizio dedicato presente sul sito INPS o rivolgendosi ai patronati che offrono i loro servizi telematici ai cittadini.

La domanda deve contenere tutta una serie di requisiti:

  • la precisazione del tipo di domanda: “Contributo asilo nido per il pagamento di rette di frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati o “Contributo per introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione, per il pagamento delle forme assistenza domiciliare per i bambini di età inferiore a tre anni affetti da gravi patologie croniche”;
  • l’indicazione dell’asilo nido frequentato dal figlio, specificando se è pubblico o privato e indicando la denominazione, il codice fiscale, gli estremi del provvedimento di autorizzazione se si tratta di una struttura privata;
  • le mensilità dei periodi di frequenza per le quali si chiede il beneficio (fino a 11 mensilità);
  • l’avvenuta iscrizione del bambino o l’inserimento nella graduatoria se il nido è pubblico;
  • la ricevuta di pagamento di almeno una retta relativa a uno dei mesi di frequenza per i quali si richiede il contributo.

Per accedere al contributo è necessario presentare i documenti di spesa relativi al contributo entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento della domanda. Per il 2025 ad esempio la documentazione va trasmessa entro il 30 aprile 2026.  Le spese rimborsabili sono esclusivamente quelle che si riferiscono alla retta mensile, alla quota che si riferisce ai pasti, all’imposta di bollo e all’IVA.

Pagamento del bonus asilo nido

La somma del contributo asilo nido viene determinata in relazione all’ISEE minorenni in corso di validità, nel mese precedente a quello a cui fa riferimento la mensilità e nei limiti del contributo massimo erogabile, fatti salvi eventuali conguagli.

Per il contributo relativo al supporto presso l’abitazione la somma viene erogata in una soluzione unica e tiene conto dell’ISEE minorenni che risulta valido alla data di protocollo della richiesta.

adozione internazionale

Adozione internazionale: anche per i single Importantissima decisione della Corte Costituzionale che sdogana l'adozione internazionale per i single

Adozione internazionale single

Adozione internazionale: anche le persone singole possono adottare minori stranieri in stato di abbandono. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 33/2025, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 29-bis, comma 1, della legge n. 184/1983, nella parte in cui esclude le persone singole dalla possibilità di adottare un minore straniero residente all’estero.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla normativa vigente in materia di adozione internazionale, rilevando come l’esclusione delle persone singole contrasti con gli articoli 2 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

L’attuale disciplina, ora dichiarata illegittima, limitava in modo sproporzionato il diritto dell’aspirante genitore di rendersi disponibile per l’adozione. L’adozione è un istituto basato sul principio di solidarietà sociale e finalizzato alla tutela del minore, motivo per cui il legislatore non può imporre limitazioni irragionevoli.

Persone singole e idoneità all’adozione

La Corte ha sottolineato che, in astratto, anche una persona singola può garantire un ambiente stabile e armonioso a un minore in stato di abbandono. Tuttavia, resta fermo il compito del giudice di valutare caso per caso l’idoneità dell’aspirante genitore, verificando la capacità di educare, istruire e mantenere il minore. Tale valutazione può tenere conto anche della rete familiare di supporto del richiedente.

Effetti della sentenza e prospettive future

Nel contesto attuale, caratterizzato da una progressiva diminuzione delle domande di adozione, la precedente esclusione delle persone singole rischiava di limitare il diritto del minore a crescere in un ambiente familiare. La sentenza della Corte Costituzionale rappresenta quindi un importante passo avanti per il riconoscimento della parità di accesso all’adozione internazionale.

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bonus musica

Bonus musica: come si ottiene Bonus musica: cos’è, la normativa di riferimento, a chi spetta, in cosa consiste, e come indicarlo nella dichiarazione dei redditi per averlo

Cos’è il bonus musica

Il Bonus Musica 2025 è una detrazione fiscale del 19% che viene calcolata sulle spese sostenute per l’iscrizione o l’abbonamento a corsi di musica riconosciuti. L’agevolazione si applica ai figli di età compresa tra i 5 e i 18 anni e consente di ottenere un rimborso fino a un massimo di 1.000 euro per ciascun figlio. Il beneficio è riservato alle famiglie con un reddito complessivo non superiore a 36.000 euro annui.

Normativa di riferimento

Il Bonus Musica è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge di bilancio 2020. Esso è disciplinato dall’articolo 15 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), dedicato alle detrazioni degli oneri, che al comma 1, lettera e-quater) così dispone: “le spese, per un importo non superiore a 1.000 euro, sostenute da contribuenti con reddito complessivo non superiore a 36.000 euro per l’iscrizione annuale e l’abbonamento di ragazzi di età compresa tra 5 e 18 anni a conservatori di musica, a istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) legalmente riconosciute ai sensi della legge 21 dicembre 1999, n. 508, a scuole di musica iscritte nei registri regionali nonché a cori, bande e scuole di musica riconosciuti da una pubblica amministrazione, per lo studio e la pratica della musica.” 

La detrazione si applica quindi alle spese sostenute per corsi presso conservatori, istituti di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), scuole di musica registrate nei registri regionali, bande musicali e cori riconosciuti dalla pubblica amministrazione.

A chi spetta il bonus musica

Il Bonus Musica è destinato quindi ai contribuenti con figli di età compresa tra 5 e 18 anni, iscritti a scuole di musica accreditate. Per accedere alla detrazione, il reddito complessivo del nucleo familiare deve essere inferiore a 36.000 euro annui. Sebbene il bonus venga generalmente richiesto dai genitori, anche un minore con reddito proprio e obbligo dichiarativo può beneficiare direttamente della detrazione per le spese sostenute.

In cosa consiste

Il Bonus Musica consente di ottenere una detrazione fiscale pari al 19% sulle spese di iscrizione o abbonamento ai corsi musicali riconosciuti. L’importo massimo detraibile è di 1.000 euro per figlio, con un risparmio massimo di 190 euro per ogni minore iscritto.

La detrazione può essere attribuita a un solo genitore oppure suddivisa tra entrambi se gli accordi lo prevedono.

Cosa si deve indicare nel 730

Per ottenere la detrazione, non è necessaria alcuna domanda preventiva. Il contribuente deve conservare la ricevuta della spesa e riportarla nella dichiarazione dei redditi.

L’importo va inserito:

  • Nel quadro RP del Modello Redditi PF
  • Nel quadro E del Modello 730 (righi da E8 a E10), specificando il codice 45

Se le spese sono state sostenute per più figli, è necessario indicare l’importo relativo a ciascuno di loro nella dichiarazione.

Come richiedere il bonus musica

Per ottenere il Bonus Musica 2025, non è necessario presentare una domanda specifica. La detrazione va richiesta direttamente nella dichiarazione dei redditi tramite il Modello 730 o il Modello Redditi PF.

Per essere ammessi alla detrazione, le spese devono essere state sostenute tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024. Il pagamento deve essere tracciabile e effettuato tramite bonifico bancario, versamento postale, assegni bancari o circolari, oppure carte di pagamento (di debito, di credito o prepagate). Non sono ammessi pagamenti in contanti.

Nel caso in cui il figlio compia 18 anni nel corso dell’anno, il requisito dell’età si considera rispettato se, per una parte dell’anno d’imposta, il figlio risulti ancora minorenne.

 

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