iva e accise

Iva e accise dal 1° ottobre al tribunale UE Il Tribunale dell'Unione europea diventa competente a conoscere delle questioni pregiudiziali in sei materie specifiche tra cui Iva e accise

Tribunale UE nuove competenze

Iva e accise sono tra le materie che il tribunale dell’Unione europea sarà competente a conoscere dal prossimo ottobre. L’attuazione di tale trasferimento parziale della competenza pregiudiziale dalla Corte di giustizia al tribunale si inserisce nel solco della riforma dell’architettura giurisdizionale dell’Unione europea e riguarderà le questioni pregiudiziali sollevate a partire dal 1º ottobre 2024.

Una modifica sostanziale dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, pubblicata il 12 agosto 2024 nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, che entrerà in vigore il 1º settembre.

La modifica sarà applicabile a decorrere dal 1° ottobre 2024.

Sei materie specifiche

Tale trasferimento riguarda sei materie specifiche: il sistema comune dell’IVA, i diritti di accisa, il codice doganale, la classificazione tariffaria delle merci, la compensazione pecuniaria e l’assistenza dei passeggeri in caso di negato imbarco, di ritardo o cancellazione di servizi di trasporto e il sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra.

La modifica dello statuto prevede peraltro un’estensione della procedura di ammissione preventiva delle impugnazioni a partire dal 1º settembre 2024.

Obiettivi della riforma

La riforma mira ad alleggerire il carico di lavoro della Corte di giustizia nel settore pregiudiziale e a consentirle di continuare a svolgere, in tempi ragionevoli, il compito assegnatole: garantire il rispetto del diritto nell’applicazione e nell’interpretazione dei trattati.

Nel 2001 gli autori del trattato di Nizza avevano previsto la possibilità di un coinvolgimento del Tribunale nel trattamento di talune domande di pronuncia pregiudiziale, senza che, da allora, lo statuto venisse adattato a tal fine. Tuttavia, negli ultimi cinque anni si è registrato un aumento strutturale e significativo del contenzioso. Tale evoluzione è stata accompagnata da un aumento della complessità e della delicatezza delle cause riguardanti, in particolare, questioni di natura costituzionale o collegate ai diritti fondamentali.

La riforma consentirà alla Corte di giustizia di concentrarsi sui suoi compiti di tutela e rafforzamento dell’unità e coerenza del diritto dell’Unione.

Da parte sua, il Tribunale è in grado di assorbire tale carico di lavoro supplementare e tratterà le questioni pregiudiziali che gli saranno trasmesse in modo da offrire ai giudici nazionali e agli interessati le stesse garanzie applicate dalla Corte di giustizia.

Le tre parti della riforma

La riforma si articola sostanzialmente in tre parti, le cui grandi linee sono:

Trasferimento parziale della competenza pregiudiziale al Tribunale

La prima parte della riforma riguarda il trasferimento della competenza a pronunciarsi in materia pregiudiziale dalla Corte di giustizia al Tribunale, il quale è dotato di due giudici per Stato membro. Per motivi di certezza del diritto, il trasferimento riguarda solo sei materie chiaramente circoscritte, sufficientemente distinguibili da altre materie e che hanno consentito lo sviluppo di una consistente giurisprudenza della Corte di giustizia.

Sviluppi applicabili a tutte le cause pregiudiziali

Una seconda parte della riforma comporta due evoluzioni previste dal regolamento di modifica dello statuto, che si applicheranno a tutte le domande di pronuncia pregiudiziale, indipendentemente dalla materia interessata e dalla questione del loro eventuale trasferimento al Tribunale.

In primo luogo, come già avviene per tutti gli Stati membri e per la Commissione, tutte le domande di pronuncia pregiudiziale saranno d’ora in poi notificate al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea affinché essi possano determinare se abbiano un interesse particolare nelle questioni sollevate e se intendano, di conseguenza, esercitare il loro diritto di depositare memorie od osservazioni scritte.

In secondo luogo, per rafforzare la trasparenza e l’apertura del procedimento pregiudiziale e consentire una migliore comprensione delle decisioni pronunciate dalla Corte e dal Tribunale, si prevede che, in tutte le cause pregiudiziali, le memorie o le osservazioni scritte depositate da un interessato di cui all’articolo 23 dello statuto siano pubblicate sul sito Internet della Corte di giustizia entro un termine ragionevole dopo la chiusura della causa, a meno che detto interessato non si opponga alla pubblicazione delle sue memorie o delle sue osservazioni.

Estensione della procedura di ammissione preventiva delle impugnazioni

La terza parte della riforma mira a preservare l’efficacia del procedimento di impugnazione avverso le decisioni del Tribunale, visto l’elevato numero di impugnazioni proposte dinanzi alla Corte di giustizia. Per consentire alla Corte di giustizia di concentrarsi sulle impugnazioni che sollevano importanti questioni di diritto, la procedura di Direzione della Comunicazione Unità Stampa e informazione è estesa ad altre decisioni emesse dal Tribunale. La procedura di ammissione preventiva da parte della Corte di giustizia riguarda le impugnazioni in cause che hanno già beneficiato di un duplice esame, prima da parte di una commissione di ricorso indipendente di un organo o organismo dell’Unione, e poi da parte del Tribunale. Attualmente tale procedura riguarda le decisioni emesse da quattro commissioni di ricorso, menzionate nell’articolo 58 bis dello statuto, e successivamente contestate dinanzi al Tribunale. Con la modifica dello statuto che entrerà in vigore il 1º settembre, sei nuove commissioni di ricorso indipendenti si aggiungono alle quattro attuali, portando il loro numero totale a dieci.

Le estensioni della procedura di ammissione preventiva delle impugnazioni si applicheranno a decorrere dal 1º settembre 2024.

amministratore condominio

Amministratore condominio: deve fornire le credenziali del sito web Il tribunale di Ivrea si sofferma sul corretto adempimento da parte dell'amministratore di condominio dell'obbligo di rendicontazione

Credenziali web del condominio

L’amministratore è tenuto a fornire le credenziali del sito web del condominio, poiché i condomini hanno diritto di visionare i documenti ed estrarne copia in tempi ragionevoli. Lo ha  precisato il tribunale di Ivrea con la sentenza n. 917/2024.

La vicenda

Con ricorso ex art. 633 c.p.c. una condomina trascinava in giudizio il proprio condominio chiedendo al tribunale di ingiungere all’amministratore la consegna dei registri della contabilità condominiale e gli estratti conto del conto corrente condominiale a partire dal 2019. Il tribunale con decreto ingiuntivo ingiungeva la consegna di detta documentazione e l’amministratore spiegava opposizione sostenendo di aver convocato l’assemblea informando i condomini con fascicoletto esplicativo della contabilità e della gestione tenuta sino ad allora e di avere messo a disposizione le c.d. “pezze giustificative” previo appuntamento per tutti i 5 giorni precedenti l’assemblea condominiale.

L’opposizione

Per cui, parte attrice, previo deposito integrale della documentazione richiesta con li d.i. opposto in sede di citazione, evidenziava l’operato intellegibile dell’amministratore improntato alla massima trasparenza chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo emesso. Evidenziava, infatti, come la richiesta di ostensione della documentazione condominiale, da parte della condomina fosse generica e non circostanziata e in ogni caso non giustificata dal momento che tutta la documentazione era visibile tramite l’accesso al sito internet del Condominio, senza intermediazione dell’amministratore.
Sotto distinto ma connesso profilo parte attrice lamentava il fatto che non sussistesse in capo al condomino il diritto di ricevere copia (ovvero trasmissione della documentazione) quanto piuttosto uno speculare diritto di prendere visione e che, dunque, il geometra non poteva essere considerato inadempiente.
Parte attrice chiedeva, quindi, conclusivamente la revoca del d.i. opposto.
Con comparsa di costituzione e risposta la condomina chiedeva che venisse dichiarata la cessata materia del contendere, stante li deposito della documentazione ingiunta. In punto fattuale, ad ogni modo evidenziava come solo successivamente alla notifica del d.i., l’amministratore avesse comunicato le credenziali per l’accesso all’area web riservata del condominio.

La decisione

Il tribunale, dà preliminarmente atto dell’avvenuta cessazione della materia del contendere, tenuto conto della produzione in giudizio di tutta la documentazione richiesta in sede di ingiunzione. Tuttavia, afferma che se scrutinata nel merito, la domanda dell’amministratore sarebbe stata senz’altro infondata.

La documentazione richiesta infatti non era mai stata formalmente messa in disponibilità della condomina nè dai documenti in atti risultava che le password e le credenziali di accesso che erano stampigliate nelle lettere di convocazioni fossero da utilizzare per accedere al sito condominiale e ciò anche a tacere del fatto che le stesse risultavano incomplete e dunque non funzionanti. Peraltro, le stesse lettere di convocazioni “enunciano e fanno chiaramente intendere che l’ostensione fosse subordinata all’appuntamento con l’amministratore e che, dunque, non vi era facoltà di accesso illimitato alla documentazione archiviata in cloud da parte dei condomini”. In ogni caso, evidenzia ancora il giudice, le credenziali sono state consegnate dall’allora amministratore solo dopo la notifica del d.i. opposto.

L’obbligo di rendicontazione

Riguardo alle modalità attraverso le quali si ritiene che “tale obbligo di rendicontazione risulti adempiuto – rammenta quindi il tribunale – la giurisprudenza ha chiarito che ciascun condominio ha questo diritto di ostensione, ovvero di prendere visione dei documenti di rilievo ed estrarre copia, senza condizionare l’esercizio a determinate tempistiche, ancorché ragionevolmente si debba ritenere che lo stesso vada evaso in tempi ragionevoli (e tre-quattro mesi, come nel caso di specie, non appaiono un tempo ragionevole).

Ciò posto è evidente, conclude il giudicante, “che se vi fosse stata reale intenzione di rendere visibile sin da subito la documentazione richiesta dalla signora sarebbe stato agevole per l’amministratore di Condominio indicare e rammentare le password, le credenziali e il c.d. PID onde consentire la presa visione dei documenti in cloud, ma ciò non è avvenuto”.

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oblio oncologico

Oblio oncologico: le faq del Garante Oblio oncologico: dal Garante Privacy informazioni utili e indicazioni per cittadini e imprese sul diritto introdotto dalla legge n. 193/2023

Oblio oncologico, cos’è

Che cos’è il diritto all’oblio oncologico? Le banche, le assicurazioni e i datori di lavoro possono chiedere informazioni su una patologia oncologica conclusa da diversi anni? Una persona clinicamente guarita può adottare un bambino? A queste e ad altre domande rispondono le FAQ pubblicate dal Garante per la protezione dei dati personali.

Le faq del Garante

L’obiettivo è quello di prevenire le discriminazioni e tutelare i diritti delle persone che sono guarite da malattie oncologiche.

Il documento, pubblicato nella newsletter del 9 agosto 2024, oltre a fornire chiarimenti ai cittadini sul diritto all’oblio oncologico (legge n. 193/2023) dà indicazioni utili a tutti i datori di lavoro pubblici e privati e a banche, assicurazioni, intermediari del credito e finanziari affinché possano applicare correttamente la nuova normativa.

Le FAQ sull’oblio oncologico insieme ad un’utile scheda in materia sono consultabili sul sito internet del Garante privacy.

Cosa stabilisce la legge sull’oblio oncologico

Nelle FAQ viene spiegato che il compito di vigilanza sulla corretta applicazione della legge è affidato al Garante Privacy, il quale in caso di eventuali violazioni della disciplina sulla protezione dei dati potrà infliggere le sanzioni previste dal Gdpr.

Inoltre viene chiarito che la normativa vieta a banche, assicurazioni, e a tutti i datori di lavoro (sia nella fase di selezione del personale sia durante il rapporto lavorativo), di richiedere all’utente e al dipendente informazioni su una patologia oncologica da cui sia stato precedentemente affetto e il cui trattamento si sia concluso – senza episodi di recidiva – da più di dieci anni (ridotti a cinque se il soggetto aveva meno di 21 anni al momento in cui è insorta la malattia).

La legge stabilisce anche particolari tutele per le coppie che presentano domanda di adozione al Tribunale per i minorenni. Il Tribunale, nella selezione delle coppie, non può raccogliere informazioni sulle patologie oncologiche pregresse quando siano trascorsi più di dieci anni dalla conclusione del trattamento della patologia – in assenza di recidive o ricadute – o più di cinque anni se la patologia si è manifestata prima del compimento del 21esimo anno di età.

La regola vale anche in caso di adozione di minori stranieri.

 

Leggi anche Articolo di stampa e diritto all’oblio

pec efficace ufficio chiuso

Pec efficace anche se l’ufficio è chiuso La Cassazione chiarisce che l'invio via pec si considera efficace anche se l'ufficio è chiuso in base alla data di ricezione

Deposito telematico

Anche se l’ufficio è chiuso, l’invio via pec è da considerarsi efficace in base alla data di ricezione entro le 24 ore dalla scadenza, mentre ai fini dell’avvio delle attività che l’amministrazione deve compiere entro un termine perentorio, occorre tenere conto della conoscenza effettiva dell’atto che avviene nell’orario di apertura dell’ufficio al pubblico. Lo ha chiarito la seconda sezione penale della Cassazione con sentenza n. 28067/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Caltanissetta dichiarava inammissibile l’impugnazione della sentenza di primo grado ritenendo superato il termine per il deposito della stessa.

L’imputato adiva la Cassazione denunciando, tra l’altro, inosservanza della legge processuale prevista a pena di decadenza (art. 606, comma 1, lett. c, ni riferimento agli artt. 585, comma 1, lett. a, cod. proc. pen. e 87 bis, comma 1, ultima parte del d.lgs. 150/2022), per avere la Corte di merito stimato intempestiva l’impugnazione della sentenza di primo grado, nonostante l’atto di appello fosse stato trasmesso a mezzo p.e.c., come consentito dall’art. 87 bis, cit., e pervenuto presso la Cancelleria del giudice a quo entro le ore 24.00 dell’ultimo giorno utile per il deposito dell’impugnazione.

Il processo telematico

Per gli Ermellini, il ricorso è ammissibile e fondato giacchè iI giudice dell’impugnazione non ha tenuto conto del fatto che l’atto era stato trasmesso tempestivamente (a normativa vigente) dal difensore dell’imputato. Il processo telematico (non ancora completamente attuato), proseguono dalla S.C. “trova però già nella legislazione d’urgenza legata ai recenti eventi pandemici il suo archetipo attuativo: cessata l’efficacia della normativa emergenziale al 31 dicembre 2022, il legislatore è intervenuto con la legge 03 dicembre 2022, n. 199 (di conversione del d.l. n. 162/2022), introducendo il comma 6 -bis all’art. 87 d.lgs. n. 150/2022 che riproduce in sostanza la vecchia disciplina emergenziale sul deposito telematico degli atti e prevede che il deposito di essi si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento”. Per cui, “il deposito è tempestivo quando è eseguito entro le ore 24 del giorno di scadenza”. E allo stato, “questa è la disciplina in vigore per li deposito degli atti, fino a quando non diventeranno concretamente operative le nuove disposizioni del processo penale telematico. L’art. 87 bis d.lgs. n. 150/2022, a sua volta introdotto dall’art. 5 quinquies della legge n. 199/2022, al comma 1, stabilisce – infatti – che, fino a quando non diventeranno operative le disposizioni sul processo penale telematico ovvero fino a quando, prima di quel momento, non divenga possibile l’inserimento di quello specifico atto nel portale telematico (nel qual caso non sarà più consentito li deposito a mezzo PEC), per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli previsti nell’articolo 87, comma 6 – bis, e da quelli individuati ai sensi del comma 6 – ter della medesima disposizione, «è consentito li deposito con valore legale mediante invio dall’indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui all’articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44”.

Irrilevante l’apertura al pubblico dell’ufficio

L’appello spedito a mezzo p.e.c. entro le ore 24.00 del quindicesimo giorno dal deposito della sentenza accompagnata da motivazione contestuale doveva, pertanto, certamente ritenersi tempestivo. Nè può, in contrario, proseguono i giudici, ” esser considerato l’unico arresto in apparente, ma non effettivo, dissenso (Sez. 6, n. 8599 del 2/12/2021, dep. 2022, Rv. 283105, in motiv., sub 5. e 5.2., pag. 5 e ss.), che sembrerebbe valorizzare l’orario di apertura al pubblico dell’ufficio giudiziario”. Tale ultima sentenza si riferisce, infatti, “alla differente fattispecie processuale che mette in stretta sequenza connettiva, li termine utile per l’impugnazione incidentale nel sub-procedimento cautelare (le ore 24.00 del giorno ultimo) e il dies a quo di decorrenza del termine indicato al comma 5 dell’art. 309 cod. proc. pen. Tale ultima pronuncia prende in considerazione, infatti, ai fini della tempestività dell’istanza di riesame, la data e l’ora di ricezione telematica (le ore 24 dell’ultimo giorno utile dei dieci concessi dal legislatore processuale); mentre ai fini della tempestività della trasmissione degli atti da parte dell’Autorità procedente (5 giorni) individua il dies a quo, in quello in cui la Cancelleria (secondo l’orario di apertura al pubblico, che solo in questo caso riprende a spiegare effetti procedimentali) ha preso lettura della comunicazione, inviata a mezzo p.e.c. in ora di chiusura al pubblico dell’ufficio”.

Si tratta di profili, si legge in motivazione, “che nell’ambito del sistema normativo delineato dal legislatore processuale sono connessi e complementari, nel senso che al deposito tempestivo della richiesta nella cancelleria del Tribunale consegue, di solito, la conoscenza dell’impugnazione da parte dello stesso Tribunale e, quindi, il decorso del termine previsto per la trasmissione degli atti da parte dell’Autorità procedente; momenti che, tuttavia, possono non coincidere a seguito della entrata in vigore della legge n. 176 del 2020 (il cui principio ha poi trovato conferma nella disciplina attualmente vigente), giacché è possibile che l’istanza sia utilmente ‘trasmessa’ in un dato giorno (entro le ore 24, in orario di chiusura al pubblico dell’ufficio giudiziario), ma che della stessa l’ufficio venga obiettivamente a conoscenza il giorno successivo (quando l’ufficio si apre al rapporto col pubblico)”.

In tali casi, dunque, “il termine previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. non può che decorrere da quando l’atto che innesca la sequenza procedimentale che il legislatore intende sollecitare è ‘conosciuto’, cioè dal momento in cui l’ufficio viene a conoscenza della richiesta di riesame. Diversamente, la reale estensione del termine perentorio (5 giorni) del sub-procedimento dipenderebbe da variabili rimesse alla mera volontà dell’istante, che trasmettendo l’atto per via telematica in orario in cui certamente l’ufficio non è aperto al pubblico (ad es. oltre le ore 20) provocherebbe la riduzione di un giorno del termine perentorio previsto dalla legge per la tempestiva trasmissione degli atti”.

Il principio di diritto

Il principio che orienta la fattispecie, conclude quindi la Cassazione, può pertanto essere declinato nei seguenti termini: “L’estensione oraria (ore 24.00) del termine utile per proporre impugnazione per via telematica spiega effetti in relazione all’attività ricettiva dell’amministrazione; mentre ai fini dell’avvio delle attività che l’amministrazione deve compiere entro un dato termine perentorio, per effetto della tempestiva presentazione dell’istanza, non può che tenersi conto della conoscenza effettiva dell’atto che innesca il procedimento e, dunque, dell’orario di apertura al pubblico dell’ufficio”.
Da qui, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

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organismi di mediazione

Organismi di mediazione: adeguamento a gennaio Per gli organismi di mediazione, il ministero della Giustizia ha rinviato il termine per l'adeguamento dei requisiti di iscrizione al 31 gennaio 2025

Organismi di mediazione, ok alla proroga

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto con cui il ministero della Giustizia ha rinviato l’adeguamento ai requisiti di iscrizione per gli organismi di mediazione e i responsabili degli stessi.

Adeguamento prorogato al 31 gennaio 2025

Il decreto ministeriale del 9 agosto 2024 ritenuta l’opportunità, stante l’approssimarsi della scadenza originaria del 15 agosto 2024 e la complessità della procedura amministrativa di adeguamento, infatti, il differimento al 31 gennaio 2025 dei termini previsti dagli articoli 42, comma 1, ultima parte, e 43, comma 1, del Dm Giustizia n. 150/2023

Accolte le istanze dell’avvocatura

In tal modo, vengono accolte le istanze dell’avvocatura consentendo a organismi e mediatori di avere più tempo per conformarsi alle nuove disposizioni. Sia il Consiglio Nazionale Forense che l’Organismo Congressuale Forense (OCF) nei giorni scorsi infatti avevano chiesto a gran voce la proroga data la complessità delle procedure di adeguamento e dell’avvicinarsi della scadenza iniziale del 15 agosto.

servizi catastali online

Servizi catastali online: la guida delle Entrate E' online "Il Sistema Catastale" 2024, la guida dell'Agenzia delle Entrate aggiornata ad agosto sui servizi a favore di cittadini e operatori

“Il Sistema Catastale” 2024

Servizi catastali online: è stato pubblicato, sul sito dell’Agenzia delle entrate, “Il Sistema Catastale”, volume dedicato al sistema informativo catastale e cartografico aggiornato ad agosto 2024.

Lo strumento contiene anche un riepilogo dei servizi catastali online a disposizione di cittadini e professionisti. 

L’obiettivo

La pubblicazione ha l’obiettivo di mettere a conoscenza dei lettori l’evoluzione del sistema informativo catastale e lo sviluppo dei servizi geotopocartografici di supporto alle tematiche fiscali nel campo immobiliare e ai più ampi ambiti del diritto civile e del governo e la tutela del territorio per l’intero Paese.

“I contenuti del volume evidenziano le attività introdotte per la digitalizzazione dei servizi e delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e cartografici, fortemente orientati alla semplificazione, telematizzazione e all’integrazione dei processi, per garantire piena efficacia ed efficienza a tutto il sistema informativo immobiliare” si legge su FiscoOggi, la rivista online dell’Agenzia delle Entrate.

Il SIT

Da circa tre anni, l’Amministrazione del catasto si è dotata della nuova piattaforma web del Sistema integrato del Territorio – Sit, che consente l’avvio di attività innovative per l’integrazione delle informazioni immobiliari, la qualità e coerenza dei dati catastali, la corretta integrazione con le titolarità catastali (i soggetti) dei registri immobiliari, per compiere al meglio il mandato istituzionale richiesto dal legislatore per la costituzione dell’Anagrafe immobiliare integrata.

I contenuti del Sistema Catastale

Il volume, oltre a dare indicazioni sulle attività realizzate e quelle in cantiere per lo sviluppo innovativo dei servizi, informa sulle caratteristiche degli archivi digitali e cartacei. Sono descritte “le principali procedure informatiche per l’aggiornamento degli archivi censuari, planimetrici e cartografici del catasto terreni e dei fabbricati”. Il volume descrive inoltre “i servizi offerti per la consultazione delle informazioni catastali e cartografiche, sia ad accesso libero sia in area riservata, sulle piattaforme online dell’Agenzia, disponibili per tutte le categorie di utenti, privati cittadini, professionisti ed enti della Pubblica amministrazione”.

Nella nuova edizione ci sono anche le più recenti novità di carattere normativo-giuridico e dei documenti di prassi, le informazioni quantitative con i principali dati segnaletici di consistenza degli archivi di catasto terreni e dei fabbricati, il rilascio dei nuovi servizi sulla piattaforma telematica Sister, nonchè una sezione dedicata al sistema catastale tavolare del “Libro fondiario” vigente in alcuni territori della Penisola.

assegnazione casa familiare

Assegnazione casa familiare: comprende anche i mobili Per la Cassazione, l'assegnazione della casa familiare si estende anche agli arredi e ai mobili essendo legata alla collocazione dei figli

Assegnazione della casa familiare

L’assegnazione della casa familiare si estende anche agli arredi essendo legata alla collocazione dei figli. E’ quanto stabilito dalla prima sezione civile della Cassazione nell’ordinanza n. 16691/2024.

La vicenda

Nella vicenda, con sentenza il tribunale di Trieste riconosceva il diritto all’assegno divorzile all’ex moglie e le assegnava la casa coniugale. Il marito impugnava il provvedimento innanzi la Corte d’appello lamentando, tra l’altro, che la casa coniugale di sua proprietà comprendeva anche gli arredi, per cui l’assegnazione degli stessi era giuridicamente insostenibile, in quanto “legislativamente non prevista” e ne chiedeva, pertanto, la restituzione. La corte territoriale gli dava ragione. E la questione approdava in Cassazione dove l’ex moglie, tra le varie doglianze sosteneva che “gli arredi devono essere considerati parte integrante dell’habitat domestico tutelato dall’art. 337 sexies c.c.”.

Assegnazione casa familiare comprende gli arredi

Per gli Ermellini, il motivo è fondato. “L’assegnazione della casa familiare – affermano infatti – si estende anche a mobili ed arredi, essendo indissolubilmente legata alla collocazione dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, i quali hanno diritto di conservare l’habitat domestico nel quale sono nati o cresciuti, composto delle mura e degli arredi. L’assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi, ai sensi dell’art. 155, comma 4, c.c., ricomprende, per la finalità sopraindicate, non il solo immobile, ma anche i mobili, gli arredi, gli elettrodomestici ed i servizi, con l’eccezione dei beni strettamente personali che soddisfano esigenze peculiari dell’altro ex coniuge (Cass., n. 5189/1998; Cass, n. 878/1986; Cass., n. 7303/1983)”.

Il logico collegamento, proseguono dal Palazzaccio, “tra immobile e mobili ai fini di tutelare l’interesse del minore alla conservazione dell’ambiente familiare va ribadito anche se la proprietà dell’immobile è di proprietà esclusiva del coniuge non proprietario dei beni mobili al fine di garantire al minore quel complesso di comfort e di servizi che durante la convivenza ha caratterizzato lo standard di vita familiare. In tale direzione è principio costantemente ribadito da questa Corte che il collegamento stabile con l’abitazione del genitore, caratterizzato da coabitazione anche non quotidiana ma compatibile con assenze giustificate da motivi riconducibili al percorso formativo, purché vi faccia ritorno periodicamente e sia accertato che la casa familiare sia luogo nel quale è conservato il proprio habitat domestico. Uno degli indici probatori può essere la circostanza che l’effettiva presenza sia temporalmente prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo (Cass., n. 29977/2020; Cass., n. 16134/2019, Cass., n. 21749/2022)”.

La decisione

Nella specie, la Corte territoriale ha del tutto omesso di esaminare e porre in relazione con il diritto all’assegnazione della casa familiare nella sua completezza, la non autosufficienza economica della figlia maggiorenne delle parti, non oggetto di contestazione e la sua collocazione presso la predetta casa familiare. Per cui il ricorso principale è accolto e la sentenza cassata con rinvio.

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omessa notifica fissazione udienza

Omessa notifica fissazione udienza: scatta la nullità La Cassazione ricorda che l'omessa notifica dell'avviso della fissazione dell'udienza integra una nullità di ordine generale

Mancata comunicazione udienza

L’omessa notifica dell’avviso della fissazione dell’udienza integra una nullità di ordine generale assoluta e insanabile. Così la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 22266/2024 decidendo il ricorso di un condannato avverso l’ordinanza del tribunale di Sorveglianza. 

La vicenda

L’uomo eccepiva la nullità del provvedimento per omessa notifica dell’avviso dell’udienza camerale (allo stesso e al difensore). La mancata conoscenza del procedimento, sosteneva, “avrebbe determinato l’assenza dell’interessato e del proprio difensore di fiducia, per come desumibile dal verbale di udienza”.
Per la Cassazione, il ricorso è fondato.

Il principio di diritto

Dall’esame della documentazione risultava effettivamente che l’udienza era stata tenuta nonostante l’omessa notifica del decreto di citazione al condannato e al suo difensore. “E’ stata preclusa al ricorrente – afferma quindi la S.C. – ogni difesa, in violazione del diritto al contraddittorio”.
Deve, pertanto, essere fatta applicazione del principio, consolidatosi per effetto dell’intervento delle Sezioni Unite, per cui «l’omessa notificazione dell’avviso della fissazione dell’udienza, in quanto equiparabile al
decreto di citazione nel procedimento ordinario e attinente all’intervento dell’interessato e alla sua assistenza tecnica, integra una nullità di ordine generale, assoluta e insanabile, dell’udienza e degli atti successivi, compresa l’ordinanza conclusiva, ai sensi del combinato disposto degli artt. 178, comma 1, lett. C), e 179, comma 1, cod. proc. pen.» (tra le altre, Sez. U, n. 24630/2015, n. 2418/1998).

L’annullamento, concludono gli Ermellini, deve essere disposto con rinvio in adesione all’orientamento
più recente secondo cui «in tema di ricorso per cassazione, ove li provvedimento impugnato sia affetto da nullità assoluta per violazione del contraddittorio, deve disporsi l’annullamento con rinvio, dovendosi applicare la regola generale di cui al combinato disposto degli artt. 623, comma 1, lett. b) e 604, comma 4, cod. proc. pen., che prevede l’adozione di tale provvedimento qualora venga accertata una causa di nullità ex art. 179 cod. proc, pen.» (cfr., tra le altre, Cass. n. 14568 del 21/12/2021).

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giurista risponde

Nesso di causalità e interruzione da concause successive Il nesso di causalità che collega le condotte omissive o commissive dell’imputato all’evento lesivo prodotto, può essere interrotto da concause successive idonee a determinare l’evento?

Quesito con risposta a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin

 

Con riferimento al nesso di causalità, fermo il principio della c.d. equivalenza delle cause o della conditio sine qua non, le cause sopravvenute intanto possono giudicarsi atte ad interrompere il nesso di causalità con la precedente azione o omissione dell’imputato, in quanto diano luogo ad una sequenza causale completamente autonoma da quella determinata dall’agente, ovvero ad una linea di sviluppo dell’azione precedente del tutto autonoma ed imprevedibile, ovvero ancora nel caso in cui si prospetti un processo causale non totalmente avulso da quello antecedente, ma caratterizzato da un percorso totalmente atipico, di carattere assolutamente autonomo ed eccezionale ovverosia integrato da un evento che non si verifica se non in fattispecie del tutto imprevedibili, tali non essendo ad esempio, l’eventuale errore medico. – Cass., sez. IV, 14 marzo 2024, n. 10656.

L’art. 41 c.p. afferma a tal proposito, il principio dell’equivalenza delle cause, stabilendo da un lato la responsabilità del soggetto agente seppure in presenza di cause indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, qualora sia provato che l’evento lesivo si sarebbe comunque verificato a prescindere da esse. Dall’altro la non responsabilità del soggetto agente innanzi a cause sopravvenute del tutto eccezionali, atipiche ed anomale rispetto al decorso dei fatti, in base ad un giudizio prognostico e controfattuale.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la sussistenza del nesso di causalità tra le condotte omissive dell’agente e l’evento morte del soggetto leso, tenuto conto delle cause determinanti la morte. In primo e secondo grado era stata riconosciuta la responsabilità dell’imputato, in considerazione di una ricostruzione dei fatti che vedeva l’imputato aver posto in essere una condotta omissiva causativa dell’incidente mortale, senza la quale la preesistente condizione medica dell’infortunato non sarebbe degenerata a tal punto da causarne il decesso. Per tutto il giudizio di merito infatti, la dinamica dell’infortunio non è mai stata oggetto di contestazione, ad esserlo invece è stato il nesso di causalità che ricollega l’evento morte alle condotte dell’agente, non potendosi escludere – a dire del ricorrente – che il decesso fosse sopraggiunto per causa anomala ed indipendente rispetto alle lesioni di cui all’infortunio.

Viene proposto quindi ricorso per Cassazione, contestando violazione di legge penale e vizio di motivazione quanto al ritenuto nesso causale tra la condotta dell’imputato e il decesso della vittima. Il prevalente e consolidato orientamento interpretativo del disposto dell’art. 41, comma 2 c.p., più volte riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità e sopra riportato è stato ripreso nella decisione de qua della Corte che, ritenendo il motivo infondato ha rigettato il ricorso.

Contributo in tema di “Nesso di causalità, condotte omissive e commissive e interruzzione da concause successive”, a cura di Beatrice Parente ed Elisa Visintin, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

domicilio fiscale

Domicilio fiscale: nuova definizione dal 1° gennaio 2024 La Cassazione chiarisce che la novella apportata dal Dlgs n. 209/2023 sulla determinazione della residenza e del domicilio non è retroattiva

Domicilio fiscale

In materia di soggetti passivi dell’imposta, ai fini dell’accertamento della residenza delle persone fisiche nel territorio dello Stato, la determinazione della residenza e del domicilio secondo i criteri di cui all’art. 2 comma 2 del Dpr n. 917/1986 (TUIR), come novellato dall’art. 1 del Dlgs n. 209/2023, si applica alle fattispecie concrete verificatesi a partire dal 1° gennaio 2024. E’ quanto ha chiarito la sezione tributaria della Cassazione, con sentenza n. 19843/2024, decidendo una vertenza tra un contribuente residente nel principato di Monaco e l’Agenzia delle Entrate.

Il nuovo comma 2 dell’art. 2 TUIR

Il nuovo comma 2 dell’art. 2 d.P.R. n. 917 del 1986, statuisce ora che « Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si
presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente».
Infatti, l’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 209 del 2023, stabilisce che le disposizioni di cui all’articolo 1 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2024. Pertanto, non disciplina la fattispecie concreta controversa in esame innanzi alla Cassazione.

Norma non retroattiva

“In assenza di indici relativi alla qualità di norma di interpretazione autentica della relativa disposizione (qualità del resto non compatibile con la specifica disposizione intertemporale dettata dal legislatore) e considerata la natura sostanziale della novella – che incide sulle condizioni fattuali che determinano
la soggettività passiva rispetto all’imposizione e sull’onere della relativa prova – tale ultima norma, proseguono gli Ermellini, deve essere interpretata nel senso che la nuova disciplina si applica pertanto a fattispecie sostanziali che si siano verificate dal 1° gennaio 2024, e non anche a quelle formatesi precedentemente, neanche ove queste ultime siano accertate dall’Ufficio o trattate in giudizio successivamente a tale data”.

La precedente definizione

Tanto vale in particolare, nel caso di specie, per quanto riguarda il concetto di «domicilio», atteso che prima della modifica apportata dall’art. 1 d.lgs. 27 dicembre 2023, n. 209, l’art. 2, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986 mutuava espressamente i concetti di “residenza” e “domicilio” dal codice civile (« […] hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.»), mentre ora limita tale rinvio alla sola “residenza”, fornendo nel contempo un’autonoma definizione del “domicilio”.
Tanto premesso, chiarisce ancora la Corte, “è orientamento consolidato ( maturato prima della recente novella del comma 2 dell’art. 2 d.P.R. n. 917 del 1986), al quale si intende dare in questa sede ulteriore continuità, quello secondo cui, ai fini dell’individuazione della residenza fiscale o meno in Italia del contribuente, per l’accertamento del domicilio deve farsi riferimento al centro degli affari e degli interessi vitali dello stesso, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha li più stretto collegamento” ( ex plurimis Cass. 07/11/2001; Cass. 15/06/2010, n. 14434).

Ne consegue che il “domicilio deve, non solo, essere il luogo di gestione dei propri interessi, riconoscibile dai terzi, ma anche che tale riconoscibilità deve essere agganciata a indici tali da individuare in Italia prioritariamente gli interessi del contribuente di carattere economico e patrimoniale”. Fermo restando, comunque, conclude la S.C., “che l’accertamento della fissazione in Italia del domicilio debba coprire, ai sensi dello stesso art. 2, comma 2, ‘la maggior parte del periodo di imposta’, essendo evidente l’intento del legislatore di non legare l’accertamento ad eventi occasionali, ma di ancorarlo alla verifica di una sufficiente permanenza temporale del criterio di collegamento”.

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