giurista risponde

Impugnazione sentenza penale e avvio procedimento disciplinare Da quando decorre il termine per l’avvio del procedimento disciplinare in caso di impugnazione parziale di una sentenza penale? Occorre fare riferimento ai giudicati parziali ovvero all’ultimo giudicato?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il procedimento disciplinare deve essere instaurato o ripreso a decorrere dalla data di intervenuta conoscenza della sentenza che conclude definitivamente e complessivamente il processo penale, non assumendo alcun rilievo, ai fini della determinazione del dies a quo, il passaggio in giudicato di precedenti sentenze con riferimento a singoli capi di imputazione. – Cons. Stato, Ad. plen., 13 settembre 2022, n. 14.

Richiamando l’art. 55ter del D.Lgs. 165/2001, i Giudici ricordano che per il personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (e, nel caso di specie, con riguardo ai militari imputati di fatti penalmente rilevanti, per i quali in modo non dissimile da quanto previsto per il cd. personale contrattualizzato dispongono gli artt. 1392 e 1393, D.Lgs. 66/2010) resta fermo il principio generale di “autonomia temperata” del procedimento disciplinare rispetto a quello penale.

L’avvio del procedimento disciplinare, anche in pendenza di procedimento penale, costituisce, dunque, la regola nell’impiego pubblico, mentre la sospensione rappresenta l’eccezione, dipendente dalla sussistenza di due distinti presupposti: i) la natura particolarmente grave della sanzione astrattamente irrogabile all’esito del procedimento; ii) la particolare “complessità” dell’istruttoria, ovvero la indisponibilità di “elementi conoscitivi sufficienti”, che solo le indagini penali e il successivo dibattimento possono fornire.

La sospensione, quindi, ove ne ricorrano le condizioni, risponde all’esigenza di acquisire tutti gli elementi emergenti dal processo penale per una migliore valutazione, a tutela dell’interesse pubblico e di quello del dipendente.

Ciò che le norme intendono tutelare, per il tramite dell’attesa della definizione del giudizio penale, è la correttezza e completezza della valutazione in sede disciplinare di tutti i fatti che hanno formato oggetto di giudizio penale, sia nell’interesse pubblico che nell’interesse del dipendente.

Sulla base di tali considerazioni, i Giudici ritengono preferibile la soluzione ermeneutica che individua la decorrenza del termine per avviare o riaprire il procedimento disciplinare solo dalla conclusione dell’intero processo penale (senza quindi considerare le eventuali sentenze parziali coperte da giudicato).

L’Adunanza Plenaria ha, dunque, concluso che: “Il procedimento disciplinare nei confronti del personale militare deve essere instaurato o ripreso, ai sensi dell’art. 1392, comma 3, e dell’art. 1393, comma 4, D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, a decorrere dalla data di intervenuta conoscenza della sentenza che conclude definitivamente e complessivamente il processo penale, non assumendo alcun rilievo, ai fini della determinazione del dies a quo, il passaggio in giudicato di precedenti sentenze con riferimento a singoli capi di imputazione. La conoscenza della sentenza conclusiva del processo penale deve essere integrale, non essendo sufficiente la mera conoscenza del dispositivo o di estratti della stessa, e legalmente certa, dovendo la stessa irrevocabilità risultare formalmente, secondo le modalità previste dalla legge”.

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Sindacabilità atto ministero giustizia richieste art. 723 c.p.p. È sindacabile l’atto con cui il Ministero della Giustizia provvede sulle richieste di assistenza giudiziaria internazionale (art. 723 c.p.p.)?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, Ad. plen., 6 dicembre 2022, n. 15.

Il Consiglio di Stato enuncia che è sindacabile l’atto con cui il Ministero della Giustizia provvede sulle richieste di assistenza giudiziaria internazionale.

Si tratta, infatti, di un provvedimento amministrativo discrezionale che sotto il profilo del difetto di motivazione può essere sottoposto al vaglio del giudice amministrativo.

Con riguardo alla vicenda in esame, il collegio si è direttamente pronunciato nel merito degli appelli, accogliendoli, in specie annullando gli atti del Ministero per carenza di motivazione, con particolare riferimento alla possibile violazione del principio del ne bis in idem.

Nel caso di specie, la questione è partita da sei richieste dell’India di notificazione delle citazioni a giudizio ai vertici di una società per rispondere dei reati di corruzione e riciclaggio in pubbliche forniture al Governo straniero. I vertici della società, per i medesimi fatti, erano stati già processati in Italia e assolti in via definitiva. Il Consiglio di Stato ha annullato gli atti del Ministero di accoglimento delle richieste del Governo indiano, affermando che il Ministero non aveva motivato in ordine alle ragioni per cui non aveva esercitato il proprio potere di “blocco”.

L’Adunanza Plenaria evidenziava che, il Ministero esercita un potere discrezionale, in forza del quale è tenuto a valutare tutti i profili presi in considerazione dall’art. 723 c.p.p.”. Pertanto, la motivazione deve essere contenuta nell’atto di accoglimento della richiesta formulata dallo Stato estero o va desunta per relationem da un precedente atto infra-procedimentale.

Nel caso specifico, invece, non si è preso in considerazione il precedente “giudicato assolutorio” con il rischio concreto che “le medesime persone, già assolte, verrebbero nuovamente sottoposte ad un giudizio per i medesimi fatti, davanti all’autorità giudiziaria penale estera”, così ponendo in discussione la sovranità statale.

Nella medesima direzione va anche la possibile violazione della necessità della “doppia incriminazione”, con riguardo all’imputazione di riciclaggio formulata dall’autorità indiana, perché rivolta ai concorrenti nel reato di corruzione presupposta, in violazione dell’incompatibilità sancita invece da diritto penale interno (art. 648bis c.p.).

Tutte questioni sulle quali non si riscontra nei provvedimenti impugnati alcuna presa di posizione sul piano motivazionale.

Ciò premesso, per i Giudici va affermato che: “Il difetto di motivazione esplicita degli atti con cui è stato dato seguito alle richieste di assistenza giudiziaria internazionale è sindacabile, sotto il profilo del difetto di motivazione, poiché come nel caso di specie, si è in presenza di un provvedimento discrezionale, che va adeguatamente motivato”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 1° giugno 2022, n. 4487;
Cons. Stato, sez. VII, 16 marzo 2022, n. 1889;
Cons. Stato, sez. VI, 3 agosto 2021, n. 5727;
Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2020, n. 1341;
Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2020, n. 1180
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Corretta valutazione offerte tecniche nelle gare Qual è la corretta modalità di valutazione delle offerte tecniche da parte dei commissari nelle gare in cui è previsto l’utilizzo del metodo del confronto a coppie?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2022, n. 16.

I Giudici di Palazzo Spada hanno ammesso che, sia nel caso in cui il disciplinare di gara preveda l’utilizzo del metodo del confronto a coppie sia nel caso in cui la stazione appaltante abbia deciso di adottare il metodo dell’attribuzione discrezionale di un coefficiente variabile tra zero e uno, con valutazione discrezionale della singola offerta rispetto ai contenuti della lex specialis, per entrambi i metodi di valutazione tra i commissari può esserci un preventivo confronto sui contenuti delle offerte tecniche.

In tale confronto ciascun componente dell’organo collegiale potrà apporvi un personale contributo rispetto alle proprie competenze specifiche.

Nello specifico, i due metodi di valutazione si differenziano:

  • nel caso in cui il disciplinare abbia previsto l’attribuzione discrezionale di un coefficiente, “all’esito di una valutazione collegiale i singoli commissari ben possono ritenere, unanimemente, di assegnare il medesimo coefficiente ad ogni singola offerta, via via che essa viene esaminata”, in quanto ogni offerta è valutata singolarmente rispetto a standard ideali e non in confronto alle altre offerte;
  • nel confronto a coppie, invece, non può considerarsi legittimo un giudizio comparativo sempre identico tra i singoli commissari, “in quanto a differenza di un giudizio assoluto di volta in volta espresso rispetto alla singola offerta, quello comparativo a coppie, in quanto relativo, deve riflettere una individualità del singolo giudizio nella preferenza nettamente distinguibile da quella degli altri”.

Da quanto sin qui esposto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato i seguenti principi di diritto: “a) Nel diritto dei contratti pubblici, i commissari di gara cui è demandato il compito di esprimere una preferenza o un coefficiente numerico, quando procedono alla valutazione degli elementi qualitativi dell’offerta tecnica, possono confrontarsi tra loro in ordine a tali elementi prima di attribuire individualmente il punteggio alle offerte, purché tale confronto non si presti ad una surrettizia introduzione del principio di collegialità, con la formulazione di punteggi precostituiti ex ante, laddove tali valutazioni debbano essere, alla luce del vigente quadro regolatorio, anzitutto di natura esclusivamente individuale; b) con riferimento al metodo del confronto a coppie, in particolare, l’assegnazione di punteggi tutti o in larga parte identici e non differenziati da parte di tutti i commissari annulla l’individualità della valutazione che, anche a seguito della valutazione collegiale, in una prima fase deve necessariamente mantenere una distinguibile autonomia preferenziale nel confronto tra la singola offerta e le altre in modo da garantire l’assegnazione di coefficienti non meramente ripetitivi e il funzionamento stesso del confronto a coppie; c) le valutazioni espresse dai singoli commissari, nella forma del coefficiente numerico non comparativo, possano ritenersi assorbite nella decisione collegiale finale”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 2021, n. 6296; Id., 14 febbraio 2018, n. 952;
Cons. Stato, sez. III, 13 ottobre 2017, n. 4772; Cons. Stato, sez. V, 11 agosto 2017, n. 3994;

Id., 8 settembre 2015, n. 4209; Id., 24 marzo 2014, n. 1428;
Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 810

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Periodi di riposo padre lavoratore dipendente Sono riconosciuti i periodi di riposo, ai sensi degli artt. 39 e 40 del D.Lgs. 151/2001, al padre lavoratore dipendente (del minore di anni uno) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, Ad. plen., 28 dicembre 2022, n. 17. 

I Giudici ricordano che: “I periodi di riposo di cui all’art. 39 del D.Lgs. 151/2001 rientrano nel novero dei diritti riconosciuti in attuazione del valore costituzionale tutelato dalla funzione genitoriale, cui si riconnettono:

 

–   sia le responsabilità di entrambi i genitori nei confronti del figlio (naturale o adottivo), e dunque il diritto dei medesimi ad ottenere dall’ordinamento il riconoscimento delle migliori condizioni possibili onde assolvere ad una funzione non solo individuale, ma anche socialmente fondamentale;

–   sia, specularmente, il diritto del figlio ad ottenere, per il tramite dell’assistenza dei genitori, ottimali condizioni di crescita e di sviluppo della sua età evolutiva”.

Ed invero, l’esercizio della funzione genitoriale tende sia alla piena realizzazione dei diritti del bambino ad ottenere la migliore assistenza da parte dei genitori sia a costituire espressione del diritto “proprio” di ciascuno dei genitori, quale espressione della loro personalità, ad accompagnare la crescita del figlio.

Occorre, dunque, prendere le mosse dell’art. 40 del D.Lgs. 151/2001, che prevede la fruizione dei riposi orari del padre lavoratore nei casi: a) in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in cui la madre lavoratrice non se ne avvalga; c) in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) di morte o di grave infermità della madre.

La giurisprudenza si è interrogata se il diritto ai riposi orari spettasse anche nel caso in cui la madre fosse una casalinga; dunque, se potesse rientrare nel novero di “madre non lavoratrice dipendente”.

Sul punto vi sono stati diversi indirizzi interpretativi.

Secondo un primo indirizzo positivo, con “madre lavoratrice dipendente” si ricomprendono tutte le ipotesi in cui non esiste un rapporto di lavoro dipendente, dunque sia il caso della lavoratrice autonoma sia il caso della donna che non svolga alcun lavoro nonché il caso della donna che svolga un’attività non retribuita (come appunto la casalinga).

Orbene, la ratio della disposizione si individuava nel principio della paritetica partecipazione di entrambi i genitori alla cura e all’educazione della prole, così come enunciato nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.

Per quanto attiene all’orientamento negativo, il principio di alternatività nella cura del minore andrebbe escluso in termini assoluti e non sarebbe possibile ricondurre la casalinga alla condizione di non lavoratrice dipendente. Interpretazione che si fonda sulla ricerca del necessario equilibrio tra il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli e le specifiche esigenze del datore di lavoro.

Si è poi affermato un indirizzo intermedio, secondo il quale il padre ha diritto ai permessi solo nel caso in cui dimostri che la moglie casalinga è impossibilitata ad assicurare le necessarie cure al bambino.

Tale contrasto interpretativo induceva la Seconda Sezione del Consiglio di Stato a deferire la questione all’Adunanza Plenaria, che osservava come: “i periodi di riposo di cui all’articolo 39 rientrano nel novero dei diritti riconosciuti in attuazione del valore costituzionalmente tutelato della funzione genitoriale”.

Escludere il diritto del padre alla fruizione dei riposi in caso di presenza nel nucleo familiare della madre casalinga, comporterebbe un’irragionevole privazione del diritto del padre lavoratore dipendente, non giustificata dal testo della norma che nella sua chiarezza non consente interpretazioni riduttive.

Da quanto sin qui esposto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato il principio di diritto secondo cui: “L’art. 40, comma 1, lett. c), D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità), laddove prevede che i periodi di riposo di cui al precedente art. 39 sono riconosciuti al padre lavoratore dipendente del minore di anni uno, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”, intende riferirsi a qualsiasi categoria di lavoratrici non dipendenti; e quindi anche alla donna che svolge attività lavorativa in ambito familiare, senza che sia necessario, a tal fine, che ella sia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, ovvero sia affetta da infermità.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. civ., sez. lav., 28 novembre 2019, n. 31137;
Cons. Stato, sez. III, 10 settembre 2014, n. 4618;
Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2010, n. 16896; Id., 24 agosto 2007, n. 17977;
Id., 20 ottobre 2005, n. 20324
Difformi:      Cons. Stato, sez. II, 4 marzo 2021, n. 1851; Cons. Stato, sez. IV, 30 ottobre 2017, n. 499; Cons. Stato, sez. I, 22 ottobre 2009, n. 2732
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Qualifiche professionali estere e accesso in Italia È possibile riconoscere ai fini dell’accesso nel territorio italiano ad attività professionali qualifiche conseguite all’estero?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, Ad. plen., 28 dicembre 2022, n. 18.

Preliminarmente è opportuno evidenziare che la direttiva 2005/36/CE, in vista dell’obiettivo d’attuazione delle libertà economiche fondamentali dei Trattati europei, si propone di facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati ed altri titoli; stabilendo regole e criteri che comportino il riconoscimento automatico degli stessi.

In conformità con quanto statuito dalla Corte di giustizia (sent. 8 luglio 2021, C-166/20) il Ministero dell’istruzione è tenuto: “Ad esaminare l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli, posseduti da ciascun interessato; a procedere quindi ad un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale, onde accertare se gli interessati abbiano o meno i requisiti per accedere alla professione regolamentata di insegnante, eventualmente previa imposizione delle misure compensative”.

In conclusione, l’Adunanza Plenaria ha affermato, richiamando giurisprudenza comunitaria, che: “Anche in mancanza del titolo di formazione ottenuto presso lo Stato d’origine, l’autorità del Paese ospitante è tenuta ad accertare le competenze professionali, comunque, risultanti dalla documentazione presentata dall’interessato e a compararla con quelle previste dalla legislazione interna per l’accesso alla professione.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VII, 14 luglio 2022, n. 5983; Id., 16 marzo 2022, n. 1850;
Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2021, n. 7343; Id., 17 febbraio 2020 n. 1198
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Diplomi esteri e riconoscimento in Italia È possibile riconoscere nel territorio italiano diplomi e qualifiche estere?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, Ad. plen., 29 dicembre 2022, nn. 19, 20, 21 e 22.

Il Consiglio di Stato ha enunciato il seguente principio di diritto: “Spetta al Ministero competente verificare se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato da altro Stato o la qualifica attestata da questo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni per accedere all’insegnamento in Italia, salva l’adozione di opportune e proporzionate misure compensative ai sensi dell’art. 14 della Direttiva 2005/36/CE.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VII, 14 luglio 2022, n. 5983; Id., 16 marzo 2022, n. 1850;
Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2021, n. 7343; Id., 17 febbraio 2020 n. 1198
giurista risponde

Correzione errore materiale Qual è l'ambito applicativo della procedura di correzione dell’errore materiale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, Ad. plen., 3 gennaio 2023, n. 1.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato il principio di diritto secondo cui: La procedura di correzione di un errore materiale può essere attivata anche d’ufficio, senza istanza di parte, trattandosi di un procedimento privo di connotati giurisdizionali e di natura sostanzialmente amministrativa, ed in ogni tempo (ex art. 391bis, comma 1, del c.p.c., applicabile anche nei giudizi innanzi al Consiglio di Stato).

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 2017, n. 533; Cons. Stato, sez. IV, 2358/2004
giurista risponde

Operatore economico parte di RTI misto Vi è l’incremento premiale del quinto della qualificazione all’operatore economico che sia parte di un RTI di tipo misto?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2023, nn. 2 e 3. 

La Plenaria, aderendo alla prospettazione della Sezione remittente, ha statuito che: “La disposizione dell’art. 61, comma 2, del D.P.R. 207/2010, laddove prevede, per il raggruppamento c.d. orizzontale, che l’incremento premiale del quinto si applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata, a condizione che essa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara, si applica anche, per il raggruppamento c.d. misto, alle imprese del singolo sub-raggruppamento orizzontale per l’importo dei lavori della categoria prevalente o della categoria scorporata a base di gara”.

L’Adunanza Plenaria prende le mosse dall’assunto che, sebbene l’art. 61, comma 2, del D.P.R. 207/2010 si riferisca all’ipotesi di raggruppamento orizzontale e non a quello verticale (e, di conseguenza, anche misto, quale species del genus verticale), non vi sono ragioni per escluderne l’applicabilità anche al sub-raggruppamento orizzontale di un raggruppamento misto, in relazione al quale, viene a crearsi “una ripartizione di compiti e competenze non dissimile da quelle del raggruppamento orizzontale c.d. totalitari”.

Ed invero, una diversa e più restrittiva interpretazione vanificherebbe ingiustamente ogni possibilità, per le imprese facenti parte di un sub-raggruppamento orizzontale di un RTI misto, di giovarsi dell’incremento del quinto per la propria classifica.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 9 dicembre 2020, n. 7751; Id., 4 maggio 2020, n. 2785;
Id., 5 aprile 2019, n. 2243
Difformi:      Cons. Stato, sez. III, 13 aprile 2021, n. 3040
giurista risponde

Appellabilità ordinanza istanza di accesso documentale È appellabile l’ordinanza resa nel corso del giudizio sull’istanza di accesso documentale ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a.?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2023, n. 4. 

Occorre prendere le mosse dall’art. 116, comma 2, c.p.a., secondo cui il ricorso in materia di accesso può essere proposto in pendenza del giudizio al quale la richiesta di accesso è connessa, previa notificazione all’Amministrazione ed agli eventuali controinteressati. Il Giudice si pronuncia su tale istanza con ordinanza separata rispetto al giudizio principale o con sentenza che definisce il giudizio stesso.

Il Collegio ha evidenziato che su tale disposizione si sono formate tre diverse interpretazioni: la tesi della natura decisoria; la tesi della natura istruttoria e la tesi della natura variabile.

L’Adunanza Plenaria ha ritenuto applicabile la tesi della natura decisoria sulla base dell’interpretazione: letterale; storica; sistematica e conforme a Costituzione.

L’Adunanza Plenaria ha, dunque, concluso che l’ordinanza relativa all’istanza di accesso ha valore decisorio in quanto incide su situazioni giuridiche diverse rispetto a quelle proposte nel giudizio principale, potendosi assimilare ad un ricorso proposto in via autonoma.

Pertanto, l’accesso difensivo deve essere qualificato dalla circostanza che la documentazione richiesta deve essere strumentale alla difesa innanzi al Giudice amministrativo e il Giudice può sempre pronunciarsi sull’istanza con la sentenza che decide il giudizio in virtù della connessione tra la domanda e il giudizio in corso.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato il principio di diritto secondo cui: “L’ordinanza resa nel corso del processo di primo grado sull’istanza di accesso documentale ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a., è applicabile innanzi al Consiglio di Stato”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2019, n. 3936; Id., 21 maggio 2018, n. 3028
giurista risponde

Limiti vincolo destinazione d’uso bene culturale Quali sono i limiti operativi del vincolo di destinazione d’uso del bene culturale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, Ad. plen., 13 febbraio 2023, n. 5.

L’Adunanza plenaria ha enunciato i seguenti principi di diritto:

Ai sensi degli artt. 7bis, 10, comma 3, lett. d), 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, del codice 42/2004, il vincolo di destinazione d’uso del bene culturale può essere imposto quando il provvedimento risulti funzionale alla conservazione della integrità materiale della cosa o dei suoi caratteri storici o artistici, sulla base di una adeguata motivazione, da cui risulti l’esigenza di prevenire situazioni di rischio per la conservazione dell’integrità materiale del bene culturale o del valore immateriale nello stesso incorporato;

ai sensi degli artt. 7bis, 10, comma 3, lett. d), 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, del codice 42/2004, il vincolo di destinazione d’uso del bene culturale può essere imposto a tutela di beni che sono espressione di identità culturale collettiva, non solo per disporne la conservazione sotto il profilo materiale, ma anche per consentire che perduri nel tempo la condivisione e la trasmissione della manifestazione culturale immateriale, di cui la cosa contribuisce a costituirne la testimonianza.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4318;
Cons. Stato, sez. II, 29 ottobre 2020, n. 6628;
Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4747; Id., 18 ottobre 1993, n. 741