agevolazione prima casa

Agevolazione prima casa anche per l’immobile inagibile La Cassazione ha chiarito che l'agevolazione prima casa può applicarsi anche all'acquisto di un immobile inagibile purchè destinato all'uso abitativo

Agevolazione prima casa

Con l’ordinanza n. 3913/2025, la sezione tributaria della Cassazione ha chiarito che l’agevolazione fiscale per l’acquisto della “prima casa” può applicarsi anche agli immobili inagibili (fabbricati collabenti), purché destinati all’uso abitativo dopo idonei interventi edilizi.

La vicenda

Nella vicenda, un’acquirente chiedeva di usufruire dell’agevolazione prima casa versando l’imposta di registro nella misura ridotta del 2%. L’Agenzia delle Entrate emanava avviso di accertamento sostenendo che l’agevolazione si applicasse solo agli immobili abitativi, anche in costruzione, escludendo quelli inagibili.

La questione approdava in Cassazione, la quale ha respinto la tesi del fisco, affermando che la possibilità di destinare l’immobile all’uso abitativo prevale sull’attuale stato di inagibilità.

Fabbricati collabenti

Secondo la S.C., infatti, lo stato di collabenza (dei fabbricati F/2) produce improduttività di reddito ma non fa venir meno in capo all’immobile la tipologia normativa di “fabbricato”. Per quanto oggettivamente inidonei a soddisfare attuali esigenze abitative, ritiene la Corte che “né l’assenza di attualità di destinazione ad abitazione né l’attribuzione della categoria catastale F/2 rappresentano ostacoli alla possibilità di accesso alle agevolazioni prima casa; e, tanto risulta confermato dal tenore del precetto normativo che esclude l’usufruibilità dei benefici fiscali unicamente per i fabbricati classificati in categoria A/1, A/8 e A/9, senza ulteriori limitazioni per altre categorie catastali suscettibili di concreta finalizzazione abitativa e, dunque, né per i fabbricati in corso di costruzione ovvero da ultimare né per i fabbricati collabenti”.

Nessuna idoneità abitativa immediata

La circostanza che il cespite presenti caratteristiche di degrado tali da esigere importanti opere edili di intervento ovvero la previa demolizione e successiva ricostruzione, “se destinato a finalità abitativa, non può limitare l’accesso al beneficio fiscale, tanto più se tali benefici risultino accessibili per gli immobili ancoa da ultimare, risultando rilevante solo che l’immobile sia strutturalmente destinato ad uso abitativo, non essendo richiesto che esso sia già idoneo al momento dell’acquisto (Cass. n. 3804/2003, Cass. n. 18300/2004)”.

Peraltro, ciò soddisfa, proseguono da piazza Cavour, “l’esigenza perseguita dal legislatore di incoraggiare sia lo sviluppo dell’edilizia abitativa mediante l’incremento quantitativo delle costruzioni sia interventi di restauro e risanamento conservativo volti a preservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità, nonché la commercializzazione degli immobili da
recuperare”.

Il principio di diritto

Per cui rigettando il ricorso dell’amministrazione finanziaria, la S.C. ha affermato ilo seguente principio di diritto: “In materia di agevolazione ‘prima casa’ (art. 1 Nota Il bis della Tariffa, parte
prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986), posto che la norma agevolativa non esige l’idoneità abitativa dell’immobile già al momento dell’acquisto, il beneficio può essere riconosciuto anche all’acquirente di immobile collabente, non ostandovi la classificazione del fabbricato in categoria catastale F/2, ed invece rilevando al suscettibilità dell’immobile acquistato ad essere destinato, con i dovuti interventi edilizi, all’uso abitativo”.

 

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decreto ingiuntivo

Decreto ingiuntivo: guida e modello Cos'è il decreto ingiuntivo, quali sono i presupposti per richiederlo, normativa di riferimento e giurisprudenza

Cos’è il decreto ingiuntivo

Il decreto ingiuntivo è uno strumento previsto dagli articoli 633 e seguenti del Codice di Procedura Civile (c.p.c), che consente di ottenere rapidamente un titolo esecutivo per il recupero di un credito certo, liquido ed esigibile. Si tratta di una procedura semplificata che non richiede una fase iniziale di contraddittorio tra le parti.

Esso consiste in un provvedimento emesso dal giudice su richiesta del creditore, finalizzato al pagamento di una somma di denaro, alla consegna di cose fungibili o alla restituzione di beni mobili determinati. Questa procedura è particolarmente utile per garantire al creditore una rapida tutela dei suoi diritti, riducendo i tempi rispetto a una causa ordinaria.

Presupposti della domanda

Ai sensi dell’articolo 633 c.p.c, i principali presupposti per ottenere un decreto ingiuntivo sono:

  • l’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, determinato nel suo ammontare e non sottoposto a condizioni;
  • la prova scritta del credito che viene soddisfatta dalla produzione di documenti che dimostrino l’esistenza del credito, come contratti, fatture o assegni;
  • l’assenza di contestazioni preventive, il debitore non deve cioè aver sollevato valide obiezioni prima della richiesta.

La disciplina del codice di procedura civile

Gli articoli 633-656 c.p.c regolano dettagliatamente il procedimento per la sua emanazione. Gli articoli di maggior rilievo disciplinare sono i seguenti:

Art. 633 c.p.c: individua le condizioni per proporre la domanda, precisando che il credito deve essere documentato in forma scritta;

Art. 634 c.p.c: elenca i documenti idonei a comprovare il credito, come scritture private riconosciute o non contestate e altri documenti dotati di forza probatoria;

Art. 642 c.p.c: permette di richiedere l’esecuzione provvisoria del decreto, garantendo al creditore un’azione immediata;

Art. 645 c.p.c: regola l’opposizione al decreto ingiuntivo, offrendo al debitore la possibilità di contestare il provvedimento entro 40 giorni dalla notifica.

Quando si può richiedere?

Il decreto ingiuntivo può essere richiesto in diversi ambiti:

  • rapporti contrattuali per il pagamento di fatture commerciali o altre obbligazioni derivanti da un contratto;
  • contratti di locazione per il recupero di canoni di affitto non pagati;
  • titoli di credito come assegni e cambiali protestate;
  • rapporti professionali per il recupero di parcelle non saldate. 

Chi emette il decreto ingiuntivo

Il decreto ingiuntivo è emesso dal giudice competente per materia e valore. Solitamente si tratta del giudice di pace per importi fino a 10.000 euro, o del tribunale ordinario per importi superiori. La competenza territoriale è determinata dal luogo in cui il debitore ha domicilio o residenza.

Giurisprudenza in materia di decreto ingiuntivo

Numerose pronunce giurisprudenziali hanno chiarito importanti aspetti della procedura:

Cassazione n. 26727/2024: le Sezioni Unite hanno stabilito che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto può proporre domande alternative a quella monitoria, purché basate sul medesimo interesse. Tali domande vanno proposte nella comparsa di risposta, non oltre.

Cassazione n. 7536/2024: la fattura emessa dall’appaltatore, se è utilizzabile come prova scritta ai fini della concessione del decreto ingiuntivo, non costituisce idonea prova dell’ammontare del credito nell’ordinario giudizio di cognizione che si apre con l’opposizione, trattandosi di documento di natura fiscale proveniente dalla stessa parte.”

Cassazione n. 30733/2024: Se il giudice, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, si dichiara incompetente, la sua ordinanza comporta automaticamente la revoca del decreto stesso, anche se in modo implicito. Di conseguenza, non si tratta di una semplice declinatoria della competenza sulla causa di opposizione, ma di una decisione che chiude definitivamente tale fase del giudizio. Pertanto, l’eventuale riassunzione della causa dinanzi al giudice competente riguarda solo l’accertamento del credito oggetto del ricorso monitorio e non più l’opposizione al decreto ingiuntivo. Per questo motivo, il nuovo giudice non può richiedere d’ufficio il regolamento di competenza.

Modello di decreto ingiuntivo

Ecco un esempio pratico di decreto ingiuntivo:

Tribunale di [Luogo]
Decreto Ingiuntivo
N. [numero] del [anno]

Il Giudice,

  • Visti gli articoli 633 e seguenti del Codice di Procedura Civile;
  • Esaminata la documentazione prodotta dal ricorrente;

Dispone:

  1. Che il sig. [Nome e Cognome del debitore], residente in [Indirizzo], paghi al sig. [Nome e Cognome del creditore] la somma di [importo in euro], oltre interessi legali e spese di procedura.
  2. La notifica del presente decreto al debitore entro [termine per la notifica].
  3. La possibilità di proporre opposizione entro 40 giorni dalla notifica, ai sensi dell’articolo 645 CPC.

Firmato:
Il Giudice [Nome e Cognome]

 

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atto amministrativo

Atto amministrativo valido anche senza firma Atto amministrativo: l'assenza di formale sottoscrizione non elide la possibilità di attribuire comunque la provenienza dell'atto alla competente PA

Atto amministrativo senza firma

E’ valido l’atto amministrativo senza firma se il responsabile è comunque individuabile. Questo quanto si ricava dalla sentenza n. 8141/2024 del Consiglio di Stato.

La vicenda

A ricorrere a palazzo Spada, è una donna che aveva chiesto l’assegnazione in regolarizzazione di un alloggio ERP abusivamente occupato.

La domanda veniva rigettata, dal Comune di Barletta, per assenza del “presupposto temporale” ossia l’abusiva occupazione dell’immobile per almeno un triennio precedente alla entrata in vigore della legge regionale n. 10 del 2014.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al TAR Bari il quale rigettava il ricorso della richiedente per le seguenti ragioni: pur in assenza di firma autografa, il provvedimento di rigetto risulta comunque attribuibile alla competente PA; non è stata fornita la benché minima dimostrazione circa l’abusiva occupazione dell’alloggio nel triennio precedente all’entrata in vigore della legge regionale citata.

L’appello

Da qui l’appello, dove la donna si doleva dell’erroneità della sentenza nella parte in cui non sarebbe stato considerato che alcuna firma digitale sarebbe stata apposta sul gravato provvedimento. In ogni caso, anche a voler ritenere apposta la firma digitale, l’atto non era poi stato trasmesso in via telematica ma soltanto a mezzo del messo notificatore.

L’assenza di formale sottoscrizione

“L’assenza di formale sottoscrizione del provvedimento di rigetto non elide la possibilità di attribuire comunque, all’amministrazione comunale appellata, la effettiva provenienza del medesimo atto” afferma preliminarmente il Consiglio di Stato.

Al riguardo, prosegue il giudice amministrativo, la giurisprudenza sull’assenza di firma dei provvedimenti tributari o amministrativi in generale, è pacifica nell’affermare che “Sebbene la firma apposta in calce ad un provvedimento o ad un atto amministrativo costituisce lo strumento per la sua concreta attribuibilità, psichica e giuridica, all’agente amministrativo che risulta averlo formalmente adottato, è pur vero che la giurisprudenza ha recentemente (e condivisibilmente) osservato, anche in omaggio al più generale principio di correttezza e buona fede cui debbono essere improntati i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, che non solo la ‘non leggibilità’ della firma, ma anche la stessa autografia della sottoscrizione non possono costituire requisiti di validità dell’atto amministrativo, ove concorrano elementi testuali (indicazione dell’ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che ha adottato la determinazione, emergenti anche dal complesso dei documenti che lo accompagnano), che permettono di individuare la sua sicura provenienza (C.d.S., sez. IV, 7 luglio 200, n. 4356; sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4712)”.

La decisione

La giurisprudenza ha anche rilevato (Cass. sez. lav., 10 giugno 2009, n. 13375) che “l’atto amministrativo esiste come tale allorché i dati emergenti dal procedimento amministrativo consentano comunque di ritenerne la sicura provenienza dall’amministrazione e la sua attribuibilità a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive, salva la facoltà dell’interessato di chiedere al giudice l’accertamento dell’effettiva provenienza dell’atto stesso dal soggetto autorizzato a firmarlo” (Cons. Stato, sez. V, 2 gennaio 2024, n. 29; n. 3119/2012).

Pertanto, l’appello è infondato e va rigettato. Spese compensate.

rottamazione-quater

Rottamazione-quater: i vantaggi dell’addebito diretto L'Agenzia delle Entrate spiega come gestire le scadenze della rottamazione-quater con l'addebito diretto

Rottamazione quater 2025

La rottamazione-quater delle cartelle esattoriali prosegue anche nel 2025, con le nuove rate previste a partire da fine febbraio. L’Agenzia delle Entrate, tramite la propria rivista online FiscoOggi spiega come gestire meglio le scadenze con l’addebito diretto sul conto corrente, al fine di “evitare dimenticanze e restare sempre in regola con i pagamenti”.

Cos’è la Rottamazione-quater e chi può beneficiarne

La Definizione agevolata, si ricorda, riguarda i carichi affidati all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022. Introdotta dalla legge di bilancio 2023 (legge n. 197/2022), consente ai contribuenti di pagare solo:

  • l’importo dovuto a titolo di capitale;
  • le spese per eventuali procedure esecutive e i diritti di notifica.

Non sono invece dovuti:

  • sanzioni e interessi di mora;
  • somme aggiuntive come l’aggio.

Perché scegliere la domiciliazione bancaria

Attivando la domiciliazione bancaria, spiegano le Entrate, i pagamenti vengono effettuati automaticamente alle scadenze previste, riducendo il rischio di perdere i benefici della Definizione agevolata.

Il mancato pagamento di una rata, anche se solo parziale o tardivo, comporta invero la decadenza dai vantaggi previsti dalla definizione agevolata, tra cui la cancellazione di sanzioni e interessi.

Come attivare l’addebito diretto

L’attivazione della domiciliazione bancaria, spiega ancora il fisco, può essere effettuata online tramite il sito ufficiale dell’Agenzia delle entrate-Riscossione.

È possibile accedere al servizio con le credenziali SPID, CIE (Carta d’identità elettronica), CNS (Carta nazionale dei servizi) o, per gli intermediari fiscali, con le credenziali dell’Agenzia delle entrate.

Una volta effettuato l’accesso, occorre collegarsi alla sezione “Definizione agevolata” e selezionare il servizio “Attiva/revoca mandato SDD piani di Definizione agevolata”. Quindi, visualizzare il riepilogo dei propri piani di pagamento e compilare la richiesta di addebito diretto per il piano desiderato.

Dati richiesti per la domiciliazione bancaria

Al fine di completare la richiesta, sarà necessario inserire:

  • Dati anagrafici del contribuente.
  • Indirizzo e-mail per ricevere la conferma dell’attivazione.
  • IBAN del conto corrente su cui verranno addebitate le rate.

Il contribuente deve dichiarare, inoltre, di essere il titolare del conto corrente o di essere autorizzato a operare su di esso. In caso di conto corrente intestato a un’altra persona, è necessario fornire i dati del titolare e allegare una Dichiarazione di consenso all’addebito, firmata dal titolare stesso, insieme a una copia del suo documento di riconoscimento.

Tempistiche dell’attivazione

Effettuato l’invio della richiesta, il sistema invierà una e-mail di presa in carico della domanda e, successivamente, con altra mail, confermerà l’attivazione del servizio e indicherà la prima rata che verrà addebitata sul conto.

Per garantire che la domiciliazione sia valida per la rata più imminente, la conferma dell’attivazione deve essere ricevuta almeno 10 giorni lavorativi prima della scadenza.

Calendario delle rate per la Rottamazione-quater

I contribuenti che hanno aderito alla Rottamazione-quater hanno potuto dilazionare il pagamento fino a 18 rate in 5 anni.

Nel 2025 sono previste le seguenti scadenze:

  • 28 febbraio 2025
  • 31 maggio 2025
  • 31 luglio 2025
  • 30 novembre 2025
dichiarazione di successione

Dichiarazione di successione 2025: nuovo modello L'Agenzia delle Entrate ha approvato il nuovo modello per la presentazione della dichiarazione di successione 2025 utilizzabile per le successioni aperte a partire dal 1° gennaio

Dichiarazione di successione: nuovo modello

L’Agenzia delle Entrate, con il provvedimento del 13 febbraio 2025, ha annunciato l’approvazione del nuovo modello per la presentazione della dichiarazione di successione e delle relative istruzioni per la compilazione e specifiche tecniche. Le modifiche recepiscono le ultime disposizioni normative, introdotte dal D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139, in vigore dal 1° gennaio 2025, che aggiornano la disciplina dell’imposta di successione.

Principali novità del modello

L’adeguamento del modello introduce importanti aggiornamenti, tra cui:

Autoliquidazione imposta di successione

È stata inserita una nuova sezione dedicata alla dichiarazione dell’imposta autoliquidata, in attuazione del D.Lgs. n. 139/2024 concernente la riforma fiscale delle imposte indirette diverse dall’iva. Per consentire l’indicazione dell’imposta, così autoliquidata, e la gestione delle relative modalità di pagamento come previsto dalle nuove disposizioni, nel quadro della dichiarazione di successione riservato alla liquidazione delle somme dovute è stata inserita una specifica sezione nel quadro EF.

Tassazione dei Trust

Il nuovo modello recepisce anche aggiornamenti normativi in materia di tassazione dei trust istituiti per testamento. In merito, è stato previsto il pagamento delle imposte ipo-catastali in misura fissa, nonché l’opzione per il pagamento dell’imposta di successione, autoliquidata, in occasione della presentazione della dichiarazione, in luogo del momento in cui avviene il trasferimento dei beni e diritti ai beneficiari finali.

Servizi ipocatastali, sistema sanzionatorio, volture

Vengono, inoltre, attuate le disposizioni sulle nuove modalità di tassazione dei tributi speciali relativamente ai servizi ipotecari e catastali e alla richiesta di “Attestazione di avvenuta presentazione della dichiarazione”.

Con riguardo al sistema sanzionatorio tributario, infine, sono state recepite le disposizioni introdotte dal decreto legislativo 14 giugno 2024, n. 87, relativamente al tardivo pagamento dell’imposta di successione, delle imposte ipocatastali e degli altri tributi autoliquidati.

Infine, nel modello dichiarativo è stato riorganizzato il quadro EI, contenente le dichiarazioni sostitutive di atto notorio necessarie per le volture catastali nei casi di “passaggi senza atti legali” e di “discordanza dati intestatario” degli immobili.

Quando e come utilizzare il nuovo modello

Il nuovo modello di dichiarazione di successione è obbligatorio per le successioni aperte dal 1° gennaio 2025. 
Le istruzioni aggiornate e le nuove specifiche tecniche sono disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate.

licenziato chi usa

Licenziato chi usa l’auto aziendale per fini privati La Cassazione ha chiarito che può essere legittimamente licenziato chi utilizza l'auto aziendale per scopi privati durante l'orario lavorativo

Uso privato dell’auto aziendale

La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3607/2025, ha chiarito che il prestatore di lavoro può essere legittimamente licenziato chi usa l’auto aziendale per scopi privati durante l’orario lavorativo.

La vicenda

I fatti hanno per protagonista un dipendente – di una società consortile operante nel trattamento delle acque reflue civili e industriali) che per fini extra-lavorativi in orario di lavoro, in più episodi utilizzava il mezzo aziendale, riducendo così in modo fraudolento il tempo della prestazione lavorativa e creando una “situazione di apparenza lavorativa”.

Veniva aperto procedimento disciplinare a seguito del quale all’uomo veniva irrogato licenziamento.

Il ricorso in Cassazione

Da qui l’impugnativa che veniva rigettata sia in primo che in secondo grado e il ricorso in Cassazione, innanzi alla quale il lavoratore lamenta diverse doglianze, tra cui l’illegittimità dell’attività investigativa svolta dall’azienda, per avere incaricato un’agenzia privata per controllare le mansioni svolte dallo stesso all’esterno dell’impianto contra legem (artt. 2, 3, 4 legge n. 300/1970). Sostiene, inoltre, che dal controllo investigativo non è emersa alcuna fattispecie penalmente rilevante e non sono state individuate condotte riconducibili a
responsabilità aquiliana. Infine, violazione della privacy e omesso esame di fatti decisivi, per mancata considerazione della genericità e faziosità della relazione investigativa, svolta da agenzia privata retribuita dal datore di lavoro.

La relazione investigativa

Sul fronte dei controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, la Corte ritiene che la sentenza impugnata sia conforme alla costante giurisprudenza di legittimità (richiamata espressamente in motivazione), secondo cui tali controlli “sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 St. lav. (v. Cass. n. 6174/2019, П. 4670/2019, п. 15094/2018, п. 8373/2018); cfr. anche Cass. n. 6468/2024, n. 10636/2017).
Nella fattispecie di causa il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa, bensì la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro, nonostante la timbratura del badge.

No alla violazione della privacy

Neppure sussiste, proseguono dal Palazzaccio, la lamentata violazione della privacy del dipendente, seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause dell’allontanamento. “L’attività fraudolenta è stata ravvisata nella falsa attestazione della presenza in servizio e nell’utilizzo personale del mezzo aziendale, nonostante il lavoratore fosse autorizzato a usare detto mezzo solo per motivi attinenti all’attività lavorativa; ciò prescinde dall’integrazione di una fattispecie di reato o dalla quantificazione del danno, comunque riscontrabile nell’utilizzo improprio della vettura e
dell’orario lavorativo retribuito”.

Dichiarate inammissibili anche le altre doglianze, il ricorso è, pertanto, rigettato e il licenziamento confermato.

 

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consulente red

Consulente RED: il nuovo servizio INPS per i pensionati Consulente RED è il nuovo servizio messo a disposizione online dall'INPS: un assistente virtuale che supporta nella consultazione dei dati

Consulente RED: online il nuovo servizio

Consulente RED è il nuovo servizio INPS dedicato ai pensionati. Online da qualche giorno, consente di consultare i dati reddituali rilevanti utilizzati dall’istituto per la determinazione del diritto e della misura delle prestazioni collegate al reddito erogate provvisoriamente in via anticipata, a partire dai redditi relativi all’anno di imposta 2022.

Come funziona il servizio

Con il messaggio n. 525 dell’11 febbraio 2025, l’INPS ha descritto le caratteristiche del servizio, realizzato nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che mette a disposizione un assistente virtuale in grado di supportare l’utente nella consultazione dei dati.

Come accedere al servizio

È possibile accedere al servizio tramite la pagina Consulente RED o l’area personale MyINPS. In alternativa, i pensionati possono ricevere assistenza dai patronati, che devono essere prima autorizzati tramite un mandato firmato digitalmente.

 

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esame avvocato 2024

Esame avvocato 2024: indicazioni e valutazioni prova orale Il ministero della Giustizia ha emanato verbale contenente l’individuazione e la condivisione dei criteri di valutazione relativi alla prova orale

Esame avvocato 2024

Con il verbale n. 3/2025, il Ministero della Giustizia ha emanato i criteri di svolgimento e di valutazione della prova orale per l’esame avvocato 2024.

Come si svolge la prova orale

La prova orale, rammenta innanzitutto via Arenula, è divisa in tre fasi ma va valutata nella sua unicità e deve svolgersi in unico contesto:

  • Prima fase: esame e discussione di una questione pratico-applicativa, nella forma della soluzione di un caso, che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale, in materia scelta preventivamente dal candidato tra le seguenti: diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo;
  • Seconda fase: discussione di brevi questioni che dimostrino le capacità argomentative e di analisi giuridica del candidato relative a tre materie, di cui una di diritto processuale, scelte preventivamente dal candidato tra le seguenti: diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo, diritto processuale civile, diritto processuale penale;
  • Terza fase: dimostrazione di conoscenza dell’ordinamento forense e dei diritti e doveri dell’avvocato.

La valutazione della prova orale

Quanto alla valutazione della prova orale, il verbale conferma i criteri normativamente previsti:

a) chiarezza, logicità e rigore metodologico dell’esposizione;

b) dimostrazione della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici;

c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati;

d) dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà;

e) dimostrazione della padronanza delle tecniche di persuasione e argomentazione.

A tali criteri può aggiungersi la capacità di sintesi dimostrata dal candidato.

Durata e punteggio complessivo

“Fermo il disposto dell’art. 9 del bando, che attribuisce alla sottocommissione il compito di determinare la durata complessiva della prova orale, può ritenersi ragionevole ed equo prevedere, oltre al termine di 30 minuti (dal momento della fine della dettatura del quesito) per l’esame preliminare del quesito della prima fase dell’orale, la previsione di un ulteriore termine per la esposizione di 60-70 minuti totali per tutte e tre le fasi”.

Complessivamente, dunque, la durata dovrebbe attestarsi “in non più di 90-100 minuti complessivi dalla fine della dettatura del quesito relativo alla prima fase”.

Il giudizio che contiene la dichiarazione di idoneità o di inidoneità alla professione di avvocato sarà espresso dopo l’ultima fase dell’orale.

Ai fini dell’abilitazione è necessario conseguire nelle prove orali il punteggio complessivo di 105. Non è possibile la compensazione con voti al di sotto del 18 in ciascuna materia orale.

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legittimo il "raffreddamento"

Legittimo il “raffreddamento” della rivalutazione delle pensioni Per la Corte Costituzionale è legittimo il "raffreddamento" della rivalutazione automatica delle pensioni introdotto dalla legge di bilancio per il 2023

Rivalutazione automatica pensioni e raffreddamento

Legittimo il “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni introdotto dalla legge di bilancio per il 2023. La legge, infatti, nell’introdurre misure di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS, non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici. E’ quanto ha deciso la Corte costituzionale, con la sentenza n. 19/2025, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti.

Legittimo il “raffreddamento”

Secondo la Corte, il meccanismo legislativo non è irragionevole perché salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità e, per un periodo limitato, riduce progressivamente la percentuale di indicizzazione di tutte le altre al crescere degli importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più elevate rispetto agli effetti dell’inflazione.

“Le scelte del legislatore – afferma il giudice delle leggi – risultano coerenti con le finalità di politica economica, chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti. Delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione dei medesimi trattamenti”.

deprezzamento immobile

Deprezzamento immobile: indennizzo per casa vicino autostrada La Cassazione dà ragione ad una coppia che aveva fatto causa per ottenere l'indennizzo per il deprezzamento immobile causato dal rumore del traffico autostradale

Indennizzo per deprezzamento immobile

Il deprezzamento di un immobile causato dalle immissioni di rumore derivanti dal traffico autostradale può essere oggetto di risarcimento anche in assenza di esproprio del terreno o dell’edificio. La Cassazione, con l’ordinanza n. 631/2025, ha confermato il diritto di una coppia savonese a ricevere un indennizzo per la riduzione del valore del bene, commisurato all’indennità di esproprio, basandosi sulla normativa civilistica sulle immissioni.

Il caso in esame

Nella vicenda, sia in primo che in secondo grado, venivano accolte le doglianze della coppia tese ad ottenere un indennizzo per il deprezzamento dell’immobile a causa della vicinanza all’autostrada. Ritenendo intollerabili le immissioni di rumore che interessavano la proprietà degli appellanti ed atteso che le misure di mitigazione richieste, oltre a comportare enormi problemi tecnici di attuazione, non sarebbero risolutive, la Corte territoriale accoglieva parzialmente l’appello e condannava la società autostradale a risarcire il danno da deprezzamento dell’immobile quantificato per equivalente ai sensi dell’art. 2058, comma 2, c.c. in Euro 951.252,03, oltre alle spese di primo e secondo grado di giudizio.

La società adiva il Palazzaccio, assumendo che la normativa corretta da applicare fosse quella pubblicistica, sui limiti di accettabilità del rumore individuati dal D.P.R. 142/2004, richiamati e fatti propri dall’art. 6 ter della legge 27 febbraio 2009 n. 13 di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008 n. 208.

Immissioni acustiche

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ribadendo il proprio orientamento consolidato. Invero, “in tema di immissioni acustiche (nella specie, come nel caso in esame, provenienti da circolazione stradale), viene in rilievo l’art. 844 c.c., che detta una regola concepita per risolvere i conflitti di interesse tra usi diversi di unità immobiliari contigue qualora le immissioni superino la normale tollerabilità e che, solo in caso di svolgimento di attività produttive, consente l’elevazione della soglia di tollerabilità, sempre che non venga in gioco il diritto fondamentale alla salute, da considerarsi valore comunque prevalente rispetto a qualsiasi esigenza della produzione, in quanto funzionale al diritto ad una normale qualità della vita (Cass. Sez. 1, 12/07/2016 n. 14180; in senso conforme, Cass Sez. 2, n. 35856 del 2017)”.

Più volte la Cassazione si occupata della materia delle immissioni sonore provocate dal traffico veicolare o comunque da attività connesse ai trasporti o alla produzione ed è sempre pervenuta alla conclusione che “in tema di immissioni acustiche, la differenziazione tra tutela civilistica e tutela amministrativa mantiene la sua attualità, diversità di tutele a cui non può aprioristicamente attribuirsi una portata derogatoria e limitativa dell’art. 844 c.c., con l’effetto di escludere l’accertamento in concreto del superamento del limite della normale tollerabilità, dovendo comunque ritenersi prevalente, alla luce di interpretazione costituzionalmente orientata, il soddisfacimento una dell’interesse ad una normale qualità della vita rispetto alle esigenze della produzione (cfr. tra tante, Cass. Sez. 3, 7/10/2016 n. 20198; Cass. Sez. 3, 16/10/2015 n. 20927)”.

La decisione

La Corte d’appello di Genova, per piazza Cavour, si è attenuta puntualmente ai principi di diritto sopra enunciati, avendo ritenuto non dirimente l’osservanza delle normative tecniche speciali, avendo accertato, nella specie, il superamento dei parametri secondo il criterio del c.d. “differenziale comparativo”, di cui alla disciplina “generale” dettata dall’art. 4, comma 1, del DPCM 14 novembre 1997 e concluso per l’intollerabilità delle immissioni che interessano la proprietà de qua.

In conclusione, il ricorso della società è rigettato.

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