luogo aperto al pubblico

Luogo aperto al pubblico: cosa si intende La Cassazione spiega quando un luogo è da ritenersi "aperto al pubblico" e quando invece di "privata dimora"

Luogo aperto al pubblico

Per luogo aperto al pubblico deve intendersi quello frequentabile da un’intera categoria di persone o da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità di accedervi. Così la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 24119-2024.

La vicenda

Nella vicenda, un imputato veniva assolto dal Gip di Pesaro per la contravvenzione di cui all’art. 4 legge n. 10/1975 per aver portato fuori dalla stanza dell’albergo una forchetta da cucina occultandola nella tasca dei propri pantaloni. Il fatto veniva ritenuto insussistente, non essendo l’imputato mai uscito dalla hall dell’hotel, ma il procuratore adiva la Cassazione eccependo violazione di legge.

Luogo di privata dimora

Deduceva in particolare che il giudice di merito avesse errato nel qualificare la sala di ricevimento dell’albergo come “luogo di privata dimora”, trattandosi, invece, di un luogo aperto al pubblico nel quale non si svolgono atti della vita privata. A supporto del motivo, richiamava la distinzione tra «privata dimora» e «luogo aperto al pubblico» operata dalla giurisprudenza di legittimità in punto di delitto di cui all’art. 624bis cod. pen. Per cui, a suo dire, l’imputato era nella disponibilità dell’oggetto mentre si trovava all’interno della hall, ossia locale adibito a ricevimento del pubblico nella struttura ricettiva e, dunque, luogo aperto al pubblico.

Luogo privata dimora e luogo aperto al pubblico

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale e conformemente a quanto ritenuto dal procuratore, la hall dell’albergo non è luogo di privata dimora ma luogo aperto al pubblico.
In tal senso, la Corte richiama l’orientamento secondo cui «ai fini della configurabilità del delitto di porto illegale di arma da fuoco, per “luogo aperto al pubblico” deve intendersi quello al quale chiunque può accedere a determinate condizioni, oppure quello frequentabile da un’intera categoria di persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi sul luogo esercita un potere di fatto o di diritto» (cfr. Cass. n. 22890/2013).

Con riguardo specifico alla nozione più generale di «luogo di privata dimora», ricorda inoltre la Corte, l’insegnamento del massimo organo nomofilattico afferma che «ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale» (cfr. SS.UU. n. 31345/2017).

Sono stati qualificati, ricorda ancora la S.C., come luoghi di privata dimora il locale adibito a spogliatoio di uno ‘stand’ fieristico, lo studio legale, il motopeschereccio dotato di cabine e bagni, mentre sono stati qualificati come luoghi aperti al pubblico: il circolo sportivo, la sala d’attesa di uno studio medico e proprio la hall di un albergo (cfr. Cass. n. 34454/2018), “luogo per definizione aperto al pubblico”.

Sentenza annullata con rinvio

Per cui dando continuità alla giurisprudenza consolidato, i giudici hanno ritenuto che il taglierino fosse stato portato dall’imputato in luogo aperto al pubblico e, dunque, il ricorso del procuratore va accolto e la sentenza di assoluzione annullata.

La parola passa al giudice del rinvio.

Allegati

danni terrazzo livello spese

Danni al terrazzo condominiale: ripartizione ex art. 1126 c.c. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere precisa che i danni e le manutenzioni al terrazzo a livello di condominio si ripartiscono con l'art. 1126 c.c.

Danni al terrazzo condominiale

La terrazza a livello è paragonabile da un punto di vista giuridico, ad un lastrico solare, ed è quindi soggetta, in tema di ripartizione delle spese per la sua manutenzione, alle disposizioni di cui all’art. 1126 c.c. E’ quanto ha precisato il tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la sentenza n. 1400-2024.

La vicenda

La vicenda ha per protagonista un condomino, proprietario di locali commerciali siti al pianterreno, che trascinava in giudizio i proprietari del terrazzo a livello sovrastante per sentirli condannare al suo rifacimento e al risarcimento dei danni arrecati ai locali di sua proprietà a causa delle infiltrazioni provenienti proprio dal terrazzo.

I convenuti si costituivano, eccependo l’improcedibilità della domanda per difetto di mediazione e contestandone la fondatezza nel merito. Inoltre, chiedevano di essere autorizzati a chiamare in garanzia la società assicurativa con cui avevano stipulato apposita polizza, ed agivano con domanda riconvenzionale per l’accertamento del debito maturato dall’attore nei loro confronti, per non aver mai contribuito alle spese di manutenzione della terrazza.

La causa, istruita attraverso l’espletamento di Ctu, celebrata in modalità cartolare, veniva trattenuta in decisione.

Mediazione non obbligatoria

In via preliminare, il tribunale disattende l’eccezione all’improcedibilità sollevata da parte convenuta e dalla terza chiamata, per mancato esperimento della mediazione, ossia perché la causa verte in materia accertativa e risarcitoria e dunque la mediazione non è obbligatoria “quando la domanda, come nel caso in esame, è riconducibile al risarcimento da fatto illecito ai sensi dell’art. 2051 c.c.”.

Ripartizione spese terrazza a livello

Nel merito, il giudice premette innanzitutto che la fattispecie in esame rientra nel c.d. condominio minimo. Per cui, “in riferimento alla qualifica della terrazza di proprietà esclusiva dei convenuti, va osservato che la stessa è paragonabile, da un punto di vista giuridico, ad un lastrico solare, trattandosi di una terrazza a livello e quindi soggetta, in tema di ripartizione delle spese per la sua manutenzione, a quanto disposto dall’art. 1126 c.c.”.

Per definizione, prosegue il giudicante, “la terrazza a livello è quella parte dell’edificio di cui gode esclusivamente un condomino, in quanto la struttura è accessibile solo dalla sua unità immobiliare, e che contemporaneamente funge anche da copertura a una o più unità immobiliari. Di norma, la terrazza si presenta come un ripiano scoperto, costruito per lo più a copertura dell’edificio stesso e recintato da un parapetto, così da consentire l’affaccio”, La terrazza a livello, “quindi, ha una doppia anima: da un lato, rappresenta un’estensione della singola proprietà privata e, dall’altro, funge da copertura per i piani sottostanti dell’edificio. Per queste sue caratteristiche, la terrazza a livello non deve necessariamente trovarsi sulla sommità dell’intero edificio, potendo sovrastare anche solo una parte del fabbricato. Poiché la terrazza a livello, anche quando è di proprietà esclusiva, conserva un’essenziale funzione di copertura dell’edificio, la manutenzione della stessa, in tema di ripartizione delle spese, è soggetta alla disciplina di cui all’art. 1126 c.c.: tanto nel caso di manutenzione e conservazione che in quello di risarcimento dei danni da infiltrazioni, le spese della terrazza a livello (o lastrico solare) che è causa del danno andranno così divise: 1/3 il proprietario o usuario esclusivo; 2/3 i restanti condòmini, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno”. Ciò in conformità anche a quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dallo stesso giudicante (cfr. Cass. n. 35316/2021; n. 20287/2017).

La decisione

Nel caso di specie, la consulenza in atti, ha confermato sia l’esistenza dei danni lamentati dall’attore alle unità immobiliari di sua proprietà sia la loro riconducibilità alla terrazza de qua. Inoltre, ha confermato che i vizi denunciati dal ricorrente risultavano definitivamente accertati e provocati, tra l’altro, dalla “scarsa e/o non adeguata manutenzione del lastrico solare”, da “errori costruttivi” mentre “non sono imputabili ad un cattivo utilizzo” da parte dei convenuti, ovvero che “le infiltrazioni non sono attribuibili ad interventi specifici realizzati dai proprietari che avrebbero potuto recare danno all’integrità della struttura”, il che esclude, a dire del giudice, “la possibilità di applicare la deroga al principio di ripartizione delle spese ex art. 1126 c.c.”. Per cui, afferma il tribunale, “pur ritenendo provati i danni lamentati dall’attore e la loro riconducibilità alla terrazza, tuttavia non potrà riconoscersi la responsabilità esclusiva dei proprietari della stessa, dovendo applicarsi il criterio di riparto ex art. 1126 c.c. delle spese relative ai lavori da eseguirsi all’interno dei locali”, solo 1/3 potrà addebitarsi ai convenuti, così come per i lavori da eseguire sul terrazzo.

Da qui l’accoglimento parziale della domanda e la compensazione delle spese di lite.

riforma premierato senato

Premierato: primo sì alla riforma Il Senato ha approvato la riforma del premierato per l'elezione diretta del presidente del Consiglio. Serviranno altri 3 passaggi in Parlamento per l'approvazione definitiva della riforma costituzionale

Riforma Premierato, sì del Senato

Primo via libera dal Senato alla riforma Meloni per l’elezione diretta del presidente del Consiglio: il ddl “premierato“, infatti, ha ricevuto il sì di palazzo Madama, in prima lettura, con 109 voti a favore, 77 contrari e un’astensione. Compatta la protesta delle opposizioni che scendono in piazza e promettono battaglia anche nei successivi passaggi parlamentari.

Iter del ddl

Il ddl di riforma, trattandosi di riforma costituzionale, necessita ora di altre passaggi parlamentari per l’approvazione definitiva.

Il provvedimento passa, intanto, all’esame della Camera.

I punti chiave della riforma del premierato

Tra i punti chiave della riforma, il rafforzamento della stabilità del governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita, ma soprattutto l’elezione diretta del premier, a suffragio universale e per cinque anni, per non più di due legislature consecutive (elevabili a tre laddove nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi).

Per approfondimenti vai allo speciale sul Premierato

guida senza patente

Guida senza patente: due volte in un biennio è reato La Cassazione rammenta che il reato di guida senza patente, nell'ipotesi aggravata dalla recidiva nel biennio, non è stato depenalizzato

Guida senza patente

La guida senza patente per due volte in un biennio costituisce reato a tutti gli effetti in quanto condotta non penalizzata. Lo ha confermato la sesta sezione penale della Cassazione con sentenza n. 23043-2024.

Nella vicenda, la Corte d’appello di Milano disponeva consegna all’autorità giudiziaria di Romania, di uno straniero destinatario di un mandato di arresto europeo per il reato di guida senza patente, già condannato per lo stesso reato alla pena di otto mesi di reclusione.

L’uomo adiva il Palazzaccio lamentando violazione di legge quanto al principio della doppia incriminazione. Il tema attiene ala necessità per l’ordinamento interno, ai fini della rilevanza penale della condotta di guida senza patente, che sussista la recidiva nel biennio precedente alla data di commissione del reato per cui si procede. Assume, inoltre, che la Corte di appello avrebbe dovuto dare esecuzione non solo alla sentenza del 2022 ma anche a quella del 2019 in quanto quest’ultima sarebbe il presupposto necessario affinché si configuri li reato per li quale è stata disposta la consegna.

Doppia punibilità

Per gli Ermellini il ricorso è inammissibile.

In più occasioni la giurisprudenza ha chiarito, premettono infatti, che “per la sussistenza del requisito della doppia punibilità di cui all’art. 7 della legge n. 69 del 2005, è necessario che l’ordinamento italiano contempli come reato, al momento della decisione sulla domanda dello Stato di emissione, il fatto per il quale la consegna è richiesta (cfr. Cass. n. 5749/2016).

Depenalizzazione reato guida senza patente

Inoltre, aggiungono i giudici, “la depenalizzazione dei reati puniti con la sola pena pecuniaria, prevista dall’art. 1, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, non si estende alle ipotesi aggravate punite con la pena detentiva, le quali, a seguito della trasformazione in illecito amministrativo delle fattispecie base, si configurano quali autonome figure di reato”.

Ne discende che “solo la fattispecie di guida senza patente, nell’ipotesi aggravata dalla recidiva nel biennio, non è stata depenalizzata dall’art. 1 d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 e si configura, pertanto, come fattispecie autonoma di reato di cui la recidiva integra un elemento costitutivo”.
Per l’integrazione della recidiva nel biennio, “idonea, ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 5 gennaio 2016, .n 8, ad escludere il reato dall’area della depenalizzazione – precisa altresì la S.C. – non è sufficiente che sia intervenuta la mera contestazione dell’illecito depenalizzato, ma è necessario che questo sia stato definitivamente accertato”.

La condanna

Nel caso di specie, la Corte di appello dunque ritengono da piazza Cavour “ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, avendo disposto la consegna, da una parte, limitatamente all’unico fatto che, per l’ordinamento interno, costituisce reato e per il quale, quindi, sussiste il requisito della doppia punibilità di cui all’art. 7 della legge n. 69 del 2005, e, dall’altra, in relazione alla sola pena di un anno di reclusione inflitta dal Tribunale romeno in ordine al fatto in questione.
Dichiarati inammissibili anche gli altri motivi, la S.C. condanna il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali e a 3mila euro in favore della Cassa delle ammende.

Allegati

permesso necessità

Permesso di necessità: quando può essere concesso La Cassazione detta chiarimenti sulle condizioni necessarie per concedere il permesso di necessità ex art. 30 dell'ordinamento penitenziario

Permesso di necessità: il caso

No al permesso di necessità, se le condizioni di salute della madre dell’imputato non siano gravissime. Lo ha affermato la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 22619-2024, cogliendo l’occasione per spiegare i presupposti necessari per ottenere il beneficio ex art. 30 dell’ordinamento penitenziario.

Nella specie, l’imputato aveva proposto ricorso innanzi al Palazzaccio avverso l’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Torino che aveva respinto l’istanza di permesso di necessità per fare visita alla madre in quanto gravemente ammalata.

Per il tribunale, la madre dell’uomo non si trovava in pericolo di vita considerata la cronicità delle patologie che la affliggevano per cui non sussistevano le condizioni previste dal secondo comma dell’art. 30 ord. pen.
L’imputato, invece, deduceva che detto permesso poteva essere concesso, oltre che nell’ipotesi di pericolo di vita di un familiare o convivente, anche per eventi di particolare gravità ed osservava che la genitrice versava in gravi condizioni che le impedivano di muoversi dal letto.

Quando può essere concesso il permesso di necessità

Per gli Ermellini, tuttavia, il ricorso è infondato e va respinto. Infatti, ricordano preliminarmente, “ai fini della concessione del permesso di necessità, la patologia cronica a sviluppo progressivo da cui è affetto il familiare
non costituisce ‘evento di particolare gravità’ che legittima la concessione del beneficio in quanto tale condizione, connotata da protrazione indefinita nel tempo, è inconciliabile con il carattere straordinario dell’istituto”.

I requisiti richiesti dalla norma per la concessione del permesso di necessità si individuano, tradizionalmente, rammentano quindi dalla S.C., in tre elementi: “il carattere eccezionale della concessione, la particolare gravità dell’evento giustificativo, la correlazione di questo con la vita familiare”.
In particolare, per accedere a tale tipo di permesso occorre che “sussistano particolarissime ragioni di eccezionale rilevanza, quale un evento drammatico o di rara frequenza, legato comunque alla sfera familiare e connesso ad un fatto storico precisato e ben determinato: la normativa prevede un evento e cioè un fatto singolo e non anche una situazione cronica che si prolunga nel tempo, poiché la disciplina normativa del permesso di necessità non può piegarsi ad ogni situazione di tipo familiare, altrimenti si finirebbe per connettere lo stesso a situazioni protratte a tempo indefinito, con la conseguenza di una serie irragionevole di permessi di necessità”.
Nella specie, correttamente, dunque, il tribunale di Sorveglianza ha escluso la sussistenza delle condizioni per
concedere il permesso.

Allegati

mediazione faq avvocatura

Mediazione: “la quiete dopo la tempesta” Il ministero della Giustizia annuncia l'incontro con l'avvocatura dopo la bufera sulle faq relative alla mediazione e pubblica le nuove

Mediazione, riunione ministero- avvocatura

“Al contrario di quanto rappresentato mediaticamente, in materia di mediazione già lo scorso giovedì è avvenuta in via Arenula una riunione tra i vertici del Gabinetto del Ministero della Giustizia, gli uffici tecnici competenti, il presidente dell’Ocf e delegati Cnf specializzati sul tema”. Così in una nota via Arenula, annunciando la pubblicazione di nuove faq relative alla mediazione.

Le faq incriminate

Tutto ciò dopo la “bufera” scatenata dopo la pubblicazione sul sito del ministero della giustizia di alcune faq sugli organismi di mediazione. Nella sostanza, alcune risposte relative al decreto 150/2023, dipingevano un quadro a tinte fosche, regole che, secondo gli avvocati, potevano anche portare ad una “sospensione delle attività” degli organismi di mediazione e paralizzare l’intero procedimento “in danno dei cittadini”.

A lanciare l’allarme è stato l’OCF, che in una nota parlava di “sconcerto” per la previsione che l’avvocato “il quale intenda divenire responsabile di un organismo debba dimostrare di possedere la qualifica di mediatore, nonostante il chiaro disposto dell’art 16, comma 4-bis, del D. Lgs. 28/2010 secondo il quale gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”. Ma non solo. Si lamentava “il rischio di una complessiva privatizzazione della mediazione”, derivante da un’altra Faq, per la quale non potrebbe essere nominato responsabile dell’organismo il presidente del Consiglio dell’Ordine o un consigliere, “in danno della parità di trattamento tra Organismi pubblici e privati e della libera scelta per i cittadini di rivolgersi agli uni o agli altri”.

Da qui la richiesta al ministero di una “immediata revoca delle faq” quanto meno relativamente alle parti “censurate” e l’apertura di un confronto con le rappresentanze dell’avvocatura.

Tutto è bene …

E via Arenula, “in spirito di collaborazione” si è dimostrata disponibile a chiarire i punti delle faq sulla mediazione “considerati problematici dall’Avvocatura”. Come “unanimemente concordato nella riunione – ha affermato dunque il ministero – saranno pubblicate nuove Faq, per specificare ulteriormente i punti controversi e venire incontro alle esigenze rappresentate”.

Le nuove faq

Nella stessa giornata del 3 giugno sono state modificate, quindi, le risposte, andando incontro alle richieste dei legali. Nello specifico, tra l’altro: cade l’incompatibilità tra l’incarico di responsabile dell’organismo e quella di consigliere dell’Ordine degli avvocati e viene eliminato il passaggio che stabiliva che laddove l’organismo di mediazione fosse costituito da una fondazione creata dal COA non potesse avere sede nei locali dati dal tribunale all’ordine stesso; è stato precisato inoltre che l’ente istituente e l’organismo di mediazione possono avere unico bilancio.

Rimane il nodo della scadenza per l’iscrizione nel registro fissata al 15 agosto prossimo. L’avvocatura ha chiesto la proroga ma pesano sul rinvio i vincoli del PNRR.

Le nuove faq sul sito del ministero

violenza sessuale interdizione

Violenza sessuale: interdizione obbligatoria La Cassazione ricorda che l'art. 609-nonies c.p. rende obbligatoria per i reati di violenza sessuale l'irrogazione delle pene accessorie, tra cui l'interdizione temporanea dai pubblici uffici e quella perpetua da incarichi nelle scuole o in strutture frequentate da minori

Violenza sessuale e pene accessorie

L’interdizione prevista dall’articolo 609-nonies c.p. è obbligatoria. Lo rammenta la terza sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 20585-2024 accogliendo il ricorso del procuratore avverso la decisione del GUP che, applicando la pena concordata in relazione al reato continuato ex art. 609-quater c.p. ascritto all’imputato, non prevedeva le pene accessorie “speciali” obbligatoriamente previste in caso di condanna o patteggiamento anche a una pena inferiore a due anni di carcere.

Interdizione obbligatoria per reati di violenza sessuale

Per gli Ermellini, invero, deve darsi seguito all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui «l’art. 609-nonies cod. pen. deroga ala regola generale di cui all’art. 445 cod. proc. pen., rendendo obbligatoria per i reati di violenza sessuale, anche ni caso di applicazione dela pena inferiore ai due anni, l’irrogazione delle pene accessorie ivi indicate» (cfr. Cass. n. 17189/2016).

Per cui, in linea con le conclusioni del procuratore generale, la sentenza di patteggiamento è annullata senza rinvio limitatamente all’omessa applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 609-nonies c.p., consistenti “nell’interdizione temporanea dai pubblici uffici e nell’interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori”.

Allegati

particolare tenuità fatto cassazione

Particolare tenuità del fatto per la prima volta in Cassazione La Suprema Corte chiarisce che dopo la riforma Cartabia la particolare tenuità del fatto può essere eccepita per la prima volta innanzi alla Cassazione

Particolare tenuità del fatto

La speciale causa di non punibilità, alla luce della modifiche della legge Cartabia, può essere eccepita per la prima volta davanti alla Corte di cassazione. Lo ha affermato la seconda sezione penale della Suprema Corte nella  sentenza n. 19132-2024 accogliendo il ricorso di un imputato.

Aggressione durante motoraduno: la vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Venezia riformava parzialmente la condanna per rapina aggravata e lesioni personali pronunciata dal tribunale di Verona, assolvendo l’imputato dal delitto di lesioni e riqualificando la rapina in ricettazione. Inizialmente, all’uomo era stato contestato di aver preso parte ad un’aggressione violenta durante un motoraduno, oltre alla sottrazione di un giubbotto appartenente ad una banda rivale. ricostruiti diversamente i fatti, la Corte territoriale aveva escluso la partecipazione diretta del ricorrente all’episodio, residuando dunque a suo carico la ricezione del giubbotto sottratto che poi lo stesso aveva restituito agli agenti di polizia giudiziaria.

Il ricorso

L’imputato ricorreva per Cassazione lamentando che, alla luce della diversa qualificazione del fatto storico, i giudici avrebbero potuto giungere ad una pronuncia più favorevole nei suoi confronti. Lamentava, inoltre, violazione di legge in relazione all’art. 131 bis c.p. “L’operata riqualificazione del fatto, senza alcun avviso alle parti, aveva limitato – infatti a suo dire – la possibilità di allegare circostanze ed elementi idonei a dimostrare
la sussistenza della speciale causa di non punibilità, non invocabile rispetto all’iniziale contestazione”.

Sì alla tenuità del fatto

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato. Sotto il profilo della configurabilità della speciale causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. rilevano, invero, dal Palazzaccio, la motivazione della sentenza impugnata “è del tutto laconica e non considera compiutamente tutti gli aspetti rilevanti ai sensi dell’art. 133 cod. pen., anche alla luce delle modifiche introdotte dal d. Igs. 150/2022”.

Sicché, afferma il Collegio, “trova applicazione il principio secondo il quale in tema di particolare tenuità del fatto, nel caso in cui la derubricazione del reato contestato sia stata operata dal giudice dell’appello in sentenza senza aver sollecitato il contraddittorio sul punto, la relativa garanzia difensiva implica che, se la fattispecie ritenuta d’ufficio preveda limiti edittali che rendano astrattamente applicabile l’art. 131 bis c.p. (come accaduto nella specie), l’imputato possa invocare per la prima volta davanti alla Corte di cassazione l’applicazione della speciale causa di non punibilità (cfr. Cass. n. 15011/2018)”.

Nelle more, segnalano, infine, da piazza Cavour, in ragione del tempo trascorso è intervenuta l’estinzione del reato per prescrizione, per cui la sentenza è annullata senza rinvio.

Allegati

ricorso copia incolla

Inammissibile il ricorso “copia incolla” Il Consiglio di Stato "boccia" la tecnica del copia incolla nella redazione del ricorso straordinario e ne dichiara l'inammissibilità

Ricorso copia incolla inammissibile

“E’ inammissibile – per violazione degli artt. 40, commi 1, lett. d), e 2, e 44, comma 1, lettera b), c.p.a. – il ricorso che, per la sua tecnica di redazione, come quella del copia incolla, non sia fondato su motivi specifici”. Lo ha affermato il Consiglio di Stato nel parere n. 592-2024, dichiarando inammissibile un ricorso straordinario al presidente della Repubblica redatto con la tecnica del copia incolla di provvedimenti amministrativi, alternati a spazi bianchi e argomentazioni confuse riprodotte con caratteri a tratti illeggibili.

Eccezione di inammissibilità

La vicenda ha ad oggetto un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto da un militare contro il ministero della difesa per l’annullamento della determinazione ministeriale di rigetto dell’istanza di transito all’impiego civile presso l’ente di appartenenza.

Il dicastero riferente chiedeva il parere del Cds sull’affare consultivo.

Nel corso del procedimento, il ministero trasmetteva il ricorso straordinario unitamente alla relazione con cui eccepiva l’assoluta genericità delle esposizioni in fatto e dei motivi, peraltro realizzata con la tecnica del “copia e incolla” di parte di provvedimenti amministrativi e con caratteri grafici a tratti illeggibili, tale da non consentire l’esatta individuazione della causa petendi e del petitum. 

Il ricorrente non replicava alla sollevata eccezione di inammissibilità e il CDS all’adunanza del 24 aprile 2024 decideva l’affare accogliendo la tesi ministeriale e ritenendo il ricorso inammissibile in quanto “le censure prospettate sono state articolate senza sviluppo critico, in termini di mera prospettazione, anche sotto il profilo puramente grafico, delle ragioni di illegittimità e delle norme asseritamente violate”.

I motivi specifici del ricorso

In particolare, richiamando un proprio recente parere (n. 221/2024), il giudice amministrativo ribadiva che “l’articolo 40 c.p.a., relativamente al ‘contenuto del ricorso’ introduttivo della lite dinanzi al giudice amministrativo (con disposizione che deve ritenersi senz’altro estesa anche al rimedio del ricorso straordinario, avuto riguardo alla sua attitudine di rimedio alternativo a quello giurisdizionale e con esso concorrente), impone che l’atto contenga, a pena di inammissibilità, i ‘motivi specifici’ su cui lo stesso si fonda (art. 40, comma 2, in relazione al comma 1, lettera d), per i quali è prescritta altresì – ad evitare, per ragioni di chiarezza, di univocità e di precisione, l’inclusione delle puntuali ragioni di doglianza in una parte dell’atto non dedicata alla individuazione delle ragioni giuridiche (c.d. motivi intrusi) – l’evidenziazione ‘distinta’ (art. 40, comma 1)”.  Invero, ricorda ancora il Cds, “i motivi di ricorso sono preordinati a rappresentare – in un sistema di diritto amministrativo fondato sul principio di legalità dell’azione amministrativa – le deviazioni o difformità del provvedimento impugnato rispetto al paradigma legale di riferimento, di tal che, insieme ai pertinenti elementi di fatto, strutturano la causa petendi del ricorso”. 

“Il canone di specificità e distinzione esclude – dunque – che il ricorso possa essere strutturato come generica critica del provvedimento impugnato, con conseguente traslazione sull’organo giurisdizionale dell’attività di ricerca e individuazione dei puntuali (o più puntuali) tratti e profili di illegittimità”.

D’altra parte, ricorda ancora il Consiglio, si tratta di una regola che “obbedisce anche ad una esigenza di effettività del contraddittorio processuale, posto che la vaghezza dell’apparato censorio potrebbe inibire una congrua ed appropriata difesa delle altre parti processuali. Inoltre, il requisito trae alimento dal principio della domanda, che regge complessivamente il sistema di diritto processuale amministrativo, e, con esso, del suo corollario del canone di corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato, il quale impone che la domanda di annullamento sia formulata in termini idonei ed adeguati ad una puntuale rappresentazione degli elementi, di fatto e di diritto, sui quali si ritengono fondati i prospettati vizi di legittimità (cfr. Cons. Stato, n. 3809/2017; sn. 475/2012)”.

Il parere del Consiglio di Stato

In definitiva, il ricorso è dichiarato inammissibile e ad ogni modo, nel merito, alla luce della documentazione in atti, l’appello, per il CdS risulta manifestamente infondato, essendo assodata la tardività della richiesta di transito nei ruoli civili.

Allegati

polizza sanitaria avvocati

Polizza sanitaria avvocati La polizza di tutela sanitaria è automatica e gratuita per tutti gli avvocati, praticanti e pensionati iscritti a Cassa Forense. Per il 2024, la copertura è stata prorogata fino al 30 settembre

Polizza tutela sanitaria: cos’è

Lapolizza-sanitaria collettiva base è una copertura automatica e gratuita per tutti gli avvocati, praticanti e pensionati iscritti a Cassa Forense in regola con le dichiarazioni reddituali.

La polizza può essere estesa, con onere a carico dell’iscritto (o del pensionato cancellato dall’albo o dei superstiti di avvocato), a tutti i familiari conviventi, con limite di età fissato a 80 anni, previo pagamento di un premio procapite per il semestre di copertura sulla base delle seguenti fasce di età:

• € 99,50 fino a 40 anni di età;
• € 174,13 da 41 anni di età a 60 anni di età;
• € 248,75 da 61 anni di età a 70 anni di età;
• € 298,50 da 71 anni di età a 80 anni di età.

Cosa copre la polizza

La garanzia assicurativa, oltre a coprire i “grandi interventi chirurgici” e “gravi eventi morbosi” indicati negli allegati A e B delle condizioni di polizza, opera altresì per la c.d. “garanzia per malattia oncologica”.

Sono, inoltre, inclusi un check-up annuale con esami ed accertamenti, quattro prestazioni di alta diagnostica e l’indennità di convalescenza.

E’ contemplata, anche, in alternativa al pagamento diretto o al rimborso delle spese relative al ricovero, l’indennità sostitutiva, che varia da € 80,00 ad € 105,00 al giorno a seconda della prestazione effettuata.

Piano Sanitario Integrativo

Ogni iscritto, pensionato non iscritto e superstite di avvocato (titolare di pensione di reversibilità o indiretta) che abbia aderito al piano base, ha facoltà di aderire (per il 2024, fino al 30 settembre) ad un Piano sanitario integrativo per sé e per il proprio nucleo familiare, con limite di età fissato a 80 anni.

Tale garanzia assicurativa opera, decorsi i relativi termini di aspettativa, per le prestazioni sanitarie non coperte dalla polizza sanitaria base e, in particolare, per:

  • ricovero, con o senza intervento, in istituto di cura reso necessario anche da parto;
  • ricovero in regime di day-hospital;
  • intervento chirurgico ambulatoriale;
  • prestazioni di alta diagnostica;
  • visite specialistiche e accertamenti diagnostici.

L’importo del premio per la sottoscrizione della Polizza sanitaria Integrativa varia in base alle fasce d’età.

Proroga della polizza sanitaria fino al 30.9.2024

Cassa Forense ha comunicato, in data 22 marzo 2024, la proroga della copertura della polizza di tutela sanitaria sottoscritta con le Compagnie Assicuratrici Unisalute, Reale Mutua e Poste Assicura, in scadenza al 31/3/2024, fino al 30/9/2024.

Tenuto conto della durata semestrale della proroga, sia i premi che i massimali di copertura sono ridotti al 50%, mentre sono rimaste invariate tutte le prestazioni previste.