contributo unificato

Contributo unificato: si paga solo sulle cartelle esattoriali La Cassazione ha chiarito che il contributo unificato nel giudizio tributario va versato solo sugli atti effettivamente impugnati

Contributo unificato: i chiarimenti della Cassazione

La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6769/2025, ha chiarito che il contributo unificato nel giudizio tributario deve essere versato esclusivamente sugli atti effettivamente impugnati. Se il contribuente contesta solo le cartelle esattoriali, il pagamento del contributo non può estendersi all’intimazione di pagamento, anche se il giudice ne fa riferimento nella sentenza.

Il caso: il contribuente e l’impugnazione delle cartelle

Un contribuente, ricevuta la notificazione di intimazione di pagamento, aveva impugnato le tre cartelle esattoriali presupposte riportate nell’atto, senza contestare l’intimazione ad esse collegata.

Tuttavia, l’ufficio riteneva che il contributo unificato dovesse essere versato anche per l’intimazione di pagamento, non espressamente impugnata ma alla quale la CTP aveva operato riferimento nella sua decisione.

La questione finiva innanzi alla CTR del Lazio che riteneva fondata la tesi dell’ufficio, riformava la decisione della CTP e affermava la validità dell’atto di irrogazione delle sanzioni, compensando tra le parti le spese di lite.
Il contribuente adiva quindi il Palazzaccio, lamentando la “carenza, illogicità, erroneità e contraddittorietà della motivazione” della decisione adottata dalla CTR, perché, a suo dire, “non è dovuto il pagamento del contributo unificato in relazione ad atto non impugnato, e pertanto è illegittima l’irrogazione di sanzioni per non aver versato un contributo non dovuto”.

Il principio di diritto della Cassazione

La Cassazione ha ribaltato la decisione della CTR, accogliendo il ricorso del contribuente.

La Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto, secondo cui “ai fini del
pagamento del contributo unificato nel giudizio tributario, non ogni atto cui il giudice operi riferimento nella sua pronuncia diviene, per ciò solo, un atto impugnato; pertanto qualora li contribuente, ricevuta la notificazione di una intimazione di pagamento relativa a tre cartelle esattoriali, abbia proposto impugnazione esclusivamente avverso queste ultime, solo in relazione ad esse dovrà versare il contributo unificato, anche se il giudice, nella sua
decisione, abbia proposto valutazioni anche in ordine all’intimazione di pagamento”.
Pertanto, il ricorso è accolto e l’atto irrogativo delle sanzioni annullato.

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estinzione del reato

Estinzione del reato per condotte riparatorie anche in Cassazione La Cassazione rammenta che l’estinzione del reato per condotte riparatorie può essere chiesta in qualunque fase del procedimento

Estinzione del reato per condotte riparatorie

L’estinzione del reato per condotte riparatorie può essere richiesta in qualunque fase del procedimento, compreso il giudizio di cassazione, purchè ciò avvenga entro il termine e il giudice di merito abbia valutato la congruità dell’offerta. Questo quanto affermato dalla quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 7263/2025, dando ragione a un imputato per il reato di furto di una bicicletta.

La vicenda

Nella vicenda, l’uomo aveva invocato l’applicazione dell’art. 162-ter cod. pen., sul presupposto che il delitto di furto contestato è punibile a querela di parte e che aveva restituito la bicicletta alla persona offesa prima del giudizio. La Corte territoriale ha tuttavia ritenuto che la richiesta non potesse trovare accoglimento, «essendo il reato originariamente contestato (ndr ricettazione) procedibile d’ufficio».

Il ricorso

Avverso la sentenza l’imputato proponeva ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia, deducendo l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 531 cod. proc. pen. e 162-ter cod. pen.

Nel dettaglio, il ricorso denuncia che la Corte d’appello non abbia dichiarato estinto il reato ex art. 162-ter cod. pen. pur avendo l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, riparato interamente il danno cagionato mediante la restituzione della bicicletta al legittimo proprietario.

Tale decisione sarebbe stata motivata sull’erroneo presupposto che il reato originariamente contestato fosse procedibile d’ufficio, ma non considerando che quello risultante dalla riqualificazione era, invece, procedibile a querela.

Estinzione del reato: l’art. 162-ter c.p.

Per la S.C., il ricorso è fondato. Va premesso, affermano i giudici di legittimità, “che l’art. 162-ter cod. pen. prevede, al comma primo, una causa di estinzione del reato che il giudice dichiara, «sentite le parti e la persona offesa», quando, «nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione», «l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato». Tale possibilità è data anche nel caso in cui vi sia stata, da parte del giudice, la riqualificazione del reato procedibile d’ufficio in una fattispecie procedibile a querela, a condizione che l’offerta riparatoria o risarcitoria sia tempestivamente formulata, così da consentire al giudice di verificarne la congruità e salva la possibilità di concessione, su richiesta dell’imputato impossibilitato ad adempiervi per causa a lui non addebitabile, di un termine per provvedervi anche ratealmente (Sez: 4, n. 640 del 29/11/2023)”.

Tempi per la richiesta

Inoltre, proseguono i giudici, “l’applicazione della causa estintiva del reato può essere richiesta in qualunque fase del procedimento, ivi compreso il giudizio di cassazione, a condizione che la condotta riparatoria sia intervenuta entro il termine massimo rappresentato dalla suddetta dichiarazione, e che il giudice di merito abbia sentito le parti e valutato la congruità della somma offerta (così Sez. 4, n. 39304 del 14/10/2021)”.

La decisione

Tanto premesso, nel caso in esame, concludono i giudici di piazza Cavour, “il reato di ricettazione originariamente contestato risulta essere stato effettivamente derubricato, nella fattispecie prevista dall’art. 624 cod. pen. In tale situazione, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’originaria contestazione di un delitto procedibile d’ufficio osterebbe all’operatività della fattispecie estintiva e ciò ad onta dell’avvenuta riqualificazione operata dal primo giudice, deve ritenersi non conforme al già richiamato indirizzo interpretativo di legittimità, che il Collegio pienamente condivide e riafferma”.

Su tali premesse, la sentenza impugnata è annullata con rinvio al giudice di merito.

 

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Licenziamento disciplinare: valide le giustificazioni inviate entro 5 giorni La Cassazione chiarisce che in caso di licenziamento disciplinare il termine dei 5 giorni si riferisce all’invio delle giustificazioni

Licenziamento disciplinare e giustificazioni lavoratore

In tema di licenziamento disciplinare, sono da considerarsi valide le giustificazioni trasmesse dal lavoratore entro 5 giorni. Il termine di decadenza, infatti, è relativo al momento dell’invio e non a quello della ricezione delle giustificazioni stesse da parte del datore di lavoro. Non solo. Il datore di lavoro non può adottare provvedimenti disciplinari senza previa audizione del lavoratore. Questi i principi che si ricavano dall’ordinanza n. 2066/2025 della sezione lavoro della Cassazione.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello confermava la misura del licenziamento per giusta causa comminata a un lavoratore a seguito di contestazione disciplinare.

L’uomo adiva il Palazzaccio lamentando, tra l’altro, che la Corte territoriale, condividendo quanto già considerato in primo grado, aveva ritenuto tardive le giustificazioni da lui rese all’azienda a mezzo pec.

La decisione

La Cassazione ritiene la doglianza fondata, citando sia la prescrizione normativa di cui all’art. 7 comma 2 dello Statuto dei Lavoratori che l’art. 8 del CCNL Metalmeccanica aziende industriali.

Inoltre, osservano i giudici di piazza Cavour, è stato giò affermato che “il dato letterale del secondo comma, ove si fa riferimento alla presentazione delle giustificazioni e non anche alla ricezione delle stesse da parte datoriale, è sufficientemente chiaro, orientando l’attività ermeneutica nel senso di attribuire alle parti sociali l’intento di riferire il termine di decadenza per l’esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore, al momento dell’invio delle giustificazioni e non della ricezione delle medesime da parte del datore di lavoro, non potendo prospettarsi ragionevoli dubbi sull’effettiva portata del significato della clausola” (cfr. Cass. n. 32607/2018; n. 12360/2014).

Vertendosi in tema di decadenza, secondo i principi enunciati in sede di legittimità (cfr. in termini Cass. Sez. Un. 14/4/2010 n. 8830; Cass. 24/3/2011 n. 6757), inoltre, “l’effetto impeditivo di esse va collegato al compimento da parte del soggetto, unicamente dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio – idoneo a garantire un adeguato affidamento – sottratto alla sua ingerenza, in ragione di un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti (vedi Cass. 16/7/2018 n. 18823)”. Per cui, “il termine di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, prima della cui scadenza è preclusa, ai sensi dell’art. 7, quinto comma, della legge n. 300 del 1970, la possibilità di irrogazione della sanzione disciplinare, è chiaramente funzionale ad esigenze di tutela dell’incolpato (Cass. S.U. 7/5/2003 n. 6900)”.

Più di recente, infine affermano gli Ermellini, cassando la sentenza con rinvio, è stato ribadito li principio di diritto “secondo cui il datore di lavoro che intenda adottare una sanzione disciplinare non può omettere l’audizione del lavoratore incolpato che, nel termine di cui all’art. 7, comma 5, st. lav., ne abbia fatto espressa ed inequivocabile richiesta contestualmente alla comunicazione di giustificazioni scritte, anche se queste appaiano di per sé ampie ed esaustive” (cfr. Cass. n. 12272/2023).

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Annullabile l’assemblea di condominio convocata via WhatsApp Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere ritiene che le comunicazioni in modalità diverse da quelle previste dalla legge debbano essere previamente concordate

Assemblea condominiale convocata via chat

Annullabile l’assemblea di condominio convocata via WhatsApp. Non rispetta infatti le modalità di convocazione previste dalla legge (cfr. art. 66 disp. att. del codice civile). E sebbene parte della giurisprudenza ritenga sia possibile che le comunicazioni possano avvenire in modi diversi, tali modalità devono essere state previamente concordate. Questo è quanto si ricava dalla sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 269/2025.

La vicenda

Nella vicenda, un condomino impugnava la delibera assembleare convocata, a suo dire, da soggetto non legittimato, poichè non preceduta da rituale convocazione.

Dal verbale, infatti, si evinceva che la convocazione era avvenuta tramite bacheche apposte nelle scale degli edifici e sul gruppo WhatsApp del condominio, per cui con modalità non rispettose di quanto prescritto dall’art. 66 disp. att. c.c.

L’art. 66 disp. att. c.c.

Il giudice gli dà ragione. La suddetta disposizione civilistica prescrive, infatti, ricorda il giudicante che “la convocazione deve avvenire almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o consegna a mano”.

Nel caso di specie, invece, alcuna prova è stata fornita circa la convocazione con le modalità indicate ed anzi, dalla stessa delibera impugnata si ricava che a tutti i condomini la convocazione non è avvenuta con le modalità prescritte dalla legge.

Convocazione assemblea in modalità diverse

Tra l’altro, aggiunge il tribunale, “la convocazione via WhatsApp, oltre a non essere consentita dalla legge, non garantisce la certezza della ricezione, come condivisibilmente rilevato dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Avellino n. 1705/2024)”.

Sebbene, poi, come rilevato da altra giurisprudenza di merito, prosegue il giudice, “è possibile che le comunicazioni possano avvenire in modi diversi da quelli previsti dalla legge purché tali modalità siano state concordate inequivocabilmente dai condomini o perché richieste direttamente dagli stessi o in quanto siano state formalizzate in regolamenti condominiali approvati (Tribunale Padova 1238 del 2023), nel caso di specie alcuna prova è stata fornita dal resistente, rimasto contumace, circa accordi tra i condomini relativi a modalità di convocazione diverse da quelle prescritte dalla legge”.

La decisione

Sul punto, inoltre, va considerato che in altre delibere condominiali prodotte in atti, la convocazione è avvenuta via bacheca e via chat per gli altri condomini e via mail per il ricorrente. E ciò fa presumere, ragiona il tribunale, “che in ogni caso l’odierno ricorrente non aveva consentito alla convocazione via WhatsApp”.

Da qui l’accoglimento della proposta e il conseguente annullamento della delibera impugnata.

 

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pagamento contributo unificato

Pagamento contributo unificato: la Cassazione chiede lumi Con una nota la presidente Margherita Cassano chiede al ministero della Giustizia chiarimenti sul mancato o parziale pagamento del contributo unificato

La nota della Cassazione

Mancato pagamento contributo unificato: a chiedere lumi al ministero della Giustizia sulla novità introdotta dalla legge di bilancio 2025 è la stessa Cassazione, con una nota dell’8 gennaio 2025, a firma della prima presidente, Margherita Cassano.

Le modifiche della legge di bilancio 2025

Si ricorda che la legge di bilancio ha apportato importanti novità al processo civile.

In particolare, all’art. 14 del Testo Unico sulle Spese di Giustizia (DPR n. 115/2002), è stato aggiunto il comma 3.1, che stabilisce: “Fermi i casi di esenzione previsti dalla legge, nei procedimenti civili la causa non può essere iscritta a ruolo se non è versato l’importo determinato ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera a), o il minor contributo dovuto per legge”.

La circolare di via Arenula

Nella circolare del Dipartimento per gli Affari di Giustizia (DAG) di via Arenula del 30 dicembre 2024, viene stabilito che il personale di cancelleria non potrà procedere all’iscrizione a ruolo di una causa civile nei seguenti casi: a) nelle ipotesi in cui il contributo unificato dovuto sia pari o inferiore a 43 euro, non venga versato integralmente l’importo effettivamente dovuto a titolo di contributo unificato; b) nelle ipotesi in cui l’importo dovuto del contributo unificato sia superiore a 43 euro, la parte che chiede l’iscrizione della causa non versi almeno l’importo di euro 43.

Leggi in merito Contributo unificato: cosa cambia dal 2025

I dubbi della Cassazione

Alla luce della novella normativa, la Cassazione evidenzia, dunque, la necessità di ricevere chiarimenti sulle modalità applicative per quel che attiene ai servizi di cancelleria, ferma restando la competenza giurisdizionale in ordine all’interpretazione della norma in esame.

Rifiuto immediato o sospensione temporanea

In particolare, nella nota vengono formulati i seguenti quesiti: se l’enunciato ‘la causa non può essere iscritta a ruolo’ laddove non venga corrisposto il contributo unificato anche nel minor importo, stia a significare “che il riscontro del mancato pagamento consenta di mantenere sospesa l’iscrizione stessa” sino all’avvenuto pagamento “oppure comporti il rifiuto, da parte della cancelleria, dell’iscrizione della causa (nel giudizio di legittimità del ricorso)”.

Nella prima ipotesi (sospensione dell’iscrizione), se sia possibile “configurare un termine entro il quale l’avvocato debba comunque provvedere a dare riscontro del pagamento del contributo unificato, tenendo conto, per un verso, che il deposito dell’atto si ha solo in caso di accettazione dell’atto/ricorso, e, per altro verso, dei termini di legge per la produzione, in sede di legittimità, di atti e documenti di cui agli artt. 369 e 372 c.p.c.”.

Problemi tecnici nella gestione dei pagamenti

Un ulteriore chiarimento richiesto riguarda le difficoltà operative legate alla mancanza di un applicativo adeguato per verificare in tempo reale il pagamento del contributo unificato.

In particolare, chiede la Cassano, “come debba procedere la cancelleria in attuale assenza di idonea applicazione informatica che consenta di intercettare direttamente, al momento dell’accettazione del ricorso, il deposito della distinta di avvenuto pagamento del contributo unificato anche là dove non prodotta dall’avvocato sotto corretta nomenclatura identificativa”.

Nell’attesa, conclude la nota, “si confida nel consueto spirito di collaborazione nell’interesse del servizio giustizia”. 

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Giornata contro la violenza

Giornata contro la violenza sulle donne: le iniziative in Parlamento Palazzo Madama e Montecitorio oggi si illuminano di arancione per la campagna Onu “Orange the world” e organizzano varie iniziative

In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, sia il Senato della Repubblica che la Camera dei deputati aderiscono alla campagna dell’Onu “Orange the World: End Violence against Women Now!”. Pertanto, la facciata di palazzo Madama e di Montecitorio saranno illuminate con il colore arancione, simbolo dell’iniziativa dal tramonto di oggi all’alba di domani 26 novembre.

“Credi davvero che sia sincero”

Alla Camera, inoltre, presso la Sala della Regina di Montecitorio si svolgerà la rappresentazione teatrale “Credi davvero che sia sincero“, tratta dal romanzo di Roberto Ottonelli, liberamente ispirato al femminicidio di Monica Ravizza. Regia e adattamento di Alice Grati, in scena Lorena Ranieri e Nino Faranna.

Dopo il saluto del presidente della Camera, Lorenzo Fontana, introdurrà la vicepresidente, Anna Ascani. Ci sarà la testimonianza di Maria Teresa D’Abdon, fondatrice dell’associazione Difesa donne: noi ci siamo e madre di Monica. Lo spettacolo fa parte dei progetti di sensibilizzazione dell’Associazione, dedicati soprattutto ad adolescenti e giovani su tutto il territorio nazionale.

“Femminicidio e violenza di genere”

Il Senato, invece, ha provveduto alla pubblicazione dei due volumi “Femminicidio e violenza di genere” contenenti i lavori della Commissione parlamentare di inchiesta nella XVIII legislatura. Il fine è quello di rendere fruibile “anche ad un pubblico esterno e meno avvezzo alla consultazione degli atti parlamentari, un lavoro complesso e prezioso, svolto nell’arco di un quadriennio”.
Le relazioni, tutte approvate all’unanimità, hanno affrontato i molteplici profili – da quelli di carattere giuridico e sanitario a quelli più squisitamente culturali come la scuola, l’università e la comunicazione – che connotano il fenomeno della violenza maschile sulle donne.

I volumi sono corredati dalla prefazione del presidente del Senato e sono disponibili online.

bonus natale

Bonus Natale: cos’è e a chi spetta Ampliata dal Governo la platea dei beneficiari del bonus Natale (ex bonus Befana) che verrà erogato su richiesta, ai lavoratori che ne hanno diritto a partire dal 2024

Bonus Natale in tredicesima

Bonus Natale nel mese di dicembre, al posto del bonus Befana che ha ricevuto un colpo di spugna grazie all’emendamento approvato nel decreto Omnibus convertito nella legge n. 143/2024 e in vigore dal 9 ottobre 2024.

L’importo verrà erogato già a partire dal prossimo dicembre.

Vediamo in cosa consiste e chi ne può beneficiare.

Bonus Natale a chi spetta

L’indennità di 100 euro per il 2024, ex art. 2-bis della nuova legge, è destinata ai lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore a 28mila euro e con coniuge o almeno un figlio fiscalmente a carico.

L’indennità “non concorre alla formazione del reddito complessivo del lavoratore”, per cui i 100 euro saranno netti, ed è rapportata al periodo di lavoro.

Tra le condizioni richieste il lavoratore deve avere un coniuge “non legalmente ed effettivamente separato e almeno un figlio, anche se nato fuori dal matrimonio, riconosciuto, adottivo o affidato”, che siano fiscalmente a carico. Oppure “almeno un figlio” fiscalmente a carico in presenza di un nucleo familiare monogenitoriale.

Nella determinazione del reddito complessivo, non si terrà conto del reddito dell’immobile adibito ad abitazione principale e di quello delle relative pertinenze.

Platea ampliata dal governo

Con il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri del 12 novembre 2024, recante “Misure urgenti per la riapertura dei termini di adesione al concordato preventivo biennale e disposizioni finanziarie per la gestione delle emergenze”, il Governo ha deciso di ampliare la platea dei beneficiari del bonus Natale, aggiuntivo rispetto alla tredicesima mensilità.

Il testo (dl 167/2024) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 novembre, per entrare in vigore il giorno stesso, e, confermando le attese, il bonus è stato esteso anche alle famiglie monogenitoriali.

In pratica, viene di fatto eliminato il requisito del coniuge a carico, per cui rimane quale condizione necessaria avere almeno un figlio a carico.

In tal modo, da circa 1,1 milioni di persone stimate quale platea si arriva a 4 milioni e mezzo.

Come ottenerlo

L’una tantum sarà riconosciuta su richiesta del lavoratore, “che attesta per iscritto di avervi diritto” e sarà corrisposta unitamente alla tredicesima mensilità.

Spetterà ai sostituti d’imposta, ossia ai datori di lavoro, verificare in sede di conguaglio la spettanza dell’indennità e, qualora non si rilevi spettante, provvedere al recupero del relativo importo.

L’indennità è rideterminata nella dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente ed è riconosciuta anche qualora non sia stata erogata dal sostituto d’imposta ovvero se le remunerazioni percepite non sono state assoggettate a ritenuta. Qualora l’indennità erogata dal sostituto d’imposta risulti non spettante o spettante in misura inferiore, il relativo importo è restituito in sede di dichiarazione.

commercialista sbaglia

Commercialista sbaglia? Culpa in vigilando anche per il cliente Per la Cassazione, non è esente da responsabilità il contribuente per mancato pagamento delle imposte che consegua alla condotta del professionista infedele

Culpa in vigilando

Scatta la culpa in vigilando per il cliente che non dimostra di aver controllato il commercialista che sbaglia o che ha un comportamento infedele. Lo ha affermato la sezione tributaria della Cassazione, con ordinanza n. 25158/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il titolare di un’impresa individuale impugnava un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2003, con cui – a seguito dell’omessa dichiarazione dei redditi – venivano accertati maggiori ricavi e recuperate IRPEF, IRAP e IVA, oltre sanzioni e accessori. Il contribuente deduceva che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi era ascrivibile all’infedele comportamento del proprio consulente.
La CTP di Palermo accoglieva parzialmente il ricorso e la CTR Sicilia rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate ritenendo che le sanzioni non fossero dovute, “in quanto le violazioni erano ascrivibili al comportamento del consulente e il contribuente aveva sporto denuncia nei confronti del medesimo”.

L’Ufficio propone ricorso per cassazione sostanzialmente lamentando che il contribuente “non può andare esente da comportamenti assunti dal proprio consulente ove non abbia vigilato sull’operato – dello stesso – né essendo la proposizione della denuncia penale idonea a rimuovere la responsabilità”.

Sanzioni amministrative per violazioni tributarie

La Cassazione dà ragione al fisco. Secondo una costante giurisprudenza, rilevano infatti i giudici della S.C., “in tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 472/1997 la prova dell’assenza assoluta di colpa, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza; non può, quindi, ritenersi esente da responsabilità il contribuente che non abbia vigilato sul professionista cui erano affidate le incombenze fiscali (cfr., tra le tante, Cass., n. 12901/2019; n. 21061/2018).
Pertanto, non è esente da responsabilità il contribuente per mancato pagamento delle imposte che consegua alla condotta del professionista infedele, ove lo stesso non fornisca prova dell’attività di vigilanza e controllo in concreto esercitata sull’operato del professionista, ovvero ove non dia prova del suo comportamento fraudolento (cfr. Cass. n. 9422/2018), non essendo sufficiente la mera presentazione di denuncia penale (cfr. Cass. n. 19422/2018).

La decisione

La sentenza impugnata, in definitiva, per la S.C., non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e va cassata con rinvio per nuovo esame, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

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lotta alla violenza genere

Lotta alla violenza di genere: diventa materia scolastica Il ddl 1813 all'esame della Camera prevede l'introduzione dell'educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne tra le materie scolastiche

Educazione contrasto alla violenza di genere a scuola

La lotta alla violenza di genere entra a scuola. Il ddl-1813 all’esame della commissione cultura della Camera prevede infatti “l’introduzione dell’educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne” quale materia scolastica, attraverso la modifica dell’art. 3 della legge n. 92/2019.

Iter proposta di legge

La pdl Semenzato ed Altri, recante “modifiche all’art. 3 della legge n. 92/2019, concernenti l’introduzione dell’educazione al contrasto della violenza nei confronti delle donne nonché l’insegnamento dell’educazione finanziaria nell’ambito dell’insegnamento dell’educazione civica”, è stata presentata nell’aprile scorso e assegnata alla VII Commissione Cultura in sede referente di Montecitorio, avendo ricevuto già il parere delle altre commissioni.

Violenza di genere e educazione finanziaria nell’educazione civica: le motivazioni

La pdl n. 1813 reca quale obiettivo quello di continuare nel “percorso intrapreso all’interno degli istituti scolastici, prevedendo che l’insegnamento scolastico dell’educazione civica assuma come riferimento il tema dell’educazione al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne, quello dell’educazione finanziaria, l’autonomia economica del singolo familiare o convivente, con l’adozione di provvedimenti che incidano profondamente nella cultura delle nuove generazioni, attraverso un’azione positiva volta a sviluppare nella formazione degli studenti il rispetto dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e dignità nei rapporti di coppia”.
La violenza di genere, infatti, si legge ancora nella relazione alla proposta, passa anche per “la violenza economica – che – affonda le proprie radici in un terreno di pregiudizi patriarcali e culto dei ruoli di genere che in una società equa, moderna e civile non possono essere tollerati”. La scuola rappresenta “l’ambiente privilegiato per lo sviluppo della consapevolezza di quanto sia importante raggiungere e mantenere una autonomia economica, rompendo gli schemi della famiglia tradizionale, ed è il punto di riferimento prioritario attraverso cui far veicolare i messaggi chiave e avvicinare i futuri adulti al tema della indipendenza economica da assicurare al singolo nel nucleo familiare o nelle convivenze di fatto”.

Per quanto concerne, invece, l’educazione all’autonomia finanziaria, il principale obiettivo “è quello di attivare un processo virtuoso al fine di avere cittadini informati, attivi, responsabili e consapevoli che la libertà di scelta, in presenza di crisi familiari, presuppone una indipendenza economica”.

Il testo della proposta di legge

la pdl si compone di un unico articolo, il quale dispone che:

“1. All’articolo 3 della legge 20 agosto 2019, n. 92, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettera f), dopo le parole: «contrasto delle mafie» sono aggiunte le seguenti: «e di ogni forma di violenza nei confronti delle donne»;

b) al comma 2, dopo le parole: «e l’educazione finanziaria» sono inserite le seguenti: «, anche nel rispetto dell’indipendenza economica del singolo familiare o convivente»”.

conto corrente condominiale

Conto corrente condominiale: diritto di accesso garantito L'ABF chiarisce che se l'amministratore rifiuta la richiesta di ottenere copia dell'estratto conto, il condomino può rivolgersi direttamente alla banca

Conto corrente condominiale

Conto corrente condominiale: se l’amministratore di condominio oppone rifiuto alla richiesta di ottenere copia dell’estratto conto, il condomino si può rivolgere direttamente alla banca. Lo ha chiarito l’ABF, in una decisione del collegio di Palermo n. 74/2024 facendo il punto sulla gestione del conto corrente condominiale e sul relativo diritto di accesso dei condomini.

I fatti

Nella vicenda, il ricorrente rileva di aver richiesto alla banca i conti correnti del condominio dopo il rifiuto dell’amministratore. L’intermediario negava l’accesso alla documentazione motivando che l’amministratore aveva espresso formale diniego, in quanto la consegna stessa era già avvenuta quando il ricorrente risultava ancora condomino.

Quest’ultimo chiedeva allora la condanna dell’intermediario al rilascio degli estratti conto richiesti.

L’ABF gli dà ragione.

Diritto del condomino alla documentazione bancaria

Premette il collegio che “la richiesta di copia della documentazione periodica relativa al conto corrente del condominio trova un espresso riferimento nell’art.1129 del codice civile, comma 7, secondo cui ‘L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica’”.

In plurimi precedenti, inoltre osserva l’ABF, come i collegi “sulla base del combinato disposto dell’art. 1129, comma 7, c.c., e dell’art. 119, comma 4, TUB abbiano ritenuto che il diritto del singolo condomino a ottenere copia della documentazione bancaria relativa al conto corrente condominiale sia esercitabile non solo per il tramite dell’amministratore, ma anche mediante richiesta diretta nei confronti dell’intermediario bancario, purché vi sia stata una preventiva richiesta di accesso rivolta all’amministratore rimasta priva di esito (Cfr. Collegio di Roma, decisione n. 7960/16; Collegio di Milano, decisione n. 3914/18; Collegio di Milano, decisione n. 4284/23; Collegio di Milano, decisione n. 1194/23)”.

Qualità di condomino

Fatte queste premesse, l’ABF si concentra sulla doglianza della banca, la quale evidenziava che il diniego alla produzione dei documenti era basato in primo luogo sulla circostanza che il ricorrente aveva perso la qualità di condomino (in virtù della cessione dell’immobile) con conseguente difetto di legittimazione attiva.

In ordine all’eccezione proposta dalla resistente, il collegio tuttavia evidenzia come il ricorrente avesse depositato agli atti una certificazione del notaio dalla quale emergeva che la cessione dell’immobile era avvenuta in data successiva alla richiesta della documentazione, la quale era limitata al periodo in cui lo stesso rivestiva ancora la qualità di condomino.

Conto corrente condominiale e diniego dell’amministratore

In ordine, invece, all’eccezione fondata sul rifiuto opposto dall’amministratore alla consegna della documentazione richiesta, l’ABF, rinvia a quanto osservato dal Collegio di Napoli (decisione n. 87/2022), secondo cui l’onere di preventiva richiesta all’amministratore “non può mai determinare una preclusione del diritto del singolo condomino di agire per ottenerla direttamente dall’intermediario quando l’amministratore non vi abbia provveduto”.

Richiamando, inoltre, la decisione del Collegio di Napoli n. 87/2023 e tenuto conto che l’art. 1129 c.c. legittima il condomino a presentare e chiedere copia della documentazione bancaria del condominio, “la relativa istanza deve ritenersi sottoposta alla disciplina dall’art. 119 tub: norma che consente di ottenere la documentazione bancaria pregressa anche dopo la perdita della qualità di cliente. Pertanto anche al condomino, sebbene lo stesso non sia direttamente parte contraente della banca, deve essere riconosciuto il diritto ad avere dall’intermediario la documentazione relativa al tempo in cui lo stesso era parte del condominio titolare del rapporto”.

Alla luce di quanto argomentato, l’ABF accoglie il ricorso e condanna la banca a pagare le spese della procedura al condomino.

 

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