negoziazione assistita

Negoziazione assistita: spetta il compenso per attività stragiudiziale? Negoziazione assistita: le spese per l’assistenza stragiudiziale di cui si chiede il rimborso devono essere richieste e dimostrate

Negoziazione assistita: compenso per l’attività stragiudiziale

Sul pagamento delle spese legali sostenute per la negoziazione assistita fa chiarezza il Giudice di Pace di Vallo della Lucania con la sentenza n. 385-2024.

Richiesta compenso per attività stragiudiziale

La decisione pone fine a una controversia giudiziale che prende le mosse dall’azione giudiziale intrapresa da un avvocato. Il legale chiede nello specifico l’accertamento dell’attività svolta su incarico e nell’interesse di una società e la conseguente condanna al pagamento delle sue spettanze e al rimborso delle spese sostenute.

Manca la prova dell’utilità dell’attività svolta

Il Giudice di Pace al termine dell’attività istruttoria accoglie in parte le richieste del legale. Il Giudice di Pace nega infatti la liquidazione del compenso richiesto per lo svolgimento dell’attività stragiudiziale svolta nell’ambito della negoziazione assistita, conclusasi con esito negativo per la mancata adesione di controparte all’invito.

Nel negare l’accoglimento delle richieste avanzate dall’avvocato il GdP ricorda che la Cassazione nell’ordinanza n. 24481/2020 in relazione alle attività di assistenza stragiudiziale ha precisato che: “esse hanno natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per lattività svolta da un legale nella fase precontenziosa, con la conseguenza che il loro rimborso è soggetto ai normali oneri della domanda, allegazione e prova e che, anche se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, esse hanno natura intrinsecamente differente rispetto alle alle spese processuali vere e proprie.”

Negoziazione assistita: idoneità a raggiungere l’accordo

E’ quindi possibile ottenere la liquidazione delle spese per l’assistenza stragiudiziale solo se si dimostra che le stesse sono state utili a evitare il giudizio. L’attività svolta dall’avvocato deve essere stata cioè idonea a raggiungere un accordo stragiudiziale Nel caso di specie però l’avvocato non ha dimostrato che l’attività svolta in sede di negoziazione è stata idonea a definire la vertenza in via stragiudiziale prima del giudizio.

 

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consenso informato

Consenso informato: non è voce autonoma di danno Consenso informato, per la Cassazione non è voce autonoma di danno se  il paziente avvia solo l’azione per il risarcimento del danno alla salute  

Consenso informato: obbligo accessorio inadempiuto

La violazione del consenso informato non rappresenta una voce autonoma di danno se il paziente promuove un’azione solo per ottenere il risarcimento del danno alla salute derivante da un intervento chirurgico invasivo di cui non era stato informato preventivamente. La richiesta del consenso è un obbligo accessorio, che nel caso di specie non è stato adempiuto, ma che è stato valutato per determinare l’inadempimento del medico. Lo ha chiarito l’ordinanza della Cassazione n. 17703/2024

Consenso non richiesto per la variazione dell’intervento

Un paziente si rivolge a un medico per l’asportazione di un nodulo al torace. Le parti concordano l’intervento in endoscopia. Il medico però, dopo aver aperto la gabbia toracica del paziente, asporta il nodulo e richiede un esame istologico immediato. Per togliere il nodulo il medico procede all’asportazione dell’intero lobo del polmone sinistro. Dall’esame del nodulo emerge però un’origine non tumorale.

Il paziente ricorre nei confronti del medico e dell’azienda ospedaliera. Costui ritiene di essere stato sottoposto a un intervento chirurgico inutile, devastante esteticamente e con conseguenze fisiche permanenti. Lo stesso ha rilevato infatti una ridotta capacità polmonare e la conseguente difficoltà a svolgere una normale attività lavorativa, fisica e sociale.

Voce di danno assorbita

Il Tribunale accoglie le domande del paziente, ritenendo violato il principio del consenso informato. L’ autorità giudiziaria riconosce all’attore un’invalidità del 12% e condanna l’ospedale e il medico a risarcire più di 28.000 euro.

La Corte d’appello rigetta il gravame principale del soggetto danneggiato e quello incidentale del medico e dell’azienda ospedaliera, confermando in parte la decisione di primo grado.

In relazione alla domanda di risarcimento dei danni per violazione del consenso informato la Corte d’appello ritiene che la domanda del danneggiato sia stata avanzata per ottenere il risarcimento del danno alla salute derivante dall’intervento chirurgico, per effetto della sua errata  esecuzione. La questione del consenso informato di conseguenza deve ritenersi assorbita.

Consenso informato: voce autonoma di danno

Il paziente ricorre quindi in Cassazione, contestando nel quarto motivo del ricorso il mancato riconoscimento del risarcimento del danno per violazione del consenso informato. Per il ricorrente la violazione rappresenta una voce autonoma di danno, mentre la Corte d’appello ha escluso tale conclusione ritenendola assorbita dalla richiesta risarcitoria per l’errata esecuzione dell’intervento.

Il ricorrente fa presente di aver prestato il proprio consenso all’intervento in endoscopia sottoscrivendo un modulo generico. Lo stesso però, una volta in sala operatoria, è stato sottoposto, senza essere preventivamente consultato e senza una condizione di reale necessità, ad un intervento chirurgico con apertura del torace e asportazione di un lobo polmonare, con conseguente formazione di una vistosa cicatrice su tutto il torace

Ribadisce quindi il diritto al risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione.

Diritto all’autodeterminazione: manca l’azione specifica

La Corte di Cassazione conferma la decisione della Corte d’appello sul risarcimento del danno per violazione del diritto informato . Il ricorrente non ha mai introdotto un’azione autonoma finalizzata all’accertamento del proprio diritto di autodeterminazione. Il paziente ha proposto solo un’azione finalizzata al risarcimento del danno alla salute riportata in conseguenza dell’intervento chirurgico invasivo e nel quale si inseriva un obbligo accessorio rimasto inadempiuto. L’inadeguata informazione preoperatoria non dà diritto ad un’autonoma posta risarcitoria. La stessa è stata presa in considerazione per valutare l’inadempimento del medico e le conseguenze sulla salute del paziente.

 

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violazioni contributive

Violazioni contributive: novità dal 1° settembre 2024 Violazioni contributive: dal 1° settembre 2024 in vigore le novità su sanzioni e inviti a regolarizzare le posizioni debitorie

Violazioni contributive: le nuove regole

In materia di violazioni contributive dal 1° settembre scattano diverse novità. Il decreto legge n. 19/2024 ha modificato l’articolo 116 della legge n. 388/2000 dedicato alle misure finalizzate a far emergere il lavoro irregolare.

Le novità in vigore dal 1° settembre 2024 riguardano l’applicazione delle sanzioni in caso di omissione contributiva ed evasione.

Cambia anche il modo con cui il contribuente viene invitato a regolarizzare la sua posizione in relazione agli obblighi violati. Si punta a ottenere una sua maggiore collaborazione.

Mancato o tardivo versamento dei contributi

Il soggetto obbligato a versare i contributi, se non paga o paga in ritardo, ma adempie spontaneamente entro 120 giorni subisce la sanzione civile in ragione d’anno pari al TUR ossia al tasso ufficiale di riferimento. Non subisce più la maggiorazione del 5,5 attualmente prevista.

Evasione contributiva: sanzione civile

Chi evade l’obbligo del versamento dei contributi è invece soggetto al pagamento di una sanzione civile del 30% in ragione d’anno se vuole nascondere rapporti di lavoro in corso.

La sanzione applicata è ridotta al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 se il contribuente obbligato provvede a denunciare spontaneamente il suo debito entro 12 mesi dalla scadenza dei termini di pagamento. Il contribuente che denuncia il debito e paga in un’unica soluzione l’importo dovuto entro 90 giorni subisce un ulteriore aumento della sanzione di 2 punti.

Sanzione ridotta per chi paga entro 30 giorni

Se il debito viene rilevato d’ufficio dall’ente impositore, ma il contribuente provvede a pagare tutto l’importo in una soluzione unica Entro 30 giorni o nel rispetto del rateizzo concordato, la misura della sanzione applicata è ridotta del 50%.

Violazioni contributive: invito al contribuente

Per incentivare i soggetti ad adempiere gli obblighi contributivi a loro carico e favorire l’emersione spontanea delle violazioni dal 1° settembre l’INPS rende disponibili le informazioni in suo possesso per calcolare gli obblighi contributivi. In questo modo il contribuente riesce ad avere un contraddittorio più aperto e chiarire la propria posizione nei confronti dell’istituto.

Sanzioni civili in caso di irregolarità

In base alla procedura descritta il contribuente può sanare le varie irregolarità pagando le sanzioni previste.

  • In caso di omissione contributiva la sanzione civile non può superare comunque il 40% dei contributi o premi non pagati alle varie scadenze previste dalla legge.
  • In caso di evasione contributiva si applica il tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti percentuali in ragione d’ Il limite massimo della sanzione non può superare anche in questo caso il 40% dei contributi e dei premi non pagati alle scadenze.

Il contribuente che non regolarizza la propria posizione deve sostenere un debito contributivo maggiorato di una sanzione civile più elevata.

  • In caso di omissione contributiva viene applicato il Tur in ragione d’anno maggiorato di 5 punti Sanzione massima pari al 40% dei contributi o premi non versati.
  • In caso di evasione contributiva si applica al 30% in ragione d’ Tetto massimo della sanzione pari al 60% dei contributi o premi non versati.

Accertamento d’ufficio

Resta fermo l’accertamento d’ufficio disposto dall’INPS attraverso la consultazione e il confronto con le banche dati di altre pubbliche amministrazioni.

A seguito di questi accertamenti l’INPS può:

  • invitare il contribuente a conferire personalmente o tramite rappresentanti per fornire le informazioni necessarie a istruire l’accertamento avviato nei loro confronti;
  • inviare questionari al fine di reperire i dati necessari all’accertamento;
  • invitare altri soggetti a presentare o inviare i documenti rilevanti per rapporti specifici con il contribuente per fornire eventuali chiarimenti.

Sulla base dei risultati di questi accertamenti si può procedere alla notifica di un avviso di accertamento con l’invito al contribuente a pagare l’intero debito nel termine di 30 giorni decorrenti dalla notifica, maggiorato della relativa sanzione.

sostituto di imposta

Sostituto di imposta: chi è e cosa fa Il sostituto di imposta è il soggetto che paga le imposte per conto di un altro contribuente e che deve assolvere precisi obblighi fiscali

Chi è il sostituto di imposta

Il sostituto di imposta può essere sia un soggetto pubblico che privato che si sostituisce al contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria. In pratica questo soggetto paga imposte e tributi al posto di un altro soggetto.

Definizione normativa

Il sostituto d’imposta è infatti definito dall’articolo 64 del DPR n. 600/1973 come il soggetto che, per legge, è obbligato a pagare le imposte, anche a titolo di acconto, al posto di altri soggetti, per fatti o situazioni che si riferiscono a questi ultimi e che deve, se non è diversamente disposto dalla legge, esercitare la rivalsa.

Tipi di sostituzione

Dalla formula della norma appena vista emerge che la sostituzione può avvenire in due modi diversi.

  • A titolo di imposta: il sostituto paga tutto l’importo dovuto dal contribuente. Il soggetto obbligato quindi non ha più debiti nei confronti dello Stato delle altre amministrazioni.
  • A titolo di acconto: in questo caso il sostituto anticipa al contribuente il pagamento dei contributi. Il contribuente però resta soggetto passivo. Un esempio di sostituzione a titolo d’acconto è rappresentato dalle trattenute IRPEF che il datore effettua nei confronti dei dipendenti, che sono comunque tenuti a pagare l’imposta sul reddito delle persone fisiche in relazione ad altri redditi.

Chi può rivestire la qualifica di sostituto di imposta?

Possono rivestire la qualifica di sostituto di imposta i soggetti indicati dal comma 1 dell’articolo n. 23 del DPR 600/1973:

  • le associazioni non riconosciute;
  • le aziende dei servizi pubblici locali;
  • le società di capitali;
  • le società di persone;
  • i consorzi;
  • i condomini;
  • gli enti commerciali con sede in Italia;
  • le persone fisiche che esercitano un’attività d’impresa di natura commerciale o agricola;
  • i liberi professionisti.

Cosa fa il sostituto di imposta

Il sostituto di imposta provvede all’adempimento di una serie di obblighi.

Per prima cosa trattiene le tasse dovute all’Erario dagli importi dovuti al contribuente a titolo di compenso, come pensioni, redditi e salari.

Fatta questa operazione provvede a versare le imposte alla pubblica amministrazione o allo Stato.

In seguito deve procedere alla certificazione del versamento delle tasse e delle imposte dovute dal contribuente.

Questa operazione viene effettuata attraverso la compilazione delle certificazione fiscali.

Il mancato rispetto di questi obblighi fiscali comporta l’applicazione di sanzioni amministrative e può essere fonte di responsabilità penali del sostituto d’imposta.

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Il modello 770 e la Certificazione Unica

I sostituti d’imposta sono tenuti alla compilazione di due documenti principali: il modello 770 e la certificazione unica.

Il primo documento ha natura fiscale e viene utilizzato le sostituti d’imposta per trasmettere all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle imposte del contribuente (ritenute sui compensi, pensioni versate eccetera). Il modello 770 serve al sostituto per procedere al pagamento dei contributi al posto del contribuente.

Sul sito dell’Agenzia delle Entrate sono disponibili le istruzioni per la sua compilazione e il successivo invio, che deve avvenire entro il 31 ottobre.

La Certificazione Unica (CU) viene invece utilizzata per attestare i redditi da lavoro dipendente e assimilati, i redditi da lavoratore autonomo e i redditi derivanti da determinati tipi di contratti di locazione.

Grazie alla certificazione unica il contribuente ha a disposizione un documento che certifica il pagamento dei tributi versati da parte del sostituto d’imposta.

Il  documento, che viene rilasciato dal sostituto di imposta al contribuente entro il 30 aprile 2024, viene poi trasmesso in modalità telematica all’Agenzia delle Entrate entro il 31 marzo.

procura speciale

Procura speciale: se manca, le spese di giudizio le paga l’avvocato Procura speciale: se mancante per la presentazione del ricorso in Cassazione spetta all’avvocato pagare le spese 

Procura speciale assente: spese a carico dell’avvocato

Se manca la procura speciale per il ricorso in Cassazione le spese di giudizio sono a carico dell’avvocato. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nella decisione n. 23136/2024, dopo aver chiarito quali sono i requisiti di specificità della procura speciale.

Richiesta di annullamento avviso di accertamento

Una Società in nome collettivo ricorre alla Commissione Tributaria Provinciale per chiedere l’annullamento di un avviso di accertamento. La Commissione rigetta il ricorso e la contribuente si rivolge alla Commissione Tributaria Regionale, che però respinge nuovamente la richiesta di annullamento. La controversia tra la Società e l’Amministrazione finanziaria finisce quindi in Cassazione.

Procura speciale: requisiti di specificità

La Cassazione, in via preliminare, si pronuncia d’ufficio sulla presenza e sulla specificità della procura conferita all’avvocato per ricorrere innanzi alla stessa.

Sulla questione la Cassazione precisa che la procura è “speciale” ai sensi degli articoli 83 e 356 c.p.c quando la stessa è congiunta materialmente o con strumenti informatici al ricorso. Non è necessario che la stessa sia conferita contestualmente alla redazione dell’atto. Occorre però che la stessa sia conferita dopo la pubblicazione del provvedimento da impugnare e anteriormente alla notifica del ricorso per il quale è conferita.

La sentenza delle Sezioni Unite

La Cassazione a Sezioni Unite n. 2075/2024 ha precisato inoltre che in caso di ricorso per cassazione nativo digitale, notificato e depositato in modalità telematica, l’allegazione mediante strumenti informatici al messaggio di posta elettronica certificata (p.e.c.) con il quale l’atto è notificato ovvero mediante inserimento nella “busta telematica” con la quale l’atto è depositato di una copia, digitalizzata, della procura alle liti redatta su supporto cartaceo, con sottoscrizione autografa della parte e autenticata con firma digitale dal difensore, integra l’ipotesi, ex art. 83, comma 3, cod. proc. civ., di procura speciale apposta in calce al ricorso”  la stessa è valida in difetto di espressioni che univocamente conducano ad escludere l’intenzione della parte di proporre ricorso per cassazione”.

Gli ulteriori elementi di specificità della procura sono rispettati se la stessa:

  • viene conferita all’avvocato iscritto nell’apposito albo dei cassazionisti;
  • si riferisce specificamente alla fase di legittimità;
  • è rilasciata dopo la pubblicazione della sentenza da impugnare.

Tutti questi requisiti però, nel caso di specie, non sono stati rispettati.

Procura speciale mancante e spese a carico dell’avvocato

La procura è stata conferita in calce all’atto, con documento allegato. In calce al ricorso depositato telematicamente all’interno del fascicolo d’ufficio però non è presente una procura alle liti. La Cassazione ha rilevato solo una doppia attestazione di conformità in relazione agli atti depositati in primo grado e secondo grado. La procura allegata e depositata nel fascicolo telematico inoltre si riferisce a una sentenza d’appello diversa da quella impugnata nel presente giudizio.

La procura è quindi mancante e come tale insanabile. La mancanza di procura speciale in Cassazione determina l’inammissibilità del ricorso. A questo difetto consegue la condanna le spese dell’avvocato in base al seguente principio:qualora il ricorso per cassazione sia stato proposto dal difensore in assenza di procura speciale da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire in giudizio, l’attività svolta non riverbera alcun effetto sulla parte e resta nell’esclusiva responsabilità del legale, di cui è ammissibile la condanna al pagamento delle spese del giudizio.”

 

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pensione reversibilità

Pensione reversibilità coppie gay: spetta al partner e al figlio? Saranno le Sezioni Unite della Cassazione a pronunciarsi sulla questione se al partner omosessuale e al figlio avuto grazie alla maternità surrogata spetta il diritto alla pensione indiretta del defunto

Pensione reversibilità partner omosessuale: parola alle Sezioni Unite

La pensione di reversibilità in favore del partner omosessuale della coppia sposata negli Stati Uniti, che ha avuto un figlio grazie alla maternità surrogata, è oggetto dell’ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 22992/2024. La sezione IV civile non si è pronunciata, ma ha rimesso la questione al Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. La questione da risolvere riguarda la disciplina intertemporale dettata dalla legge n. 76 del 2016.

Domanda pensione per il partner omosessuale superstite e per il figlio

Una coppia omosessuale, unita da una stabile convivenza, ha un figlio negli Stati Uniti grazie alla fecondazione assistita. La nascita del figlio viene registrata in Italia il 23.03.2010 come figlio di uno dei membri della coppia. Il 2 novembre 2013 la coppia si sposa a New York. L’atto viene trascritto in Italia come unione civile il 4.10.2016, dopo il decesso di uno dei due, verificatosi in data 8.10.2015.

Il 06.07.2016  la paternità del superstite è accertata con conseguente trascrizione della sentenza e aggiornamento dell’atto di nascita.

Nella sua qualità d’erede e di genitore responsabile del minore il membro superstite dell’unione civile superstite agisce in giudizio per far accertare il contenuto discriminatorio della decisione con cui è stata rigettata la sua domanda di erogazione della pensione indiretta del compagno defunto. Lo stesso chiede quindi il riconoscimento della misura per se e il minore.

Pensione indiretta: rigetto in primo grado e accoglimento in appello

Il Tribunale esclude la natura discriminatoria del rigetto della richiesta. La ragione del diniego deve rinvenirsi infatti nell’assenza dei requisiti richiesti dalla legge. Inammissibile inoltre la domanda per accertare il diritto alla pensione indiretta perché proposta con procedimento speciale antidiscriminatorio. Parte soccombente impugna la decisione. La Corte d’Appello accoglie il gravame e accerta il diritto del compagno superstite e del minore alla pensione indiretta perché eredi del soggetto a cui sarebbe spettata la pensione diretta.

La Corte condanna quindi l’INPS a pagare i ratei dovuti maggiorati degli interessi a partire dal 1° novembre 2015. Per la Corte i componenti della coppia omosessuale hanno diritto a un trattamento omogeneo rispetto a quello della coppia coniugata. La pensione ai superstiti rientra nell’ambito dei doveri di solidarietà previsti dalla Costituzione e che caratterizzano le relazioni affettive, comprese quelle omosessuali. Essa è espressione del diritto inviolabile di vivere la propria condizione di coppia con libertà e del diritto alla tutela giurisdizionale. La Corte giunge a conclusioni similari anche per il figlio minore.

Niente pensione indiretta prima della legge n. 76/2016

L’INPS ricorre alla Corte di Cassazione contestando il riconoscimento della pensione di reversibilità al partner superstite della coppia omosessuale. Questo perché il decesso del partner assicurato si è verificata prima dell’entrata in vigore della legge n. 76/2016, che ha regolamentato le unioni civili e le convivenze.

Con il secondo motivo l’INPS contesta la decisione della Corte d’appello per aver riconosciuto il diritto alla pensione indiretta al minore. La trascrizione della sentenza statunitense che ha riconosciuto la paternità del “genitore intenzionale” è contraria all’ordine pubblico. Per l’istituto il minore nato da una maternità surrogata non possiede il requisito soggettivo richiesto per il diritto alla pensione indiretta.

Al ricorso dell’INPS il partner superstite propone contro-ricorso con cui contesta i motivi sollevati dall’INPS. La domanda dovrebbe essere accolta a prescindere dalla anteriorità della data del decesso del partner rispetto all’entrata in vigore della legge n. 76/2016. Il rigetto avrebbe infatti natura discriminatoria. Il secondo motivo invece deve essere rigettato per la mancata legittimazione dell’INPS a contestare lo stato di filiazione accertato negli Stati Uniti.

Cassazione: “vicenda peculiare”

La Cassazione ricorda di essersi già pronunciata sulla questione, negando la pensione di reversibilità al superstite legato da stabile convivenza con un soggetto dello stesso sesso, deceduto prima dell’entrata in vigore della legge n. 76/2016.

Il caso di specie tuttavia presenta delle peculiarità rispetto all’orientamento citato. Le coppie omosessuali prima di tutto non possono optare per il matrimonio come le coppie conviventi di sesso diverso. Peculiare è inoltre la posizione del minore, che è meritevole di una tutela speciale in una situazione caratterizzata da un’accentuata vulnerabilità. Il legislatore non dovrebbesacrificare in maniera sproporzionata i fondamentali doveri di solidarietà, che presiedono al riconoscimento della pensione in favore dei superstiti, in nome dello stigma della pratica che ha condotto alla nascita del minore.” 

Parola alle Sezioni Unite

Le questioni oggetto di dibattito nella vicenda, suscettibili di ripresentarsi in numerose altre fattispecie riguardano l’interpretazione della disciplina vigente in relazione a questioni di estrema importanza, che riguardano la disciplina intertemporale della legge n. 76/2016.

Appare quindi necessario comporre il dettato normativo e le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale e dalle Carte internazionali per garantire una tutela omogenea e non frazionata dei vari interessi in campo e per orientare il comportamento delle amministrazioni coinvolte.

Queste le ragioni per le quali la Cassazione rimette la questione al Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite in ragione delle “questioni di massima di particolare importanza, implicate dalla trattazione del ricorso principale dell’INPS e del primo motivo di ricorso incidentale.”

 

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compensi avvocato

Compenso avvocati: come si determina il valore della causa Compenso avvocati: chiarisce la Cassazione che ai fini del calcolo rileva il valore della causa determinato dal limite temporale e dall’accordo economico

Compenso avvocati e valore della causa

Come si calcola il compenso degli avvocati quando il giudice si deve pronunciare in modo definitivo su questioni che riguardano l’esistenza e la validità di un rapporto giuridico?

Ce lo spiega la Cassazione nell’ordinanza n. 22344/2024.

Compenso avvocati: DM 127/2004

Un avvocato assiste due società e agisce per farsi pagare il compenso dovuto per l’attività svolta. Il Tribunale condanna una delle S.r.l a pagare all’avvocato la somma di Euro 195.933,40. In relazione alla richiesta di pagamento avanzata alla S.r.l in fallimento invece il giudice dichiara incompetente il giudice del lavoro.

La decisione viene impugnata e la Corte d’Appello ritiene che la prestazione prestata dall’avvocato non possa essere inquadrata come una collaborazione para-subordinata, così come qualificata dal giudice di primo grado. Il compenso dovuto all’avvocato deve quindi essere calcolato applicando le tariffe del DM 127/2004 par. 2 lettere E) e F) che qualificano l’attività come assistenza ai contratti di consulenza in campo amministrativo.”

Per la complessa vicenda amministrativa l’attività prestata dall’avvocato rientra in quella contemplata dalla Tabella D) n. 2 e lett. E) per la quale sono dovuti Euro 23.730,00. Le somme dovute al legale ammontano quindi complessivamente a Euro 77.487,00.

Gli eredi succeduti all’avvocato, nel frattempo defunto, sono quindi condannati a restituire la differenza rispetto a quanto erogato.

Calcolo compenso avvocati: rileva il valore della controversia

Gli eredi dell’avvocato però impugnano la decisione, lamentando in particolare nel primo motivo:

  • l’errata applicazione delle tariffe e dei criteri previsti dal DM 127/2004. Gli stessi ritengono che la decisione abbia violato l’articolo 5 capo III del DM 127/2004. Esso sancisce infatti che il valore della controversia debba essere determinato in base a quanto previsto dagli articoli 10 e 12 c.p.c che richiamo il valore della causa per la parte oggetto di contestazione.
  • La Corte avrebbe inoltre omesso di prendere in considerazione come valore della causa il canone di affitto per tutta la durata del contratto. La stessa ha infatti considerato i canoni di un solo anno.

Assetto degli interessi che le parti regolano con l’accordo

La Corte di Cassazione, nel decidere il ricorso, accoglie il primo motivo, dichiara inammissibili il secondo e il terzo e, assorbito il quarto in virtù dell’accoglimento del primo.

Gli Ermellini premettono che il principio sancito dall’articolo 12 c.p.c “il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione” subisce un’eccezione.

Si tratta dell’ipotesi in cui il giudice, come verificatosi nel caso si specie, venga chiamato ad esaminare con efficacia di giudicato le questioni relative all’esistenza o alla validità del rapporto, il cui valore va, pertanto, interamente preso in considerazione ai fini della determinazione del valore della causa.” 

Valore dell’accordo: rilevano il limite temporale e l’accordo

Nel caso di specie la Corte di appello ha richiamato il criterio contenuto nell’articolo 12 in modo corretto, ossia il valore del contratto. La stessa però ha preso in considerazione in modo errato il valore del canone riferito a un solo anno. Il valore da prendere in considerazione infatti è quello rappresentato dall’intero assetto degli interessi che le parti regolano con l’accordo, soprattutto ove l’accordo stesso sia riferito ad un tempo limitato di durata.” Il limite temporale e l’accordo economico rappresentano infatti i fattori che contribuiscono alla determinazione del valore dell’accordo.

 

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Tardiva comunicazione a Enea: non si decade dalle detrazioni La Cassazione torna a pronunciarsi sulla decadenza dai benefici fiscali causati dalla tardiva comunicazione a Enea

Tardiva comunicazione a Enea e decadenza detrazioni energetiche

La tardiva comunicazione a Enea non determina la decadenza dalle detrazioni energetiche. Lo ha stabilito la Cassazione nell’ordinanza n. 19309/2024. Con questa pronuncia la Corte si allinea alla precedente sentenza n. 7657/2024 e si oppone all’orientamento contenuto nell’ordinanza n.15178/2024, che invece ritiene causa di decadenza per la detrazione fiscale energetica l’omessa comunicazione a ENEA.

Detrazioni energetiche perse: comunicazione tardiva a ENEA

Un contribuente riceve una cartella con cui l’Agenzia delle Entrate vuole recuperare le spese sostenute per il risparmio energetico come indicate nella dichiarazione dei redditi del 2010 e sostenute nel 2008 e nel 2009.

Per l’Agenzia il contribuente ha perso le detrazioni fiscali a causa della tardiva comunicazione dell’attestato di certificazione energetica e della scheda informativa a ENEA, effettuata nel 2014.

Il difetto di comunicazione non provoca la decadenza

Il contribuente impugna la cartella, affermando che il difetto di comunicazione a ENEA non comporta la decadenza dal beneficio fiscale previsto.

La Commissione tributaria provinciale accoglie il ricorso. L’Agenzia delle Entrate però impugna la decisione e la Commissione tributaria regionale accoglie il gravame.

Il contribuente soccombente a questo punto impugna la decisione davanti alla Corte di Cassazione. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente contesta la decisione in relazione alla spettanza della detrazione fiscale che spetterebbe anche se la comunicazione a ENEA dell’attestato di certificazione e della scheda informativa dei lavori effettuati viene effettuata in ritardo.

La comunicazione a ENEA ha finalità statistiche

La Corte di cassazione accoglie il secondo motivo di impugnazione sollevato dal ricorrente e cassa la decisione. La Cassazione ricorda di aver affermato nella sentenza n. 7657/2024 il seguente principio: in tema di benefici fiscali per spese di riqualificazione energetica degli edifici, l’inosservanza del termine di novanta giorni dalla conclusione dei lavori per l’inoltro della comunicazione all’ENEA, ai sensi dell’art. 4 del d.m. del 19/02/2007, non costituisce causa di decadenza dal godimento della detrazione, decadenza che, in assenza di un’espressa previsione normativa, non è evincibile nemmeno da uninterpretazione sistematica della disciplina primaria e secondaria, in considerazione delle finalità statistiche per le quali l’adempimento è prescritto.” 

Decadenza non prevista dalla normativa primaria o secondaria

La decadenza dal beneficio fiscale non si può ricavare dalla normativa primaria così come dalla normativa secondaria. Nessuna delle due prevede infatti la decadenza espressa dal beneficio in caso di mancata o tardiva comunicazione dei dati dei lavori a ENEA. Detta comunicazione ha solo finalità statistiche, non è un requisito necessario richiesto dalla legge per il riconoscimento dell’agevolazione.

Ai fini della detrazione fiscale l’Agenzia deve verificare che i lavori per il risparmio energetico siano stati eseguiti effettivamente e che degli stessi il contribuente fornisca piena prova.

 

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cedolino pensione

Cedolino pensione: le novità di settembre 2024 Cedolino pensione: con il comunicato del 19 agosto 2024 l’INPS fornisce informazioni importanti su trattenute, conguagli e pagamento

Cedolino pensione settembre 2024

Novità per il cedolino della pensione relativo al mese di settembre 2024. Con un comunicato del 19 agosto 2024 l’INPS fornisce importanti informazioni sulle date di pagamento, sulle trattenute fiscali e sui conguagli.

Cos’è il cedolino pensione

Il cedolino della pensione è il documento che permette di controllare l’importo mensile che l’INPS eroga a titolo di pensione e le ragioni per le quali può subire delle modifiche.

Pagamento 2 settembre 2024

l’INPS pagherà la pensione del mese di settembre 2024 con la valuta del 2 settembre. La pensione va in pagamento infatti il primo giorno bancabile del mese, fatta eccezione per il mese di gennaio. Il 1° settembre 2024 cade di domenica, per cui il primo giorno bancabile, utile per il pagamento, è lunedì 2 settembre 2024.

Trattenute fiscali: conguaglio 2023 e 2024

Alla fine del 2023 l’INPS ha effettuato il controllo di tutte le ritenute fiscali che sono state applicate alle pensioni nel 2023. Attraverso questo controllo l’INPS ha verificato se è stata trattenuta la giusta quantità di tasse.

Nel caso in cui siano state trattenute poche tasse, ossia se le tasse dovute dopo i controlli sono risultate inferiori a quelle dovute, l’INPS procede con la richiesta  della differenza.

Se nel 2023 le ritenute applicate su base mensile sono risultate inferiori al quantum dovuto annualmente, l’INPS ha provveduto al recupero, applicando le trattenute sulla pensione a partire dai mesi di gennaio e febbraio 2024. Se non è stato possibile recuperare tutto l’importo nei primi due mesi, perché i  ratei pensionistici di questi mesi sono risultati insufficienti per procedere al recupero, le trattenute continueranno fino al saldo definitivo del debito.

Eccezioni alla regola

Questa regola però subisce delle eccezioni, nei seguenti casi:

  • Se la pensione annuale è bassa, ovvero non supera i 18.000 euro e il debito dopo il conguaglio ammonta a più di 100 euro di tasse, si potrà pagare in rate più comode fino al mese di novembre.
  • Altre tasse, come le addizionali regionali e comunali vengono recuperate in 11 rate, da gennaio a novembre dell’anno successivo.
  • Alcune pensioni, infine, come quelle per l’invalidità civile o gli assegni sociali, sono esenti da tasse.

Mancata dichiarazione dei redditi

Chi ha una pensione legata al reddito e non ha ancora comunicato i redditi del 2020, rischia di perdere parte della pensione o di dover restituire quanto percepito in più.

I pensionati che non hanno ancora comunicato i propri dati reddituali del 2020 subiranno una trattenuta del 5% sui ratei della pensione di agosto e settembre, in base all’importo di quella percepita nel mese di luglio 2024. Questi soggetti devono comunicare i propri dati reddituali entro il 15 settembre 2024.

In caso di mancato invio dei dati richiesti l’INPS provvederà a revocare gli importi pensionistici dovuti e legati ai redditi del 2020.

Nel caso in cui le pensioni siano quelle dovute ai superstiti l’INPS procederà ad applicare la soglia massima di abbattimento dell’importo pensionistico dovuto (art. 1 comma 41 legge n. 335/1995). Fatta questa operazione l’INPS procederà al calcolo e al recupero degli importi non dovuti.

Assistenza fiscale: conguagli

Cosa succede a settembre con il modello 730? A settembre l’INPS controllerà tutti i dati delle dichiarazioni dei redditi (modello 730) di tutti i pensionati che lo hanno scelto per gestire il conguaglio fiscale, se i flussi sono arrivati dall’Agenzia delle Entrate entro il 30 giugno.

  • A chi ha pagato più tasse del dovuto, l’INPS procederà al rimborso sulla pensione di settembre.
  • A chi invece risulta a debito per il pagamento delle tasse, l’INPS applicherà la relativa trattenuta sulla pensione di settembre.

 

Scopri che cos’è il Certificato di pensione INPS (ObisM)

incentivi assunzioni

Incentivi assunzioni: giovani, donne e ZES dal 1° settembre 2024 Incentivi assunzioni: dal 1° settembre 2024 partono gli incentivi fiscali per le assunzioni under 35, donne e lavoratori della ZES unica

Incentivi assunzioni dal 1° settembre 2024

Dal 1° settembre 2024 partono gli incentivi per le assunzioni di giovani, donne svantaggiate e lavoratori della ZES Unica. Gli sgravi avranno validità fino al 31 dicembre 2025.

Per tutte e tre le misure spetterà a un decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, di concreto con il ministro dell’Economia e delle finanze, definire in che modo verranno attuati gli esoneri contributivi. Il bonus giovani e ZES richiedono inoltre l’autorizzazione della Commissione Europea. Il bonus donne svantaggiate invece deve essere coerente con l’Accordo del partenariato 2021-2027 e con gli obiettivi del programma nazionale giovani, donne e lavoro 2021-2027.

Incentivi assunzioni: il decreto coesione

La fonte di questi incentivi è il  (convertito con modifiche dalla legge n. 95/2024), che li disciplina agli articoli 22 (bonus giovani) 23 (bonus donne) e 24 (bonus ZES Unica – Zona economica speciale per il Mezzogiorno).

Vediamo come funzionano nel dettaglio e chi ne potrà beneficiare.

Leggi anche “Decreto coesione: in vigore dal 7 luglio” per scoprire le altre misure dedicate al Sud d’Italia

Bonus Giovani: incentivo assunzione under 35

Il bonus giovani è un incentivo alle assunzioni previsto per i datori di lavoro privati. Sono esclusi i rapporti di lavoro domestico e di apprendistato. I datori che vogliono beneficare di questa agevolazione devono assumere a tempo indeterminato giovani impiegati e operai al loro primo impiego stabile, che non abbiano ancora compiuto i 35 anni di età. Il bonus giovani si applica anche quando i contratti a tempo determinato si trasformano in contratti a tempo indeterminato.

Il datore di lavoro beneficia di un esonero contributivo della durata massima di 24 mesi. Il bonus copre la totalità dei contributi dovuti dal datore (ad eccezione dei premi e dei contributi INAIL) fino all’importo massimo di 500 euro. Detto importo sale a 650 euro se l’assunzione avviene nelle seguenti regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Bonus donne in difficoltà

Il secondo incentivo assunzioni decorrente dal 1° settembre 2024 riguarda le donne. Lo sgravio viene applicato ai datori di lavori privati. Come per il bonus precedente, l’incentivo non riguarda il lavoro domestico e i contratti di apprendistato. Per poter beneficiare di questo incentivo i datori di lavoro devono assumere donne di ogni età che non hanno un impiego retribuito regolarmente da un minimo di sei mesi nelle aree della ZES unica del Mezzogiorno. Anche in questo caso l’incentivo consiste nella copertura totale dei contributi previdenziali (esclusi premi e contributi INAIL) per la durata massima  di 24 mesi, nel limite dell’importo mensile di 650,00 euro. Le assunzioni devono determinare anche un incremento occupazionale.

ZES unica per il Mezzogiorno

Il terzo incentivo assunzioni in arrivo riguarda i datori di lavoro privati che hanno un numero massimo di 10 dipendenti. Le assunzioni devono riguardare soggetti disoccupati da almeno 24 mesi con un’età minima di 35 anni. I dipendenti assunti devono avere una qualifica di operai o di impiegati e l’assunzione deve essere effettuata presso una sede o una unità produttiva presente in una delle Regioni del Mezzogiorno comprese nella ZES Unica.

Come previsto per gli altri due incentivi, i datori beneficiano di uno sgravio contributivo del 100% (esclusi premi e contributi INAIL) per una durata massima di 24 mesi. Il limite mensile di importo dello sgravio è di 650 euro nel rispetto di quanto previsto dal Programma nazionale giovani, donne e lavoro 2021 – 2027.