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Musica nei reels: META vince contro SIAE Per la musica nei reels e nelle stories la SIAE non dipende da META: lo ha stabilito il Consiglio di Stato dando ragione alla società di Facebook

Non c’è dipendenza tra SIAE e META

Musica nei reels e nelle stories, la SIAE non dipende da META. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato nella sentenza n. 5827-2024 pubblicata il 2 luglio. Il provvedimento ha riformato la sentenza n. 16069/2023 del TAR Lazio e ha stabilito che tra SIAE e META non sussiste una dipendenza economica.

AGCM: abuso di dipendenza economica

La controversia tra SIAE e Meta era iniziata durante le negoziazioni per il rinnovo del Music Rights Agreement (MRA). Questo accordo di licenza permetteva in sostanza agli utenti delle piattaforme META di pubblicare contenuti con opere musicali tutelate dalla SIAE.

Nell’aprile del 2023, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avviava un procedimento contro Meta per possibile abuso di dipendenza economica (art. 9 Legge n. 192/1998).

Il 20 aprile 2023, l’AGCM emanava un provvedimento per ripristinare le trattative e i contenuti musicali protetti da SIAE su Meta. META  contestava questo provvedimento davanti al TAR Lazio, che lo confermava con la sentenza n. 16069/2023.

Dipendenza economica: piattaforma determinante

L’AGCM ha fondato la propria decisione sull’art. 9 della L. 192/1998. La norma presume infatti l’esistenza di una dipendenza economica quando un’impresa utilizza i servizi di una piattaforma digitale che è determinante per raggiungere gli utenti finali o i fornitori.

Per l’Autorità l’assenza di contenuti musicali SIAE sulle piattaforme META era penalizzante per gli autori e metteva la SIAE in una posizione di debolezza, senza alternative di mercato.

L’AGCM inoltre aveva rilevato l’abuso di META perché in sostanza ostacolava il ricorso ad altri fornitori.

META ricorreva quindi contro la decisione di AGCM e la vicenda giungeva davanti al Consiglio di Stato.

Consiglio di Stato: SIAE non dipende economicamente da META

Il Consiglio di Stato ha esaminato vari aspetti del ricorso di META contro la sentenza del TAR Lazio.

Per prima cosa ha rilevato che l’AGCM ha fondato la sua decisione su un presupposto errato. La negoziazione infatti riguardava solo la raccolta di contenuti protetti dalla SIAE nell’Audio Library di META e non la concessione della licenza per la diffusione ai consumatori finali.

La non disponibilità di questi contenuti all’interno della Audio Library non impediva quindi la condivisione sui social network di quei contenuti che avevano un sottofondo musicale premontato. Per il Consiglio di Stato META inoltre non aveva un ruolo di intermediario, per cui l’assenza di un accordo con la SIAE non era di ostacolo alla fruibilità dei contenuti musicali sui social.

Il CdS inoltre ha ribaltato completamente l’affermazione dell’AGCM sulla presenza di alternative di mercato. Non è stato dimostrato infatti che gli utenti finali possano essere raggiunti solo tramite le piattaforme META. Meta non si è mai rifiutata di condividere le informazioni necessarie per valutare l’offerta. La stessa, a tale fine, aveva fornito una quantità significativa di dati.

Rinegoziazione: coerente con la Direttiva Copyright 790/2019

Il Consiglio di Stato in sentenza si è occupato inoltre dell’applicazione degli artt. 18 e 19 della Direttiva Copyright n. 790/2019, sottolineando come la rinegoziazione fosse coerente con la normativa europea, che richiede buona fede nello scambio di informazioni, senza ulteriori specificazioni.

Il CdS infine ha chiarito di non aver accertato in modo definitivo la posizione dominante di META nel mercato di riferimento e la condizione di dipendenza economica di SIAE. Questi aspetti dovranno essere valutati nel provvedimento finale dell’AGCM, quando si concluderà il procedimento principale.

 

Leggi anche le altre pronunce del Consiglio di Stato

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iscro indennità lavoratori autonomi

ISCRO: indennità lavoratori autonomi ISCRO (Indennità lavoratori autonomi): requisiti e come fare domanda dal 1° agosto al 31 ottobre 2024

ISCRO: cos’è

L’ISCRO (indennità lavoratori autonomi) è l’acronimo del termine Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa, un’indennità riservata a coloro che sono iscritti alla Gestione INPS e che hanno subito un decremento del reddito.

Riferimenti normativi

L’ISCRO è stata introdotta per gli anni 2021-2023 dai commi 386-400 dell’articolo 1 della legge di bilancio per il 2021 n. 178/2020 in via sperimentale. In seguito è entrata a regime grazie alla legge di bilancio per il 2024 n. 213/2023, ai sensi dei commi 142-155 dell’articolo 1.

ISCRO: requisiti necessari

Per poter beneficiare della misura il richiedente deve essere in possesso di determinati requisiti:

  • Essere titolare di partita Iva da almeno 3 anni nel momento in cui presenta la domanda. La partita Iva deve essere collegata all’attività per la quale è stata richiesta l’iscrizione alla gestione separata.
  • Essere un lavoratore autonomo professionale e abituale iscritto alla Gestione Separata INPS.
  • Essere in regola con il pagamento dei contributi previdenziali obbligatori INPS.
  • Non essere titolare del trattamento pensionistico diretto.
  • Non essere assicurato in altre forme previdenziali obbligatorie nel momento in cui presenta la domanda.
  • Non essere titolare dell’assegno di inclusione per tutto il periodo in cui beneficia dell’ISCRO, a pena di decadenza.
  • Essere titolare di un reddito derivante dallo svolgimento del lavoro autonomo e relativo all’anno precedente rispetto alla presentazione della domanda inferiore al 70% della media dei redditi derivanti dal lavoro autonomo dei 2 anni precedenti.
  • Aver dichiarato nell’anno anteriore a quello di presentazione della domanda un reddito non superiore ai 12.000 euro, che viene calcolato annualmente in base alla variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rispetto all’anno precedente.
  • Autocertificare i redditi prodotti negli ultimi 3 anni quando presenta la domanda se queste informazioni non sono già in possesso dell’Inps;
  • Partecipare a percorsi di aggiornamento professionale definiti dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.

Incompatibilità con altre misure

L’Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale Operativa non viene concessa se il soggetto richiedente:

  • è titolare di una pensione diretta;
  • percepisce già un’indennità di disoccupazione come la NASpI, la DIS-COLL, l’ALAS e l’indennità di discontinuità lavorativa prevista per i lavoratori dello spettacolo;
  • ricopre cariche elettive o politiche che prevedono il riconoscimento di indennità di funzione o di trattamenti economici diversi dal gettone di presenza.

Domanda ISCRO: come e quando

La domanda per richiedere l’ISCRO può essere presentata all’Inps dal 1° agosto al 31 ottobre 2024 nelle seguenti modalità:

  • tramite il contact center al numero 803164 per chi chiama da rete fissa (gratuito) o al numero 06164 164 per chi utilizza un device mobile (a pagamento in base alla tariffa dell’operatore);
  • in modalità telematica dopo avere effettuato l’accesso al portale INPS con le proprie credenziali (SPID, CIE 3.0, CNS);
  • attraverso i servizi telematici messi a disposizione dai patronati e dagli intermediari dell’istituto.

Attenzione: la misura non può essere richiesta nei due anni successivi rispetto a quello in cui il richiedente ha iniziato a beneficiare della misura.

Vai alla pagina del servizio sul sito Inps

ISCRO: decorrenza e durata

L’ISCRO viene erogata per la durata di sei mesi dal giorno successivo rispetto alla data di presentazione della domanda.

Importo ISCRO

L’importo mensile stabilito per l’indennità ISCRO non può essere inferiore a 250 euro e non può superare gli 800 euro.

Per stabilire l’importo spettante vengono presi come riferimento i redditi dei due anni che precedono quello della richiesta. Si calcola poi la media dei due redditi annuali dividendoli per due. Una volta ottenuto il reddito medio annuale lo si divide ancora per 2 per stabilire il reddito medio semestrale. La media del reddito semestrale così ottenuto viene infine moltiplicata per il 25%.

Regime fiscale e contributivo dell’indennità

L’ Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa non è considerata una voce di reddito per il beneficiario e non comporta l’accredito della contribuzione figurativa.

ISCRO: quando si perde

Il diritto all’indennità ISCRO si perde quando il beneficiario:

  • chiude la partita IVA mentre viene erogata l’indennità;
  • diventa titolare di una pensione diretta;
  • si iscrive ad altre forme previdenziali obbligatorie;
  • acquisisce la titolarità dell’assegno di inclusione.

Per maggiori dettagli leggi la Circolare INPS n. 84/2024

 

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reato somministrare farmaci

Reato somministrare farmaci non necessari agli animali Per la Cassazione, somministrare farmaci non necessari configura il reato di maltrattamenti perchè il diritto alla salute dell'animale include anche il benessere psichico

Reato di maltrattamento somministrare farmaci performanti

Reato somministrare farmaci non necessari agli animali. La Cassazione amplia (con la sentenza n. 24257-2024) gli importanti concetti della salute e del benessere dell’animale che non si limita solo alla salute fisica, ma include anche il benessere psichico. L’animale, in quanto essere senziente, deve godere di una qualità di vita che gli consenta di esprimere i suoi comportamenti naturali, compatibilmente con le sue caratteristiche. Ne consegue che somministrare farmaci agli animali in assenza di una necessità medica non rientra nel concetto di benessere e di salute dell’animale.  

Dannosi per la salute dell’animale i farmaci dopanti

Queste pratiche mirano infatti a perseguire obiettivi ben lontani dall’esigenza di tutelare la salute dell’animale. L’animale viene esposto a situazioni di stress e a rischi, che ne compromettono lo stato psicofisico. Somministrare sostanze dopanti ai cavalli in buona salute li sottopone a stress continui e pericoli. Questa condotta realizza infatti il reato di maltrattamento degli animali di cui all’articolo 544 del codice penale come aveva già precisato in una precedente pronuncia la Cassazione.

Nel caso specifico, l’imputato è stato accusato di aver somministrato farmaci antinfiammatori ai propri cavalli  solo per migliorarne le prestazioni sportive. Gli animali infatti non presentavano alcuna patologia che richiedesse la cura farmacologica che è stata somministrata a loro.

Salute dell’animale: dannoso anche lo stress

La giurisprudenza più recente dimostra di riconoscere sempre di più la sensibilità psico-fisica degli animali. Non si devono punire solo gli atti che offendono il comune sentimento di pietà verso gli animali. Le condotte che assumono rilievo penale sono anche quelle che provocano dolore, stress e afflizione. Questo cambiamento ideologico nasce da una crescente consapevolezza e visione degli animali come esseri viventi meritevoli di tutela diretta, non solo di compassione umana.

Doping equino: maltrattamento dannoso

Gli Ermellini hanno stabilito che il doping equino, ossia l’uso di agenti esogeni o manipolazioni cliniche senza le necessarie indicazioni terapeutiche per migliorare le prestazioni, rappresenta un danno per la salute dell’animale e, quindi, una forma di maltrattamento penalmente rilevante. La legislazione penale, soprattutto dopo la disciplina del 2004 che ha posto divieto di usare violenza sugli animali, prevede sanzioni specifiche per queste pratiche.

Salute dell’animale: più garanzie

Per la Cassazione la Corte d’Appello ha correttamente rilevato come la somministrazione ingiustificata di antinfiammatori ai cavalli, incidendo sulle loro prestazioni, pregiudichi la loro salute psicofisica. Sottoporre i cavalli a faticosi allenamenti dopo queste somministrazioni di farmaci aggrava ancora di più la loro condizione. Queste pratiche rappresentano in conclusione un grave maltrattamento, soprattutto quando gli animali dipendono dall’uomo e vengono sottoposti a stress insopportabili per la loro specie.

La sentenza della Corte di Cassazione compie insomma un ulteriore passo avanti nella tutela del benessere animale. Essa riconosce l’importanza di garantire agli animali la salute fisica, ma anche quella mentale, condannando fermamente le pratiche di doping equino.

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condomino trasferito senza avviso

Condomino trasferito senza avviso: l’amministratore non ha colpa Se il condomino si è trasferito senza avvisare, non è responsabile l'amministratore della mancata convocazione all'assemblea condominiale

Condomino trasferito senza avviso: mancata convocazione

Un condomino si è trasferito senza avvisare, l’amministratore non è responsabile della mancata convocazione. La mancata comunicazione del trasferimento non consente infatti all’amministratore di aggiornare il registro anagrafico. Le comunicazioni effettuate al condominio all’indirizzo risultante dal registro devono quindi  considerarsi regolarmente perfezionate. Lo ha stabilito il Tribunale di Rieti nella sentenza n. 329-2024.

Mancata convocazione in assemblea

Un condominio ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti di un singolo condomino per recuperare il mancato pagamento delle spese condominiali. Il condomino si oppone alla richiesta, il Giudice di Pace respinge l’opposizione e il soccombente impugna la decisione in appello davanti al Tribunale competente. Il condomino nell’appellare la decisione fa presente in uno dei motivi, di non aver ricevuto la convocazione all’assemblea nel corso della quale era stato approvato il bilancio che giustificava le voci di spesa richieste in pagamento. Lo stesso precisa anche che la convocazione all’assemblea era stata inviata con raccomandata con ricevuta di ritorno alla sua vecchia residenza. Lo stesso però non aveva ritirato la raccomandata perché si era trasferito precedentemente in un’altra casa, come emerso anche dal certificato storico del Comune.

Il condomino evidenzia di non aver avuto conoscenza neppure del verbale di assemblea, che gli è stato inviato con plico a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, anche questo presso la vecchia residenza e anche in questo caso non ritirato per compiuta giacenza. Lo stesso lamenta infine il mancato ricevimento della raccomandata con cui il Condominio ha sollecitato il pagamento dell’importo per cui è causa. Sollecito non ritirato sempre per compiuta giacenza perché anche questo notificato in una residenza diversa.

Delibera annullabile: assemblea non costituita da tutti i condomini

Queste le ragioni per le quali il condomino richiede l’annullamento della delibera assembleare, che ha approvato la spesa richiesta poi in pagamento con decreto ingiuntivo. Nello specifico il condomino afferma la mancata costituzione dell’assemblea da parte di tutti gli aventi diritto. Lo stesso osserva infine che la mancata comunicazione delle delibere nei suoi confronti non ha determinato la decorrenza del termine dei 30 giorni previsti dalla legge per chiedere l’annullamento della decisione condominiale.

Amministratore senza colpa se il condomino si trasferisce

Il Tribunale non accoglie le doglianze del condomino perché non sono condivisibili alla luce della normativa condominiale. L’introduzione dell’anagrafe condominiale (art. 1130 n. 6 codice civile) ha posto in capo all’amministratore l’obbligo di annotare sullo stesso i dati anagrafici dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e personali di godimento, comprese le variazioni. A tale compito l’amministratore deve provvedere direttamente o a spese del singolo condomino se questo soggetto non provvede a comunicare i dati e le variazioni.

Condomino: obbligo di comunicare i cambi di indirizzo

Il condomino deve comunicare eventuali variazioni entro 60 giorni in forma scritta. In caso di ritardo o di inerzia l’amministratore può richiedere con lettera raccomandata i dati necessari per aggiornare il registro. Nell’ipotesi invece di risposta incompleta od omessa entro 30 giorni dalla richiesta, l’amministratore può acquisire personalmente le informazioni necessarie addebitando il costo al singolo condomino.

Se quindi da un alto l’amministratore deve tenere e aggiornare regolarmente il registro di anagrafe condominiale, dall’altra il singolo condomino deve comunicare con tempestività all’amministratore il suo trasferimento in un altro domicilio. La mancata comunicazione della variazione da parte del condomino determina il regolare perfezionamento della comunicazione all’indirizzo che risulta dal registro dell’anagrafe. Il condomino quindi, in questi casi, è l’unico responsabile della mancata ricezione. Non si può esigere in capo all’amministratore una continua e costante verifica in ordine all’esistenza o meno di trasferimenti di residenza di ciascun singolo condomino, specie alla luce dell’obbligo di cui sopra gravante sui condomini, che fa presumere la piena idoneità dell’indirizzo già comunicato alla ricezione delle comunicazioni, in assenza di successiva comunicazione di variazione del medesimo”. 

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danno biologico nuovi importi

Danno biologico: nuovi importi per le lesioni di lieve entità Danno biologico: nuovi importi per le lesioni di lieve entità successive a sinistri derivanti dalla circolazione di veicoli a motore e natanti

Danno biologico di lieve entità: in Gu il decreto del Mimit

Danno biologico, nuovi importi per le lesioni di lieve entità. Sulla GU Serie Generale n. 173 del 25 luglio 2024 è stato pubblicato il decreto del 16 luglio 2024 del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Il decreto attua l’articolo 139 comma 5 del Codice delle Assicurazioni Private, che prevede l’aggiornamento annuale con decreto del Mimit, degli importi del risarcimento del danno biologico riportato in conseguenza della circolazione dei veicoli a motore e dei natanti.

L’aggiornamento dell’importo avviene nella misura corrispondente alla variazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo delle famiglie di operai e impiegati, così come accertata dall’ISTAT.

Danno biologico: cos’è

Il danno biologico consiste nella lesione del fisico o della mente suscettibile di accertamento medico legale. Esso deve essere risarcito in quanto l’integrità fisica e psichica della persona sono beni garantiti dall’articolo 32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute.

Vai alla nostra guida legale sul Danno biologico

Lesioni lieve entità: nuovi importi 2024

Il decreto del Mimit, composto di un solo articolo, premette che dover adeguare gli importi del precedente decreto del Mimit del 16 ottobre 2023, applicando l’aumento dello 0,8%, pari alla variazione annuale dell’indice ISTAT sopra indicato.

Alla luce di questa variazione il decreto modifica gli importi indicati dall’articolo 139, comma 1 del Codice delle assicurazioni, a decorrere da aprile 2024.

  • Il valore del primo punto di invalidità è di Euro 947,30; 
  • L’importo previsto per ogni giorno di inabilità assoluta è invece di Euro 55,24.

Importi danno biologico lieve entità 2023

Per mera completezza si ricorda che il decreto dello scorso anno del 16 ottobre 2023, aveva fissato gli importi per il risarcimento del danno biologico (lesioni di lieve entità riportate in conseguenza della circolazione di veicoli e natanti) nelle seguenti misure:

  • Euro 939,78, per quanto riguarda l’importo relativo al valore del primo punto di invalidità.
  • Euro 54,80, per quanto riguarda l’importo relativo a ogni giorno di inabilità assoluta.

Messaggi WhatsApp: stesse garanzie della corrispondenza Messaggi WhatsApp: se conservati in memoria finché non diventano documenti storici hanno le stesse garanzie costituzionali della corrispondenza

Messaggi WhatsApp natura di corrispondenza

I messaggi WhatsApp hanno le stesse garanzie della corrispondenza. Messaggi ed SMS che vengono conservati nella memoria di un telefono cellulare conservano, infatti, la natura di “corrispondenza” anche dopo che il destinatario li abbia ricevuti. Questo tipo di qualificazione perdura fino a quando i messaggi non perdono il carattere di attualità e di interesse alla riservatezza, trasformandosi in “documenti storici”.

L’acquisizione di tali messaggi deve avvenire quindi nel rispetto delle procedure  previste dalla Costituzione relative al sequestro della corrispondenza  tradizionale come le lettere e i biglietti chiusi. Lo ha sancito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25549-2024.

Sul valore probatorio dei messaggi WhatsApp leggi anche WhatsApp: è prova nel processo

Mancato rispetto delle regole di acquisizione

Un imputato, condannato per i reati di traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti,  contesta l’acquisizione dei messaggi WhatsApp presenti sul suo cellulare. Chi ha provveduto all’acquisizione non avrebbe rispettato le regole procedurali.

L’accusa si basa sul contenuto di questi messaggi, che la polizia giudiziaria avrebbe acquisito senza rispettare la disciplina del sequestro della corrispondenza. La polizia avrebbe dovuto infatti consegnare gli oggetti di corrispondenza all’autorità giudiziaria senza aprirli o alterarne il contenuto, trasmettendoli intatti al P.M. per l’eventuale sequestro.

Messaggi WhatsApp non sono intercettazioni

La Corte di Cassazione, davanti alla quale è giunta la vicenda processuale, chiarisce che l’acquisizione dei messaggi WhatsApp che vengono conservati su un dispositivo elettronico non può essere considerata come un’”intercettazione”.

Per la Corte costituzionale, questi tipi di messaggi rientrano nella nozione ampia di “corrispondenza”. Questa nozione comprende infatti qualsiasi forma comunicazione del pensiero umano e prescinde dal mezzo tecnico utilizzato. La Costituzione, come noto, garantisce a tutti i cittadini la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. La violazione della corrispondenza è consentita solo se disposta dall’Autorità giudiziaria con un atto  motivato.

Corrispondenza anche dopo che il destinatario li abbia letti e ricevuti

La Cassazione però si spinge oltre. Esclusa infatti la nozione di intercettazione, la Corte Suprema affronta la questione relativa alla natura dei messaggi elettronici. Gli stessi conservano la natura di corrispondenza anche dopo che il destinatario li abbia ricevuti e letti?

Gli Ermellini su detta questione precisano che esistono due correnti interpretative differenti.

  • La prima sostiene che la corrispondenza, una volta letta, diventa un semplice documento, la cui acquisizione processuale non rientra né nella disciplina delle intercettazioni né in quella del sequestro della corrispondenza.
  • La seconda invece afferma che i messaggi conservano la natura di corrispondenza finché risultano attuali e di interesse per i corrispondenti, perdendo tale qualifica quando diventano “documenti storici”.

Messaggi WhatsApp: corrispondenza se attuali e di interesse

La Suprema Corte ritiene corretta questa seconda interpretazione, per cui la natura di corrispondenza non si perde con la ricezione del messaggio, ma permane finché lo stesso conserva rilevanza per i corrispondenti. Nel caso di specie la polizia giudiziaria non ha violato la disciplina sul sequestro della corrispondenza. Essa si è limitata infatti a sequestrare lo smartphone per poi consegnarlo all’autorità giudiziaria, ma non ha mai acceduto ai contenuti dei messaggi.

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anatocismo vietato

Anatocismo vietato senza se e senza ma La Cassazione ha ricordato che l'anatocismo è vietato a prescindere dalla delibera CICR ponendo fine al dibattito sorto in dottrina e giurisprudenza

Anatocismo vietato dal 1° dicembre 2014

Anatocismo vietato senza se e senza ma dal 1° dicembre 2014. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 21344-2024, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di contratti bancari, l’art. 120, comma 2, t.u.b., come sostituito dall’art. 1, comma 629, L. n. 147 del 2013, fa divieto di applicazione dell’anatocismo a far data dal 1 dicembre 2014 e tale prescrizione è da ritenersi operante indipendentemente dall’adozione, da parte del CICR, della delibera, prevista da tale norma, circa le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”.  

Capitalizzazione trimestrale degli interessi illegittima

La vicenda risolta dalla Suprema Corte di Cassazione ha inizio quando l’Associazione movimento consumatori contesta la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi applicata da alcune banche locali dopo il 1° gennaio 2014.

Per l’Associazione tale pratica è del tutto illegittima perché contraria agli interessi dei consumatori e ai principi di trasparenza, equità e correttezza da rispettare nella stipula di qualsiasi contratto. Per tutte le ragioni suddette l’Associazione attrice chiede la restituzione degli interessi maturati o il ricalcolo dei saldi senza l’applicazione dell’anatocismo.

Le banche convenute contestano le richieste. A loro dire la norma modificata nel 2014 non può essere applicata per la mancata emanazione dei provvedimenti attuativi del CICR.

Anatocismo vietato immediatamente o previa delibera CICR?

La Cassazione risolve la controversia fornendo la corretta interpretazione della normativa del 2013. La stessa infatti, secondo gli Ermellini, ha generato un acceso dibattito su due fronti perché non è chiaro se:

  • abbia definitivamente vietato l’anatocismo bancario;
  • tale divieto fosse immediato o subordinato a una delibera del CICR.

Anatocismo vietato: chiara la legge del 2013

La Cassazione chiarisce che la norma del 2013, diversamente da quella del 1999, non contiene più un riferimento esplicito agli “interessi sugli interessi”. La stessa si limita infatti a menzionare la produzione di interessi. Il testo, anche se formulato in modo non preciso, vieta chiaramente l’anatocismo. Del resto questa conclusione è del tutto conforme con l’intenzione del legislatore di mettere la parola “fine”al fenomeno della produzione di interessi nei periodi successivi da parte degli interessi capitalizzati.

La Cassazione precisa quindi che l’articolo 120, comma 2 del Testo Unico Bancario, modificato nel 2013, preclude ogni forma di anatocismo, non solo quella successiva alla prima capitalizzazione.

Le banche contro le quali ha agito l’Associazione movimento consumatori non potevano pertanto continuare a capitalizzare gli interessi dopo l’entrata in vigore della nuova normativa nel 2013. Il divieto di applicare gli interessi anatocistici, previsto dall’art. 1283 del codice civile è stato ripristinato per i contratti bancari.

La nuova norma inoltre non richiede ulteriori interventi da parte del CICR, rendendo superfluo qualsiasi completamento normativo in merito.

Divieto di anatocismo dal 1° dicembre 2014: non serve la delibera CIRC

In conclusione per la Suprema Corte l’articolo 120, comma 2 del Testo Unico Bancario, come modificato dalla legge n. 147/2013, vieta lanatocismo a partire dal 1° dicembre 2014. Tale divieto è efficace indipendentemente dall’adozione di una delibera CICR. Questo principio chiarisce in modo definitivo la normativa. Illegittima la pratica della capitalizzazione degli interessi passivi successivamente alla data indicata.

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decreto liste attesa sanità

Decreto liste d’attesa: legge in vigore La legge di conversione del decreto liste d’attesa in vigore dal 1° agosto 2024 istituisce una piattaforma nazionale delle liste di attesa e per ridurre i tempi prevede visite ed esami nei weekend

Decreto liste d’attesa, legge in vigore dal 1° agosto

La legge n. 107/2024 di conversione del decreto liste d’attesa (dl 73/2024) è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 luglio per entrare in vigore il 1° agosto 2024.

Il testo, che reca le misure necessarie per ridurre i tempi delle liste d’attesa in ambito sanitario è aveva ricevuto il via libera dal Senato il 18 luglio e il sì definitivo della Camera il 24 luglio 2024.

Tante le novità per rendere più efficiente il sistema sanitario, compreso il superamento del tetto di spesa destinato al personale sanitario a partire dal 2025, la piattaforma nazionale per le liste d’attesa e la previsione in agenda per il CUP delle prestazioni offerte dal settore pubblico e privato convenzionato. Visite ed esami potranno essere effettuati anche durante il weekend.

Vediamo più in dettaglio le misure più importanti.

Prenotazioni delle prestazioni sanitarie

Gli erogatori dei servizi sanitari pubblici e quelli privati accreditati avranno come punto di riferimento per le prenotazioni il CUP, che è unico a livello regionale o infraregionale.

Incentivata l’adozione di soluzioni digitali da parte delle regioni e delle province al fine di agevolare la prenotazione delle visite e il pagamento dei ticket in autonomia da parte dei pazienti.

Sanzioni mancato rispetto prenotazioni

Presso i CUP è prevista l’attivazione di un sistema di disdetta delle prenotazioni per ricordare la data dell’erogazione e consentire al paziente di confermare o cancellare l’esame o la visita da remoto almeno due giorni prima.

Per garantire il rispetto delle prenotazioni sarà possibile applicare, salvi casi di impossibilità sopravvenuta o forza maggiore, una sorta di sanzione che corrisponderà alla quota ordinaria di partecipazione al costo.

Visite ed esami anche nei weekend

Per ridurre i tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie le visite diagnostiche e specialistiche saranno effettuate anche il sabato e la domenica e la fascia oraria potrà essere prolungata. Prevista la possibilità di effettuare aperture straordinarie anche dei centri trasfusionali nel pomeriggio e nei giorni festivi. Il decreto mira inoltre a garantire il corretto equilibrio tra attività istituzionale e  libero professionale all’interno delle aziende sanitarie ospedaliere.

Nasce la piattaforma nazionale delle liste d’attesa

Istituita la piattaforma nazionale delle liste dattesa al fine di realizzare l’interoperabilità tra le varie piattaforme regionali e delle province autonome. Questo strumento di governo delle liste di attesa vuole realizzare il potenziamento del portale della trasparenza, come richiesto dal piano nazionale di ripresa resilienza.

Grazie alla piattaforma si potrà garantire maggiore efficienza del monitoraggio a livello nazionale, la piattaforma inoltre potrà orientare la programmazione dell’offerta attraverso il controllo aggiornato delle agende disponibili e di quelle accessibili alla prenotazione tramite il CUP.

Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria

Il provvedimento istituisce l’Organismo di verifica e controllo sullassistenza sanitaria presso il Ministero della salute. Tale organismo svolgerà  le proprie attività sulla base di una programmazione annuale e potrà avvalersi del supporto del comando dei Carabinieri per la tutela della salute tramite l’accesso alle aziende e agli enti del servizio sanitario nazionale, alle aziende ospedaliere universitarie, ai policlinici universitari, agli erogatori di servizi sanitari privati e agli istituti di ricovero e cura di carattere scientifico per verificare eventuali disfunzioni emerse dal controllo dell’agenda di prenotazione. Quanto emergerà dai controlli verrà comunicato al responsabile unico regionale dellassistenza sanitaria che deciderà le modalità di intervento.

Il Ruas

A livello regionale sarà il Ruas ad avere la responsabilità del rispetto dei criteri di efficienza stabiliti per l’erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie e sul funzionamento della gestione delle liste di attesa e dei piani per il recupero delle liste stesse. Ogni tre mesi il Ruas dovrà redigere e inviare un rapporto di monitoraggio delle prestazioni critiche e delle liste d’attesa all’Organismo segnalando le problematiche e indicando gli interventi effettuati.

Assunzione personale sanitario

Nel 2024 e fino all’adozione di decreti specifici l’importo di spesa per il personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale delle regioni già autorizzati per il 2023 saranno incrementati ogni anno del 10% dell’incremento del fondo sanitario regionale rispetto all’anno precedente, e su richiesta di un ulteriore 5%.

Dal 2025 con uno più decreti verrà definita una metodologia per individuare il fabbisogno di personale degli enti che compongono il servizio sanitario nazionale. Alle regioni spetterà il compito di predisporre il piano dei fabbisogni triennali.

Più assistenza e più attenzione alla salute mentale

Per le regioni destinatarie del Programma Nazionale Equità nella Salute 2021-2027, il Dl Sanità definisce un piano che si pone l’obiettivo di rafforzare le capacità di erogazione dei servizi sanitari e incrementare i servizi sanitari e sociosanitari sul territorio.

Detto piano d’azione individua, in relazione ai servizi sanitari e sociosanitari erogati presso il domicilio o in ambulatorio e alle attività svolte dai Dipartimenti di salute mentale, iniziative destinate al rafforzamento e all’ammodernamento dei servizi dedicati alla cura della salute mentale e agli screening oncologici.

Leggi anche Liste d’attesa: il piano del Governo

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Reddito di cittadinanza: discriminante chiedere la residenza Per la Corte UE, il requisito della residenza di 10 anni richiesto per ottenere  il reddito di cittadinanza discrimina i cittadini stranieri

Reddito cittadinanza: discriminante la residenza per gli stranieri

Il requisito della residenza di 10 anni (di cui gli ultimi due necessariamente continuativi), richiesto dalla legge che disciplina il reddito di cittadinanza (decreto legge n. 4/2019 convertito dalla legge n. 26/2020) è discriminante per gli stranieri. Incompatibili con la disciplina UE anche le sanzioni penali previste per le false dichiarazioni relative al suddetto requisito della residenza. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia UE nella sentenza emessa in relazione alle cause C-112/22 e C-223/22.

Reddito di cittadinanza: accusa di falso per il requisito della residenza

La vicenda ha inizio perché due cittadine straniere vengono accusate di aver dichiarato il falso in relazione al requisito della residenza di 10 anni necessario per ottenere il reddito di cittadinanza.

Per il Tribunale di Napoli competente la normativa italiana sul reddito di cittadinanza, che richiede il requisito della residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, è discriminante per gli stranieri, anche se titolari di un permesso per soggiornanti di lungo periodo, rispetto ai cittadini italiani.

Il requisito della residenza per lo straniero viola la parità di trattamento?

Il Tribunale di Napoli, nell’ambito dei procedimenti penali a carico delle due donne, si rivolge quindi alla quindi Corte di Giustizia UE per chiedere la corretta interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d) della Direttiva UE 2003/109 sullo status dei cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo, in quanto lo stesso prevede che: “Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda: d) le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale.” 

Il Tribunale ha il dubbio che la normativa italiana sul reddito di cittadinanza, nel richiedere il requisito della residenza di 10 anni, di cui gli ultimi due continuativi ai cittadini stranieri per accedere alla misura, sia contraria all’articolo 11 della Direttiva UE 2003/109, dedicato alla “parità di trattamento” se letto anche alla luce dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che garantisce l’accesso alle prestazioni sociali a coloro che risiedono o si spostino legalmente sul territorio dell’Unione Europea.

Requisito della residenza discrimina gli stranieri

In risposta alla questione sollevata dal Tribunale di Napoli la Corte UE chiarisce che il requisito della residenza di 10 anni, di cui gli ultimi due continuativi rappresenta in effetti una forma di disseminazione indiretta nei confronti dei cittadini stranieri, che colpisce comunque anche i cittadini italiani che fanno ritorno in Italia dopo un periodo di residenza in un altro paese UE.

Risulta incompatibile con il diritto UE però anche la norma che prevede sanzioni penali nei confronti di coloro che dichiarano il falso in relazione al requisito della residenza necessario per accedere al reddito di cittadinanza.

Per questo la Corte UE, nel rispondere al quesito del Tribunale di Napoli dichiara che “Larticolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, letto alla luce dellarticolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea, devessere interpretato nel senso che: esso osta alla normativa di uno Stato membro che subordina laccesso dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, lassistenza sociale o la protezione sociale al requisito, applicabile anche ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in detto Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, e che punisce con sanzione penale qualsiasi falsa dichiarazione relativa a tale requisito di residenza”. 

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Va licenziato chi stampa troppo in ufficio? Per la Cassazione, scatta la sanzione conservativa per la dipendente che usa la stampante dell'ufficio per uso personale

Stampa troppo in ufficio: esagerato il licenziamento

Va licenziato chi stampa troppo in ufficio per motivi personali? Ebbene no, la Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento, ma attenzione la condotta non resta impunita.

Nel caso posto all’attenzione degli Ermellini il contratto collettivo nazionale contempla la misura conservativa della multa per mancato adempimento dell’obbligo di osservare scrupolosamente i doveri d’ufficio e conservare con la dovuta diligenza il materiale dell’azienda. Illegittimo quindi il licenziamento perché non rispettoso del principio di proporzionalità. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 20698/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la dipendente di una fondazione viene licenziata perché, senza alcuna autorizzazione, ha usato la stampante aziendale per scopi personali.

Il Tribunale accoglie il ricorso, dichiara illegittimo il licenziamento, conferma la risoluzione del rapporto di lavoro e dispone in favore della donna l’indennità risarcitoria da 12 a 18 mensilità dell’ultima retribuzione.

Licenziamento illegittimo per la Corte d’Appello

La Corte d’Appello, pur rilevando la violazione dell’art. 220 CCNL, conferma l’illegittimità del licenziamento e quantifica in 18 mesi l’indennità dovuta alla lavoratrice perché la condotta tenuta non è così grave da giustificare l’espulsione.

Parola alla Cassazione

La decisione viene impugnata dalla dipendente in sede di legittimità per contestare la mancata applicazione della sanzione conservativa della multa.

La datrice di lavoro resiste con controricorso, contestando l’affermata illegittimità del licenziamento irrogato.

Principio di proporzionalità e sanzione conservativa

Per gli Ermellini, è fondato il terzo motivo del ricorso principale sollevato dalla lavoratrice. La sentenza impugnata non è infatti conforme al principio di diritto in base al quale “in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dallarticolo 18 commi 4 e 5 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, come novellata dalla legge numero 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca lillecito con sanzione conservativa anche laddove si espressa attraverso clausole generali o elastiche”.  

Riprendendo la pronuncia della Cassazione n. 13744/2022 la condotta del lavoratore che esegue con negligenza il lavoro affidato non rientra tra quelle caratterizzate da una gravità tale da comportare il licenziamento disciplinare contemplato dall’art. 225 del CCNL Terziario, Distribuzione e servizi del 18 luglio 2008.

Tale condotta deve quindi essere sanzionata in via conservativa con una multa, nei limiti di attuazione del principio di proporzionalità eseguito dalle parti sociali con la previsione indicata.

Dello stesso avviso gli Ermellini, la condanna non è talmente grave da giustificare il licenziamento, con la conseguente operatività della tutela prevista dal comma 4 dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

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