patente digitale

Patente digitale: dal 4 dicembre sull’App IO Patente digitale: dopo la fase di sperimentazione iniziata il 23 ottobre 2024 dal 4 dicembre è disponibile sulla App IO

Patente digitale: gli step

La Patente digitale ha iniziato il suo iter con la App IO mercoledì 23 ottobre 2024. Nella fase di test questo documento è stato messo a disposizione di 50.000 italiani. I componenti di questo primo gruppo sono stati selezionati in modo da garantire varietà di soggetti differenti per età, genere, zone geografiche e caratteristiche sociali.

Dal 6 novembre 2024 la patente digitale è stata estesa ad altri 250.000 italiani.

Dal mercoledì 4 dicembre 2024, conclusa la fase sperimentale, la patente digitale è finalmente a disposizione di tutti gli italiani sulla app IO.

Le direttive del Ministero

In vista della fase di sperimentazione della patente digitale il Ministero dell’Interno aveva pubblicato la circolare 300/STRAD/1/0000032079.U/2024 del 22 ottobre 2024.

In base a questo documento, dal 23 ottobre 2024, in occasione di eventuali controlli su strada, la patente di guida può essere mostrata agli addetti dal dispositivo mobile, soddisfacendo così l’obbligo di esibizione sancito dall’art. 180, comma 1, lett. b del Codice della Strada.

Patente digitale e IT Wallet

La patente digitale, insieme alla tessera sanitaria e alla carta europea della disabilità dal 4 dicembre 2024 è entrata a far parte dellIT Wallet, il Portafoglio elettronico presente sulla App IO.

Il percorso dell’IT Wallet è iniziato quando è entrato in vigore il DL PNRR il 2 marzo 2024, che ha istituito il Sistema di portafoglio digitale italiano, un sistema in continua evoluzione.

Al momento i documenti digitali del portafoglio elettronico confluiscono nella App IO, perché già presente su milioni di dispositivi mobili.

Nel tempo il sistema del portafoglio elettronico sarà esteso ai privati, che quindi potranno realizzare i propri IT Wallet.

Anche i documenti e i servizi del portafoglio elettronico sono destinati ad aumentare progressivamente e l’IT Wallet verrà integrato con altri servizi nuovi e utilissimi.

Si potrà accedere ad esempio al fascicolo sanitario personale e alla firma digitale. L’IT Wallet potrà poi comprendere servizi di pagamento, abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico e altro ancora.

La versione finale dell’IT Wallet consentirà ai cittadini di spostarsi su tutto il territorio nazionale con i documenti in formato digitale. Il Portafoglio digitale conterrà infatti anche il passaporto e la tessera elettorale. Per accedere ai servivi sarà necessario autenticarsi con le credenziali dello SPID o della Carta di identità elettronica.

 

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mobili sul pianerottolo

Mobili sul pianerottolo: vanno rimossi se ostacolano il passaggio   Mobili sul pianerottolo: vanno rimossi se il deposito prolungato impedisce agli altri condomini l’uso paritario dello spazio comune

Mobili sul pianerottolo: deposito illegittimo

Depositare mobili sul pianerottolo comune è illegittimo. La Cassazione lo ha precisato nell’ordinanza n. 30468/2024. La vicenda giudiziaria inizio quando diversi condomini decidono di depositare la loro mobilia nello spazio comune presente di fronte alle abitazioni e non provvedono più alla rimozione della stessa.

Violazione dell’uso paritario dello spazio comune

L’ azione legale viene intrapresa dal proprietario di due unità immobiliari comprese all’interno di due edificio condominiale contro altri condomini. Questi ultimi si sono resi responsabili di aver collocato mobili e arredi sui pianerottoli comuni, rendendoli di fatto utilizzabili. L’attore in causa chiede quindi la rimozione di questi oggetti e il ripristino dello stato dei luoghi. In primo grado, la domanda del ricorrente viene dichiarata inammissibile. La Corte d’Appello però ribalta la decisione, basandosi sui risultati di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU). La Corte condanna i convenuti alla rimozione dei mobili. Il deposito degli stessi è infatti illegittimo perché impedisce agli altri condomini un uso paritario degli spazi comuni.

Parti comuni condominiali: diritto all’uso paritario

Il caso approda in Cassazione. In questa sede i ricorrenti contestato l’interpretazione dei dati emersi dalla CTU. La Corte di Cassazione però respinge il ricorso, sottolineando l’assenza di un errore revocatorio. Il ricorso si basa in effetti su presunti errori di valutazione, che non rientrano tra le cause di revocazione ai sensi dell’articolo 395 c.p.c. Le critiche mosse dai ricorrenti riguardano valutazioni di merito, già esaminate nei precedenti gradi di giudizio. Tali critiche non costituiscono quindi un errore revocatorio, ma rientrano nell’ambito dell’errore di giudizio, non suscettibile di revisione.

Per la Corte di Cassazione il ricorso è pertanto inammissibile e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni per lite temeraria, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c. Il ricorso del resto è palesemente infondato ed evidenzia una grave negligenza, considerata la professionalità richiesta agli avvocati cassazionisti.

Uso delle parti comuni in condominio

La decisione della Corte Suprema chiarisce in sostanza un principio giuridico fondamentale per la convivenza condominiale, ossia che tutti i condomini hanno diritto a un uso paritario delle parti comuni. Il deposito di oggetti sui pianerottoli è illegittima perché viola il diritto di tutti i condomini di utilizzare liberamente gli spazi comuni. I condomini devono quindi agire con responsabilità, evitando utilizzi esclusivi o arbitrari degli spazi comuni.

 

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Diffamazione su WhatsApp: esclusa l’aggravante della pubblicità Diffamazione su WhatsApp: esclusa l’aggravante delle pubblicità, la chat conserva una sua riservatezza, non è un sito o un social media

Diffamazione su una chat di WhatsApp

Esclusa la diffamazione aggravata dal mezzo della pubblicità del messaggio offensivo su una chat di WhatsApp. Lo ha stabilito la sentenza n. 42783/2024 della Corte di Cassazione. La decisione ha stabilito infatti che l’invio di un messaggio offensivo su una chat di WhatsApp non comporta automaticamente l’applicazione dell’aggravante del “mezzo di pubblicità”. La sentenza chiarisce che l’uso di piattaforme come WhatsApp, anche se coinvolge numerosi partecipanti, non equivale a una comunicazione pubblica. La riservatezza intrinseca di queste chat limita la diffusività del messaggio e impedisce l’applicazione automatica di aggravanti legate alla pubblicità.

Militare assolto dal reato di diffamazione

Il caso di cui si sono occupati gli Ermellini riguarda un militare, accusato di aver diffamato una collega tramite un commento offensivo inviato a una chat WhatsApp denominata “181 ESEMPIO”, composta da 156 membri. Per l’accusa il numero di iscritti configura l’aggravante del “mezzo di pubblicità”, rendendo il reato procedibile d’ufficio. Tuttavia, il giudice di primo grado ha assolto l’imputato per “particolare tenuità del fatto” ai sensi dell’articolo 131 bis del codice penale.

La Corte Militare d’Appello ha confermato la condanna, sostenendo la natura pubblica della comunicazione nella chat. Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell’imputato ha sollevato tre punti: erronea identificazione della persona offesa, contraddittorietà nella qualificazione dell’offesa e impropria applicazione della legge riguardo alla presunta “pubblicità” del messaggio.

Aggravante della pubblicità inapplicabile

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso in merito all’errata applicazione dell’aggravante del mezzo di pubblicità. Secondo i giudici, una chat WhatsApp, seppur con numerosi iscritti, conserva una dimensione riservata e non può essere equiparata a strumenti come social network o siti web pubblici. La decisione si basa su un’analisi dettagliata delle caratteristiche tecniche della piattaforma. La sentenza distingue infatti i mezzi di comunicazione in grado di raggiungere un pubblico indeterminato dagli strumenti più circoscritti come le chat private.

Aggravante della pubblicità configurabile su social e siti web

Nelle piattaforme social, come Facebook, la diffusione di contenuti può teoricamente raggiungere un numero indefinito di utenti, configurando una “pubblicità” che giustifica l’applicazione dell’aggravante. Nel caso delle chat WhatsApp, invece, il messaggio è accessibile solo agli iscritti, i quali devono essere stati precedentemente accettati nel gruppo. Questa caratteristica preserva un elemento fondamentale di riservatezza, anche se il numero di membri può essere elevato. La Cassazione sottolinea che la diffusione di un messaggio all’interno di un gruppo chiuso non determina automaticamente la “perdita di riservatezza”. Con l’esclusione dell’aggravante, il reato contestato al militare è procedibile solo su querela di parte e non d’ufficio. La mancanza di una querela valida ha quindi portato all’annullamento senza rinvio della sentenza d’appello, rendendo improcedibile il caso.

 

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rivalutazione pensioni

Rivalutazione pensioni 2025: novità e limiti Rivalutazione pensioni 2025: incrementi dello 0,8%, minime a +1,90 euro al mese, dettagli su scaglioni, rivalutazione e prospettive future

Rivalutazione pensioni 2025: cosa prevede il decreto

Le pensioni italiane subiranno un modesto aumento nel 2025, frutto della rivalutazione legata all’inflazione. Lo ha stabilito il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanza del 15 novembre 2024, che disciplina la perequazione automatica delle pensioni a partire dal 1° gennaio 2025. I numeri rivelano incrementi esigui, sollevando dubbi sull’effettiva tutela del potere d’acquisto dei pensionati. Ecco quali cambiamenti porterà la rivalutazione pensioni 2025.

Cosa aspettarsi dalla rivalutazione

Nel 2025, le pensioni aumenteranno dello 0,8%, un valore determinato dal tasso d’inflazione registrato nel 2024. Questo incremento è tra i più bassi degli ultimi anni, influenzato dalla riduzione dell’inflazione rispetto ai picchi recenti. Gli assegni più alti tuttavia subiranno un trattamento differenziato, con aumenti ridotti progressivamente in base alla fascia di reddito.

Il ritorno al sistema a scaglioni

Dal 2025 si applicherà nuovamente il sistema a scaglioni, abbandonando quello a fasce utilizzato nel 2024. Ecco come saranno calcolati gli aumenti:

  • pensioni fino a quattro volte il minimo (fino a 2.394,44 euro lordi): aumento dello 0,8%;
  • tra quattro e cinque volte il minimo (da 2.394,45 a 2.993,04 euro): aumento dello 0,72%;
  • oltre cinque volte il minimo (sopra 2.993,05 euro): aumento dello 0,6%.

Il meccanismo consente un recupero parziale dell’inflazione per gli assegni più alti, con percentuali graduate.

Esempi pratici aumenti rivalutazione pensioni 2025

Gli incrementi mensili risultano molto contenuti. Una pensione da 1.000 euro lordi crescerà di 8 euro, mentre un assegno da 1.500 euro vedrà un incremento di 12 euro. Per redditi superiori, come una pensione da 4.000 euro, l’aumento sarà di circa 30 euro al mese.

Pensioni minime: incremento simbolico

Le pensioni minime subiranno un aumento simbolico. L’importo minimo passerà da 614,77 a 616,67 euro al mese, con un incremento netto di soli 1,90 euro mensili.

È importante notare che questo aumento non compensa la riduzione rispetto al 2024, quando era stato applicato un incremento straordinario del 2,7%. In totale, nel 2025 l’assegno minimo crescerà di soli 24,70 euro all’anno.

Differenze con gli anni precedenti

Gli aumenti pensionistici nel 2023 e nel 2024 erano stati più consistenti grazie a un’inflazione più alta. Nonostante ciò, gli assegni più alti avevano subito tagli più severi, con recuperi parziali dell’inflazione. Nel 2025, le percentuali di recupero saranno meno punitive, ma la base di calcolo limitata rende gli aumenti poco significativi.

Conguagli e possibili modifiche

Il dato dello 0,8% in ogni caso è provvisorio, calcolato sui primi tre trimestri del 2024. Eventuali variazioni negli ultimi mesi potrebbero portare a conguagli alla fine del 2025. Tuttavia, l’impatto complessivo su redditi bassi e medi resta modesto.

Prospettive per il futuro

Un’ulteriore questione riguarda le promesse politiche sulle pensioni minime. Forza Italia aveva annunciato di voler portare l’assegno minimo a 1.000 euro al mese entro il 2027, ma l’obiettivo appare sempre più lontano senza ulteriori interventi legislativi.

Considerazioni finali

L’aumento delle pensioni nel 2025 mostra limiti evidenti. Se da un lato il meccanismo di rivalutazione preserva parzialmente il potere d’acquisto, dall’altro gli incrementi rispecchiano un’inflazione moderata, che non compensa il costo della vita. Le pensioni minime, in particolare, continuano a soffrire di un aumento insufficiente rispetto alle promesse politiche. Il sistema rimane vincolato a parametri economici prudenti. Il dibattito sulla necessità di interventi più incisivi resta comunque aperto.

 

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affitti brevi

Affitti brevi: stop al check-in da remoto Affitti brevi: la circolare del Dipartimento della Pubblica Sicurezza estende il check-in diretto a locazioni brevi, scambio casa e Marina Resort

Affitti brevi: dubbi sulla sicurezza

L’aumento degli affitti brevi in Italia, accentuato da eventi culturali, religiosi e politici, come il prossimo Giubileo 2025, richiede una maggiore attenzione alla sicurezza pubblica. Questo contesto solleva criticità legate al check-in automatizzato, che consente l’accesso alle strutture senza identificazione personale diretta. Criticità alle quali la circolare n. 38138 del 18 novembre 2024 del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, fornisce la soluzione.

Key box: contrarie al TULPS

Questa prassi, basata sulla trasmissione telematica dei documenti e sull’uso di codici automatizzati o key box, solleva dubbi sulla sua conformità all’art. 109 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS).

L’art. 109 TULPS impone ai gestori di strutture ricettive di ospitare solo persone con un documento di identità valido, comunicandone i dati alle Questure entro 24 ore dall’arrivo (6 ore per soggiorni inferiori a un giorno).

Tale obbligo si estende ai locatori di immobili affittati per periodi inferiori a 30 giorni, secondo il combinato disposto del D.L. 113/2018 e successive modifiche.

La normativa mira a garantire la sicurezza pubblica, consentendo alle autorità di identificare tempestivamente gli alloggiati.

La Corte Costituzionale ha confermato la legittimità di queste disposizioni, sottolineando l’importanza di un controllo rapido e preciso per prevenire che persone pericolose o ricercate si nascondano in strutture ricettive.

Criticità del check-in automatizzato

Il check-in da remoto, privo di verifica personale diretta, rischia di violare la ratio dell’art. 109 TULPS. Dopo l’invio dei documenti online, non si può escludere infatti che l’alloggio venga occupato da individui non identificati, aumentando i rischi per la collettività.

Per garantire la sicurezza, i gestori devono verificare lidentità degli ospiti de visu e comunicare i dati alla Questura seguendo le modalità indicate nei Decreti Ministeriali del 7 gennaio 2013 e del 16 settembre 2021.

Check-in de visu anche per i Marina resort

Anche per le piattaforme come Home Exchange, utilizzate per scambi abitativi gratuiti, resta obbligatoria la registrazione dei dati degli ospiti sul portale “Alloggiati Web”. La mancata registrazione potrebbe favorire l’inserimento di dati falsi, rendendo difficile l’identificazione degli ospiti e compromettendo la sicurezza. Perciò, chi utilizza queste piattaforme deve rispettare gli stessi obblighi di identificazione e comunicazione.

Le stesse regole si applicano ai “Marina Resort”, strutture nautiche per turisti, equiparate a strutture ricettive per fini fiscali e di sicurezza. Ogni eccezione all’applicabilità dell’art. 109 TULPS a tali strutture risulta infondata.

L’obbligo di verificare personalmente lidentità degli ospiti è quindi essenziale per tutte le strutture ricettive. Le Prefetture e le Questure hanno il compito di sensibilizzare gli operatori e verificare il rispetto delle disposizioni, assicurandone l’applicazione uniforme. La collaborazione tra autorità locali, operatori del settore e associazioni di categoria è infatti cruciale per garantire la sicurezza pubblica.

 

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reato di truffa

Reato di truffa accodarsi all’auto davanti per non pagare Telepass Reato di truffa: integrato anche quando ci si accoda all’automobile che precede nella pista riservata al Telepass per non pagare il pedaggio 

Reato di truffa non pagare i pedaggi autostradali

Il reato di truffa punito dall’art. 640  c.p, rappresenta una fattispecie complessa che si configura anche quando, come nel caso di cui si è occupata la Cassazione nella sentenza n. 42760/2024, con più azioni dello stesso disegno criminoso, un soggetto compie più passaggi autostradali alla guida della propria auto accodandosi al veicolo che lo precede sulla pista riservata al Telepass per non pagare il pedaggio.

Il caso analizzato dagli Ermellini offre spunti di riflessione sulle dinamiche di questo reato, anche in relazione a provvedimenti cautelari e alla disponibilità dei beni strumentali.

Sequestro preventivo del mezzo

Il Giudice di primo grado si pronuncia su un caso di presunta truffa connessa al mancato pagamento di pedaggi autostradali. L’indagato, attraverso una serie di condotte illecite reiterate, avrebbe infatti evitato di pagare i pedaggi accodandosi ai veicoli sulla corsia riservata al Telepass. Questo comportamento, configurato come reato di truffa, è accompagnato dal sequestro preventivo dell’autovettura utilizzata per commettere il reato.

Istanza di dissequestro dell’auto dell’acquirente

Nella vicenda però è coinvolto anche un terzo soggetto, che ha acquistato l’auto utilizzata dall’indagato per commettere il reato e che per questo ha presentato istanza di dissequestro del mezzo. L’uomo, a supporto della sua domanda, sostiene la regolarità della compravendita e la sua estraneità al reato. Il Tribunale però rigetta la richiesta. Per l’autorità giudiziaria il contratto rappresenta un possibile espediente per eludere il vincolo reale sul bene.

Nessun contratto di comodo per l’acquisto dell’auto

La decisione viene portata all’attenzione della Corte di Cassazione. Il ricorrente sostiene che la compravendita era avvenuta in buona fede e prima che l’indagato fosse consapevole delle accuse a suo carico. La difesa denuncia un apparato motivazionale insufficiente e illogico del provvedimento con cui si è deciso di mantenere il sequestro, contestando la definizione del contratto come un accordo “di comodo”. Nell’impugnazione il ricorrente sottolinea inoltre l’assenza di trascrizione nei registri pubblici, da cui dovrebbe conseguire l’invalidazione del sequestro.

Sequestro opponibile al terzo

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, riaffermando alcuni principi giuridici fondamentali.

  • In materia di ricorsi contro provvedimenti cautelari reali, è possibile sollevare solo questioni di legittimità e non di merito. Nel caso in esame, le contestazioni avanzate si riferiscono invece soprattutto al merito della valutazione del Tribunale, quindi non esaminabili in sede di legittimità.
  • Il sequestro può essere opposto anche al terzo acquirente se emergono elementi che dimostrano la strumentalità del contratto rispetto al reato.
  • La mancata trascrizione del vincolo non influisce sulla validità del sequestro, poiché tale formalità ha natura meramente dichiarativa e non costitutiva.

Il caso richiama l’attenzione su fenomeni di micro-criminalità, come l’elusione dei pedaggi autostradali, che possono assumere rilevanza penale e comportare conseguenze significative, inclusa la perdita della disponibilità di beni apparentemente estranei al reato.

 

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Magistratura onoraria: la riforma La riforma della magistratura onoraria riceva il primo si della Camera: cambiano le regole su orari di lavoro, compensi e regime contributivo

Magistratura onoraria: primo sì della Camera

La riforma della magistratura onoraria (disegno di legge approvato il 4 giugno 2024 dal CDM) riceve 145 voti a favore della Camera dei deputati, nessuno ha espresso voto contrario, gli astenuti però sono stati 86.

Il provvedimento, emanato per scongiurare il deferimento alla Corte di Giustizia, passa ora al vaglio del Senato. Il testo introduce norme applicabili ai giudici onorari  in servizio alla data di entrata in vigore del Decreto legislativo n. 116/2017.

In Commissione il provvedimento di riforma ha subito diverse modifiche, vediamo quindi cosa prevede il testo attuale.

Vedi il dossier della Camera sulla riforma

Orario di lavoro e disciplina

Al Presidente del tribunale o al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale è riconosciuto il compito di definire il programma di lavoro dei magistrati onorari, fissando comunque un limite alla durata di lavoro settimanale. Detto programma deve essere elaborato nel rispetto delle indicazioni fornite dal Consiglio superiore della magistratura.

La durata dell’orario di lavoro:

  • non deve superare le 36 ore per ogni settimana per i magistrati che hanno optato per il regime di esclusività;
  • non deve superare le 16 ore per ogni settimana per i magistrati che non hanno optato per il regime di esclusività per assicurare la compatibilità con lo svolgimento di altre attività lavorative o professionali.

Compenso

Il compenso annuo spettante ai magistrati onorari confermati che svolgono le loro funzioni in via esclusiva, è di 58.840 euro, a cui si aggiunge un trattamento di fine rapporto.

Ai magistrati onorari che esercitano le funzioni in via non esclusiva, è corrisposto invece il compenso annuo di 25.000 euro (più elevato quindi rispetto agli iniziali 20.000 euro) oltre un trattamento di fine rapporto. A questi magistrati onorari spettano anche i buoni pasto nella misura spettante al personale dell’amministrazione giudiziaria, qualora venga superata la soglia delle sei ore di presenza all’interno dell’ufficio giudiziario.

Contributi e previdenza

Il provvedimento prevede specifiche disposizioni relative al regime contributivo e previdenziale.

  • I magistrati onorari confermati che svolgono l’attività in via esclusiva sono assicurati all’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, sono iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti dell’assicurazione generale obbligatoria dell’INPS e sono iscritti a specifiche forme di previdenza e assistenza sociale.
  • I magistrati onorari confermati che non esercitano in via esclusiva, invece, sono iscritti alla Gestione separata INPSe assicurati all’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Essi hanno anche titolo per l’iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e mantengono l’iscrizione alla Cassa medesima. Se svolgono invece attività lavorative aggiuntive, diverse da quella forense, conservano  il corrispondente regime contributivo in relazione ai compensi o alle retribuzioni percepiti per quelle attività.

Incompatibilità

Il magistrato onorario è incompatibile con il ruolo quando, nei 5 anni precedenti alla presentazione della domanda, abbia svolto in modo prevalente e abituale l’attività di avvocato  per conto di istituti e imprese di assicurazione, bancarie o di intermediazione finanziaria operanti nello stesso circondario in cui lo stesso opera.

Inalterata la causa di incompatibilità prevista in origine che impedisce ai magistrati onorari di svolgere la loro attività negli uffici giudiziari dello stesso circondario in cui il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini fino al primo grado, esercitano la professione di avvocato.

I magistrati onorari non possano inoltre essere assegnati allo stesso ufficio giudiziario nel quale esercitano la funzione di magistrato onorario il coniuge, i conviventi, la persona unita civilmente, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado.  

Rimessione nei termini e conferma

Prevista infine una procedura di rimessione nei termini per la richiesta di conferma nella magistratura onoraria, riservata ai magistrati onorari che non l’avevano ancora presentata.

Tale procedura è applicabile quando, all’esito delle procedure di conferma già concluse, residuano risorse disponibili e il CSM bandisce, con delibera, una nuova procedura di valutazione per un numero di posti corrispondente alle risorse disponibili.

I magistrati onorari non confermati per la mancata partecipazione alle prove valutative concluse o per aver rinunciato a sostenere il colloquio orale, anche in presenza di domanda di conferma,  possono fare domanda per partecipare alle nuove procedure valutative sino al compimento del settantesimo anno di età.

Per quanto riguarda l’opzione per l’esclusività, si prevede che i magistrati confermati possano chiedere di esercitare l’opzione entro il 31 luglio di ogni anno successivo a quello di immissione nel ruolo.

contratti di solidarietà

I contratti di solidarietà Contratti di solidarietà: cosa sono, come funzionano e come fare domanda per la decontribuzione  in scadenza il 10 dicembre 2024

Contratti di solidarietà: cosa sono e come funzionano

I contratti di solidarietà sono accordo tra un’azienda e i suoi dipendenti che prevedono una riduzione dell’orario di lavoro per tutti o parte dei lavoratori, in cambio di una riduzione proporzionale della retribuzione.

L’obiettivo è quello di evitare licenziamenti collettivi e di distribuire gli effetti negativi di una crisi su tutti i lavoratori, preservando al contempo il livello occupazionale.

Questi accordi rappresentano uno strumento importante nel panorama delle politiche del lavoro in Italia, concepiti proprio per affrontare le difficoltà economiche che possono colpire le aziende.

Il funzionamento di questi contratti prevede un accordo tra azienda e sindacati.

Normativa di riferimento

I contratti di solidarietà sono stati introdotti dalla Legge n. 863 del 1984, che ha introdotto la misura per evitare licenziamenti e sostenere l’occupazione.

La regolamentazione è stata ulteriormente integrata dal Decreto Legislativo n. 148 del 2015, che ha riordinato gli ammortizzatori sociali e ha disciplinato l’accesso ai benefici economici per le aziende che adottano contratti di solidarietà. Questi benefici includono la riduzione dei contributi previdenziali a carico dell’azienda e incentivi fiscali specifici.

La durata massima di questi accordi è generalmente limitata, con possibilità di proroghe previa approvazione ministeriale. Le aziende interessate devono presentare domanda al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per ottenere l’approvazione e l’accesso ai benefici previsti dalla legge.

Tipologie di contratti di solidarietà

Nel nostro ordinamento si distinguono principalmente due tipologie di contratti di solidarietà: difensivi ed espansivi.

  • I contratti di solidarietà difensivi mirano a evitare licenziamenti nelle aziende in crisi, riducendo l’orario di lavoro dei dipendenti e permettendo all’impresa di ridurre i costi del personale. Questa tipologia si applica solitamente nelle situazioni in cui l’azienda affronta difficoltà economiche temporanee, consentendo così una redistribuzione equa delle ore lavorative tra i dipendenti.
  • I contratti di solidarietà espansivi invece sono volti alla creazione di nuovi posti di lavoro tramite una riduzione collettiva e volontaria dell’orario lavorativo per favorire nuove assunzioni. Questo tipo di contratto è meno comune, ma risulta particolarmente utile in contesti aziendali in crescita che desiderano aumentare la loro forza lavoro senza incrementare significativamente i costi operativi.

Entrambe le forme offrono benefici sia ai lavoratori che alle imprese, promuovendo un clima di collaborazione e sostenibilità economica a lungo termine.

Campo di applicazione

I contratti di solidarietà trovano applicazione principalmente in contesti aziendali in cui si verifica una temporanea necessità di riduzione del costo del lavoro per evitare esuberi e mantenere l’occupazione. Questo strumento infatti è particolarmente utile per le aziende che attraversano periodi di difficoltà economica o ristrutturazioni.

Questi contratti possono essere applicati a diverse categorie di lavoratori, inclusi quelli del settore commercio e delle piccole imprese, sempre nel rispetto delle condizioni stabilite negli accordi sindacali. La corretta implementazione dei contratti di solidarietà richiede una condivisione degli obiettivi strategici da parte dell’azienda e dei suoi collaboratori, per garantire un buon equilibrio tra esigenze produttive e tutela occupazionale.

Aspetti economici e benefici per le aziende

Il regime di solidarietà che contraddistingue questi contratti aiuta a evitare licenziamenti, mantenendo il capitale umano all’interno dell’azienda e preparando il terreno per un’eventuale ripresa. Dal punto di vista economico questi accordi offrono anche vantaggi fiscali attraverso misure di defiscalizzazione che alleggeriscono il carico contributivo a carico delle imprese. Le aziende possono beneficiare anche di incentivi specifici previsti dalla legge, volti a favorire la stabilità occupazionale e a promuovere la coesione sociale. Inoltre, grazie agli accordi di solidarietà aziendale, è possibile migliorare il clima interno all’azienda, rafforzando il senso di appartenenza tra i lavoratori.

Questo tipo di contratto è particolarmente utile nelle situazioni in cui si prevede una ripresa delle attività produttive nel medio-lungo termine, permettendo alle aziende di conservare competenze e know-how fondamentali per la competitività futura.

Contratti di solidarietà e cassa integrazione: differenze

I contratti di solidarietà e la cassa integrazione rappresentano due strumenti distinti per fronteggiare situazioni di crisi aziendale o calo temporaneo dell’attività lavorativa.

I contratti di solidarietà sono accordi tra aziende e sindacati finalizzati alla riduzione dell’orario di lavoro per evitare licenziamenti. La cassa integrazione prevede il sostegno economico ai lavoratori sospesi o con orario ridotto tramite un intervento diretto dell’INPS.

I contratti di solidarietà, quindi, mirano a mantenere inalterato il numero dei dipendenti riducendo equamente l’orario e il salario, con l’obiettivo di conservare posti di lavoro e competenze all’interno dell’azienda. La cassa integrazione invece può comportare una sospensione totale del lavoro per alcuni dipendenti.

Inoltre, mentre i contratti di solidarietà possono prevedere incentivi fiscali per le aziende che li adottano, la cassa integrazione richiede un iter burocratico più complesso per l’accesso ai fondi pubblici.

Entrambi gli strumenti comunque presentano vantaggi specifici:

  • i contratti di solidarietà favoriscono una gestione condivisa della crisi a livello aziendale;
  • la cassa integrazione garantisce un sostegno immediato ai lavoratori durante periodi critici.

Domande per lo sgravio contributivo

Le domande per la riduzione dei contributi sui contratti di solidarietà 2024 sono aperte. Il Ministero del Lavoro con una informativa pubblicata sul sito istituzionale ricorda che i datori di lavoro coperti dalla CIGS che stipulano contratti di solidarietà difensivi possono beneficiare di una riduzione del 35% sui contributi a loro carico, calcolata sui lavoratori con riduzione dell’orario superiore al 20%. Lo sgravio è valido fino a 24 mesi nel quinquennio mobile.

Le imprese devono presentare domanda, tramite l’applicativo web “sgravicdsonlinetra il 30 novembre e il 10 dicembre 2024.

 

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permessi legge 104

Permessi legge 104: non c’è una data di scadenza I permessi ex legge 104 non hanno una data di scadenza, vengono meno se non sussistono i requisiti richiesti dalla legge

Permessi legge 104: nessuna scadenza automatica

I permessi retribuiti previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992 non hanno una data di scadenza prefissata. Tuttavia, il diritto alla fruizione rimane subordinato alla verifica continua della sussistenza dei requisiti richiesti. Questo principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, nella sentenza n. 30628/2024.

Richiesta permessi per assistere parente disabile

Il principio sancito dagli Ermellini chiude una vicenda che ha inizio quando un lavoratore chiede i permessi per assistere un congiunto con disabilità grave. L’INPS inizialmente concede l’autorizzazione, poi la limita a un periodo definito. La società datrice di lavoro chiede quindi il rimborso delle somme indebitamente erogate.  Per la società infatti il dipendente non aveva più diritto ai permessi. La Corte d’Appello accoglie le richieste dell’azienda, ma il lavoratore impugna la decisione, portando il caso davanti alla Cassazione.

I permessi della legge 104 non scadono automaticamente

La Suprema Corte chiarisce che il diritto ai permessi nasce con la presentazione della domanda amministrativa e il riconoscimento dell’ente previdenziale. Una volta accertato il diritto, questo non può essere arbitrariamente limitato nel tempo dall’INPS o dal datore di lavoro, a meno che non intervengano cambiamenti nei requisiti iniziali. I benefici previsti dalla Legge 104 non sono soggetti a “scadenza automatica”. Eventuali modifiche o revoche possono avvenire solo in caso di accertamenti successivi che dimostrino l’assenza dei presupposti di legge.

Onere del lavoratore: domanda corretta e completa

Il lavoratore ha l’onere di presentare una domanda amministrativa corretta e completa. Questa domanda è infatti un atto essenziale per accedere al beneficio. Essa permette all’INPS di verificare l’esistenza delle condizioni previste dalla normativa. Una volta approvata, la prestazione previdenziale diventa obbligatoria e permanente fino a prova contraria.

Nel caso specifico, la Cassazione, nell’accogliere  il ricorso del dipendente, evidenzia che l’INPS non aveva il diritto di circoscrivere temporalmente il beneficio, salvo verifiche capaci di dimostrare la perdita dei requisiti.

INPS o datore: devono provare il venir meno dei requisiti

Un elemento cruciale riguarda però l’onere della prova. Spetta all’INPS o al datore di lavoro dimostrare che i requisiti per i permessi siano venuti meno. Questo ribalta la prospettiva: una volta riconosciuto il diritto, il lavoratore non deve dimostrare continuamente di averne diritto. Sono le istituzioni competenti a dover provare eventuali irregolarità.

Implicazioni pratiche lavoratori e datori

La sentenza della Cassazione sancisce in conclusione che:

  • i permessi ex Legge 104 non decadono automaticamente;
  • la richiesta del lavoro relativa ai permessi deve essere chiara, completa e conforme ai requisiti di legge;
  • l’INPS può controllare la persistenza dei requisiti, ma non può imporre limiti temporali arbitrari;
  • il diritto ai permessi decade solo se emergono modifiche che rendono non applicabile la normativa.

Ne consegue che le aziende devono prestare maggiore attenzione nel gestire i permessi. Anticipare somme senza verifiche adeguate può comportare rischi finanziari. La richiesta di rimborso al lavoratore deve essere supportata da prove solide che dimostrino eventuali irregolarità nel godimento dei permessi 104.

E’ necessario inoltre che vi sia equilibrio tra il diritto del lavoratore e il controllo dei requisiti da parte dell’INPS. Il sistema previdenziale deve essere equo e il diritto al sostegno per i familiari con disabilità deve essere garantito senza ostacoli burocratici o interpretazioni restrittive.

 

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divieto di avvicinamento

Divieto di avvicinamento: requisiti della misura Divieto di avvicinamento: il giudice deve indicare i luoghi che la vittima frequenta di solito, la distanza minima e la misura di controllo

Requisiti del divieto di avvicinamento

Quando un giudice emette un divieto di avvicinamento, è tenuto a specificare nell’ordinanza i luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, la distanza minima di sicurezza da mantenere, che non deve essere inferiore a 500 metri, e il sistema di controllo da adottare.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 42892/2024, ha annullato un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Genova, mettendo in luce gravi carenze nell’applicazione del divieto avvicinamento nei confronti della persona offesa.

Questo provvedimento sottolinea i requisiti imprescindibili che devono essere rispettati dai giudici quando dispongono misure cautelari per proteggere le vittime, specialmente nei casi di violenza domestica o di genere.

Così facendo, la Corte riafferma l’importanza di applicare rigorosamente le norme relative al divieto di avvicinamento. I giudici devono assicurarsi che le misure cautelari non siano solo simboliche, ma strumenti efficaci per prevenire ulteriori abusi. La precisione delle prescrizioni e l’utilizzo delle tecnologie di controllo non sono facoltativi, ma requisiti essenziali per garantire la sicurezza delle vittime e l’efficacia dell’intervento giudiziario.

Lacune nell’ordinanza cautelare

L’ordinanza contestata è stata emessa il 31 luglio 2024. Con questo provvedimento, il Tribunale del Riesame aveva sostituito gli arresti domiciliari dell’imputato con il divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai luoghi da questa frequentati, assieme a un obbligo di dimora con permanenza notturna. Tuttavia, il Pubblico Ministero ha impugnato la decisione evidenziando:

  • la mancata indicazione dei luoghi solitamente frequentati dalla vittima;
  • l’assenza della distanza minima di sicurezza di 500 metri;
  • la mancata imposizione dei dispositivi elettronici di controllo come previsto dall’articolo 282-ter c.p.p., aggiornato dalla Legge 168/2023.

Previsioni legislative

Le normative attualmente vigenti richiedono che nel disporre il divieto di avvicinamento alla persona offesa il giudice debba indicare:

  • i luoghi abitualmente frequentati dalla vittima con descrizioni chiare e dettagliate;
  • una distanza minima non inferiore a 500 metri;
  • l’adozione obbligatoria dei dispositivi elettronici per il controllo (come ad esempio i braccialetti elettronici), salvo accertamenti tecnici che ne dimostrino l’impossibilità.

Tali requisiti sono stati introdotti attraverso modifiche legislative mirate a rafforzare le tutele per le vittime dei reati violenti e garantire un controllo efficace sui comportamenti degli imputati. La legge stabilisce che la mancanza anche solo di uno degli elementi richiesti rende il provvedimento viziato.

Divieto di avvicinamento: criticità dell’ordinanza

La Corte di Cassazione, concordando con il Pubblico Ministero, ha ritenuto l’ordinanza emessa dal Tribunale genovese non conforme ai principi sanciti dalla normativa vigente. Essa infatti non ha specificato i luoghi frequentati dalla persona offesa, elemento cruciale per fornire certezze sia all’imputato sia alla vittima. L’omissione compromette infatti l’efficacia delle misure cautelari e la sicurezza della vittima.

Inoltre, nell’ordinanza mancava anche la prescrizione della distanza minima richiesta dalla legge. Infine, non era previsto l’utilizzo degli strumenti elettronici per il controllo come richiesto dall’articolo 282-ter; questo impone infatti che il divieto d’avvicinamento venga accompagnato da modalità tecnologiche salvo impossibilità tecnica dichiarata espressamente. Tale misura non è accessoria, ma parte integrante della tutela.

La Cassazione ribadisce inoltre che il divieto d’avvicinamento rappresenta una misura cautelare unica modulabile secondo due approcci:

  • vietando l’accesso ai luoghi frequentati dalla vittima;
  • imponendo una distanza minima rispetto alla persona offesa.

La scelta tra queste opzioni o loro combinazione deve essere motivata nel rispetto dei principi proporzionalità ed adeguatezza; inoltre prescrivere controlli tramite dispositivi tecnologici obbligatoriamente garantisce continuo monitoraggio sul rispetto delle misure imposte.

Misure protettive più stringenti

Le modifiche legislative recenti culminate nella Legge n°168/2023 hanno reso più stringente quadro normativo relativo alle misure protettive seguendo approccio tolleranza zero verso violenze domestiche/genere; in particolare eliminata discrezionalità giudice circa adozione dispositivi elettronici rendendoli obbligatori salvo impossibilità tecnica accertata.

La sentenza ha quindi annullato l’ordinanza impugnata, disponendo rinvio Tribunale Genova affinché deliberi nuovamente rispettando principi stabiliti dalle norme vigenti.

 

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