adozione internazionale

Adozione internazionale: anche per i single Importantissima decisione della Corte Costituzionale che sdogana l'adozione internazionale per i single

Adozione internazionale single

Adozione internazionale: anche le persone singole possono adottare minori stranieri in stato di abbandono. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 33/2025, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 29-bis, comma 1, della legge n. 184/1983, nella parte in cui esclude le persone singole dalla possibilità di adottare un minore straniero residente all’estero.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla normativa vigente in materia di adozione internazionale, rilevando come l’esclusione delle persone singole contrasti con gli articoli 2 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

L’attuale disciplina, ora dichiarata illegittima, limitava in modo sproporzionato il diritto dell’aspirante genitore di rendersi disponibile per l’adozione. L’adozione è un istituto basato sul principio di solidarietà sociale e finalizzato alla tutela del minore, motivo per cui il legislatore non può imporre limitazioni irragionevoli.

Persone singole e idoneità all’adozione

La Corte ha sottolineato che, in astratto, anche una persona singola può garantire un ambiente stabile e armonioso a un minore in stato di abbandono. Tuttavia, resta fermo il compito del giudice di valutare caso per caso l’idoneità dell’aspirante genitore, verificando la capacità di educare, istruire e mantenere il minore. Tale valutazione può tenere conto anche della rete familiare di supporto del richiedente.

Effetti della sentenza e prospettive future

Nel contesto attuale, caratterizzato da una progressiva diminuzione delle domande di adozione, la precedente esclusione delle persone singole rischiava di limitare il diritto del minore a crescere in un ambiente familiare. La sentenza della Corte Costituzionale rappresenta quindi un importante passo avanti per il riconoscimento della parità di accesso all’adozione internazionale.

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morte animale d'affezione

Morte animale d’affezione: risarcito il danno Morte animale d'affezione: risarcito il danno non patrimoniale, il rapporto con l’animale contribuisce allo sviluppo della personalità

Morte animale: lesione diritto costituzionale

La morte dell’animale d’affezione attribuisce il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. La perdita del proprio animale lede la sfera relazionale e affettiva tutelata a livello costituzionale dall’articolo 2. Il rapporto cane – padrone completa e sviluppa la personalità umana. Lo ha specificato il Tribunale di Prato con la sentenza n. 51/2025.

Danni non patrimoniali: morte animale d’affezione

Una famiglia affida la cagnolina Adel a una pensione per animali. Durante il soggiorno, l’animale muore. La Polizia Municipale li informa del decesso.

Quando i padroni arrivano alla struttura, trovano Adel abbandonata a terra con una coperta. Nessuno li aveva avvisati del peggioramento della cagnolina. La struttura non aveva contattato né loro né un veterinario. Un addetto rivela che Adel stava male da giorni. I volontari l’avevano trovata disidratata per una forte diarrea. La responsabile però non aveva dato indicazioni su come aiutarla.

I padroni, sconvolti, notano anche la scarsa igiene della struttura. Decidono quindi di agire in giudizio. Chiedono la risoluzione del contratto per inadempimento, la restituzione delle somme pagate e il risarcimento dei danni. Ritengono che la pensione abbia violato l’obbligo di custodia.

Per il risarcimento del danno non patrimoniale, invocano l’articolo 2 della Costituzione. Essi sostengono che il rapporto uomo-animale realizza la persona umana. Citano anche l’articolo 42 della Costituzione e l’articolo 6 del Trattato UE, per i danni economici e morali. Chiedono al giudice inoltre di considerare la sofferenza di Adel, lasciata morire senza cure.

La parte convenuta si difende e contesta la versione dei padroni e nega il diritto al risarcimento per la morte di Adel. Si appella a un orientamento della Cassazione, secondo cui la perdita di un animale non costituisce danno esistenziale. Sostiene inoltre che chi chiede il risarcimento deve provare il danno subito e il nesso di causa.

Sviluppo della personalità umana

Il Tribunale ricostruisce i fatti e decide di non seguire l’orientamento della Cassazione. Riconosce infatti agli attori il danno non patrimoniale. Secondo il giudice, la perdita di un animale d’affezione può ledere la sfera affettiva di una persona. Il rapporto tra padrone e animale contribuisce allo sviluppo della personalità. Se provato, il danno deve essere risarcito.

Le prove fotografiche mostrano che Adel era un membro della famiglia. Giocava con i bambini, veniva festeggiata ai compleanni e accompagnava la famiglia nelle gite. Dormiva nel letto con loro. Esisteva insomma un forte legame affettivo.

La morte improvvisa e le modalità dell’abbandono hanno causato ai padroni una grande sofferenza. Non sono stati informati delle condizioni della cagnolina e hanno scoperto il tragico evento solo all’ultimo momento. La sofferenza è stata aggravata dallo stupore e dal senso di tradimento. Si fidavano della struttura, dove avevano già lasciato Adel in passato.

Il Tribunale riconosce quindi il danno non patrimoniale, la padrona riceve 6.000 euro per il suo coinvolgimento diretto, gli altri membri della famiglia invece ottengono 4.000 euro ciascuno.

 

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difensore civico

Difensore civico: chi è e cosa fa Difensore civico: una breve guida all’organo indipendente che tutela i cittadini fungendo da intermediario con la Pubblica Amministrazione

Chi è il difensore civico?

Il difensore civico è un organo indipendente che opera a tutela dei cittadini nei confronti della Pubblica Amministrazione, garantendo trasparenza, legalità ed efficienza nell’azione amministrativa. Questa figura, presente a livello comunale, provinciale e regionale, funge da intermediario tra i cittadini e l’amministrazione, raccogliendo segnalazioni, reclami o suggerimenti e promuovendo soluzioni a favore del buon andamento della pubblica amministrazione.

Qual è la normativa di riferimento?

L’importante figura trova il suo fondamento nella Costituzione italiana e nella legislazione ordinaria.

Articolo 97 della Costituzione: prevede il principio di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, valori che il difensore è chiamato a garantire.

Legge n. 142/1990: ha introdotto per la prima volta il difensore civico come organo previsto dagli statuti comunali e provinciali.

Decreto legislativo n. 267/2000 (TUEL): conferma la possibilità per gli enti locali di istituire questa figura nei propri statuti, delineandone le competenze e le modalità operative.

Leggi regionali: ogni Regione può disciplinare l’istituzione e il funzionamento del difensore a livello territoriale, definendo compiti specifici e ambiti di intervento.

Quali sono le funzioni del difensore civico?

Il difensore civico ha il compito principale di vigilare sull’attività amministrativa, verificando che essa sia conforme ai principi di legalità ed equità. I suoi compiti principali sono:

  • raccogliere segnalazioni da parte dei cittadini su presunti abusi o disfunzioni amministrative;
  • proporre soluzioni o mediazioni per risolvere controversie tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione;
  • promuovere trasparenza e accesso agli atti amministrativi, garantendo il diritto di informazione e partecipazione;
  • segnalare criticità sistemiche nell’amministrazione ai responsabili degli enti pubblici.

Giurisprudenza sul difensore civico

La giurisprudenza ha contribuito a chiarire sia suoi i limiti che le su prerogative.

  • Consiglio di Stato: ha ribadito che il difensore civico non ha poteri decisionali vincolanti, ma può esercitare un’importante funzione di moral suasion nei confronti della Pubblica Amministrazione, favorendo la risoluzione delle controversie.
  • Corte costituzionale: in diverse sentenze ha sottolineato l’importanza di questo organo come strumento di tutela dei diritti dei cittadini, integrando il sistema di garanzie previsto dall’articolo 97 della Costituzione.
  • Tar: ha riconosciuto il ruolo del difensore nell’accesso agli atti amministrativi, chiarendo che le sue segnalazioni possono spingere l’amministrazione a rivedere le proprie decisioni per rispettare i principi di trasparenza e legalità.

Criticità e prospettive del difensore civico

Nonostante la sua rilevanza, la figura del difensore civico non è presente in tutti gli enti locali, con una distribuzione territoriale disomogenea. Le risorse limitate e la mancanza di obbligatorietà nella sua istituzione rappresentano sfide significative. Il suo ruolo tuttavia è sempre più riconosciuto come fondamentale per garantire un’amministrazione pubblica più accessibile e responsabile.

 

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il tribunale dei ministri

Il Tribunale dei Ministri Cos’è il Tribunale dei Ministri, qual è la sua disciplina, come funziona e quali sono le sue competenze specifiche

Cos’è il Tribunale dei Ministri

Il Tribunale dei Ministri è una sezione speciale del Tribunale ordinario del distretto di Corte d’Appello competente per territorio, composta da tre magistrati estratti a sorte tra quelli appartenenti al tribunale stesso. Esso è stato istituito per garantire che i membri del Governo rispondano penalmente delle proprie azioni compiute nell’esercizio delle loro funzioni. Questa sezione giudica sulle eventuali responsabilità penali dei membri del governo (presidente del Consiglio dei ministri e ministri) per atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni. Si tratta infatti di una deroga al principio generale di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giustificata dalla delicatezza e dalla specificità del ruolo dei ministri. La sua disciplina è affidata alla legge costituzionale n. 1/1989 che ha modificato, tra gli altri, l’art. 96 Cost.

Come funziona il procedimento

Il procedimento che si svolge davanti a questa autorità segue un iter ben definito:

  1. Indagini preliminari: la competenza a svolgere le indagini spetta alla Procura della Repubblica del tribunale ordinario competente per territorio. Se emergono elementi di reato, il fascicolo viene trasmesso al Tribunale dei Ministri.
  2. Valutazione preliminare: il Tribunale esamina il caso per stabilire se sussistano i presupposti per procedere. Se ritiene che vi siano elementi sufficienti, trasmette la richiesta alla Camera di appartenenza del ministro interessato per l’autorizzazione a procedere.
  3. Autorizzazione parlamentare: l’autorizzazione a procedere è un passaggio fondamentale. Il Parlamento valuta se il reato contestato sia connesso all’esercizio delle funzioni governative e decide se concedere o meno l’autorizzazione alla prosecuzione del processo.
  4. Giudizio: in caso di autorizzazione, il Tribunale dei Ministri procede secondo le normali regole del processo penale.

Le competenze del Tribunale dei Ministri

Il Tribunale dei Ministri è un organo di garanzia della legalità dell’azione di governo. La sua esistenza testimonia l’importanza di assicurare che anche i membri del Governo siano responsabili delle proprie azioni e che non godano di impunità.

Il Tribunale dei Ministri per questo ha competenza esclusiva sui reati commessi dai membri del Governo nell’esercizio delle loro funzioni. Le principali tipologie di reati su cui può pronunciarsi sono:

  • abuso di potere
  • corruzione
  • concussione
  • omissioni di atti d’ufficio

L’autorità giudiziaria non ha invece competenza su reati comuni commessi dai ministri al di fuori delle loro funzioni governative, i quali restano di competenza della giustizia ordinaria.

 

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principio di sussidiarieta

Principio di sussidiarietà: la guida Principio di sussidiarietà: definizione, normativa, giurisprudenza e importanza ai fini dell’applicazione del principio democratico

Cos’è il principio di sussidiarietà?

Il principio di sussidiarietà è un cardine dell’organizzazione dei poteri pubblici, finalizzato a garantire che le decisioni siano prese al livello più vicino possibile ai cittadini. Questo principio, che si applica tanto in ambito verticale (tra Stato, Regioni ed enti locali) quanto in ambito orizzontale (tra Pubblica Amministrazione e cittadini), promuove l’autonomia e la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti, evitando interventi superiori se un’entità più vicina può adempiere adeguatamente ai compiti richiesti.

Qual è la normativa di riferimento?

La normativa di riferimento di questo principio è rappresentata dalla Costituzione italiana e da diverse leggi ordinarie.

  • Articolo 118 della Costituzione: sancisce il principio in ambito verticale, stabilendo che le funzioni amministrative spettano agli enti più vicini ai cittadini, salvo necessità di intervento a livelli superiori. Il quarto comma introduce anche la sussidiarietà orizzontale, favorendo l’iniziativa privata nell’interesse generale.
  • Articolo 5 della Costituzione: promuove il decentramento amministrativo, che è alla base del principio di sussidiarietà verticale.
  • Legge costituzionale n. 3/2001: riformando il Titolo V della Costituzione, ha rafforzato l’autonomia di Regioni ed enti locali, specificando il principio di sussidiarietà.
  • Legge n. 59/1997 (Bassanini): prevede il trasferimento di funzioni dallo Stato agli enti locali, attuando il principio di sussidiarietà verticale.

La giurisprudenza sul principio di sussidiarietà

La giurisprudenza costituzionale e amministrativa ha avuto un ruolo fondamentale nell’interpretare e applicare  questo principio.

  • La Corte costituzionale ha ribadito in diverse occasioni che l’intervento dello Stato deve avvenire solo quando gli enti territoriali non siano in grado di garantire adeguatamente i servizi richiesti. La sentenza n. 303/2003 ha chiarito i confini tra competenze legislative statali e regionali.
  • Il Consiglio di Stato ha affrontato casi di sussidiarietà orizzontale, riconoscendo il ruolo delle associazioni e dei cittadini nella gestione di beni comuni e servizi pubblici, nel rispetto del principio di efficienza amministrativa.
  • La Corte di Giustizia dellUnione Europea ha integrato questo principio con il diritto comunitario. L’Unione Europea interviene infatti solo quando gli obiettivi non possono essere sufficientemente raggiunti a livello nazionale o locale.

L’importanza del principio di sussidiarietà

Questo principio rappresenta uno strumento essenziale per garantire l’efficienza e la partecipazione democratica nella gestione della cosa pubblica. In ambito verticale, evita accentramenti eccessivi di potere, valorizzando le autonomie locali. In ambito orizzontale invece, promuove la collaborazione tra pubblico e privato, incentivando l’attività dei cittadini per il bene comune.

 

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referendum abrogativo

Il referendum abrogativo Referendum abrogativo: strumento di democrazia diretta previsto dall’articolo 75 della Costituzione e disciplinato dalla legge n. 352/1972

Cos’è il referendum abrogativo

Il referendum abrogativo rappresenta uno degli strumenti di democrazia diretta previsti dall’ordinamento italiano. Disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione, permette ai cittadini di intervenire direttamente sull’abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge.  La disciplina di dettaglio che regola il funzionamento del referendum abrogativo è contenuta nella legge n. 352/1972. Il titolo II di questa legge, dall’articolo 27 all’articolo 40, contiene infatti la disciplina del “Referendum previsto dall’articolo 75 della Costituzione.”

Analizziamo i punti essenziali che caratterizzano questa importante forma di partecipazione popolare.

L’articolo 75 della Costituzione: cosa prevede

L’articolo 75 stabilisce che il referendum abrogativo può essere indetto su richiesta di 500.000 elettori o di cinque Consigli regionali. Questo strumento consente di abrogare, totalmente o parzialmente, una norma legislativa. Ci sono delle leggi però che non possono essere abrogate tramite referendum, ossia:

  • le leggi tributarie e di bilancio;
  • le leggi di amnistia e indulto;
  • le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

Questa limitazione garantisce che il referendum non interferisca con norme fondamentali per il funzionamento dello Stato e la stabilità internazionale.

Come si svolge il referendum abrogativo

La richiesta di consultazione proveniente dagli elettori o dai consigli regionali deve essere depositata antro il 30 settembre all’Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione. Questo controllo ha lo scopo primario di verificare che la richiesta abrogativa sia conforme alle norme vigenti. Se il quesito supera questo passaggio passa alla Corte costituzionale, che esegue il controllo di ammissibilità della proposta. Superata questa fase il referendum viene indetto e sottoposto al voto popolare.

Perché il risultato del referendum sia valido, è necessario il raggiungimento del quorum, ossia la partecipazione della metà più uno degli aventi diritto al voto e la maggioranza dei voti espressi validamente. In caso di esito positivo, la legge o la norma oggetto del quesito viene abrogata.

I limiti e il ruolo della Corte costituzionale

Il controllo della Corte costituzionale è un passaggio cruciale. Esso valuta infatti la conformità del quesito rispetto ai principi costituzionali e alle limitazioni stabilite dall’articolo 75 della Costituzione. Questa verifica previene abusi dello strumento referendario e garantisce la chiarezza del quesito, così da permettere una scelta consapevole da parte degli elettori.

L’importanza del referendum abrogativo

Il referendum abrogativo rappresenta un importante strumento di partecipazione democratica, consentendo ai cittadini di influire direttamente sulle leggi che regolano il loro vivere quotidiano. Tuttavia, il rispetto delle procedure previste e la chiarezza del quesito sono elementi essenziali per il successo di questo strumento.

Gli altri istituti di democrazia diretta

Oltre al referendum abrogativo disciplinato dall’articolo 75, la Costituzione italiana prevede altri strumenti di democrazia diretta che permettono ai cittadini di partecipare attivamente al processo legislativo e decisionale.

Tra questi spicca l’iniziativa legislativa popolare, regolata dall’articolo 71 della Costituzione, che consente a 50.000 elettori di presentare un progetto di legge direttamente alle Camere. Questo strumento offre ai cittadini la possibilità di proporre interventi normativi su temi di interesse collettivo.

Un altro istituto importante è il referendum costituzionale, previsto dall’articolo 138, utilizzato per approvare o respingere modifiche alla Costituzione.

Infine, esistono forme di consultazione locale, come i referendum comunali e regionali, che permettono ai cittadini di esprimersi su questioni territoriali specifiche.

Questi strumenti, pur con funzioni e applicazioni diverse, condividono l’obiettivo di rafforzare la partecipazione popolare nelle decisioni pubbliche e consolidare i principi democratici sanciti dalla Costituzione​​.

 

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diritto soggettivo

Diritto soggettivo: cos’è e la differenza con l’interesse legittimo Diritto soggettivo: situazione giuridica soggetti a cui l’ordinamento riconosce piena tutela, che si distingue dall’interesse legittimo

Cos’è il diritto soggettivo?

Il diritto soggettivo è il potere riconosciuto e tutelato dall’ordinamento giuridico, che permette a un soggetto di agire per soddisfare un proprio interesse, senza necessità di ulteriori approvazioni o autorizzazioni. Questo diritto attribuisce al titolare una posizione giuridica di supremazia rispetto a terzi, i quali sono obbligati a rispettarlo. Esempi comuni sono il diritto di proprietà, il diritto alla salute o il diritto alla libertà personale.

Normativa di riferimento

Il diritto soggettivo trova fondamento nella Costituzione italiana e nei principi generali del diritto civile. Alcuni riferimenti normativi sono:

  • Articolo 2 della Costituzione: riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come individuo che nelle formazioni sociali.
  • Articolo 832 del Codice Civile: disciplina il diritto di proprietà, uno dei diritti soggettivi patrimoniali più significativi.
  • Articolo 2043 del Codice Civile: tutela i diritti soggettivi contro i danni ingiusti, stabilendo l’obbligo di risarcimento.

Giurisprudenza sul diritto soggettivo

La giurisprudenza ha spesso contribuito a definire i confini e le caratteristiche del diritto soggettivo. La Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato hanno chiarito che il diritto soggettivo si distingue per la sua piena ed esclusiva tutela giuridica, che può essere fatta valere sia in sede civile che amministrativa.

Un esempio significativo è rappresentato dalle controversie sul diritto alla salute (art. 32 Cost.), in cui i giudici hanno ribadito che tale diritto non può essere compresso da vincoli amministrativi se non nei limiti previsti dalla legge.

Differenza tra diritto soggettivo e interesse legittimo

Una distinzione fondamentale in diritto pubblico è quella tra diritto soggettivo e interesse legittimo.

Diritto soggettivo: rappresenta una posizione di vantaggio pienamente tutelata, che non dipende dall’intervento della Pubblica Amministrazione. Ad esempio, il diritto di proprietà consente al titolare di disporre del bene senza subordinare il suo esercizio ad alcun permesso.

Interesse legittimo: riguarda la posizione di chi, pur avendo un interesse concreto e attuale, deve fare affidamento sull’azione o sull’omissione della Pubblica Amministrazione per realizzarlo. Ad esempio, il richiedente di una concessione edilizia ha un interesse legittimo che si realizza solo con l’emanazione di un preciso provvedimento amministrativo.

Tipologie di interessi legittimi

Gli interessi legittimi sono pretensivi quando il titolare può pretendere che la Pubblica Amministrazione adotti un certo provvedimento per soddisfare il suo interesse. Sono invece oppositivi quando il titolare dell’interesse può opporsi all’adozione di un certo provvedimento da parte della pubblica Amministrazione che risulti pregiudizievole per la sua sfera giuridica.

Tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi

La tutela dei diritti soggettivi è di competenza del giudice ordinario, mentre quella degli interessi legittimi spetta generalmente al giudice amministrativo. Tuttavia, esistono situazioni, come nei casi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in cui questa autorità giudiziaria si occupa anche di controversie che riguardano i diritti soggettivi.

 

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colloqui intimi in carcere

Colloqui intimi in carcere: diritto non mera aspettativa Colloqui intimi in carcere: non aspettativa, ma diritto previsto da Costituzione e CEDU come sancito dalla Consulta nella sentenza n. 10/2024

Colloqui intimi in carcere: l’intervento della Cassazione

La possibilità per i detenuti di svolgere colloqui intimi con il proprio coniuge o convivente non è una semplice aspettativa. Si tratta di un diritto, come ribadito dalla Corte di Cassazione, che ne ha sottolineato il valore costituzionale. La decisione segue la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2024, che ha dichiarato illegittima la normativa penitenziaria nella parte in cui negava tali colloqui senza giustificazioni specifiche.

Con la sentenza n. 8/2025, la Prima Sezione Penale della Cassazione ha annullato un provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Torino. Quest’ultimo aveva giudicato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego opposto dall’istituto penitenziario di Asti. La motivazione del rifiuto si basava sull’assenza di spazi adeguati nella struttura. Secondo il tribunale, la richiesta del detenuto non configurava un diritto tutelabile, ma una semplice aspettativa. La Cassazione ha smentito questa interpretazione, evidenziando che la libertà di vivere relazioni affettive rientra tra i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.

Intimità in carcere: la sentenza della Consulta

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10/2024, aveva già chiarito che il diritto all’affettività dei detenuti non può essere cancellato, ma solo regolamentato. La libertà di esprimere normali relazioni affettive non può essere soppressa da norme generali e astratte. Eventuali limitazioni devono essere giustificate da esigenze specifiche, come la sicurezza, l’ordine interno o il comportamento del detenuto. Negare indiscriminatamente tale diritto viola la dignità della persona e i principi costituzionali sanciti dagli articoli 27 e 117 della Costituzione, oltre che dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Il problema dell’applicazione pratica

Nonostante il riconoscimento del diritto, la sua effettiva applicazione rimane un nodo irrisolto. La mancanza di spazi adeguati nelle carceri italiane rappresenta il principale ostacolo. Nel marzo 2024, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro per affrontare il problema, ma al momento non si registrano progressi concreti. Dal coordinamento dei magistrati di sorveglianza di fine ottobre emerge che nessun istituto penitenziario ha ancora provveduto a risolvere in concreto il problema.

Colloqui intimi in carcere: un diritto da tutelare

La Cassazione ha ricordato che il diritto dei detenuti a coltivare relazioni affettive merita tutela giurisdizionale. I magistrati di sorveglianza, pertanto, devono intervenire per garantire il rispetto di questo diritto. Se le strutture penitenziarie non sono adeguate, spetta all’amministrazione penitenziaria predisporre soluzioni idonee. L’inerzia dell’amministrazione, infatti, si traduce in una lesione grave e attuale di un diritto fondamentale.

Il riconoscimento dei colloqui intimi come diritto rappresenta un passo importante verso il rispetto della dignità e dell’umanità dei detenuti. Tuttavia, senza interventi concreti e tempestivi per adeguare le strutture, tale diritto rischia di rimanere solo sulla carta. È necessario che le istituzioni, a partire dal Ministero della Giustizia, garantiscano le condizioni per l’effettiva fruizione di questo diritto, in linea con i principi costituzionali e gli obblighi internazionali.

 

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Allegati

giudice predibattimentale

Giudice predibattimentale: non può celebrare il giudizio La Consulta boccia l'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice predibattimentale a celebrare il giudizio dibattimentale

Giudice predibattimentale incompatibilità

Il giudice predibattimentale è incompatibile a celebrare il giudizio dibattimentale. E’ quanto ha affermato la Consulta (sentenza n. 179/2024) dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che è incompatibile a celebrare il giudizio dibattimentale di primo grado il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale, introdotta recentemente nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica dall’art. 32 del d.lgs. n. 150 del 2022, sul modello dell’udienza preliminare.

La qlc

Il Tribunale di Siena ha sollevato la questione di costituzionalità nell’ambito di un procedimento penale nel quale lo stesso giudice, che aveva tenuto l’udienza di comparizione predibattimentale, si trovava ad essere anche investito del giudizio dibattimentale.

Il Tribunale ha rilevato che la censurata norma processuale (art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.) si limitava a porre la regola secondo cui il giudice del dibattimento sarebbe dovuto essere «diverso» rispetto al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale; ma non prevedeva l’incompatibilità di cui all’art. 34 cod. proc. pen.

Censura fondata

La Corte costituzionale ha ritenuto fondata la censura sotto il profilo della dedotta violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma Cost., affermando che la mancata previsione, in tal caso, di una vera e propria incompatibilità viola i principi costituzionali di terzietà e imparzialità del giudice, quali presupposti dell’effettività della tutela giurisdizionale.

La Consulta ha, infatti, sottolineato che nelle ipotesi di incompatibilità previste dall’art. 34 cod. proc. pen., l’imparzialità del giudice è compromessa ex sé, in generale e in astratto, diversamente da quanto si verifica nei casi di possibile astensione del giudice per gravi ragioni di convenienza, di cui all’art. 36 cod. proc. pen.; disposizione questa che, invece, si riferisce a situazioni, in cui la terzietà e l’imparzialità del giudice risultano compromesse in concreto, caso per caso.

“La sola prescrizione della diversità del giudice del dibattimento rispetto a quello predibattimentale non è sufficiente ad assicurare la piena garanzia del giusto processo, trattandosi in una fattispecie in cui il pregiudizio all’imparzialità e terzietà del giudice del dibattimento è di gravità tale da dover essere necessariamente prevista in via generale e predeterminata come ipotesi di incompatibilità” ha ritenuto la Corte.

Il giudice delle leggi ha, poi, ritenuto violato anche l’art. 3 Cost., rilevando che il giudice dell’udienza preliminare e il giudice dell’udienza predibattimentale sono soggetti alla medesima regola di giudizio compendiata nel canone secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere» quando «gli elementi acquisiti non consentono» di formulare «una ragionevole previsione di condanna».

La decisione

Invece l’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. detta una disciplina ingiustificatamente differenziata nella misura in cui prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio soltanto per «il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare» e non anche per il giudice dell’udienza predibattimentale. Dall’ampliamento dei casi di incompatibilità per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale è conseguita la necessità di assicurare il principio del giusto processo anche con riferimento al giudizio di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, sicché la Corte, in via consequenziale, ha altresì esteso la dichiarazione di illegittimità costituzionale anche a questa ulteriore ipotesi.

azioni a difesa della proprietà

Le azioni a difesa della proprietà Una guida completa alle azioni a difesa della proprietà: dalle azioni petitorie a quelle possessorie e di nunciazione

Azioni a difesa della proprietà: tipologie ed esercizio

Le azioni a difesa della proprietà mirano a tutelare uno dei diritti reali fondamentali nel sistema giuridico italiano, protetto sia dal Codice Civile che dalla Costituzione. Questo diritto conferisce al titolare il potere di godere e disporre di un bene in modo pieno ed esclusivo. Tuttavia, possono sorgere situazioni in cui tale diritto viene leso o minacciato. In questi casi, il nostro ordinamento prevede una serie di azioni legali a difesa della proprietà.

Questa guida approfondisce le diverse tipologie di azioni disponibili, analizzandone le caratteristiche, le condizioni di applicabilità e le modalità di esercizio.

La proprietà nel diritto italiano

Secondo l’articolo 832 del Codice Civile, “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Questo diritto è quindi caratterizzato da:

  • Pienezza: il proprietario può utilizzare il bene in tutti i modi consentiti dalla legge.
  • Esclusività: il proprietario può escludere chiunque altro dall’uso del bene.

La Costituzione Italiana, all’articolo 42, riconosce e garantisce la proprietà privata, stabilendo che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Caratteristiche del diritto di proprietà

Le principali caratteristiche del diritto di proprietà sono:

  • Assolutezza: è opponibile erga omnes, ovvero nei confronti di chiunque.
  • Immediatezza: il proprietario esercita direttamente il suo diritto sul bene, senza l’intermediazione di altri soggetti.
  • Tipicità: è un diritto previsto e disciplinato dalla legge.
  • Patrimonialità: ha un valore economico e può essere oggetto di transazioni commerciali.

Azioni a difesa della proprietà: le azioni petitorie

Le azioni a difesa della proprietà contemplate dal codice civile, cosiddette azioni “petitorie” sono quattro: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, l’azione di regolamento di confini, l’azione di apposizione di termini.

Azione di rivendicazione

Tra le azioni a difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione, disciplinata dall’articolo 948 del Codice Civile, è lo strumento legale attraverso il quale il proprietario può recuperare il possesso di un bene detenuto da terzi.

Questa azione mira ad accertare la titolarità del diritto di proprietà e a ottenere la restituzione del bene. Ex articolo 948 c.c.: “Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può perseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa…”. 

Condizioni di applicabilità

Per esercitare l’azione di rivendicazione, è necessario:

  • Dimostrare il diritto di proprietà: l’attore deve fornire la prova della sua titolarità sul bene.
  • Identificare il bene: deve essere chiaro quale sia il bene oggetto della controversia.
  • Presenza di un terzo possessore o detentore: il bene deve essere in possesso o nella detenzione di un altro soggetto.

Onere della prova e Probatio diabolica

Una delle sfide principali nell’azione di rivendicazione è l’onere probatorio, noto come probatio diabolica. L’attore deve dimostrare:

  • Un valido titolo di acquisto: ad esempio, un contratto di compravendita.
  • La legittimità dei passaggi di proprietà precedenti: potrebbe essere necessario risalire fino all’acquisto originario.
  • L’assenza di usucapione da parte del convenuto: deve essere esclusa la possibilità che il convenuto abbia acquisito la proprietà per usucapione.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha affermato che l’onere probatorio nell’azione di rivendicazione si attenua se il convenuto oppone un titolo d’acquisto come l’usucapione. In tal caso, l’attore può limitarsi a dimostrare il proprio titolo e l’appartenenza del bene ai suoi danti causa in un periodo antecedente all’inizio del possesso del convenuto (Cass. n. 25865/2021).

Azione Negatoria

L’azione negatoria, regolata dall’articolo 949 del Codice Civile, è volta a far dichiarare l’inesistenza di diritti reali affermati da terzi sul bene di proprietà dell’attore. Serve a proteggere il proprietario da pretese illegittime che possano limitare il suo diritto. Ex articolo 949 c.c.: “Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio…”. 

Condizioni di applicabilità

  • Affermazione di diritti da parte di terzi: un altro soggetto sostiene di avere un diritto reale sul bene.
  • Pregiudizio o timore di pregiudizio: il proprietario teme che tali affermazioni possano ledere il suo diritto.
  • Prova della proprietà: l’attore deve dimostrare il suo diritto di proprietà, anche mediante presunzioni.

Onere della prova

A differenza dell’azione di rivendicazione, nell’azione negatoria l’onere della prova è meno gravoso. L’attore deve:

  • Dimostrare il proprio titolo di proprietà: può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, inclusa la presunzione di possesso.
  • Non è tenuto a una probatio diabolica: non è necessario risalire ai titoli di acquisto precedenti.

Il convenuto, invece, ha l’onere di provare l’esistenza del diritto affermato.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha chiarito che nell’azione negatoria il proprietario deve dimostrare il suo diritto, ma non in modo rigoroso come nell’azione di rivendicazione. Spetta al convenuto provare l’esistenza del diritto che limita la proprietà altrui (Cass. n. 1905/2023).

Azione di regolamento di confini

L’azione di regolamento di confini, prevista dall’articolo 950 del Codice Civile, è utilizzata quando esiste incertezza sulla linea di confine tra due fondi contigui. L’azione mira a stabilire giudizialmente il confine esatto. Ex articolo 950 c.c.: “Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente…”

Condizioni di applicabilità

  • Incertezza sul confine: non è chiaro dove si trovi esattamente la linea di separazione tra i fondi.
  • Contiguità dei fondi: i terreni devono essere confinanti.
  • Assenza di accordo tra le parti: i proprietari non riescono a definire il confine in via amichevole.

La prova

  • Titoli di proprietà: si esaminano i documenti di acquisto dei fondi.
  • Mappe catastali: utilizzate in mancanza di altri elementi probatori.
  • Perizie tecniche: un consulente tecnico può effettuare rilievi sul terreno.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’azione di regolamento di confini non richiede la probatio diabolica. È sufficiente dimostrare la proprietà dei rispettivi fondi, e ogni mezzo di prova è ammesso, inclusi testimonianze e presunzioni (Cass. n. 34825/2021).

Azione di apposizione di termini

L’azione di apposizione di termini, disciplinata dall’articolo 951 del Codice Civile, ha lo scopo di rendere visibile il confine tra due proprietà mediante l’installazione di segni materiali, come paletti, muretti o recinzioni. Ex articolo 951 c.c.: “Se i termini fra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.”

Condizioni di applicabilità

  • Confine certo ma non visibile: la linea di confine è nota, ma i segni materiali mancano o sono deteriorati.
  • Accordo sulle spese: le spese per l’apposizione dei termini sono a carico di entrambi i proprietari.

Differenze con l’azione di regolamento di confini

  • Oggetto dell’azione: l’azione di apposizione riguarda la visibilità del confine, non la sua determinazione.
  • Presupposto: il confine è certo, a differenza dell’azione di regolamento dove è incerto.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha affermato che se durante l’azione di apposizione di termini emerge una contestazione sul confine, l’azione si trasforma implicitamente in un’azione di regolamento di confini (Cass. n. 9512/2014).

Le altre azioni a difesa della proprietà

Tra le altre azioni a difesa della proprietà troviamo anche le azioni possessorie e le azioni di nunciazione:

Azioni possessorie

  • Azione di reintegrazione (spoglio): per chi è stato privato del possesso in modo violento o clandestino (art. 1168 c.c.).
  • Azione di manutenzione: per chi subisce molestie nel possesso o è stato spogliato con modalità non violente (art. 1170 c.c.).

Azioni di nunciazione

  • Denuncia di nuova opera: quando un vicino esegue lavori che possono danneggiare la proprietà altrui (art. 1171 c.c.).
  • Denuncia di danno temuto: quando si teme che una situazione possa causare danni imminenti (art. 1172 c.c.).

Queste azioni tutelano il possesso, che è distinto dalla proprietà, ma possono essere utilizzate anche dal proprietario possessore.

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