giudice predibattimentale

Giudice predibattimentale: non può celebrare il giudizio La Consulta boccia l'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice predibattimentale a celebrare il giudizio dibattimentale

Giudice predibattimentale incompatibilità

Il giudice predibattimentale è incompatibile a celebrare il giudizio dibattimentale. E’ quanto ha affermato la Consulta (sentenza n. 179/2024) dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che è incompatibile a celebrare il giudizio dibattimentale di primo grado il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale, introdotta recentemente nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica dall’art. 32 del d.lgs. n. 150 del 2022, sul modello dell’udienza preliminare.

La qlc

Il Tribunale di Siena ha sollevato la questione di costituzionalità nell’ambito di un procedimento penale nel quale lo stesso giudice, che aveva tenuto l’udienza di comparizione predibattimentale, si trovava ad essere anche investito del giudizio dibattimentale.

Il Tribunale ha rilevato che la censurata norma processuale (art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.) si limitava a porre la regola secondo cui il giudice del dibattimento sarebbe dovuto essere «diverso» rispetto al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale; ma non prevedeva l’incompatibilità di cui all’art. 34 cod. proc. pen.

Censura fondata

La Corte costituzionale ha ritenuto fondata la censura sotto il profilo della dedotta violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma Cost., affermando che la mancata previsione, in tal caso, di una vera e propria incompatibilità viola i principi costituzionali di terzietà e imparzialità del giudice, quali presupposti dell’effettività della tutela giurisdizionale.

La Consulta ha, infatti, sottolineato che nelle ipotesi di incompatibilità previste dall’art. 34 cod. proc. pen., l’imparzialità del giudice è compromessa ex sé, in generale e in astratto, diversamente da quanto si verifica nei casi di possibile astensione del giudice per gravi ragioni di convenienza, di cui all’art. 36 cod. proc. pen.; disposizione questa che, invece, si riferisce a situazioni, in cui la terzietà e l’imparzialità del giudice risultano compromesse in concreto, caso per caso.

“La sola prescrizione della diversità del giudice del dibattimento rispetto a quello predibattimentale non è sufficiente ad assicurare la piena garanzia del giusto processo, trattandosi in una fattispecie in cui il pregiudizio all’imparzialità e terzietà del giudice del dibattimento è di gravità tale da dover essere necessariamente prevista in via generale e predeterminata come ipotesi di incompatibilità” ha ritenuto la Corte.

Il giudice delle leggi ha, poi, ritenuto violato anche l’art. 3 Cost., rilevando che il giudice dell’udienza preliminare e il giudice dell’udienza predibattimentale sono soggetti alla medesima regola di giudizio compendiata nel canone secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere» quando «gli elementi acquisiti non consentono» di formulare «una ragionevole previsione di condanna».

La decisione

Invece l’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. detta una disciplina ingiustificatamente differenziata nella misura in cui prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio soltanto per «il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare» e non anche per il giudice dell’udienza predibattimentale. Dall’ampliamento dei casi di incompatibilità per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale è conseguita la necessità di assicurare il principio del giusto processo anche con riferimento al giudizio di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, sicché la Corte, in via consequenziale, ha altresì esteso la dichiarazione di illegittimità costituzionale anche a questa ulteriore ipotesi.

azioni a difesa della proprietà

Le azioni a difesa della proprietà Una guida completa alle azioni a difesa della proprietà: dalle azioni petitorie a quelle possessorie e di nunciazione

Azioni a difesa della proprietà: tipologie ed esercizio

Le azioni a difesa della proprietà mirano a tutelare uno dei diritti reali fondamentali nel sistema giuridico italiano, protetto sia dal Codice Civile che dalla Costituzione. Questo diritto conferisce al titolare il potere di godere e disporre di un bene in modo pieno ed esclusivo. Tuttavia, possono sorgere situazioni in cui tale diritto viene leso o minacciato. In questi casi, il nostro ordinamento prevede una serie di azioni legali a difesa della proprietà.

Questa guida approfondisce le diverse tipologie di azioni disponibili, analizzandone le caratteristiche, le condizioni di applicabilità e le modalità di esercizio.

La proprietà nel diritto italiano

Secondo l’articolo 832 del Codice Civile, “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Questo diritto è quindi caratterizzato da:

  • Pienezza: il proprietario può utilizzare il bene in tutti i modi consentiti dalla legge.
  • Esclusività: il proprietario può escludere chiunque altro dall’uso del bene.

La Costituzione Italiana, all’articolo 42, riconosce e garantisce la proprietà privata, stabilendo che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Caratteristiche del diritto di proprietà

Le principali caratteristiche del diritto di proprietà sono:

  • Assolutezza: è opponibile erga omnes, ovvero nei confronti di chiunque.
  • Immediatezza: il proprietario esercita direttamente il suo diritto sul bene, senza l’intermediazione di altri soggetti.
  • Tipicità: è un diritto previsto e disciplinato dalla legge.
  • Patrimonialità: ha un valore economico e può essere oggetto di transazioni commerciali.

Azioni a difesa della proprietà: le azioni petitorie

Le azioni a difesa della proprietà contemplate dal codice civile, cosiddette azioni “petitorie” sono quattro: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, l’azione di regolamento di confini, l’azione di apposizione di termini.

Azione di rivendicazione

Tra le azioni a difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione, disciplinata dall’articolo 948 del Codice Civile, è lo strumento legale attraverso il quale il proprietario può recuperare il possesso di un bene detenuto da terzi.

Questa azione mira ad accertare la titolarità del diritto di proprietà e a ottenere la restituzione del bene. Ex articolo 948 c.c.: “Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può perseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa…”. 

Condizioni di applicabilità

Per esercitare l’azione di rivendicazione, è necessario:

  • Dimostrare il diritto di proprietà: l’attore deve fornire la prova della sua titolarità sul bene.
  • Identificare il bene: deve essere chiaro quale sia il bene oggetto della controversia.
  • Presenza di un terzo possessore o detentore: il bene deve essere in possesso o nella detenzione di un altro soggetto.

Onere della prova e Probatio diabolica

Una delle sfide principali nell’azione di rivendicazione è l’onere probatorio, noto come probatio diabolica. L’attore deve dimostrare:

  • Un valido titolo di acquisto: ad esempio, un contratto di compravendita.
  • La legittimità dei passaggi di proprietà precedenti: potrebbe essere necessario risalire fino all’acquisto originario.
  • L’assenza di usucapione da parte del convenuto: deve essere esclusa la possibilità che il convenuto abbia acquisito la proprietà per usucapione.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha affermato che l’onere probatorio nell’azione di rivendicazione si attenua se il convenuto oppone un titolo d’acquisto come l’usucapione. In tal caso, l’attore può limitarsi a dimostrare il proprio titolo e l’appartenenza del bene ai suoi danti causa in un periodo antecedente all’inizio del possesso del convenuto (Cass. n. 25865/2021).

Azione Negatoria

L’azione negatoria, regolata dall’articolo 949 del Codice Civile, è volta a far dichiarare l’inesistenza di diritti reali affermati da terzi sul bene di proprietà dell’attore. Serve a proteggere il proprietario da pretese illegittime che possano limitare il suo diritto. Ex articolo 949 c.c.: “Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio…”. 

Condizioni di applicabilità

  • Affermazione di diritti da parte di terzi: un altro soggetto sostiene di avere un diritto reale sul bene.
  • Pregiudizio o timore di pregiudizio: il proprietario teme che tali affermazioni possano ledere il suo diritto.
  • Prova della proprietà: l’attore deve dimostrare il suo diritto di proprietà, anche mediante presunzioni.

Onere della prova

A differenza dell’azione di rivendicazione, nell’azione negatoria l’onere della prova è meno gravoso. L’attore deve:

  • Dimostrare il proprio titolo di proprietà: può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, inclusa la presunzione di possesso.
  • Non è tenuto a una probatio diabolica: non è necessario risalire ai titoli di acquisto precedenti.

Il convenuto, invece, ha l’onere di provare l’esistenza del diritto affermato.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha chiarito che nell’azione negatoria il proprietario deve dimostrare il suo diritto, ma non in modo rigoroso come nell’azione di rivendicazione. Spetta al convenuto provare l’esistenza del diritto che limita la proprietà altrui (Cass. n. 1905/2023).

Azione di regolamento di confini

L’azione di regolamento di confini, prevista dall’articolo 950 del Codice Civile, è utilizzata quando esiste incertezza sulla linea di confine tra due fondi contigui. L’azione mira a stabilire giudizialmente il confine esatto. Ex articolo 950 c.c.: “Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente…”

Condizioni di applicabilità

  • Incertezza sul confine: non è chiaro dove si trovi esattamente la linea di separazione tra i fondi.
  • Contiguità dei fondi: i terreni devono essere confinanti.
  • Assenza di accordo tra le parti: i proprietari non riescono a definire il confine in via amichevole.

La prova

  • Titoli di proprietà: si esaminano i documenti di acquisto dei fondi.
  • Mappe catastali: utilizzate in mancanza di altri elementi probatori.
  • Perizie tecniche: un consulente tecnico può effettuare rilievi sul terreno.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’azione di regolamento di confini non richiede la probatio diabolica. È sufficiente dimostrare la proprietà dei rispettivi fondi, e ogni mezzo di prova è ammesso, inclusi testimonianze e presunzioni (Cass. n. 34825/2021).

Azione di apposizione di termini

L’azione di apposizione di termini, disciplinata dall’articolo 951 del Codice Civile, ha lo scopo di rendere visibile il confine tra due proprietà mediante l’installazione di segni materiali, come paletti, muretti o recinzioni. Ex articolo 951 c.c.: “Se i termini fra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.”

Condizioni di applicabilità

  • Confine certo ma non visibile: la linea di confine è nota, ma i segni materiali mancano o sono deteriorati.
  • Accordo sulle spese: le spese per l’apposizione dei termini sono a carico di entrambi i proprietari.

Differenze con l’azione di regolamento di confini

  • Oggetto dell’azione: l’azione di apposizione riguarda la visibilità del confine, non la sua determinazione.
  • Presupposto: il confine è certo, a differenza dell’azione di regolamento dove è incerto.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha affermato che se durante l’azione di apposizione di termini emerge una contestazione sul confine, l’azione si trasforma implicitamente in un’azione di regolamento di confini (Cass. n. 9512/2014).

Le altre azioni a difesa della proprietà

Tra le altre azioni a difesa della proprietà troviamo anche le azioni possessorie e le azioni di nunciazione:

Azioni possessorie

  • Azione di reintegrazione (spoglio): per chi è stato privato del possesso in modo violento o clandestino (art. 1168 c.c.).
  • Azione di manutenzione: per chi subisce molestie nel possesso o è stato spogliato con modalità non violente (art. 1170 c.c.).

Azioni di nunciazione

  • Denuncia di nuova opera: quando un vicino esegue lavori che possono danneggiare la proprietà altrui (art. 1171 c.c.).
  • Denuncia di danno temuto: quando si teme che una situazione possa causare danni imminenti (art. 1172 c.c.).

Queste azioni tutelano il possesso, che è distinto dalla proprietà, ma possono essere utilizzate anche dal proprietario possessore.

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gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: la guida Il gratuito patrocinio (patrocinio a spese dello Stato) è un istituto che permette ai soggetti meno abbienti di potersi difendere in giudizio

Cos’è il gratuito patrocinio

Il gratuito patrocinio, o patrocinio a spese dello Stato, è un istituto giuridico che consente alle persone che non hanno sufficienti risorse economiche di accedere alla giustizia, garantendo loro la possibilità di essere assistiti da un avvocato senza dover sostenere i costi delle spese legali. Questo beneficio viene concesso dallo Stato, che si fa carico delle spese per il patrocinio legale, tra cui onorari e altri costi necessari per la difesa. Il gratuito patrocinio consente quindi, a chi ha difficoltà economiche, di accedere alla giustizia, tutelando il diritto di difesa garantito dalla Costituzione italiana all’art. 24.

Disciplina del patrocinio a spese dello Stato

Il gratuito patrocinio è un’agevolazione che permette infatti, a chi ha un reddito basso, di essere assistito in giudizio da un avvocato senza dover sostenere le spese legali. Il DPR 115/2002, noto come “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, disciplina le condizioni, i requisiti e le procedure per l’accesso a questo servizio.

A chi spetta il gratuito patrocinio

Il gratuito patrocinio spetta a tutti i cittadini italiani e agli stranieri residenti in Italia che si trovano in situazioni economiche disagiate. In particolare, il beneficio viene concesso a chi non è in grado di sostenere le spese per la difesa in un processo e il cui reddito non superi determinati limiti stabiliti dalla legge. Le condizioni per accedere al patrocinio sono basate principalmente sul reddito e sulla composizione del nucleo familiare.

Requisiti reddituali

I limiti di reddito sono adeguati in base alla variazione degli indici ISTAT con decreto del Ministero della Giustizia e del’Economia e delle Finanze. Tale limite è stabilito in relazione al reddito pro capite, tenendo conto anche del numero di componenti del nucleo familiare.

Nel calcolo del reddito, infatti, si tiene conto non solo di quello del richiedente, ma anche di quello di tutti i componenti del nucleo familiare, tranne in alcuni casi particolari come quando il processo riguarda diritti personali o conflitti all’interno del nucleo familiare.

Se il reddito supera la soglia stabilita, l’ammissione al gratuito patrocinio non è concessa. Nel caso in cui il richiedente abbia un patrimonio elevato, pur avendo un reddito inferiore alla soglia, il gratuito patrocinio potrebbe comunque essere negato.

Per l’anno 2024, il limite di reddito è di 12.838,01 (d.m. 10 maggio 2023 in GU n. 130 del 6 giugno 2023).

Altri casi di ammissione al patrocinio

Oltre ai requisiti di reddito, il DPR 115/2002 prevede che possano beneficiare del patrocinio gratuito:

  • le vittime di violenza domestica o di genere, che possono presentare domanda per ottenere assistenza legale gratuita, a prescindere dal reddito;
  • i minori stranieri non accompagnati e coinvolti in un procedimento giurisdizionale;
  • gli imputati in processi penali, che hanno diritto alla difesa d’ufficio se non possono permettersi un avvocato.

Procedimenti ammessi al gratuito patrocinio

Il gratuito patrocinio può essere richiesto in vari tipi di procedimenti legali:

  • penali: per difendersi in caso di accusa di reato;
  • civili: per cause civili, separazioni, divorzi, cause di famiglia o in ambito lavorativo.
  • amministrativi: in caso di controversie con enti pubblici;
  • processi contabili, tributari e negli affari di volontaria giurisdizione

Beneficiari e limitazioni

Il gratuito patrocinio può essere esteso a chiunque sia parte in un processo, ma ci sono alcune limitazioni. Per esempio, in ambito penale, il beneficio non viene concesso a chi ha già una condanna penale per determinati reati, come quelli legati alla mafia o al terrorismo, o se il processo riguarda un reato di grande gravità. In ambito civile, la domanda di gratuito patrocinio può essere rigettata se il processo è manifestamente infondato o se riguarda questioni di difficile risoluzione giuridica.  

Come richiedere il gratuito patrocinio

Per richiedere il gratuito patrocinio, è necessario seguire una procedura specifica.

La domanda deve essere presentata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del tribunale competente. È possibile richiedere l’assistenza di un avvocato per compilare correttamente la documentazione.

La domanda prevede la compilazione di moduli disponibili presso il Consiglio dell’ordine competente a cui allegare il documento di identità del richiedente. Il modulo presentato dal difensore richiede l’autentica da parte di questo soggetto della firma dell’istante.

Documentazione necessaria

Occorre fornire la copia dell’ultima dichiarazione dei redditi e, in alcuni casi, altri documenti che dimostrino la situazione economica del richiedente e del suo nucleo familiare.

Esame della domanda

Il Consiglio dell’Ordine verifica i requisiti economici e decide se concedere il patrocinio gratuito. La decisione viene comunicata al richiedente entro un periodo di tempo stabilito. In caso di rigetto la richiesta può essere fare richiesta al giudice competente per il giudizio.

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referendum autonomia differenziata

Referendum autonomia differenziata Referendum autonomia differenziata: la raccolta firme, il quesito, le ragioni dell'iniziativa e i tempi della procedura

Referendum sull’autonomia differenziata

Il 20 e il 21 luglio 2024 è iniziata la campagna per la raccolta delle firme del referendum abrogativo della legge sulla autonomia differenziata n. 86/2024. Il referendum è stato promosso da un comitato referendario variegato. In esso si sono riunite diverse forse sociali, politiche e associative. Le firme necessarie per sostenete l’iniziativa erano 500.000, ma il risultato è stato raggiunto ampiamente grazie all’istituzione della piattaforma gratuita e pubblica dedicata.

Ragioni del referendum

Le ragioni della proposta di referendum contro l’autonomia differenziata dei rinvenirsi nell’approvazione della legge sulla autonomia differenziata n. 86/2024. Questa legge, proposta dal Ministro Calderoli, è considerata da molti un vero e proprio attacco ai principi della Costituzione. La previsione di livelli differenziati di autonomia tra regioni mette in pericolo l’unità e provoca danni al Nord Italia e al Sud Italia dal punto di vista economico, ambientale, sanitario, scolastico e lavorativo.

Le altre iniziative referendarie

La legge sull’autonomia differenziata è contestata anche a livello regionale. In Trentino ad esempio sono state avviate iniziative di sensibilizzazione dell’elettorato che andrà a votare. In Emilia Romagna invece sono stati votati due quesiti referendari. La regione Toscana ha invece fatto ricorso alla Corte Costituzionale per chiedere che la legge n. 86/2024 venga dichiarata incostituzionale. La regione Campania ha seguito l’esempio della Toscana, così come la Puglia.

Sulle questioni di legittimità costituzionale delle Regioni leggi “Autonomia differenziata: la Consulta ha fissato l’udienza

Legambiente dice no alla legge e promuove il referendum abrogativo. L’autonomia differenziata creerebbe divari territoriali anche in tema di accesso alle risorse naturali. Dello stesso avviso il WWF. La materia ambientale rientra infatti tra quelle che si prestano meno di altre a una frammentazione.

Il quesito referendario

Il quesito del referendum sull’autonomia differenziata è semplice e diretto: “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”?

Criticità della legge n. 86/2024

Diversi costituzionalisti hanno preso posizione sulla legge del Ministro Calderoni. L’appello è presente sul sito dedicato referendumautunomiadifferenziata.com.

Nell’appello i costituzionalisti esaminano la legge n. 86/2024 e la  confrontano con le norme della Costituzione dedicate all’autonomia regionale: articoli 116 e 117.

Effettuata la disamina i costituzionalisti giungono alla conclusione che la realizzazione dell’autonomia differenziata sacrificherebbe l’uguaglianza e l’uniformità dei diritti fondamentali dei cittadini italiani. Tutto questo si pone in contrasto con la necessità di creare  forme di autonomie più efficienti e capaci di soddisfare le esigenze reali dei cittadini.

Referendum autonomia differenziata: i tempi

La legge n. 352/1970, che disciplina i referendum previsti dalla Costituzione detta anche i tempi del procedimento.

Conclusa la raccolta delle firme è necessario procedere al deposito dei fogli che contengono le firme presso la cancelleria della Corte di Cassazione. Questo adempimento deve essere rispettato nel termine di 3 mesi, che decorrono dalla data di apposizione del timbro sui fogli stessi da parte di almeno tre dei promotori.

L’ufficio centrale della Cassazione esamina alla richiesta referendaria ed entro il 31 ottobre emette un’ordinanza. In presenza di irregolarità, l’ufficio notifica il provvedimento per consentire la presentazione di memorie o procedere alla sanatoria.

Entro il 15 dicembre l’ufficio decide in via definitiva sulla legittimità della richiesta con ordinanza. Il provvedimento è comunicato poi al Presidente della Corte Costituzionale.

Entro il 20 gennaio dell’anno successivo a quello dell’ordinanza predetta, il Presidente fissa il giorno per la deliberazione in camera di consiglio e nomina il relatore.

La Corte Costituzionale decide con sentenza, che deve essere pubblicata entro il 10 febbraio e in cui specifica quali richieste sono ammesse e quali invece sono respinte.

La sentenza viene poi comunicata “al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle due Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, nonché ai delegati o ai presentatori, entro cinque giorni dalla pubblicazione della sentenza stessa. Entro lo stesso termine il dispositivo della sentenza è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.”

A questo punto il Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, fissa la data di convocazione degli elettori in una domenica che deve essere compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.

 

Leggi anche: “Autonomia differenziata: cosa prevede la nuova legge

interesse legittimo

Interesse legittimo Interesse legittimo: definizione, differenze rispetto al diritto soggettivo e  riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo

Interesse legittimo: definizione

L’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva di vantaggio. Esso consiste nella pretesa che un privato vanta nei confronti della  pubblica amministrazione affinché questa eserciti il suo potere nel rispetto della legge. Mediante questa pretesa il cittadino può incidere sul corretto esercizio del potere della PA e realizzare l’interesse al bene della vita oggetto di un determinato provvedimento amministrativo.

L’interesse legittimo vantato dal singolo si scontra però e inevitabilmente con l’interesse pubblico di cui è portatrice la PA. La pubblica amministrazione infatti, con i suoi provvedimenti, può sia ampliare la sfera giuridica del singolo che restringerla.

Interessi legittimi: tipologie

Questa la ragione per la quale l’ordinamento contempla due tipi di interessi legittimi. Gli interessi legittimi pretensivi sono quelli che il soggetto vanta nei confronti della PA affinché questa adotti un certo provvedimento. Gli interessi legittimi oppositivi invece riconoscono al singolo il diritto di opporsi agli atti amministrativi che possono pregiudicare la sua sfera giuridica.

Diritto soggettivo

Nei confronti della PA il cittadino non vanta però solo interessi legittimi, ma anche diritti soggettivi. Il diritto soggettivo è un’altra posizione giuridica di vantaggio che l’ordinamento riconosce a un soggetto in relazione a un determinato bene, compresa la sua tutela giuridica.

Interesse legittimo e diritto soggettivo: differenze

L’elemento distintivo del diritto soggettivo rispetto all’interesse legittimo è rappresentato dalla assolutezza del primo rispetto al secondo, che gode per questo motivo di una tutela piena e diretta.  L’interesse legittimo è invece collegato all’esercizio del potere amministrativo e si caratterizza per la differenziazione e la qualificazione. Per differenziazione si intende la posizione del soggetto rispetto alla generalità dei consociati. La qualificazione invece deriva dal fatto che la norma sull’esercizio del potere della PA per perseguire il pubblico interesse deve necessariamente considerare anche l’interesse del singolo che è collegato a quello pubblico.

Giudice ordinario e Giudice Amministrativo

La distinzione analizzata tra interesse legittimo e diritto soggettivo è necessaria ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giuridico amministrativo.

Sul riparto di giurisdizione leggi anche Riparto giurisdizione controversie finanziamenti pubblici

Interesse legittimo e giurisdizione nella Costituzione

Dalla lettura degli articoli 24, 103 e 113 della Costituzione emerge infatti che il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo è conseguenza della distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo.

L’articolo 24 riconosce a tutti i cittadini di agire in giudizio per tutelare i propri diritti soggettivi e interessi legittimi. L’articolo 103 precisa invece che la giurisdizione amministrativa per la tutela degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi in determinate materie spetta per legge al Consiglio di Stato e agli altri organi della giustizia amministrativa.

L’articolo 113 infine riconosce la tutela contro gli atti della PA per la tutela degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi.

Tipologie di giurisdizione del GA

Per quanto riguarda nello specifico la giurisdizione del Giudice amministrativo, essa si distingue in tre diverse tipologie.

  • Giurisdizione generale di legittimità: riguarda le controversie che hanno ad oggetto gli atti, i provvedimenti e le omissioni della PA.
  • Giurisdizione esclusiva: è quella che riguarda le materie previste specificamente dalla legge ed elencate nell’articolo 133 del Codice del processo amministrativo.
  • Giurisdizione di merito: in questi casi il giudice si sostituisce alla Pubblica Amministrazione, ma ha poteri più ampi.

Giudice amministrativo: competenza

Il Giudice amministrativo si occupa delle materie in cui ha la competenza esclusiva indicate dall’art. 133 del Codice del processo amministrativo (decreto legislativo n. 104/2010). Esso è competente anche nelle controversie che riguardano il risarcimento del danno derivante dalla commissione di un danno ingiusto causato dalla inosservanza colposa o dolosa del termine in cui dovrebbe concludersi il procedimento amministrativo.

Il Giudice amministrativo è competente inoltre nella tutela dei diritti soggettivi, ma solo in relazione a particolari materie indicate dalla legge che riguardano “l‘esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”. 

convivente di fatto familiare

Il convivente di fatto è un familiare La disciplina dell'impresa familiare si applica dunque anche al convivente di fatto. Illegittimi gli artt. 230bis e 230-ter c.c.

Convivente di fatto e impresa familiare

Il convivente di fatto è un familiare perciò si applica la disciplina dell’impresa di famiglia. E’ quanto ha affermato la Corte Costituzionale (sentenza n. 148/2024) dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede come familiare – oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo – anche il «convivente di fatto» e come impresa familiare quella cui collabora anche il «convivente di fatto».

Inoltre, in via consequenziale, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter del codice civile, che, introdotto dalla legge n. 76 del 2016 (cosiddetta legge Cirinnà), riconosceva al convivente di fatto una tutela significativamente più ridotta.

Conviventi di fatto: la legge e la giurisprudenza

Per «conviventi di fatto» – secondo la definizione prevista dall’art. 1, comma 36, di tale legge – si intendono «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale».

Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, avevano sollevato questioni di legittimità costituzionale della disciplina dell’impresa familiare – in riferimento, in particolare, agli articoli 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione – nella parte in cui il convivente more uxorio non era incluso nel novero dei «familiari».

La Corte costituzionale ha accolto le questioni rilevando che, in una società profondamente mutata, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa nazionale, sia della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.

L’impresa familiare

“Rimangono – osserva ancora la Corte – le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio; ma quando si tratta di diritti fondamentali, questi devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni”.

Tale è il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione; diritto che, “nel contesto di un’impresa familiare, richiede uguale tutela, versando anche il convivente di fatto, come il coniuge, nella stessa situazione in cui la prestazione lavorativa deve essere protetta, rischiando altrimenti di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito”.

La decisione

Nel sottolineare che “la tutela del lavoro è strumento di realizzazione della dignità di ogni persona, sia come singolo che quale componente della comunità, a partire da quella familiare” la Consulta ha quindi ritenuto irragionevole la mancata inclusione del convivente di fatto nell’impresa familiare.

“All’ampliamento della tutela apprestata dall’art. 230-bis del codice civile al convivente di fatto è conseguita l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter del codice civile, che – nell’attribuire allo stesso una tutela ridotta, non comprensiva del riconoscimento del lavoro nella famiglia, del diritto al mantenimento, nonché dei diritti partecipativi nella gestione dell’impresa familiare – comporta un ingiustificato e discriminatorio abbassamento di protezione”.

Allegati

capacità giuridica

La capacità giuridica Definizione e profili storici della disciplina della capacità giuridica. In particolare: la tutela del concepito e le differenze con la capacità di agire

Capacità giuridica, definizione

La capacità giuridica è l’attitudine di una persona ad essere titolare di diritti e di doveri giuridici.

Tale istituto, tanto essenziale nei suoi caratteri quanto fondamentale nell’ambito di un ordinamento giuridico, è disciplinato dall’art. 1 del codice civile, che stabilisce che la capacità giuridica si acquista al momento della nascita.

Profili storici della disciplina della capacità giuridica

L’importanza di una disciplina espressa riguardo all’istituto in parola si coglie più compiutamente attraverso un confronto con la disciplina prevista in altri periodi storici, quando era contemplata la possibilità di limitare o privare della capacità giuridica (c.d. morte civile) taluni soggetti per motivi politici o razziali.

È ciò che avvenne, ad esempio, in Italia durante il regime fascista, e un importante riflesso ne è l’attuale testo dell’art. 22 della Costituzione, il quale espressamente dispone che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.

Acquisto e perdita della capacità giuridica: l’art. 1 del codice civile

Come si è detto, la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, con ciò intendendosi il momento del distacco del feto dal grembo materno.

Ciò significa che il nascituro non è considerato, nel nostro ordinamento, soggetto di diritto, sebbene sia comunque oggetto di tutela da parte della legge.

La capacità giuridica del concepito

Infatti, ad esempio, il concepito (e a dire il vero anche il non-concepito, se si intenda il figlio di una determinata persona vivente al tempo della morte del de cuius) può succedere per testamento e ricevere per donazione.

I diritti del nascituro, però, sono subordinati all’evento della nascita, come prevede il secondo comma dell’art. 1 del codice civile.

Perdita della capacità giuridica

Analogamente, la capacità giuridica di un soggetto termina con la sua morte naturale. Per vero, anche la dichiarazione (con sentenza) di morte presunta, ex art. 58 c.c., determina la perdita della capacità giuridica del soggetto, con contestuale apertura della relativa successione.

Capacità delle persone giuridiche

Oltre che appannaggio delle persone fisiche, la capacità giuridica è configurabile anche in capo alle persone giuridiche, sebbene ciò non postuli il possesso da parte di queste ultime di alcuni diritti propri delle persone fisiche (si pensi a quelli afferenti al diritto familiare).

Le persone giuridiche sono titolari, peraltro, di alcuni rilevanti diritti, quali quello al nome (o alla denominazione) e all’immagine.

Differenza tra capacità giuridica e capacità di agire

Sul tema in oggetto, è importante distinguere tra loro i concetti, ben differenti, di capacità giuridica e capacità di agire.

Se la capacità giuridica, come si è detto, attiene alla generica attitudine alla titolarità di diritti e obblighi giuridici, la capacità di agire indica, invece, la possibilità di porre in atto atti giuridici, e quindi di divenire volontariamente titolare di diritti o di obbligarsi verso terzi.

A differenza della capacità giuridica, la capacità d’agire non si acquista con la nascita ma, come disposto dall’art. 2 cod. civ., si consegue, come regola generale, alla maggiore età, attualmente fissata al compimento dei 18 anni.

In alcuni casi, peraltro, l’ordinamento prevede che determinati atti giuridici possano essere posti in atto anche dal minore (vedi le norme in tema di matrimonio e riconoscimento del figlio da parte del minore emancipato), e che in altri casi la capacità di agire possa essere limitata, anche a tutela del soggetto stesso (interdizione o inabilitazione).

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edilizia pubblica incostituzionale residenza

Edilizia pubblica: incostituzionale chiedere la residenza La Corte Costituzionale ha bocciato la legge del Piemonte che richiedeva per ottenere un'abitazione di edilizia pubblica il requisito della residenza nel territorio regionale

Alloggio di edilizia pubblica e residenza

E’ incostituzionale richiedere la residenza o l’attività lavorativa pregressa e protratta nel territorio regionale al fine di ottenere un’abitazione di edilizia pubblica. “Non c’è alcuna ragionevole correlazione – infatti – fra l’esigenza di accedere al bene casa, ove si versi in condizioni economiche di fragilità, e la pregressa e protratta residenza o attività lavorativa nel territorio regionale”. Lo ha ribadito la Corte costituzionale con la sentenza n. 147-2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Piemonte 17 febbraio 2010, n. 3.

Ostacolo al diritto all’abitazione

La Corte ha sottolineato come “il requisito della pregressa e protratta residenza sul territorio regionale, così come quello della pregressa e protratta attività lavorativa, pone un ostacolo al soddisfacimento del diritto all’abitazione che deve invece fondarsi sulla situazione di bisogno o di disagio, rispetto alla quale la durata della permanenza pregressa nel territorio regionale non presenta alcun collegamento logico”.

Si tratta, infatti, di requisiti che, “proprio perché sganciati da ogni valutazione su tale stato di bisogno, sono incompatibili con il concetto stesso di servizio sociale, inteso quale servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli”. Né “valgono a indicare una prospettiva di radicamento sul territorio regionale”.

Incostituzionale sotto un triplice profilo

Il giudice delle leggi ha pertanto riscontrato che la legge piemontese viola l’art. 3 Cost. sotto un triplice profilo: “per intrinseca irragionevolezza, perché prevede requisiti del tutto non correlati con la funzione propria dell’edilizia sociale; perché determina una ingiustificata diversità di trattamento tra persone che si trovano nelle medesime condizioni di fragilità; e perché tradisce il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

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Referendum: come si usa la piattaforma per la raccolta firme digitali Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 luglio il Dpcm 18 luglio 2024 che prevede l’attivazione della nuova piattaforma digitale per la raccolta delle firme per il referendum. Ecco come funziona

Referendum: piattaforma digitale raccolta firme

È stato pubblicato il 25 luglio in Gazzetta ufficiale il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm del 18 luglio 2024) che prevede l’attivazione della nuova piattaforma digitale dedicata alla raccolta delle firme per i referendum. Ne dà notizia il ministero della Giustizia sul proprio sito Gnewsonline.

La piattaforma è concepita per agevolare la sottoscrizione digitale dei referendum abrogativi o costituzionali, e delle iniziative legislative di natura popolare.

Con questa nuova iniziativa progettuale, curata dal Dipartimento per l’Innovazione Tecnologica della giustizia tramite la Direzione Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati, il Ministero della Giustizia “ribadisce il proprio impegno nel promuovere strumenti innovativi volti a facilitare la partecipazione attiva dei cittadini e garantire processi democratici più accessibili e trasparenti”.

Come funziona il sistema

Il sistema, che ha ottenuto il parere del Garante per la protezione dei dati personali, è utilizzabile dai promotori di proposte referendarie e dagli uffici della Corte di Cassazione e delle Camere, per gestire tutte le fasi del processo di raccolta delle firme dei sostenitori in formato digitale. Il sistema effettua poi la verifica della presenza e validità delle firme, mediante interoperabilità con il sistema dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), presso le anagrafi dei comuni ove sono residenti i cittadini firmatari delle proposte.

“La piattaforma rappresenta un’innovazione cruciale per la partecipazione politica in Italia e pone il Ministero e il nostro Paese all’avanguardia nell’uso delle tecnologie digitali a supporto della democrazia”, ha dichiarato il Ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Operatività piattaforma dal 25 luglio 2024

Ex art. 1 del decreto, l’operatività della piattaforma per la raccolta digitale delle sottoscrizioni in materia di referendum e di proposte di legge di iniziativa popolare è attestata a partire dalla data di entrata in vigore del Dpcm, ossia dal 25 luglio stesso.

Per cui, le firme degli elettori a sostegno delle proposte referendarie ex art. 75 e 138 Costituzione e dei progetti di legge ex art. 71, 2° comma, Cost., saranno raccolte in forma digitale.

Leggi anche Referendum, arriva la piattaforma digitale

Come si utilizza la piattaforma

Il ministero ha pubblicato un utile vademecum sull’utilizzo della piattaforma , la quale è accessibile dall’area privata con la propria identità digitale (Spid, Cie, Cns o eIDAS), effettuando la scelta preliminare tra “cittadini” e “comitati promotori” e potendo così sostenere e gestire una o più proposte referendarie.

Una volta completata l’autenticazione, con un semplice click si può sostenere un’iniziativa tra quelle disponibili. Al termine, è possibile scaricare l’attestato di sottoscrizione.

La piattaforma consente anche di promuovere un referendum abrogativo, costituzionale o una legge di iniziativa popolare. Il sistema garantisce una procedura guidata intuitiva e strumenti utili, come la sezione che permette di visualizzare il numero di firme raccolte a livello territoriale per la specifica iniziativa.

Alla scadenza della raccolta firme si potrà scaricare un attestato, emesso dal ministero della Giustizia, di messa a disposizione dei dati e delle sottoscrizioni del quesito all’Ufficio referendum della Corte di cassazione.

Nell’homepage della piattaforma, sezione “Elenco iniziative”, sono presenti le proposte referendarie attive e quelle già chiuse, con dettagli sul quesito, i firmatari e i promotori dell’iniziativa. Per tutti coloro che si sono autenticati, é disponibile sulla Hp, in calce, una form per la richiesta di assistenza.

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espropriazione pubblica utilità

Espropriazione per pubblica utilità Il procedimento di espropriazione per pubblica utilità e le sue fasi: il vincolo, la dichiarazione di pubblica utilità, l’indennità e il decreto di esproprio

Cosa si intende con espropriazione?

L’espropriazione per pubblica utilità è una procedura che le pubbliche amministrazioni possono mettere in atto quando, in base agli strumenti urbanistici di pianificazione territoriale, ritengano che una determinata area debba essere asservita alla realizzazione di un’opera di pubblica utilità o che un determinato immobile debba essere destinato ad una funzione di pubblica utilità.

L’espropriazione per pubblica utilità nella Costituzione

L’espropriazione si pone, quindi, come un limite al diritto di proprietà, nel senso che pur corrispondendo quest’ultimo ad un potere illimitato di godimento e disposizione sul bene in capo al proprietario, tale diritto/potere è destinato a recedere di fronte al superiore interesse pubblico.

Questo è esattamente il concetto espresso dall’art. 42 della Costituzione, che al terzo comma dispone, appunto, che la proprietà privata, nelle ipotesi previste dalla legge, può essere espropriata per cause di interesse generale e che, in tali casi, al proprietario spetta un indennizzo.

Quanto dura il vincolo di esproprio?

Ovviamente, per evitare abusi, discriminazioni e disparità di trattamento, l’intero procedimento di espropriazione per pubblica utilità è disciplinato nel dettaglio dalla legge e trova, oggi, compiuta regolamentazione nel DPR n. 327 del 2001, c.d. Testo Unico sugli espropri.

In base alla normativa in vigore, il primo passaggio fondamentale del procedimento di espropriazione è l’apposizione del vincolo su un determinato bene. La scelta del bene, o dei beni, su cui apporre tale vincolo discende direttamente dall’approvazione degli strumenti di pianificazione urbanistica, come il Piano di Governo del Territorio o il Piano Regolatore.

Il vincolo ha una durata di cinque anni, anche se la legge prevede che possa essere reiterato nel caso in cui non abbia avuto seguito entro tale termine. In tale ipotesi, però, al proprietario va riconosciuta un’indennità commisurata al danno prodotto. Ciò è conseguenza del fatto che, per il fatto dell’apposizione del vincolo, il bene subisce un chiaro deprezzamento, e la reiterazione del vincolo non fa altro che prolungare tale situazione.

Entro i cinque anni dall’apposizione, pertanto, deve normalmente intervenire il successivo provvedimento dell’Autorità procedente, che consiste nella dichiarazione di pubblica utilità. In caso contrario, e in mancanza di reiterazione, il vincolo decade.

La dichiarazione di pubblica utilità

La dichiarazione di pubblica utilità consegue all’approvazione del progetto definitivo di un’opera (si pensi ad una strada) e si concreta nella destinazione alla pubblica utilità dell’area su cui tale opera dovrà insistere.

Tale dichiarazione viene resa pubblica dall’Ente procedente (ad esempio sugli albi, o in apposite sezioni del sito web istituzionale) e può essere oggetto di osservazioni da parte di eventuali controinteressati, le quali vengono esaminate dall’amministrazione nell’ambito di un’istruttoria di cui viene dato conto nel provvedimento finale.

Tale provvedimento può prevedere la trasformazione fisica dell’immobile (nel classico caso di costruzione di una nuova opera) o nella semplice destinazione ad uso pubblico di un immobile privato preesistente.

In ogni caso, il provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità viene notificato ai proprietari delle aree interessate, in vista del conseguente provvedimento di esproprio, che deve essere adottato entro cinque anni, salvo proroga di massimo due anni.

Quanto viene pagato un esproprio?

Prima dell’adozione del decreto di esproprio, cioè del provvedimento con cui si conclude il procedimento di espropriazione per pubblica utilità, è necessario che l’amministrazione procedente determini l’indennità di esproprio.

Tale emolumento rappresenta l’indennizzo al proprietario, la cui corresponsione è prevista, come detto, dall’art. 42 della nostra Costituzione.

L’indennità provvisoria è comunicata al destinatario, che può accettare l’importo o avanzare le proprie osservazioni in merito. Successivamente, l’Ente, sentiti i tecnici incaricati, determina l’indennità di esproprio definitiva, commisurata al valore venale del bene.

Dopo il pagamento dell’indennità, viene stipulato con il privato l’atto di cessione e adottato il decreto di esproprio, con la conseguente presa di possesso da parte dell’Amministrazione procedente e l’avvio dei lavori, ove previsti.