permessi premio

Permessi premio: la guida Permessi premio: cosa sono, a cosa servono, chi può chiederli, come funzionano, come fare domanda, concessione, limiti e condizioni

Permessi premio: misure per rieducare detenuto

I permessi premio sono una delle più importanti misure di trattamento penitenziario premiale previste dall’ordinamento italiano, introdotti per incentivare la rieducazione del detenuto e favorire il suo graduale reinserimento nella società, in linea con quanto stabilito dall’art. 27 della Costituzione.

I permessi premio rappresentano infatti uno strumento centrale nel sistema penitenziario italiano, volto a realizzare il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. La loro concessione però, come vedremo, non è automatica, ma subordinata a criteri rigorosi, che richiedono un percorso concreto di responsabilizzazione del detenuto. Per ottenere un permesso è essenziale dimostrare affidabilità, impegno nel trattamento e volontà di reinserimento sociale.

Cosa sono i permessi premio

I permessi premio sono disciplinati dall’art. 30-ter della legge sull’ordinamento penitenziario (l. 26 luglio 1975, n. 354) e consistono nella possibilità per il detenuto di uscire temporaneamente dal carcere per un massimo di 45 giorni all’anno, anche frazionabili, per fare rientro in famiglia, partecipare a eventi significativi o riprendere contatti con il tessuto sociale esterno.

Non si tratta di un diritto automatico, ma di un beneficio che può essere concesso in base a specifici requisiti oggettivi e soggettivi.

A cosa servono i permessi premio

I permessi premio hanno una funzione rieducativa, risocializzante e progressiva, finalizzata a:

  • favorire i legami familiari e affettivi del detenuto;
  • stimolare comportamenti responsabili e collaborativi durante l’esecuzione della pena;
  • valutare in concreto l’idoneità del condannato a vivere in libertà senza recidive;
  • preparare il detenuto alla liberazione anticipata o al passaggio a misure alternative.

Chi può ottenere i permessi premio

I permessi premio non sono concessi a tutti i detenuti indistintamente, ma solo a chi:

  1. è stato condannato all’arresto o alla reclusione per un periodo non superiore a 4 anni anche se congiunta alla pena dell’arresto;
  2. è stato condannato alla pena della reclusione per un periodo duperiuore ai 4 anni , dopo aver espiati almeno 1/4 della pena;
  3. è stato condannato alla pena della reclusione per particolari reati (art. 4 bis commi 1, 1 ter e 1 quater) dopo aver espiato almeno metà della pena e comunque di non oltre 10 anni;
  4. è stato condannato all’ergastolo ma ha già espiato 10 anni;
  5. ha tenuto una condotta regolare e collaborativa nel periodo di detenzione;
  6. partecipa attivamente al percorso trattamentale, mostrando progressi in ambito lavorativo, scolastico o relazionale;
  7. non presenta pericolosità sociale attuale, valutata anche in relazione al tipo di reato commesso;
  8. partecipa al programma di giustizi riparativa.

In presenza di condanne per reati ostativi di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario (es. mafia, terrorismo, reati sessuali gravi), il permesso premio può essere concesso solo se il detenuto ha collaborato concretamente con la giustizia.

Chi decide sulla concessione del permesso

La decisione spetta al Magistrato di sorveglianza, su proposta dell’Equipe trattamentale dell’istituto penitenziario, che valuta:

  • le relazioni comportamentali del detenuto;
  • le attività trattamentali seguite (lavoro, formazione, ecc.);
  • gli elementi di pericolosità attuale o futura;
  • l’esistenza di un programma specifico per il permesso (es. visita a familiari, partecipazione a un evento importante, colloqui di lavoro).

Il parere dell’Equipe non è vincolante, ma è elemento rilevante per la decisione finale.

Come funziona un permesso premio

Il permesso premio può essere concesso per una durata massima di 15 giorni consecutivi per volta, entro il limite annuale di 45 giorni complessivi.

Durante il permesso, il detenuto:

  • non è sottoposto a vigilanza diretta, ma deve attenersi scrupolosamente agli obblighi imposti;
  • deve ritornare in istituto alla scadenza del periodo autorizzato, pena la denuncia per evasione;
  • può essere soggetto a controlli esterni da parte delle forze dell’ordine o del personale del carcere.

La concessione del permesso è revocabile in caso di violazione delle condizioni o di comportamenti inappropriati durante il periodo fuori dall’istituto.

Come si fa domanda per il permesso premio

La richiesta può essere presentata direttamente dal detenuto o tramite il proprio difensore. La procedura prevede:

  1. la presentazione di un’istanza scritta motivata, rivolta al Magistrato di sorveglianza;
  2. l’invio della relazione aggiornata dell’Equipe trattamentale;
  3. la presentazione di documentazione che giustifichi il motivo del permesso (inviti, certificati, lettere familiari, ecc.);
  4. l’indicazione di eventuali garanzie esterne (disponibilità alloggio, presenza di familiari, ecc.).

Il magistrato valuta la richiesta e può concedere o rigettare il permesso con provvedimento motivato, eventualmente dopo un’udienza.

Limiti e condizioni

Tra i principali limiti dei permessi premio:

  • reati ostativi: come già detto, richiedono collaborazione con la giustizia per poter accedere al beneficio;
  • rischi di fuga o recidiva: il magistrato valuta attentamente ogni elemento che possa far ritenere il soggetto inaffidabile;
  • assenza di percorso trattamentale: la mancata partecipazione alle attività del carcere è elemento ostativo.

L’obiettivo è garantire che il beneficio sia parte integrante del percorso rieducativo, non un semplice privilegio.

 

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controllo amministrativo

Il controllo amministrativo Controllo amministrativo: definizione, evoluzione normativa, tipologie e livelli nella pubblica amministrazione

Cosa si intende per controllo amministrativo

Il controllo amministrativo rappresenta una funzione fondamentale dell’organizzazione pubblica, finalizzata a garantire la legittimità, l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa. In un sistema complesso come quello della pubblica amministrazione italiana, i controlli costituiscono uno strumento essenziale per assicurare il rispetto delle norme, l’uso corretto delle risorse pubbliche e il perseguimento degli obiettivi istituzionali.

Per controllo amministrativo si intende l’attività volta a verificare e valutare l’operato dell’amministrazione pubblica, sia sotto il profilo della legalità (conformità agli atti normativi e regolamentari), sia sotto quello dell’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.

Questa funzione è espressione del principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.), che impone alla pubblica amministrazione di agire secondo criteri di correttezza, trasparenza e responsabilità.

Evoluzione normativa e attuazione pratica

A partire dagli anni ’90, la disciplina dei controlli amministrativi è stata oggetto di un profondo rinnovamento, orientato verso una logica di risultato più che di mera conformità formale. Le riforme in materia di pubblica amministrazione, in particolare il D.Lgs. 286/1999, il D.Lgs. 150/2009 (legge Brunetta) e le disposizioni più recenti sulla performance organizzativa, hanno introdotto strumenti per misurare l’efficacia dell’azione pubblica in modo sistematico.

In ambito locale, il Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs. 267/2000) disciplina i controlli interni sugli atti e sulle gestioni degli enti territoriali, prevedendo anche il ricorso a organismi indipendenti di valutazione (OIV).

Tipologie di controllo amministrativo

Il sistema dei controlli nella pubblica amministrazione si articola in varie tipologie, tra le quali si distinguono principalmente:

  1. Controllo di legittimità: consiste nella verifica della conformità degli atti amministrativi alle norme di legge, regolamento e ai principi generali dell’ordinamento. Può essere preventivo o successivo.
  2. Controllo di merito: riguarda la valutazione dell’opportunità e convenienza dell’azione amministrativa, in relazione agli obiettivi prefissati e alle risorse disponibili. Ha natura discrezionale e non giurisdizionale.
  3. Controllo contabile: mira ad accertare la regolarità e la correttezza della gestione finanziaria, contabile e patrimoniale degli enti pubblici. È esercitato dalla Corte dei conti e dagli organi interni di controllo.
  4. Controllo strategico: valuta il raggiungimento degli obiettivi istituzionali e l’impatto delle politiche pubbliche, contribuendo alla pianificazione e al miglioramento continuo delle performance amministrative.
  5. Controllo di regolarità amministrativa e contabile: disciplinato dal D.Lgs. 286/1999, si applica agli atti amministrativi e ai documenti contabili, garantendo la legittimità e la coerenza della spesa pubblica. In ambito statale è esercitato dagli Uffici centrali di bilancio e dalla Ragioneria generale dello Stato.
  6. Controllo di gestione: è finalizzato alla verifica dell’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, con particolare attenzione all’utilizzo delle risorse in relazione ai risultati conseguiti.
  7. Controlli ispettivi: sono attività di vigilanza e verifica condotte da organi superiori o esterni, anche su segnalazione o d’ufficio, per accertare disfunzioni o irregolarità nell’attività amministrativa.

Livelli del controllo amministrativo

I controlli nella pubblica amministrazione si articolano su più livelli, a seconda dell’organo che li esercita e della fase in cui intervengono:

  • Controlli interni: svolti dagli stessi organi dell’amministrazione o da strutture a ciò deputate (es. nuclei di valutazione, uffici interni di controllo di gestione). Rientrano in questa categoria il controllo di gestione, il controllo strategico e quello di regolarità amministrativa.
  • Controlli esterni: esercitati da enti terzi rispetto all’amministrazione controllata. Il principale è quello della Corte dei conti, che vigila sulla legittimità e sulla regolarità della gestione finanziaria pubblica, nonché sull’eventuale responsabilità amministrativo-contabile dei funzionari.
  • Controlli preventivi: intervengono prima che l’atto produca effetti giuridici. Sono tipici, ad esempio, i controlli di legittimità sugli atti soggetti a visto o registrazione.
  • Controlli successivi: effettuati dopo l’adozione dell’atto amministrativo, al fine di verificarne l’effettiva efficacia e l’impatto rispetto agli obiettivi fissati.
  • Controlli gerarchici e funzionali: il primo è esercitato da un’autorità superiore nei confronti dell’autorità subordinata; il secondo si basa sulla competenza funzionale (es. autorità di vigilanza nei settori regolati).

 

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assegno temporaneo figli minori

Assegno temporaneo figli minori: legittimo escludere i richiedenti asilo Per la Corte Costituzionale è legittima l'esclusione dei richiedenti asilo dall'assegno temporaneo figli minori

Assegno temporaneo figli minori

Con la sentenza n. 40 del 2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità sollevate in merito all’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1), del decreto-legge 8 giugno 2021, n. 79 (convertito con modifiche dalla legge 30 luglio 2021, n. 112), che disciplina l’assegno temporaneo per i figli minori.

Le questioni erano state sollevate dal Tribunale di Padova, adito da una cittadina extracomunitaria, madre di due minori e titolare di permesso di soggiorno per richiesta di asilo, alla quale l’INPS aveva negato l’assegno temporaneo in quanto priva del requisito del titolo di soggiorno previsto dalla norma (permesso UE per soggiornanti di lungo periodo o permesso per lavoro o ricerca di durata non inferiore a sei mesi).

Nessun contrasto con la Costituzione

Il giudice a quo aveva ipotizzato un contrasto con gli articoli 3 e 31 della Costituzione, ritenendo irragionevole l’esclusione di soggetti in stato di bisogno sulla sola base del titolo di soggiorno. Tuttavia, la Corte ha ritenuto infondate le censure.

Secondo i giudici costituzionali, l’assegno temporaneo non rientra tra le prestazioni sociali essenziali a tutela dei diritti inviolabili della persona. Si tratta, piuttosto, di una misura volta a incentivare la genitorialità, connessa a specifiche condizioni economiche, e destinata a essere assorbita dall’assegno unico universale previsto dal d.lgs. n. 230/2021.

I richiedenti asilo e le altre tutele previste

La Corte ha sottolineato che ai richiedenti asilo e ai loro familiari sono già garantiti diversi strumenti di tutela, tra cui l’assistenza sanitaria, l’accesso all’istruzione per i minori e la possibilità di svolgere attività lavorativa, idonei a fronteggiare i bisogni primari.

Una volta riconosciuta la protezione internazionale o sussidiaria, i beneficiari accedono alle medesime prestazioni sociali previste per i cittadini italiani, compreso l’assegno per i figli.

Discrezionalità legislatore e principio ragionevolezza

In conclusione, la Consulta ha ribadito che il legislatore, nel rispetto del principio di ragionevolezza e tenendo conto della disponibilità delle risorse finanziarie, può prevedere criteri selettivi o escludere determinate categorie di stranieri dall’accesso a prestazioni sociali non essenziali. L’esclusione dei richiedenti asilo dall’assegno temporaneo, quindi, non risulta lesiva dei principi costituzionali.

Fonti del diritto amministrativo

Le fonti del diritto amministrativo Le fonti del diritto amministrativo rappresentano un sistema complesso e articolato, volto a garantire la corretta gestione dell’attività amministrativa e la tutela dei diritti dei cittadini

Fonti diritto amministrativo: normativa

Il diritto amministrativo è una branca del diritto pubblico che disciplina l’organizzazione, il funzionamento e l’attività della pubblica amministrazione. Le fonti del diritto amministrativo sono molteplici e si articolano su diversi livelli gerarchici, comprendendo norme di diritto interno e di diritto internazionale. La loro conoscenza è fondamentale per comprendere il funzionamento della pubblica amministrazione e le regole che ne disciplinano l’operato.

Fonti del diritto amministrativo: quali sono

Le fonti del diritto amministrativo si suddividono in fonti primarie e fonti secondarie, seguendo una gerarchia normativa stabilita dal principio di legalità.

1. Fonti primarie

Le fonti primarie sono quelle che derivano direttamente dalla Costituzione e che hanno la massima forza normativa. Tra queste troviamo:

  • La Costituzione: rappresenta la fonte primaria fondamentale, stabilisce i principi cardine del diritto amministrativo, come il principio di legalità, di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
  • Le leggi ordinarie: sono emanate dal Parlamento e regolano in modo dettagliato l’attività della pubblica amministrazione, come ad esempio la legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo.
  • Le leggi regionali: sono quelle che si riferiscono alle competenze amministrative decentrate, nel rispetto del principio di sussidiarietà.
  • Le leggi costituzionali e le leggi di revisione costituzionale: modificano la Costituzione e incidono sulla struttura dell’amministrazione pubblica.
  • I decreti legislativi: sono emanati dal Governo su delega del Parlamento e hanno lo stesso valore delle leggi ordinarie (es. D.lgs. 165/2001 sul pubblico impiego).
  • I decreti legge: adottati dal Governo in casi di necessità e urgenza, devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni.
  • Le norme dell’Unione Europea: comprendono regolamenti (direttamente applicabili) e direttive (che devono essere recepite con atti nazionali).
  • Le convenzioni internazionali: quando ratificate dall’Italia, entrano a far parte dell’ordinamento e possono influenzare il diritto amministrativo.

2. Fonti secondarie

Le fonti secondarie sono subordinate alle fonti primarie e hanno un ruolo di attuazione e integrazione della normativa principale. Tra queste troviamo:

  • I regolamenti amministrativi: adottati dal Governo o da enti locali per disciplinare in dettaglio l’applicazione delle leggi. Si suddividono in:
    • Regolamenti di esecuzione: attuano leggi già esistenti.
    • Regolamenti di organizzazione: disciplinano l’organizzazione interna delle amministrazioni.
    • Regolamenti indipendenti: disciplinano materie non regolate da legge (nei limiti stabiliti dalla Costituzione).
  • Le circolari amministrative: non hanno valore normativo, ma servono a interpretare e applicare le norme esistenti.
  • Le ordinanze amministrative: atti con efficacia normativa in situazioni di emergenza (es. ordinanze sindacali per la sicurezza pubblica).
  • Statuti: sono le fonti degli enti locali che si occupano di disciplinare l’organizzazione e il funzionamento interno

Gerarchia delle fonti e principio di legalità

Il principio di legalità impone che la pubblica amministrazione agisca solo in base alla legge e nei limiti da essa stabiliti. Le fonti secondarie devono rispettare le fonti primarie e non possono derogare alle disposizioni legislative.

Inoltre, con l’integrazione del diritto europeo nell’ordinamento italiano, si è affermato il principio della prevalenza del diritto UE sulle norme interne contrastanti, garantendo così l’uniformità normativa tra gli Stati membri.

 

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decreto priolo

Decreto Priolo: incostituzionale la competenza esclusiva Per la Consulta è incostituzionale la competenza esclusiva del Tribunale di Roma prevista dal “Decreto Priolo”

Decreto Priolo: l’intervento della Consulta

Con la sentenza n. 38 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma contenuta nel decreto-legge n. 2/2023, noto come Decreto Priolo, nella parte in cui attribuisce in via esclusiva al Tribunale di Roma la competenza a decidere sui reclami proposti contro i provvedimenti che negano l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività in impianti strategici sottoposti a sequestro.

Il contesto normativo

La norma contestata si inseriva in un più ampio quadro normativo introdotto nel gennaio 2023, che disciplina i sequestri relativi a stabilimenti e impianti di interesse strategico nazionale. Su tale disciplina, la Corte si era già pronunciata con la sentenza n. 105 del 2024, ritenendo legittima la possibilità per il Governo di autorizzare, in via eccezionale, la prosecuzione dell’attività per un massimo di 36 mesi.

La questione di legittimità e i profili di costituzionalità

Il giudice naturale e la generalità della norma

La Corte ha preliminarmente escluso la violazione dell’articolo 25, primo comma, della Costituzione, osservando che la norma impugnata:

  • ha carattere generale e non riferito a singoli procedimenti;

  • risponde all’esigenza di uniformare l’interpretazione giurisprudenziale in una materia delicata;

  • è fondata su criteri oggettivi fissati dalla legge.

Violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.)

Nonostante ciò, la Consulta ha dichiarato la norma manifestamente irragionevole per due principali incongruenze:

1. Asimmetria nella competenza in base all’esito del provvedimento

La norma attribuisce la competenza al Tribunale di Roma solo nel caso di rigetto dell’autorizzazione a proseguire l’attività produttiva, lasciando al tribunale ordinario la competenza nel caso opposto (cioè se l’attività è autorizzata). Ne deriva una frammentazione processuale che fa dipendere il foro competente dal contenuto della decisione impugnata.

2. Rischio di procedimenti paralleli e contrasti decisionali

Lo spostamento selettivo della competenza favorisce la coesistenza di più procedimenti d’appello pendenti davanti a giudici diversi, connessi al medesimo impianto sequestrato. Tale situazione compromette non solo l’uniformità interpretativa auspicata dal legislatore, ma anche la coerenza delle decisioni nell’ambito dello stesso procedimento cautelare.

La decisione

La Corte costituzionale ha ritenuto che la norma contenuta nel “Decreto Priolo”, pur animata da finalità legittime, si ponga in violazione dell’articolo 3 della Costituzione, risultando irragionevole nella sua concreta attuazione. Per tale motivo, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, evidenziando l’incompatibilità con i principi di coerenza e parità di trattamento processuale.

adozione internazionale

Adozione internazionale: anche per i single Importantissima decisione della Corte Costituzionale che sdogana l'adozione internazionale per i single

Adozione internazionale single

Adozione internazionale: anche le persone singole possono adottare minori stranieri in stato di abbandono. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 33/2025, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 29-bis, comma 1, della legge n. 184/1983, nella parte in cui esclude le persone singole dalla possibilità di adottare un minore straniero residente all’estero.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla normativa vigente in materia di adozione internazionale, rilevando come l’esclusione delle persone singole contrasti con gli articoli 2 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

L’attuale disciplina, ora dichiarata illegittima, limitava in modo sproporzionato il diritto dell’aspirante genitore di rendersi disponibile per l’adozione. L’adozione è un istituto basato sul principio di solidarietà sociale e finalizzato alla tutela del minore, motivo per cui il legislatore non può imporre limitazioni irragionevoli.

Persone singole e idoneità all’adozione

La Corte ha sottolineato che, in astratto, anche una persona singola può garantire un ambiente stabile e armonioso a un minore in stato di abbandono. Tuttavia, resta fermo il compito del giudice di valutare caso per caso l’idoneità dell’aspirante genitore, verificando la capacità di educare, istruire e mantenere il minore. Tale valutazione può tenere conto anche della rete familiare di supporto del richiedente.

Effetti della sentenza e prospettive future

Nel contesto attuale, caratterizzato da una progressiva diminuzione delle domande di adozione, la precedente esclusione delle persone singole rischiava di limitare il diritto del minore a crescere in un ambiente familiare. La sentenza della Corte Costituzionale rappresenta quindi un importante passo avanti per il riconoscimento della parità di accesso all’adozione internazionale.

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morte animale d'affezione

Morte animale d’affezione: risarcito il danno Morte animale d'affezione: risarcito il danno non patrimoniale, il rapporto con l’animale contribuisce allo sviluppo della personalità

Morte animale: lesione diritto costituzionale

La morte dell’animale d’affezione attribuisce il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. La perdita del proprio animale lede la sfera relazionale e affettiva tutelata a livello costituzionale dall’articolo 2. Il rapporto cane – padrone completa e sviluppa la personalità umana. Lo ha specificato il Tribunale di Prato con la sentenza n. 51/2025.

Danni non patrimoniali: morte animale d’affezione

Una famiglia affida la cagnolina Adel a una pensione per animali. Durante il soggiorno, l’animale muore. La Polizia Municipale li informa del decesso.

Quando i padroni arrivano alla struttura, trovano Adel abbandonata a terra con una coperta. Nessuno li aveva avvisati del peggioramento della cagnolina. La struttura non aveva contattato né loro né un veterinario. Un addetto rivela che Adel stava male da giorni. I volontari l’avevano trovata disidratata per una forte diarrea. La responsabile però non aveva dato indicazioni su come aiutarla.

I padroni, sconvolti, notano anche la scarsa igiene della struttura. Decidono quindi di agire in giudizio. Chiedono la risoluzione del contratto per inadempimento, la restituzione delle somme pagate e il risarcimento dei danni. Ritengono che la pensione abbia violato l’obbligo di custodia.

Per il risarcimento del danno non patrimoniale, invocano l’articolo 2 della Costituzione. Essi sostengono che il rapporto uomo-animale realizza la persona umana. Citano anche l’articolo 42 della Costituzione e l’articolo 6 del Trattato UE, per i danni economici e morali. Chiedono al giudice inoltre di considerare la sofferenza di Adel, lasciata morire senza cure.

La parte convenuta si difende e contesta la versione dei padroni e nega il diritto al risarcimento per la morte di Adel. Si appella a un orientamento della Cassazione, secondo cui la perdita di un animale non costituisce danno esistenziale. Sostiene inoltre che chi chiede il risarcimento deve provare il danno subito e il nesso di causa.

Sviluppo della personalità umana

Il Tribunale ricostruisce i fatti e decide di non seguire l’orientamento della Cassazione. Riconosce infatti agli attori il danno non patrimoniale. Secondo il giudice, la perdita di un animale d’affezione può ledere la sfera affettiva di una persona. Il rapporto tra padrone e animale contribuisce allo sviluppo della personalità. Se provato, il danno deve essere risarcito.

Le prove fotografiche mostrano che Adel era un membro della famiglia. Giocava con i bambini, veniva festeggiata ai compleanni e accompagnava la famiglia nelle gite. Dormiva nel letto con loro. Esisteva insomma un forte legame affettivo.

La morte improvvisa e le modalità dell’abbandono hanno causato ai padroni una grande sofferenza. Non sono stati informati delle condizioni della cagnolina e hanno scoperto il tragico evento solo all’ultimo momento. La sofferenza è stata aggravata dallo stupore e dal senso di tradimento. Si fidavano della struttura, dove avevano già lasciato Adel in passato.

Il Tribunale riconosce quindi il danno non patrimoniale, la padrona riceve 6.000 euro per il suo coinvolgimento diretto, gli altri membri della famiglia invece ottengono 4.000 euro ciascuno.

 

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difensore civico

Difensore civico: chi è e cosa fa Difensore civico: una breve guida all’organo indipendente che tutela i cittadini fungendo da intermediario con la Pubblica Amministrazione

Chi è il difensore civico?

Il difensore civico è un organo indipendente che opera a tutela dei cittadini nei confronti della Pubblica Amministrazione, garantendo trasparenza, legalità ed efficienza nell’azione amministrativa. Questa figura, presente a livello comunale, provinciale e regionale, funge da intermediario tra i cittadini e l’amministrazione, raccogliendo segnalazioni, reclami o suggerimenti e promuovendo soluzioni a favore del buon andamento della pubblica amministrazione.

Qual è la normativa di riferimento?

L’importante figura trova il suo fondamento nella Costituzione italiana e nella legislazione ordinaria.

Articolo 97 della Costituzione: prevede il principio di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, valori che il difensore è chiamato a garantire.

Legge n. 142/1990: ha introdotto per la prima volta il difensore civico come organo previsto dagli statuti comunali e provinciali.

Decreto legislativo n. 267/2000 (TUEL): conferma la possibilità per gli enti locali di istituire questa figura nei propri statuti, delineandone le competenze e le modalità operative.

Leggi regionali: ogni Regione può disciplinare l’istituzione e il funzionamento del difensore a livello territoriale, definendo compiti specifici e ambiti di intervento.

Quali sono le funzioni del difensore civico?

Il difensore civico ha il compito principale di vigilare sull’attività amministrativa, verificando che essa sia conforme ai principi di legalità ed equità. I suoi compiti principali sono:

  • raccogliere segnalazioni da parte dei cittadini su presunti abusi o disfunzioni amministrative;
  • proporre soluzioni o mediazioni per risolvere controversie tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione;
  • promuovere trasparenza e accesso agli atti amministrativi, garantendo il diritto di informazione e partecipazione;
  • segnalare criticità sistemiche nell’amministrazione ai responsabili degli enti pubblici.

Giurisprudenza sul difensore civico

La giurisprudenza ha contribuito a chiarire sia suoi i limiti che le su prerogative.

  • Consiglio di Stato: ha ribadito che il difensore civico non ha poteri decisionali vincolanti, ma può esercitare un’importante funzione di moral suasion nei confronti della Pubblica Amministrazione, favorendo la risoluzione delle controversie.
  • Corte costituzionale: in diverse sentenze ha sottolineato l’importanza di questo organo come strumento di tutela dei diritti dei cittadini, integrando il sistema di garanzie previsto dall’articolo 97 della Costituzione.
  • Tar: ha riconosciuto il ruolo del difensore nell’accesso agli atti amministrativi, chiarendo che le sue segnalazioni possono spingere l’amministrazione a rivedere le proprie decisioni per rispettare i principi di trasparenza e legalità.

Criticità e prospettive del difensore civico

Nonostante la sua rilevanza, la figura del difensore civico non è presente in tutti gli enti locali, con una distribuzione territoriale disomogenea. Le risorse limitate e la mancanza di obbligatorietà nella sua istituzione rappresentano sfide significative. Il suo ruolo tuttavia è sempre più riconosciuto come fondamentale per garantire un’amministrazione pubblica più accessibile e responsabile.

 

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il tribunale dei ministri

Il Tribunale dei Ministri Cos’è il Tribunale dei Ministri, qual è la sua disciplina, come funziona e quali sono le sue competenze specifiche

Cos’è il Tribunale dei Ministri

Il Tribunale dei Ministri è una sezione speciale del Tribunale ordinario del distretto di Corte d’Appello competente per territorio, composta da tre magistrati estratti a sorte tra quelli appartenenti al tribunale stesso. Esso è stato istituito per garantire che i membri del Governo rispondano penalmente delle proprie azioni compiute nell’esercizio delle loro funzioni. Questa sezione giudica sulle eventuali responsabilità penali dei membri del governo (presidente del Consiglio dei ministri e ministri) per atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni. Si tratta infatti di una deroga al principio generale di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giustificata dalla delicatezza e dalla specificità del ruolo dei ministri. La sua disciplina è affidata alla legge costituzionale n. 1/1989 che ha modificato, tra gli altri, l’art. 96 Cost.

Come funziona il procedimento

Il procedimento che si svolge davanti a questa autorità segue un iter ben definito:

  1. Indagini preliminari: la competenza a svolgere le indagini spetta alla Procura della Repubblica del tribunale ordinario competente per territorio. Se emergono elementi di reato, il fascicolo viene trasmesso al Tribunale dei Ministri.
  2. Valutazione preliminare: il Tribunale esamina il caso per stabilire se sussistano i presupposti per procedere. Se ritiene che vi siano elementi sufficienti, trasmette la richiesta alla Camera di appartenenza del ministro interessato per l’autorizzazione a procedere.
  3. Autorizzazione parlamentare: l’autorizzazione a procedere è un passaggio fondamentale. Il Parlamento valuta se il reato contestato sia connesso all’esercizio delle funzioni governative e decide se concedere o meno l’autorizzazione alla prosecuzione del processo.
  4. Giudizio: in caso di autorizzazione, il Tribunale dei Ministri procede secondo le normali regole del processo penale.

Le competenze del Tribunale dei Ministri

Il Tribunale dei Ministri è un organo di garanzia della legalità dell’azione di governo. La sua esistenza testimonia l’importanza di assicurare che anche i membri del Governo siano responsabili delle proprie azioni e che non godano di impunità.

Il Tribunale dei Ministri per questo ha competenza esclusiva sui reati commessi dai membri del Governo nell’esercizio delle loro funzioni. Le principali tipologie di reati su cui può pronunciarsi sono:

  • abuso di potere
  • corruzione
  • concussione
  • omissioni di atti d’ufficio

L’autorità giudiziaria non ha invece competenza su reati comuni commessi dai ministri al di fuori delle loro funzioni governative, i quali restano di competenza della giustizia ordinaria.

 

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principio di sussidiarieta

Principio di sussidiarietà: la guida Principio di sussidiarietà: definizione, normativa, giurisprudenza e importanza ai fini dell’applicazione del principio democratico

Cos’è il principio di sussidiarietà?

Il principio di sussidiarietà è un cardine dell’organizzazione dei poteri pubblici, finalizzato a garantire che le decisioni siano prese al livello più vicino possibile ai cittadini. Questo principio, che si applica tanto in ambito verticale (tra Stato, Regioni ed enti locali) quanto in ambito orizzontale (tra Pubblica Amministrazione e cittadini), promuove l’autonomia e la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti, evitando interventi superiori se un’entità più vicina può adempiere adeguatamente ai compiti richiesti.

Qual è la normativa di riferimento?

La normativa di riferimento di questo principio è rappresentata dalla Costituzione italiana e da diverse leggi ordinarie.

  • Articolo 118 della Costituzione: sancisce il principio in ambito verticale, stabilendo che le funzioni amministrative spettano agli enti più vicini ai cittadini, salvo necessità di intervento a livelli superiori. Il quarto comma introduce anche la sussidiarietà orizzontale, favorendo l’iniziativa privata nell’interesse generale.
  • Articolo 5 della Costituzione: promuove il decentramento amministrativo, che è alla base del principio di sussidiarietà verticale.
  • Legge costituzionale n. 3/2001: riformando il Titolo V della Costituzione, ha rafforzato l’autonomia di Regioni ed enti locali, specificando il principio di sussidiarietà.
  • Legge n. 59/1997 (Bassanini): prevede il trasferimento di funzioni dallo Stato agli enti locali, attuando il principio di sussidiarietà verticale.

La giurisprudenza sul principio di sussidiarietà

La giurisprudenza costituzionale e amministrativa ha avuto un ruolo fondamentale nell’interpretare e applicare  questo principio.

  • La Corte costituzionale ha ribadito in diverse occasioni che l’intervento dello Stato deve avvenire solo quando gli enti territoriali non siano in grado di garantire adeguatamente i servizi richiesti. La sentenza n. 303/2003 ha chiarito i confini tra competenze legislative statali e regionali.
  • Il Consiglio di Stato ha affrontato casi di sussidiarietà orizzontale, riconoscendo il ruolo delle associazioni e dei cittadini nella gestione di beni comuni e servizi pubblici, nel rispetto del principio di efficienza amministrativa.
  • La Corte di Giustizia dellUnione Europea ha integrato questo principio con il diritto comunitario. L’Unione Europea interviene infatti solo quando gli obiettivi non possono essere sufficientemente raggiunti a livello nazionale o locale.

L’importanza del principio di sussidiarietà

Questo principio rappresenta uno strumento essenziale per garantire l’efficienza e la partecipazione democratica nella gestione della cosa pubblica. In ambito verticale, evita accentramenti eccessivi di potere, valorizzando le autonomie locali. In ambito orizzontale invece, promuove la collaborazione tra pubblico e privato, incentivando l’attività dei cittadini per il bene comune.

 

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