sostituzione citofono condominio

Da citofono a videocitofono: non è innovazione La sostituzione del citofono con un videocitofono digitale non è un'innovazione e rientra nell'ambito delle manutenzioni straordinarie

Sostituzione citofono in condominio

La sostituzione del citofono con un videocitofono rientra nell’ambito delle manutenzioni straordinarie e non costituisce innovazione. Lo ha precisato il tribunale di Torino con la sentenza n. 3247/2024.

Impugnazione delibera assembleare

Nella vicenda, alcuni condomini proponevano impugnazione avverso la delibera assunta dal condominio avente ad oggetto l’esame dei preventivi per la sostituzione dei citofoni, chiedendone la declaratoria di nullità o l’annullamento. Tra le altre doglianze, lamentavano la violazione dell’art. 1136, quinto comma, c.c. con riferimento alle opere di cui all’art. 1120 c.c., in quanto si era in presenza di innovazioni da approvare con la maggioranza qualificata costituita da un numero di voti che rappresentasse la maggioranza dei partecipanti e i due terzi del valore dell’edificio, maggioranza non raggiunta nella votazione assembleare.

Prova di resistenza

Il condominio, dal canto suo, chiedeva il rigetto delle domande allegando la sussistenza della maggioranza per l’approvazione della deliberazione impugnata in forza della c.d. “prova di resistenza” e affermando che le opere approvate non integravano delle innovazioni, bensì lavori di manutenzione straordinaria per i quali la maggioranza richiesta è quella prevista dall’art. 1136 secondo comma c.c., ovvero un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Cosa è da considerarsi innovazione

Il giudice preliminarmente rigetta l’eccezione di improcedibilità per mancata mediazione e, entrando nel merito, si esprime sulla doglianza degli attori relativa alle maggioranze richieste per le innovazioni.
“Costituisce orientamento consolidato della Corte di Cassazione – afferma il tribunale – quello secondo il quale deve
considerarsi ‘innovazione’, agli effetti dell’art. 1120 c.c., non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria (senza peraltro che ricorra la speciale previsione di cui all’art. 1117 ter c.c., introdotta dalla L. n. 220 del 2012) (cfr. Cass. n. 35957/21)”.

Al contrario, la legge (art. 3 comma 1 lettera b del D.P.R. n. 380/2001), ricorda ancora il giudicante, definisce come manutenzione straordinaria « b) “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico».

Videocitofono non è innovazione

Nel caso di specie, le opere deliberate hanno ad oggetto il ripristino dell’intero impianto citofonico con la sostituzione di un impianto elettronico esterno costituito da un videocitofono digitale di nuova generazione. Tale opera, secondo il giudice, non è da considerarsi innovazione, rientrando invece tra quelle di straordinaria manutenzione.

“Come affermato dalla Corte d’Appello di Genova nella pronuncia n. 755 del 30.7.2020 – precisa infatti il tribunale – la previsione del videocitofono non comporta un’innovazione, poiché si tratta evidentemente di un adeguamento tecnologico di un impianto realizzato in epoca diversa e con minori caratteristiche tecniche. Il concetto di innovazione impone una trasformazione, un’introduzione di un qualcosa di completamente estraneo a quello che ha caratterizzato il bene o l’impianto comune e poco si addice a scelte che invece attengono all’evoluzione dei meccanismi per effetto del progredire della tecnologia”.
Neppure la circostanza che l’impianto divenga esterno e non per singole scale appare sufficiente, conclude il giudicante rigettando il ricorso, “a integrare una innovazione poiché si tratta semplicemente della diversa localizzazione della pulsantiera al di fuori dell’edificio”.

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convocazione assemblea condominio

Convocazione assemblea condominio: avviso in cassetta inefficace Convocazione assemblea condominio: occorre rispettare i tempi e i modi previsti dall'art. 66. disp. att. c.c.

Convocazione assemblea condominio: no all’avviso in cassetta

La convocazione all’assemblea del condominio non è efficace se viene effettuata con la semplice immissione in cassetta dell’avviso di convocazione. Il mancato rispetto delle modalità e dei tempi previsti dall’articolo 66 delle disposizioni attuative del codice civile per convocare l’assemblea condominiale rende annullabili le conseguenti delibere ai sensi dell’art. 1137 c.c da parte dei soggetti che non sono stati convocati ritualmente. Lo ha chiarito il Tribunale di Monza nella sentenza n. 1734/2024.

Convocazione irrituale all’assemblea di condominio

Un condomino proprietario di due unità condominiale conviene in giudizio il Condominio di cui fa parte, nella persona dell’amministratore pro – tempore. L’attore chiede che il Tribunale accerti e dichiari la nullità/annullabilità di una delibera condominiale per vari motivi tra cui il mancato rispetto delle regole previste dall’art. 66 disp. att. c.c. in materia di convocazione assembleare.

Annullabilità delibere convocazione irrituale assemblea

Il Tribunale accoglie l’impugnazione del condomino per le ragioni legate alle modalità di convocazione dell’assemblea. L’autorità giudiziaria rileva che nel caso di specie, in effetti, la convocazione all’assemblea condominiale che ha poi deliberato la decisione impugnata, è avvenuta con e-mail ordinaria e con l’immissione degli avvisi di convocazione nelle cassette postali. L’amministratore di condominio, procedendo in questo modo non ha rispettato le regole di convocazione previste dalla legge.

Art. 66 disp. att c.c.: modi e tempi di convocazione

L’articolo 66 disp. att. c.c. al comma 3 dispone infatti che: “L’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell’ora della stessa. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati.”

La disposizione normativa è chiara. La convocazione alle assemblee condominiali deve essere effettuata nelle seguenti modalità:

  • con raccomandata postale;
  • a mezzo posta elettronica certificata;
  • a mezzo fax;
  • tramite consegna a mano.

Convocazione assemblea condominiale: onere della prova al mittente

Come precisato in diverse occasioni dalla giurisprudenza se un condominio eccepisce la mancata convocazione all’assemblea spetta al Condominio dimostrare di aver assolto il relativo obbligo nel rispetto dei tempi e dei modi previsti dalla legge. La convocazione effettuata per mezzo di atti recettori in forma scritta soddisfano il requisito della presunzione di conoscenza (art. 1335 c.c) ma spetta al Mittente dimostrare l’avvenuto recapito.

La presunzione di conoscenza che viene garantita dalla raccomandata con ricevuta di ritorno grazie all’attestazione dell’ufficio postale di spedizione e di arrivo del destinatario, è prova certa della spedizione del plica, per cui tutte le altre modalità alternative eventualmente scelte dall’amministratore devono avere lo stesso valore legale della raccomandata.

Convocazione in forma scritta con le garanzie della raccomandata

Per queste ragioni la riforma del Condominio del 2012 ha fatto una scelta precisa, ossia  che la convocazione alle assemblee del Condominio debba rispettare la forma scritta e debba fornire le stesse garanzie della raccomandata postale.

La pec presenta sicuramente queste caratteristiche, la convocazione con e-mail ordinaria o con la semplice immissione dell’avviso della cassetta postale invece ne sono prive. L’avviso di avvenuta lettura della email ordinaria non le conferisce il valore legale previsto dalla legge, così come l’immissione in cassetta. Il condominio infatti non ha l’obbligo di controllare giornalmente se ha ricevuto della posta.

Le delibere impugnate devono quindi essere annullate perché la convocazione è avvenuta in una modalità del tutto inefficace.

 

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mediazione familiare

Mediazione familiare: cos’è e chi la conduce La mediazione familiare è un percorso finalizzato al raggiungimento di un accordo in presenza di una crisi familiare

Mediazione familiare: definizione e finalità

La mediazione familiare consiste in una procedura rivolta alle coppie in crisi al fine di risolvere situazioni conflittuali che vengono manifestate con la volontà di procedere a una separazione o un divorzio.

La mediazione familiare prevede la collaborazione delle parti coinvolte per la risoluzione del conflitto. In questo percorso la coppia è assistita da un soggetto terzo e imparziale, che prende il nome di mediatore familiare. Il suo ruolo è quello di comunicare con le parti per aiutarle a trovare una soluzione positiva per entrambe.

Uno degli obiettivi principali nel processo di mediazione è la realizzazione della cogenitorialità per tutelare la responsabilità genitoriale di ciascun genitore nei confronti dei figli, soprattutto se minori di età.

Mediazione familiare e mediazione civile

Le differenze con la mediazione civile sono evidenti. La mediazione familiare è finalizzata a favorire gli accordi tra coniugi per risolvere problematiche soprattutto di carattere “emotivo” che possono riguardare anche il rapporto con i figli. La mediazione civile invece è finalizzata al raggiungimento di un accordo tra parti in conflitto in relazione a una controversia insorta in materia di diritti disponibili.

Mediazione familiare: l’art. 473 bis 10 c.c.

La Riforma Cartabia ha valorizzato la mediazione familiare, dedicandole un articolo specifico del codice di procedura civile nella parte dedicata ai procedimenti per le persone, i minorenni e le famiglie.

L’articolo 473 bis 10 prevede che il giudice, durante il procedimento, possa informare le parti, della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore familiare. Questo soggetto, che le parti possono scegliere liberamente, deve spiegare alle parti finalità, contenuto e modalità di svolgimento del percorso per consentire loro di decidere se intraprenderlo o meno.

Il giudice può decidere anche di rinviare l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti se, ottenuto il consenso dei coniugi, ritiene che la mediazione familiare possa essere utile alle parti per trovare un accordo, soprattutto nell’interesse materiale e morale dei figli.

Il mediatore familiare: disciplina

La Riforma Cartabia ha anche regolato la disciplina professionale del mediatore familiare. Il DM n. 151/2023 contenente il regolamento sulla disciplina professionale del mediatore familiare compie l’attuazione del decreto legislativo n. 149/2022, che a sua volta ha attuato la legge delega n. 206/2021.

Alla luce di questa regolamentazione il soggetto che vuole esercitare la professione di mediatore familiare deve richiedere l’iscrizione in un elenco apposito. All’elenco si possono iscrive i mediatori familiari che sono iscritti da almeno 5 anni a una delle associazioni professionali, che a loro volta, devono essere inserite nell’elenco del Ministero dello sviluppo economico.

Mediatore familiare: definizione normativa

L’articolo 2 del DM n. 151/2023 definisce il mediatore familiare come: la figura  professionale  terza  e imparziale, con una formazione specifica, che interviene nei casi  di cessazione o di oggettive difficoltà relazionali di un rapporto di coppia, prima, durante o dopo l’evento separativo. Il mediatore opera al fine di facilitare i soggetti coinvolti nell’elaborazione di un percorso di riorganizzazione di  una  relazione, anche mediante il raggiungimento di un accordo   direttamente e responsabilmente negoziato e con riferimento alla salvaguardia dei rapporti familiari e della relazione genitoriale, ove presente.”

Competenze

Il mediatore familiare deve essere in possesso di conoscenze specifiche in materia di diritto di famiglia, tutela dei minori, violenza domestica e violenza di genere.

Il mediatore acquisisce queste competenze attraverso la frequentazione di un percorso di formazione iniziale a cui ne segue uno continuo nel tempo con acquisizione dei relativi crediti formativi periodici.

Requisiti morali

Il mediatore familiare per esercitare la professione deve possedere anche precisi requisiti di onorabilità. Non deve aver subito condanne penali e non deve essere stato sottoposto a specifiche misure di prevenzione e di sicurezza personali.

Deontologia

Il mediatore familiare è tenuto al rispetto anche di precise regole deontologiche, la cui violazione comporta   relative sanzioni.

Ai sensi dell’art. 6 del DM n 151/2023 il mediatore familiare deve esercitare la professione con libertà, autonomia, indipendenza di giudizio intellettuale e tecnico, buona fede,  affidamento della clientela, correttezza, responsabilità e riservatezza.

Il mediatore familiare esercita l’attività di  mediazione  con imparzialità, neutralità e assenza di giudizio  nei  confronti  dei mediandi, promuovendo fra loro un processo equilibrato e incoraggiandoli a confrontarsi in modo costruttivo.”

mediazione civile

Mediazione civile: cos’è e come funziona La mediazione civile è una procedura stragiudiziale delle controversie disciplinata dal decreto legislativo n. 28/2010

Mediazione civile: che cos’è

La mediazione civile è una procedura stragiudiziale definita dalla lettera a) dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 28/2010. Si tratta nello specifico in un’attività, che viene svolta da un soggetto terzo e imparziale, che prende il nome di mediatore. Il mediatore nell’assistere due o più soggetti in contrasto tra di loro, si pone l’obiettivo di ricercare una soluzione amichevole per comporre la controversia, con la possibilità di formulare una proposta di accordo.

Mediazione obbligatoria e facoltativa

La mediazione può essere obbligatoria o facoltativa. La mediazione è obbligatoria nei casi previsti dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010, ossia quando il preventivo svolgimento di questa procedura rappresenta la condizione per poter procedere in giudizio.

La mediazione è facoltativa quando le parti non sono vincolate ad avviare la mediazione per poter  avviare eventualmente una causa giudiziaria, ma decidono volontariamente di farsi assistere da un mediatore per risolvere una controversia.

Domanda riconvenzionale

La condizione di procedibilità appena vista per la mediazione obbligatoria riguarda solo la domanda principale, non quella riconvenzionale. Lo hanno precisato le SU della Corte di Cassazione nella sentenza n. 3452/2024, dopo aver spiegato la differenza tra domanda riconvenzionale collegata all’oggetto della lite e domanda riconvenzionale “eccentrica”, non subordinata cioè alla comunanza del titolo della domanda attorea. In presenza di questo tipo di domanda riconvenzionale, che allarga   l’oggetto del giudizio, la condizione di procedibilità del preventivo esperimento della mediazione non contemplato. La condizione di procedibilità della mediazione nelle materie obbligatorie vale quindi solo per gli atti introduttivi e non per le domande riconvenzionali, che tuttavia devono essere discusse in sede di mediazione.

Leggi anche “Domanda riconvenzionale e mediazione

Materie mediazione civile obbligatoria

Tornando alla mediazione obbligatoria essa è contemplata dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 quando le controversie vertono su determinate materie.

Chi vuole esercitare in giudizio un’azione per risolvere una controversia in una delle materie indicate dalla norma, deve quindi avviare, in via preliminare, la procedura di mediazione.

Queste le materie che richiedono il preventivo esperimento della mediazione se si vuole poi agire in giudizio:

  • condominio;
  • diritti reali;
  • divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia;
  • locazione, comodato, affitto di aziende;
  • risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità;
  • contratti assicurativi, bancari e finanziari;
  • associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura.

Procedimento di mediazione

Il procedimento di mediazione presenta il primario vantaggio della durata. Essa non può superare la durata complessiva di tre mesi prorogabili di altri tre se le parti si accordano in forma scritta.

Per avviare la procedura è necessario fare domanda presso un organismo di mediazione, che provvede a fissare la data del primo incontro. Il procedimento richiede la partecipazione personale delle parti (e dei loro avvocati se la mediazione è obbligatoria o domandata dal giudice). In presenza di giustificati motivi tuttavia le parti possono delegare un rappresentante purché munito di procura e a conoscenza dei fatti. La  partecipazione personale è molto importante, il mancato rispetto di questa regola produce  effetti processuali negativi per le parti.

Del primo, così come degli incontri successivi, il mediatore redige apposito verbale.

Alla mediazione possono prendere parte anche degli esperti se la materia da trattare è moto tecnica.

La Riforma Cartabia ha previsto la possibilità di svolgere il procedimento di mediazione anche in modalità telematica. La disciplina di questa procedura particolare è contenuta nell’articolo 8 bis del decreto legislativo n. 28/2010.

Possibili esiti della mediazione civile

La  procedura di mediazione civile può avere diversi esiti. Se le parti raggiungono un accordo il mediatore ne da atto nel verbale. L’accordo è quindi redatto in formato analogico o digitale in tanti originali quanti sono le parti, a cui si aggiunge un originale da depositare presso l’organismo. Se con l’accordo le parti compiono uno degli atti contemplati dall’art. 2643 c.c. lo stesso va trascritto, ma un notaio deve prima autenticare le firme dell’accordo. Il verbale che contiene l’accordo inoltre, nei casi e nei modi previsti dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 28/2010, costituisce un titolo esecutivo per l’espropriazione forzata.

La mediazione ha invece un esito negativo se le parti non raggiungono l’accordo. Anche in questo caso il mediatore deve darne atto nel verbale.

Costi della mediazione

La mediazione civile presenta un ulteriore vantaggio rispetto alla durata ridotta. Si tratta di una procedura che comporta costi nettamente inferiori rispetto a quelli necessari per avviare e proseguire una causa giudiziale.

Se si avvia ad esempio una mediazione in una controversia che presenta un valore non superiore ai 5000 euro la partecipazione al primo incontro e il raggiungimento dell’accordo comportano un esborso di poche centinaia di euro. Ovviamente se il valore della controversia sale salirà anche il costo della mediazione. In ogni caso il risparmio rispetto a un procedimento giudiziale è notevole, grazie anche ai numerosi benefici fiscali rappresentati dai crediti di imposta descritti nell’articolo 20 del decreto legislativo n. 28/2010.

Negoziazione assistita e mediazione: differenze

La mediazione civile, così come la negoziazione, rappresenta un metodo alternativo di risoluzione delle controversie rispetto ai processi. Nella mediazione però le parti, assistite dai loro avvocati, devono negoziare direttamente tra loro. Nella mediazione invece è il mediatore che aiuta le parti, eventualmente assistite dai loro avvocati, per fargli raggiungere un accordo.

Diverse sono anche le materie nelle quali si deve avviare una negoziazione o una mediazione così come è diversa la procedura, il rapporto con il processo, i costi e i benefici fiscali.

rifiuto ricovero

Rifiuto ricovero: il medico è libero se ha informato la paziente Il rifiuto al ricovero della paziente libera il medico da responsabilità se la informa adeguatamente sulle sue condizioni e sui rischi

Rifiuto ricovero e responsabilità medica

Il rifiuto al ricovero della paziente che poi muore, di regola, libera i sanitari da eventuali responsabilità, solo se gli stessi la hanno informata sulle sue reali condizioni di salute e sui rischi. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 21362/2024.

Concorso di colpa della paziente

Una donna si reca al Pronto Soccorso e viene sottoposta ad alcuni esami. I medici però non le  diagnosticano un’ischemia cerebrale. La patologia viene individuata in ritardo in un altro ospedale dopo una Tac. La struttura a cui la donna si è rivolta inizialmente e sicuramente responsabile. I giudici di merito però ritengono che il rifiuto della paziente al ricovero comporti a suo carico un concorso di colpa. La Corte d’appello infatti riduce il risarcimento del danno quantificato in primo grado.

Rifiuto al ricovero non accertato

I familiari della de cuius impugnano la sentenza d’appello  e contestano il concorso di colpa attribuito all’estinta. I congiunti della vittima ritengono errata la decisione di merito per l’erronea applicazione dell’articolo 1227 c.c. La norma stabilisce infatti la diminuzione del risarcimento se il fatto colposo concorre a cagionare il danno. Nel caso di specie però non sussisterebbe un fatto colposo del creditore causante danno, in quanto la …. non ha posto in essere alcun fatto colposo perché non ha firmato alcun rifiuto di ricovero”.

Nonostante ciò la Corte rigetta il motivo d’appello, affermando che “Il rifiuto del ricovero è sicuramente un fatto idoneo a configurare un concorso colposo della vittima”, dando per scontato l’accertamento della sua esistenza.”

I consulenti comunque hanno concluso che, anche in presenza del rifiuto al ricovero, la corretta terapia anticoagulante sarebbe stata somministrata solo con due giorni di anticipo. Il danno oramai si era prodotto e tale danno deve imputarsi ai medici.

Motivazione apparente e concorso di colpa

La Cassazione si pronuncia sul ricorso principale accogliendo il secondo e terzo motivo, tra loro  collegati.

Con il secondo motivo i ricorrenti contestano la motivazione apparente della sentenza nel capo che ripartisce la responsabilità tra medico e paziente. Con il terzo invece denunciano l’omessa decisione sul concorso di colpa della vittima nella misura del 50%. Una percentuale così alta è del tutto irragionevole, visto che il medico è stato ritenuto responsabile al 100%.

Mancata informazione sulle condizioni e sui rischi

Gli Ermellini ripercorrono gli atti di causa e rilevano come il secondo motivo in relazione al terzo siano fondati e quindi meritino di essere accolti.

I consulenti tecnici d’ufficio hanno evidenziato che se la paziente non avesse rifiutato il ricovero …….la diagnostica radiologica positiva del ….. sarebbe stata anticipata di due giorni con la possibilità di anticipare la protezione con gli anticoagulanti e di contenere e, ancorché con poco verosimile efficacia, gli insulti embolici … nei due emisferi.”

I familiari però, già in sede di appello, avevano contestato che “il rifiuto del ricovero ospedaliero non vi sarebbe stato, che comunque “né la … né i di lei famigliari che l’accompagnavano furono edotti – in modo conveniente – del reale quadro clinico della paziente e della conseguente necessità di disporre l’immediato ricovero” (che “gli stessi medici del Pronto Soccorso avrebbero dovuto loro stessi disporre”), e che dalla ricostruzione del fatto sarebbe emersa la responsabilità esclusiva del Ca.Sa. che avrebbe “palesemente” disatteso “le prescrizioni e i dettami dei “protocolli medici”. 

Da motivare la percentuale di colpa attribuita alla vittima

Dai rilievi sollevati dagli odierni ricorrenti però, compresa l’assenza di informazioni sul quadro clinico della de cuius, la corte d’appello non si è occupata. Essa si è limitata ad attribuire la colpa alla vittima nella misura del 50% senza motivare. La stessa si è limitata ad affermare che Il rifiuto di ricovero ospedaliero è sicuramente un fatto idoneo a configurare un concorso colposo della vittima dato che, in ambiente ospedaliero, il paziente – che può essere seguito da una equipe di medici – è molto più tutelato per cui è normale pensare che il danno procurato dall’errore terapeutico del ….. avrebbe potuto essere attenuato”. 

La fondatezza di questo secondo motivo conduce alla fondatezza e all’accoglimento del terzo. La Corte avrebbe dovuto motivare con argomenti più chiari e specifici la misura percentuale della colpa attribuita alla vittima.

 

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conto corrente condominiale

Conto corrente condominiale: diritto di accesso garantito L'ABF chiarisce che se l'amministratore rifiuta la richiesta di ottenere copia dell'estratto conto, il condomino può rivolgersi direttamente alla banca

Conto corrente condominiale

Conto corrente condominiale: se l’amministratore di condominio oppone rifiuto alla richiesta di ottenere copia dell’estratto conto, il condomino si può rivolgere direttamente alla banca. Lo ha chiarito l’ABF, in una decisione del collegio di Palermo n. 74/2024 facendo il punto sulla gestione del conto corrente condominiale e sul relativo diritto di accesso dei condomini.

I fatti

Nella vicenda, il ricorrente rileva di aver richiesto alla banca i conti correnti del condominio dopo il rifiuto dell’amministratore. L’intermediario negava l’accesso alla documentazione motivando che l’amministratore aveva espresso formale diniego, in quanto la consegna stessa era già avvenuta quando il ricorrente risultava ancora condomino.

Quest’ultimo chiedeva allora la condanna dell’intermediario al rilascio degli estratti conto richiesti.

L’ABF gli dà ragione.

Diritto del condomino alla documentazione bancaria

Premette il collegio che “la richiesta di copia della documentazione periodica relativa al conto corrente del condominio trova un espresso riferimento nell’art.1129 del codice civile, comma 7, secondo cui ‘L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica'”.

In plurimi precedenti, inoltre osserva l’ABF, come i collegi “sulla base del combinato disposto dell’art. 1129, comma 7, c.c., e dell’art. 119, comma 4, TUB abbiano ritenuto che il diritto del singolo condomino a ottenere copia della documentazione bancaria relativa al conto corrente condominiale sia esercitabile non solo per il tramite dell’amministratore, ma anche mediante richiesta diretta nei confronti dell’intermediario bancario, purché vi sia stata una preventiva richiesta di accesso rivolta all’amministratore rimasta priva di esito (Cfr. Collegio di Roma, decisione n. 7960/16; Collegio di Milano, decisione n. 3914/18; Collegio di Milano, decisione n. 4284/23; Collegio di Milano, decisione n. 1194/23)”.

Qualità di condomino

Fatte queste premesse, l’ABF si concentra sulla doglianza della banca, la quale evidenziava che il diniego alla produzione dei documenti era basato in primo luogo sulla circostanza che il ricorrente aveva perso la qualità di condomino (in virtù della cessione dell’immobile) con conseguente difetto di legittimazione attiva.

In ordine all’eccezione proposta dalla resistente, il collegio tuttavia evidenzia come il ricorrente avesse depositato agli atti una certificazione del notaio dalla quale emergeva che la cessione dell’immobile era avvenuta in data successiva alla richiesta della documentazione, la quale era limitata al periodo in cui lo stesso rivestiva ancora la qualità di condomino.

Conto corrente condominiale e diniego dell’amministratore

In ordine, invece, all’eccezione fondata sul rifiuto opposto dall’amministratore alla consegna della documentazione richiesta, l’ABF, rinvia a quanto osservato dal Collegio di Napoli (decisione n. 87/2022), secondo cui l’onere di preventiva richiesta all’amministratore “non può mai determinare una preclusione del diritto del singolo condomino di agire per ottenerla direttamente dall’intermediario quando l’amministratore non vi abbia provveduto”.

Richiamando, inoltre, la decisione del Collegio di Napoli n. 87/2023 e tenuto conto che l’art. 1129 c.c. legittima il condomino a presentare e chiedere copia della documentazione bancaria del condominio, “la relativa istanza deve ritenersi sottoposta alla disciplina dall’art. 119 tub: norma che consente di ottenere la documentazione bancaria pregressa anche dopo la perdita della qualità di cliente. Pertanto anche al condomino, sebbene lo stesso non sia direttamente parte contraente della banca, deve essere riconosciuto il diritto ad avere dall’intermediario la documentazione relativa al tempo in cui lo stesso era parte del condominio titolare del rapporto”.

Alla luce di quanto argomentato, l’ABF accoglie il ricorso e condanna la banca a pagare le spese della procedura al condomino.

 

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negoziazione assistita

Negoziazione assistita: spetta il compenso per attività stragiudiziale? Negoziazione assistita: le spese per l’assistenza stragiudiziale di cui si chiede il rimborso devono essere richieste e dimostrate

Negoziazione assistita: compenso per l’attività stragiudiziale

Sul pagamento delle spese legali sostenute per la negoziazione assistita fa chiarezza il Giudice di Pace di Vallo della Lucania con la sentenza n. 385-2024.

Richiesta compenso per attività stragiudiziale

La decisione pone fine a una controversia giudiziale che prende le mosse dall’azione giudiziale intrapresa da un avvocato. Il legale chiede nello specifico l’accertamento dell’attività svolta su incarico e nell’interesse di una società e la conseguente condanna al pagamento delle sue spettanze e al rimborso delle spese sostenute.

Manca la prova dell’utilità dell’attività svolta

Il Giudice di Pace al termine dell’attività istruttoria accoglie in parte le richieste del legale. Il Giudice di Pace nega infatti la liquidazione del compenso richiesto per lo svolgimento dell’attività stragiudiziale svolta nell’ambito della negoziazione assistita, conclusasi con esito negativo per la mancata adesione di controparte all’invito.

Nel negare l’accoglimento delle richieste avanzate dall’avvocato il GdP ricorda che la Cassazione nell’ordinanza n. 24481/2020 in relazione alle attività di assistenza stragiudiziale ha precisato che: “esse hanno natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per lattività svolta da un legale nella fase precontenziosa, con la conseguenza che il loro rimborso è soggetto ai normali oneri della domanda, allegazione e prova e che, anche se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, esse hanno natura intrinsecamente differente rispetto alle alle spese processuali vere e proprie.”

Negoziazione assistita: idoneità a raggiungere l’accordo

E’ quindi possibile ottenere la liquidazione delle spese per l’assistenza stragiudiziale solo se si dimostra che le stesse sono state utili a evitare il giudizio. L’attività svolta dall’avvocato deve essere stata cioè idonea a raggiungere un accordo stragiudiziale Nel caso di specie però l’avvocato non ha dimostrato che l’attività svolta in sede di negoziazione è stata idonea a definire la vertenza in via stragiudiziale prima del giudizio.

 

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servitù di parcheggio

Servitù di parcheggio L’istituto della servitù di parcheggio e il suo tortuoso riconoscimento da parte della giurisprudenza. La decisiva sentenza delle Sezioni Unite n. 3952 del 2024

Cos’è la servitù di parcheggio?

La servitù di parcheggio è un istituto il cui riconoscimento, nel nostro ordinamento, è stato piuttosto controverso, essendosi susseguiti, nel corso degli anni, differenti orientamenti sul tema sia in giurisprudenza che in dottrina.

Da ultimo, la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 3925 del 13 febbraio 2024, rappresenta un’autorevole pronuncia a favore della configurabilità della servitù di parcheggio, laddove le posizioni contrarie tendevano a ricondurre l’utilizzo di un parcheggio nell’alveo dei diritti contrattuali anziché in quello dei diritti reali.

Cosa sono le servitù prediali

Ma perché l’utilizzo di un parcheggio servente ad un’abitazione non ha trovato da subito pacifica collocazione tra le servitù prediali?

Per comprenderlo, è opportuno ricordare che, secondo l’art. 1027 del codice civile, la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.

In linea più generale, le servitù prediali rientrano tra i diritti reali di godimento. Si tratta, cioè di diritti che conferiscono al titolare un potere immediato e assoluto sulla cosa. L’immediatezza comporta la possibilità di utilizzare il bene senza l’intervento di terzi. L’assolutezza si sostanzia nella possibilità di far valere nei confronti di chiunque (erga omnes) l’esistenza del vincolo sulla cosa.

La servitù di parcheggio nell’autonomia contrattuale

Chiarito ciò, va rilevato, ai fini della nostra analisi, che, a differenza di altre attività (come il transito sul fondo), il parcheggio di un veicolo non è stato inizialmente riconosciuto come strettamente inerente al fondo, ma piuttosto come un’esigenza della singola persona.

In altre parole, l’accordo con cui il proprietario di un fondo (servente) concede ad un altro soggetto la possibilità di parcheggiare un veicolo, veniva sempre ricondotto dalla dottrina ad una fattispecie obbligatoria (come ad es. un contratto di locazione o di comodato gratuito), anche quando l’area di parcheggio era destinata ad essere utilizzata in funzione della vicinanza ad un altro immobile (abitazione o ufficio di chi utilizza il veicolo: fondo dominante).

Il parcheggio come diritto reale

Cosa implicano le diverse ricostruzioni che possono essere date a questa fattispecie?

Innanzitutto, se l’utilizzatore del parcheggio viene considerato titolare di un diritto personale di godimento (come avviene nel caso della locazione), non potrà avvalersi delle azioni reali a difesa del proprio diritto nei confronti di chiunque, ma potrà solo rivolgersi contro il concedente in base al rapporto obbligatorio in essere.

Inoltre, in caso di alienazione del fondo servente, il nuovo proprietario non sarà tenuto a riconoscere la sussistenza del diritto di parcheggio concesso dal precedente proprietario. Diversamente, laddove il diritto dell’utilizzatore dell’area sia riconosciuto come servitù di parcheggio (quindi inerente al fondo) egli potrà continuare ad esercitare il suo diritto anche nei confronti del nuovo proprietario del fondo servente.

Giurisprudenza sulla servitù di parcheggio

Chiariti i termini della questione e le sue implicazioni pratiche, andiamo ora ad esaminare cosa è avvenuto in dottrina e giurisprudenza riguardo a questo tema.

Un primo orientamento, come si è detto, riteneva di non ammettere la configurabilità di un diritto reale di servitù di parcheggio, poiché si riteneva sussistere un interesse della persona all’attività di parcheggio, piuttosto che un’utilità inerente al fondo dominante.

Successivamente, la Corte di Cassazione, con la sent. 7561/2019, ha aperto all’ammissibilità dell’istituto della servitù di parcheggio, invitando i giudici, in sostanza, ad indagare ed interpretare il contenuto del contratto, per comprendere se le parti abbiano voluto costituire una servitù, individuando un diritto che avesse – come ogni diritto reale – i caratteri dell’assolutezza e dell’immediatezza, oltre che dell’inerenza ai fondi servente e dominante.

Allo stesso tempo, la dottrina ha posto l’attenzione su un altro aspetto decisivo per individuare se, nel caso concreto, si sia in presenza di una servitù di parcheggio o di un diritto personale di godimento: la residua sussistenza, in capo al titolare del fondo servente, di una possibilità di utilizzo del fondo.

Se ciò accade, allora si è in presenza di una servitù, poiché questa comprime, ma non “svuota”, la possibilità di godimento del proprio fondo. Diversamente, una locazione dell’area di parcheggio conferisce l’esclusività di utilizzo dell’area.

La sentenza n. 3925/2024 delle Sezioni Unite

In questo solco si inserisce la sentenza delle Sezioni Unite di cui si diceva in apertura di trattazione.

La sentenza delle SS.UU. n. 3925 del 13 febbraio 2024, infatti, evidenzia l’onere, per i giudici merito, di esaminare il contenuto del contratto, per verificare la sussistenza dei requisiti del diritto reale su cosa altrui (servitù).

Contestualmente, viene evidenziata la necessità che dalla pattuizione emergano con precisione anche altri particolari, come la puntuale localizzazione dell’area destinata al parcheggio: proprio in tal modo, infatti, può dedursi la permanenza di una residua utilità del fondo anche in capo al proprietario del fondo servente.

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amministratore condominio

Amministratore condominio: deve fornire le credenziali del sito web Il tribunale di Ivrea si sofferma sul corretto adempimento da parte dell'amministratore di condominio dell'obbligo di rendicontazione

Credenziali web del condominio

L’amministratore è tenuto a fornire le credenziali del sito web del condominio, poiché i condomini hanno diritto di visionare i documenti ed estrarne copia in tempi ragionevoli. Lo ha  precisato il tribunale di Ivrea con la sentenza n. 917/2024.

La vicenda

Con ricorso ex art. 633 c.p.c. una condomina trascinava in giudizio il proprio condominio chiedendo al tribunale di ingiungere all’amministratore la consegna dei registri della contabilità condominiale e gli estratti conto del conto corrente condominiale a partire dal 2019. Il tribunale con decreto ingiuntivo ingiungeva la consegna di detta documentazione e l’amministratore spiegava opposizione sostenendo di aver convocato l’assemblea informando i condomini con fascicoletto esplicativo della contabilità e della gestione tenuta sino ad allora e di avere messo a disposizione le c.d. “pezze giustificative” previo appuntamento per tutti i 5 giorni precedenti l’assemblea condominiale.

L’opposizione

Per cui, parte attrice, previo deposito integrale della documentazione richiesta con li d.i. opposto in sede di citazione, evidenziava l’operato intellegibile dell’amministratore improntato alla massima trasparenza chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo emesso. Evidenziava, infatti, come la richiesta di ostensione della documentazione condominiale, da parte della condomina fosse generica e non circostanziata e in ogni caso non giustificata dal momento che tutta la documentazione era visibile tramite l’accesso al sito internet del Condominio, senza intermediazione dell’amministratore.
Sotto distinto ma connesso profilo parte attrice lamentava il fatto che non sussistesse in capo al condomino il diritto di ricevere copia (ovvero trasmissione della documentazione) quanto piuttosto uno speculare diritto di prendere visione e che, dunque, il geometra non poteva essere considerato inadempiente.
Parte attrice chiedeva, quindi, conclusivamente la revoca del d.i. opposto.
Con comparsa di costituzione e risposta la condomina chiedeva che venisse dichiarata la cessata materia del contendere, stante li deposito della documentazione ingiunta. In punto fattuale, ad ogni modo evidenziava come solo successivamente alla notifica del d.i., l’amministratore avesse comunicato le credenziali per l’accesso all’area web riservata del condominio.

La decisione

Il tribunale, dà preliminarmente atto dell’avvenuta cessazione della materia del contendere, tenuto conto della produzione in giudizio di tutta la documentazione richiesta in sede di ingiunzione. Tuttavia, afferma che se scrutinata nel merito, la domanda dell’amministratore sarebbe stata senz’altro infondata.

La documentazione richiesta infatti non era mai stata formalmente messa in disponibilità della condomina nè dai documenti in atti risultava che le password e le credenziali di accesso che erano stampigliate nelle lettere di convocazioni fossero da utilizzare per accedere al sito condominiale e ciò anche a tacere del fatto che le stesse risultavano incomplete e dunque non funzionanti. Peraltro, le stesse lettere di convocazioni “enunciano e fanno chiaramente intendere che l’ostensione fosse subordinata all’appuntamento con l’amministratore e che, dunque, non vi era facoltà di accesso illimitato alla documentazione archiviata in cloud da parte dei condomini”. In ogni caso, evidenzia ancora il giudice, le credenziali sono state consegnate dall’allora amministratore solo dopo la notifica del d.i. opposto.

L’obbligo di rendicontazione

Riguardo alle modalità attraverso le quali si ritiene che “tale obbligo di rendicontazione risulti adempiuto – rammenta quindi il tribunale – la giurisprudenza ha chiarito che ciascun condominio ha questo diritto di ostensione, ovvero di prendere visione dei documenti di rilievo ed estrarre copia, senza condizionare l’esercizio a determinate tempistiche, ancorché ragionevolmente si debba ritenere che lo stesso vada evaso in tempi ragionevoli (e tre-quattro mesi, come nel caso di specie, non appaiono un tempo ragionevole).

Ciò posto è evidente, conclude il giudicante, “che se vi fosse stata reale intenzione di rendere visibile sin da subito la documentazione richiesta dalla signora sarebbe stato agevole per l’amministratore di Condominio indicare e rammentare le password, le credenziali e il c.d. PID onde consentire la presa visione dei documenti in cloud, ma ciò non è avvenuto”.

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diritto di proprietà

Diritto di proprietà Il diritto di proprietà nell’ordinamento italiano: il contenuto, i modi di acquisto e i limiti imposti dalla legge. In particolare: la funzione sociale prevista dalla Costituzione

Cosa si intende per diritto di proprietà

Il diritto di proprietà è il più importante ed esteso dei diritti reali, cioè di quei diritti che individuano il potere del soggetto su una cosa. Come dispone l’art. 832 del codice civile, il titolare del diritto di proprietà su un bene ha diritto di goderne in modo esclusivo e di disporne a proprio piacimento (ad esempio, di venderlo o di donarlo), entro i limiti previsti dall’ordinamento.

Per comprendere quali siano tali limiti, occorre fare riferimento al dettato costituzionale in tema di proprietà.

Il diritto di proprietà nella Costituzione. La funzione sociale

Secondo l’art. 42 della Costituzione, la proprietà deve avere una funzione sociale. Ciò significa che lo scopo di tale istituto non è meramente quello di soddisfare l’interesse del suo titolare: esempi di limitazioni del diritto di proprietà per perseguire una funzione sociale sono la previsione di un prezzo calmierato per gli affitti (si pensi al c.d. equo canone, nell’esperienza dell’ordinamento italiano), l’acquisto per usucapione (di cui si dirà oltre) e l’espropriazione del bene.

Quest’ultima ipotesi è espressamente prevista dal terzo comma della norma appena citata, il quale dispone che la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale, salvo il riconoscimento di un indennizzo in favore del titolare. L’entità di tale indennizzo deve essere giusta, a norma dell’art. 834 c.c., pur non dovendo corrispondere al valore di mercato del bene; a tal riguardo, la Corte Costituzionale ha parlato di “serio ristoro” del sacrificio del privato (in questo senso, vedasi la risalente sentenza Corte Cost. n. 5/1980).

Come si può acquistare il diritto di proprietà?

Su un piano più generale, l’art. 42 Cost. dispone che la proprietà può essere pubblica o privata (a seconda della natura del soggetto titolare del bene) e che la stessa è “riconosciuta e garantita” dalla legge, che ne determina i modi di acquisto ed i limiti.

Quanto ai modi di acquisto, essi possono essere a titolo originario (cioè, quando l’acquisto avviene indipendentemente dalla volontà di un altro soggetto) o a titolo derivativo, come avviene nelle comuni compravendite o donazioni (atti inter vivos) o nelle successioni (atti mortis causa, richiamati anche dall’art. 42 Cost. ultimo comma); particolari modi acquisto della proprietà sono, inoltre, l’espropriazione per pubblica utilità, di cui si è detto sopra, o la confisca.

I modi di acquisto della proprietà a titolo originario sono puntualmente elencati dall’art. 922 del codice civile e sono l’occupazione, l’invenzione, l’accessione, la specificazione, l’unione o commistione e l’usucapione.

Quest’ultima, come più sopra accennato, si sostanzia in un istituto che tutela la funzione sociale della proprietà e valorizza l’operato del soggetto che, pur non effettivo titolare della proprietà sul bene, ne ha esercitato il possesso per un determinato periodo di tempo come se ne fosse stato il proprietario (ad esempio, un soggetto che abbia coltivato, e quindi reso fruttuoso anche per la collettività, un terreno non suo).

Per maggiori dettagli, vi rimandiamo a Usucapione e buona fede

La disciplina civilistica della proprietà

Con particolare riguardo alla proprietà fondiaria (terreni e costruzioni), la normativa civilistica pone una dettagliata disciplina in tema di rispetto delle distanze tra gli immobili, dell’apertura di luci e vedute (es. finestre), di comunione forzosa dei muri, di scarico delle acque etc. (artt. 873 e ss. cod. civ.).

Analogamente, viene disciplinata l’estensione della proprietà, la quale si estende lungo la sua superficie in orizzontale (con diritto del proprietario di recintarne i confini) e in modo verticale, “nella sua proiezione verso il sottosuolo e verso lo spazio aereo soprastante” (artt. 840 e ss. c.c.).

Le azioni a difesa della proprietà

In questo breve excursus sulle linee generali che definiscono il diritto di proprietà nel nostro ordinamento, vanno necessariamente ricordate le azioni a difesa della proprietà, previste dal codice civile, e in particolare le c.d. azioni petitorie previste dagli artt. 948 ss. del codice civile.

Nello specifico, l’azione di rivendicazione (art. 948 c.c.) mira a consentire al proprietario che abbia perso il possesso del bene di rivendicare lo stesso e recuperarlo. Con l’azione negatoria (art. 949 c.c.), invece, il proprietario mira a far accertare il proprio diritto e a far dichiarare l’inesistenza dei diritti affermati da altri sulla cosa.

In tema di diritto di proprietà, ricordiamo anche alcuni casi specifici, come la comunione (in cui la proprietà su un bene spetta a più soggetti) e il condominio; la c.d. proprietà intellettuale su opere e invenzioni (si veda l’articolata disciplina su marchi e brevetti); e la c.d. proprietà fiduciaria.