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Giustizia riparativa e processo penale: regole alternative La Cassazione rammenta che l'oggetto e la finalità del percorso riparativo sono completamente diversi da quelli del processo penale, per cui non possono in entrambi operare gli stessi principi

giustizia riparativa

Giustizia riparativa e processo penale

La giustizia riparativa non si fonda su principi mutuabili dal processo penale, in quanto è percorso alternativo a esso. Così la Cassazione con la sentenza n. 24343/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte di appello di Milano, riformava parzialmente la sentenza del tribunale della stessa città con cui un imputato era stato condannato in ordine al reato ex art. 609 bis cod. pen. applicando le attenuanti generiche e rideterminando la pena finale, confermando altresì nel resto la sentenza.

Il ricorso

L’uomo, tramite il difensore di fiducia, proponeva ricorso per Cassazione deducendo violazione degli artt. 589 e 599 bis cod. proc. pen., avendo la corte deciso in maniera difforme rispetto a quanto stabilito in sede di intervenuto concordato. In quella sede si era chiesta l’applicazione della pena finale di anni 4 mesi 3 di reclusione con domanda altresì di accesso al programma di giustizia riparativa. Istanza tuttavia rigettata dala Corte di appello.

Inoltre, a dire della difesa, essendo stato condannato l’imputato per un reato cd. ostativo, “il denegato positivo svolgimento di un programma di giustizia riparativa prima della espiazione della pena in carcere gli avrebbe consentito di chiedere – alla luce del novellato art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario – l’applicazione di una misura alternativa, potendo chiedere così di scontare la pena fuori dell’istituto penitenziario una volta che la stessa risulterà inferiore a 4 anni”.

Giustizia riparativa e processo

Per la S.C., tuttavia, il ricorso è inammissibile. “Va premesso – affermano i giudici – che l’art. 129-bis cod. proc. pen., norma di portata generale, introdotto dall’art. 7 D. Igs. n. 150/2022, dispone che: ‘1. In ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134, al Centro per la giustizia riparati va di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia riparativa”.
Inoltre, “nel caso di reati perseguiblli a querela soggetta a remissione e in seguito all’emissione dell’avviso di cui all’articolo 415-bis, il giudice, a richiesta dell’imputato, può disporre con ordinanza la sospensione del procedimento o del processo per lo svolgimento del programma di giustizia riparativa per un periodo non superiore a centottanta giorni”.
Il procedimento riparativo, tuttavia, continua la Corte richiamando la pregressa giurisprudenza (cfr. Cass. n. 6595/2023) “non è un procedimento giurisdizionale: il programma riparativo e le attività che gli sono propri appartengono non al procedimento/processo penale, quanto piuttosto all’ordine di un servizio pubblico di cura della relazione tra persone, non diversamente da altri servizi di cura relazionale ormai diffusi in diversi settori della sanità e del sociale. Ciò spiega le ragioni per le quali, all’interno del procedimento riparativo, operano regole di norma non mutuabili da quelle del processo penale, ed anzi, incompatibili con quelle del processo penale: volontarietà, equa considerazione degli interessi tra autore e vittima, consensualità, riservatezza, segretezza”.

La decisione

Ed invero, “proprio perché l’oggetto e la finalità del percorso riparativo sono completamente diversi da quelli del processo penale, non possono in entrambi operare gli stessi principi”. Motivo per cui, la domanda di ammissione al programma di giustizia ripartiva, chiariscono infine dalla S.C., “non può ritenersi parte integrante del patto di concordato, così che la decisone della corte di non sospendere il procedimento ‘a fronte di una richiesta di ammissione alla giustizia riparativa’ non integra alcuna violazione degli evocati artt. 589 e 599 bis cod. proc. pen.”.
Sulla base delle considerazioni svolte, pertanto, il ricorso è dichiarato inammissibile, con condanna al pagamento delle spese del procedimento e di tremila euro in favore della Cassa dele Ammende.

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