reato di minaccia

Reato di minaccia (612 c.p.) Il reato di minaccia (612 c.p.) si configura qualora un soggetto minacci un altro di un danno ingiusto, se aggravato è punito con la reclusione

Reato di minaccia: cos’è

Il reato di minaccia è contemplato dall’art. 612 del codice penale. Esso si configura quando un soggetto minaccia un altro soggetto di cagionargli un danno ingiusto. La norma tutela la libertà morale e psichica contro ogni tipo di condotta in grado di creare un turbamento derivante dal prospettare un male ingiusto alla vittima. Il danno minacciato può consistere in una lesione o nella sola messa in pericolo di un interesse che ha rilievo giuridico. L’ingiustizia del danno si riferisce ai danni che vengono cagionati da condotte illecite.

Il reato di minaccia è definito “di pericolo” perché non richiede il verificarsi di un evento, è sufficiente che il male venga  prospettato e che questo induca nella vittima il timore che il danno minacciato si potrebbe effettivamente verificare.

Procedibilità del reato di minaccia

Il reato di minaccia è punibile a querela della persona offesa.

Si procede d’ufficio se:

  • la minaccia si realizza in uno dei modi contemplati dall’articolo 339 del codice penale;
  • la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti con effetto speciale diverse dalla recidiva;
  • la persona offesa è incapace per età o per infermità.

Minaccia aggravata: art. 339 c.p.

La minaccia è aggravata se il soggetto agente la commette:

  • durante manifestazioni che si svolgono in un luogo pubblico o aperto al pubblico;
  • con l’uso delle armi;
  • da un soggetto dal volto coperto;
  • da più soggetti riuniti;
  • con uno scritto anonimo;
  • ricorrendo alla forza intimidatorie di associazioni segrete, esistenti o anche solo supposte;
  • lanciando o utilizzando corpi contundenti o altri oggetti idonei a offendere come i fuochi d’artificio, tutti oggetti che creano situazioni di pericolo per le persone.

Elemento soggettivo

Per integrare il delitto di minaccia la legge richiede che il soggetto agisca con dolo generico ossia con la coscienza e la volontà di minacciare un altro soggetto di un danno ingiusto.

Come è punito il reato di minaccia

Il reato di minaccia viene punito con una multa che può arrivare fino a 1.032,00 euro.

Se la minaccia è grave o è commessa nei modi previsti dall’articolo 339 c.p il reato è punito con la pena della reclusione fino a un anno.

Minaccia: rapporto con altri reati

Il reato di minaccia può essere confuso con altri reati contro la persona, ma può anche rappresentare una componente di altre condotte illecite complesse. La Cassazione nel tempo ha fornito importanti chiarimenti al riguardo.

Minaccia in concorso con violenza privata

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 50702/2019 ha chiarito che: “il reato di violenza privata si distingue dal reato di minaccia per la coartata attuazione da parte del soggetto passivo di un contegno (commissivo od omissivo) che egli non avrebbe assunto, ovvero per la coartata sopportazione di una altrui condotta che egli non avrebbe tollerato. Ne consegue che i due reati, pur promossi da un comune atteggiamento minatorio, dando luogo ad eventi giuridici di diversa natura e valenza, concorrono tra loro.”

Minacce assorbite dal reato di maltrattamenti in famiglia

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 17599/2021 ha precisato che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe il delitto di minaccia previsto dall’art. 612 c.p. purché le minacce rivolte alla persona offesa non siano il risultato di una condotta criminosa autonoma e indipendente, ma costituiscano una delle condotte per mezzo delle quali si mette in atto il reato di maltrattamenti.

Minacce assorbite o in concorso con il reato di stalking

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 12720/2020 ha sancito che il delitto di minaccia contemplato dall’art. 612 c.p. è assorbito da quello di atti persecutori disciplinato dall’art. 612 bis c.p a condizione che le minacce vengano poste in essere nello stesso contesto temporale e fattuale che integrano lo stalking. Qualora invece le minacce risalgano a un periodo anteriore all’inizio degli atti persecutori allora le minacce concorrono con il reato di stalking.

 

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decreto giustizia

Decreto giustizia: tutte le novità Decreto giustizia n. 178/2024: legge di conversione in vigore. Tutte le novità sul sistema giudiziario e sulla tutela delle vittime

Decreto giustizia: in vigore la legge

Il ddl di conversione del Decreto giustizia n. 178/2024, contenente “Misure urgenti in materia di giustizia”, approvato definitivamente dalla Camera  (C. 2196) il 21 gennaio 2025 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio per entrare in vigore il 25 gennaio 2025.

Vedi il dossier sul ddl di conversione del Decreto giustizia

La legge (4/2025), composta da 11 articoli, introduce diverse disposizioni per rafforzare il sistema giudiziario. Il testo dedica anche particolare attenzione alla tutela delle vittime di violenza di genere, alla gestione delle misure cautelari e all’organizzazione interna della magistratura.

Vai al testo coordinato del decreto legge 178/2024 con la legge di conversione n. 4/2025 

Vittime di violenza: novità sul braccialetto elettronico

Il decreto giustizia potenzia gli strumenti a disposizione dell’autorità giudiziaria per proteggere le vittime di violenza di genere e atti persecutori. In particolare, vengono perfezionate le norme sulle modalità di utilizzo del braccialetto elettronico. La polizia giudiziaria, prima che il giudice decida la misura cautelare, deve verificare la fattibilità tecnica e operativa dello strumento e non più solo la sua disponibilità materiale.

Questo controllo tiene conto dei seguenti aspetti:

  • caratteristiche dei luoghi coinvolti;
  • distanze e copertura della rete;
  • qualità del collegamento e tempi di invio dei segnali;
  • capacità gestionale dello strumento.

Un rapporto dettagliato su queste verifiche deve essere trasmesso all’autorità giudiziaria, senza ritardo e comunque entro 48 ore. Se il braccialetto non è tecnicamente od operativamente idoneo, il giudice può adottare misure più severe, anche in combinazione con quelle già in atto.

In caso di violazioni gravi o reiterate delle prescrizioni imposte, il giudice ha la facoltà di revocare gli arresti domiciliari e optare per la custodia cautelare in carcere, ad eccezione di quei casi in cui il fatto sia di lieve entità.

Proroga elezioni giudiziarie e misure magistratura

Un’altra importante disposizione della nuova legge 4/2025 riguarda la proroga delle elezioni per i Consigli giudiziari e il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, che il decreto, ora differisce ad aprile 2025. Questa decisione permette di riallineare le date elettorali alle recenti modifiche normative e assicurare una gestione più fluida delle procedure di rinnovo.

Il decreto giustizia modifica inoltre i criteri per il conferimento degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti (anche superiori) di legittimità, riservandoli ai magistrati che garantiscono almeno due anni di servizio prima del collocamento a riposo, anziché quattro.

In vista della piena operatività del nuovo Tribunale per le persone, i minorenni e la famiglia, si introduce una deroga temporanea ai limiti di permanenza nell’incarico per i magistrati già assegnati a procedimenti familiari. La deroga vale fino alla decorrenza del termine di tre anni dalla pubblicazione sulla GU del decreto legislativo n. 149/2022, che ha attuato la Riforma Cartabia. La misura intende incentivare l’integrazione dei magistrati esperti nella nuova struttura.

Formazione e impiego dei giudici onorari

La legge di conversione del decreto giustizia inoltre prevede per i magistrati che abbiano già ottenuto il conferimento o che si siano visti confermare incarichi direttivi di primo o secondo grado l’obbligo di frequentare, entro sei mesi dal conferimento dello stesso, corsi di formazione. La modifica, che posticipa l’obbligo formativo rispetto al conferimento, riduce i tempi burocratici, agevolando una più rapida assegnazione delle responsabilità.

Il periodo di assegnazione dei giudici onorari di pace all’ufficio del processo è ridotto da due anni a 6 mesi (termine questo ridotto ulteriormente in Commissione, rispetto al precedente termine annuale). Questa decisione punta a rendere più efficiente l’impiego delle risorse selezionate, velocizzando il loro contributo concreto all’attività giudiziaria.

Emergenza carceraria ed edilizia penitenziaria

Modificata anche la disciplina che riguarda il Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, il cui incarico viene esteso fino al 31 dicembre 2026, rispetto al termine del 31.12.2025 previsto. L’obiettivo è di affrontare con maggiore efficienza la crisi del sistema carcerario, migliorando le strutture e ottimizzando l’allocazione delle risorse.

Il Commissario riceverà un compenso, che sarà stabilito “in ragione della complessità dell’incarico” e ogni anno, entro il 30 giugno, dovrà inviare una relazione sullo stato di attuazione del programma al Ministero della Giustizia, a quello delle Infrastrutture e dei Trasporti e a quello dell’Economia e delle Finanze.

Insolvenza, INAIL e lavori di pubblica utilità

Il provvedimento all’articolo 8 chiarisce alcune disposizioni transitorie relative al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, stabilendo la vigenza di alcune disposizioni in relazione a determinati procedimenti e la validità, senza necessità di rinnovo, di alcuni atti procedimentali.

Si introducono anche misure specifiche per estendere la copertura INAIL ai soggetti impegnati in lavori di pubblica utilità, pena sostituiva per reati che vengono puniti con la pena detentiva non superiore a tre anni. Questa previsione amplia le tutele per i lavoratori, garantendo un maggiore riconoscimento della loro attività.

 

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reato maternità surrogata

Il reato di maternità surrogata Cosa prevede la nuova legge che introduce il reato di maternità surrogata commesso all’estero da un cittadino italiano pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 18 novembre e in vigore dal 3 dicembre 2024

Maternità surrogata: reato universale

Nella giornata del 16 ottobre 2024 è arrivato il sì definitivo del Senato, al ddl n. 824 proposto da Fratelli d’Italia che ha reso la maternità surrogata un reato universale.

La nuova legge n. 169/2024, recante “Modifiche all’art. 12 della legge n. 40/2004, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano”, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 18 novembre per entrare in vigore il 3 dicembre.

Modifica della legge 40/2004

Il testo va a modificare l’articolo 12 della legge n. 40 del 19 febbraio del 2004, che punisce la realizzazione, la commercializzazione, l’organizzazione o pubblicizza il commercio dei gameti e degli embrioni o la surrogazione di maternità.

Al comma 6 dell’articolo 12 di detta legge il ddl aggiunge il seguente periodo: se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi allestero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”. 

Condotte in paese straniero

Il provvedimento prevede in pratica l’applicazione della legge italiana anche quando le condotte punite dal comma 6 relative alla maternità surrogata vengono commesse in un paese straniero.

In questo modo si potranno perseguire penalmente anche le condotte, già punite dalla legge n. 40/2004, anche se poste in essere in un paese estero e anche qualora questo paese estero non le consideri un illecito penale.

Pene previste per reato di maternità surrogata

Il testo della nuova legge è lo stesso che era già stato approvato dalla Camera durante la prima lettura avvenuta nel luglio del 2023.

Durante l’iter la Lega aveva proposto un inasprimento ulteriore delle sanzioni derivanti dal reato portando la reclusione a 10 anni e la multa fino a 2 milioni di euro, ma la proposta è stata respinta.

Al reato di surrogazione di maternità si applicheranno, di conseguenza, le pene previste dallo stesso comma 6 ossia la reclusione da tre mesi a due anni e la multa da 600.000 euro fino a 1 milione di euro.

lavori di pubblica utilità

Lavori di pubblica utilità: disciplina e funzionamento I lavori di pubblica utilità sono attività non retribuite che vengono svolte per la collettività da soggetti liberi, condannati e detenuti

Lavori di pubblica utilità: definizione

I lavori di pubblica utilità sono attività non retribuite che vengono svolte a beneficio della collettività presso enti pubblici, organizzazioni sociali o di volontariato. Il lavoro di pubblica utilità si configura come uno strumento efficace di giustizia riparativa, offrendo al condannato la possibilità di compensare la collettività attraverso attività concrete e costruttive.

Riferimenti normativi

  1. Decreto 27 luglio 2023 – Modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità – art. 71 comma 1 lett. d) decreto legislativo n. 150/2022
  2. Decreto 8 giugno 2015 n. 88 – Regolamento recante disciplina delle convenzioni in materia di pubblica utilità ai fini della messa alla prova dell’imputato – art. 8 legge n. 67/2014
  3. Decreto 26 marzo 2001 – Norme per la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato – art. 54, c. 6 del decreto legislativo n. 274/2000

Lavori di pubblica utilità: applicazione

Il lavoro di pubblica utilità rappresenta una sanzione alternativa nel sistema giuridico italiano e consiste nella prestazione non retribuita di attività a favore della collettività. Può essere svolto presso enti pubblici, organizzazioni sociali o di volontariato, ed è previsto sia per soggetti liberi sia per detenuti o internati.

  1. In favore dei soggetti liberi, può sostituire pene detentive o pecuniarie in vari contesti tra i quali figurano:
  • le violazioni del Codice della Strada (articoli 186 e 187): per guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti, il lavoro può sostituire pene tradizionali, purché richiesto dall’imputato o disposto dal giudice;
  • legge sugli stupefacenti (art. 73, comma 5-bis): in casi di lieve entità, il giudice può sostituire la pena detentiva con questa sanzione. L’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) monitora il rispetto dell’obbligo.
  1. Secondo l’ 20-ter dell’ordinamento penitenziario, anche i detenuti possono svolgere lavoro di pubblica utilità, in conformità al d.m. 26 marzo 2001 e ad apposite convenzioni. Tale misura favorisce il reinserimento sociale attraverso attività a beneficio della comunità.
  2. Il lavoro di pubblica utilità può essere anche impiegato come pena sostitutiva o accessoria.
  • Sospensione del processo con messa alla prova (art. 168-bis c.p.): il lavoro diventa parte del programma di trattamento, definito in base alle esigenze personali dell’imputato;
  • Sospensione condizionale della pena (art. 165 c.p.): il condannato deve svolgere attività non retribuita come condizione per ottenere la sospensione;
  • Sostituzione di pene detentive brevi (art. 56-bis L. 689/1981): per reati con pene inferiori a tre anni, il lavoro di pubblica utilità può essere applicato come pena sostitutiva.

Modalità di svolgimento del lavoro per pubblica utilità

Il lavoro di pubblica utilità può svolgersi in diversi settori come:

  • l’assistenza sociale (anziani, malati, disabili).
  • la protezione civile e tutela ambientale;
  • le attività pertinenti alla professionalità del condannato.

La durata della misura varia tra 6 e 15 ore settimanali, ma può essere estesa fino a 8 ore giornaliere su richiesta. Un giorno di lavoro equivale a due ore di attività, garantendo la compatibilità con esigenze di vita, studio o salute del condannato.

Cosa accade se si violano le modalità di svolgimento

Il mancato rispetto degli obblighi può comportare la revoca della misura, con ripristino della pena originaria. In caso di risarcimento dei danni o eliminazione delle conseguenze del reato, è possibile la revoca della confisca, salvo i casi obbligatori.

Portale Nazionale per i lavori di pubblica utilità

Il Portale Nazionale per i lavori di pubblica utilità, disponibile online, è uno strumento innovativo che semplifica la gestione e la ricerca di opportunità per l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità. Destinato a cittadini, tribunali e uffici di esecuzione penale esterna, il portale velocizza il processo di abbinamento tra le caratteristiche del condannato o imputato, la natura del reato commesso e l’attività lavorativa non retribuita da svolgere. Questo approccio favorisce il reinserimento sociale e contribuisce a ridurre il rischio di recidiva.

Sviluppato con il contributo di diversi dipartimenti del Ministero della Giustizia, il portale è un progetto in continua evoluzione. I tribunali alimentano la piattaforma aggiornando le convenzioni locali e garantendo la pubblicazione delle informazioni sul sito del Ministero. L’obiettivo è semplificare le procedure e migliorare l’accesso alle informazioni per tutti gli attori coinvolti.

Il portale offre tre modalità di ricerca: tramite infografica, per individuare rapidamente i posti disponibili; ricerca avanzata, con filtri dettagliati; e ricerca semplice, basata su parole chiave.

 

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oblazione

Oblazione: guida all’istituto L’oblazione è un istituto di diritto penale e processuale penale che consente di estinguere i reati minori pagando una somma di denaro

Oblazione: definizione

L’oblazione è una misura prevista dal sistema giuridico italiano, che consente di estinguere il reato in cambio di un pagamento di una somma di denaro, senza il bisogno di affrontare il processo penale.

Riferimenti normativi

L’oblazione è quindi una forma di estinzione della punibilità prevista e disciplinata dagli articoli 162 e 162-bis del Codice Penale. L’art. 141 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale si occupa invece del procedimento che la riguarda.

In questo articolo, esamineremo le caratteristiche di questo istituto, la sua applicabilità, i limiti e le interpretazioni giuridiche più rilevanti.

Cos’è l’oblazione?

L’oblazione è un istituto giuridico che consente all’imputato di estinguere il reato, riducendo la propria responsabilità penale attraverso il pagamento di una somma di denaro o l’adempimento di altre obbligazioni. Questo meccanismo è previsto per i reati di natura contravvenzionale e, in alcuni casi, anche per reati di carattere più grave. L’oblazione consente di evitare il procedimento penale e, in molti casi, la condanna.

La normativa prevede che l’oblazione possa essere applicata solo a determinati tipi di reati, che devono essere di minor gravità rispetto ai crimini più gravi (ad esempio, i delitti). Inoltre, la somma da pagare varia in base alla pena prevista per il reato e deve essere versata prima dell’apertura del dibattimento o del decreto penale di condanna.

L’oblazione nelle contravvenzioni: art. 162 c.p.

L’articolo 162 del Codice Penale regola l’istituto per i reati contravvenzionali. Esso prevede che, per una serie di contravvenzioni punite solo con la pena dell’ammenda, il colpevole possa estinguere il reato mediante un pagamento di una somma di denaro, pari alla terza parte della pena massima prevista per quel reato, oltre le spese del procedimento. L’imputato che paga prima dell’apertura del dibattimento del decreto di condanna non è sottoposto a procedimento penale, né a pena detentiva.

L’articolo 162-bis del Codice Penale

L’articolo 162-bis del Codice Penale amplia le possibilità di applicazione dell’oblazione, permettendo di estinguere anche reati di natura contravvenzionale puniti con pene alternative.

La norma si applica in particolare ai reati contravvenzioni per i quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dellammenda. Il contravventore in questo caso, sempre prima del dibattimento e del decreto penale di condanna può pagare “una somma corrispondente alla metà del massimo della ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.” Il pagamento della somma prevista comporta l’estinzione del reato.

Limiti applicativi dell’oblazione

L’oblazione non è consentita quando è presente una recidiva reiterata nella commissione della contravvenzione e quando l’imputato è un contravventore abituale o professionale ai sensi degli articoli 104 e 105 del codice penale. Il giudice comunque può respingere la domanda di oblazione quando il fatto commesso è grave.

Procedimento di oblazione

La procedura per l’ammissione all’oblazione segue un iter specifico delineato dall’art. 141 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale.

La norma dispone che durante le indagini preliminari, l’indagato può presentare domanda di oblazione al pubblico ministero. Quest’ultimo è tenuto a trasmettere la richiesta, insieme agli atti del procedimento, al giudice per le indagini preliminari. Il pubblico ministero, inoltre, può informare l’indagato, qualora sussistano i presupposti, della possibilità di richiedere l’oblazione e degli effetti estintivi del reato che derivano dal suo pagamento.

Se l’indagato non è stato avvisato di questa facoltà prima dell’emissione del decreto penale, nel decreto deve essere comunque indicata la possibilità di richiedere l’oblazione. Quando la domanda viene presentata, il giudice valuta il parere del pubblico ministero. Se ritiene che la richiesta non sia fondata, rigetta l’istanza con un’ordinanza e, se necessario, restituisce gli atti al pubblico ministero. Al contrario, se accoglie la domanda, stabilisce l’importo da versare e informa l’interessato. Dopo il pagamento, se la richiesta è avvenuta in fase di indagini preliminari, gli atti vengono rinviati al pubblico ministero; negli altri casi, il giudice dichiara il reato estinto con sentenza.

In situazioni in cui l’imputazione viene modificata in una che consente l’oblazione, o in caso di nuove contestazioni, l’imputato ha la possibilità di presentare domanda. Se accolta, il giudice stabilisce un termine, non superiore a dieci giorni, per il pagamento. Con l’avvenuto pagamento, il reato è dichiarato estinto tramite sentenza.

Ratio e natura preventiva dell’oblazione

La Corte di Cassazione ha chiarito diversi aspetti legati all’applicabilità dell’istituto. In una sentenza del 2020, la Cassazione ha ribadito che l’oblazione non può essere applicata nei reati gravi come quelli associati a criminalità organizzata o terrorismo, in quanto il fine di questa misura è esclusivamente quello di estinguere reati di minor entità.

Inoltre, la Corte ha evidenziato che l’oblazione è incompatibile con il procedimento penale già avviato, se l’imputato non adempie alla condizione di pagamento prima dell’inizio del processo. L’oblazione è quindi una soluzione preventiva, che deve essere adottata prima che il procedimento giuridico prenda il via.

 

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amnistia

Amnistia: guida completa Amnistia: atto di clemenza concesso da una legge specifica che estingue il reato o fa cessare l’esecuzione della pena e delle pene accessorie

Cos’è l’amnistia?

L’amnistia è un atto di clemenza previsto dall’ordinamento giuridico italiano, che può comportare l’estinzione di reati e delle pene ad essi connessi. La sua regolamentazione è contenuta nell’articolo 151 del Codice Penale.

Articolo 151 c.p: cosa prevede

L’articolo 151 c.p stabilisce che l’istituto comporta l’estinzione del reato e della pena per i fatti commessi, ma solo se è prevista da una legge ad hoc. In altre parole, l’amnistia non è applicabile automaticamente, ma deve essere concessa attraverso una legge speciale, approvata dal Parlamento.

Essa può avere effetti retroattivi, ciò significa che può estinguere reati commessi anche prima della sua promulgazione, purché questi siano compatibili con i criteri stabiliti dalla legge stessa.

Caratteristiche dell’amnistia

L’istituto presenta alcune caratteristiche principali.

  • Una volta concessa, il reato non viene più considerato tale, e la pena viene completamente eliminata.
  • Non tutti i crimini possono beneficiare dell’ In genere, reati particolarmente gravi, come omicidi o crimini di terrorismo, sono esclusi dal beneficio.
  • La sua concessione può essere sottoposta a condizioni o obblighi.
  • Questo atto di clemenza non è applicabile ai recidivi (art. 99 c.p) ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo eccezioni.

Condizioni e limiti dell’amnistia

La legge che la dispone può stabilire alcuni limiti specifici all’amnistia.

  1. Tipologia di reati: non tutti i reati possono beneficiare dell’amnistia, in particolare quelli di terrorismo, omicidio e crimini contro l’umanità.
  2. Periodo di applicazione: l’amnistia può avere effetti retroattivi, ma solo entro i limiti stabiliti dalla legge che la dispone.
  3. Efficacia legale: una volta concessa, l’amnistia estingue ogni effetto penale, ma non necessariamente quelli civili o amministrativi legati al reato.

Giurisprudenza della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha fornito diverse interpretazioni sull’applicazione di questo istituto, in particolare in relazione all’estinzione del reato e delle pene.

In una sentenza del 2016, la Cassazione ha chiarito che l’amnistia non solo estingue la pena, ma elimina anche il reato sotto il profilo giuridico. Ciò significa che un soggetto che ne beneficia non avrà più alcuna condanna penale a suo carico, e non potrà essere sottoposto a misure penali future relative a quel reato.

La Cassazione ha inoltre ribadito che l’amnistia può essere applicata anche a procedimenti in corso, a condizione che i reati siano compatibili con la legge che l’ha introdotta. Tuttavia, l’eventuale amnistia non cancella gli effetti civili del reato, come il risarcimento danni alle vittime.

Differenze con l’indulto

Sebbene amnistia e indulto siano spesso confusi, le differenze tra i due provvedimenti sono significative. La prima è un provvedimento che ha l’effetto di estinguere i reati e le pene connesse a determinati comportamenti criminali. Il secondo invece riduce la pena, ma non elimina il reato. L’amnistia può essere concessa dallo Stato per motivi politici, sociali o di particolare necessità, ma non è applicabile a tutti i reati.

Ecco le differenze principali tra i due istituti.

Estinzione del reato vs. riduzione della pena:

  • Amnistia: elimina completamente il reato e la pena, annullando ogni effetto penale. La persona non viene più considerata condannata.
  • Indulto: riduce o estingue la pena, ma il reato rimane formalmente tale. La persona non è più sottoposta alla pena detentiva, ma il reato rimane nel suo casellario giudiziario e può avere altre implicazioni legali.

Effetto retroattivo:

  • Amnistia: ha effetti retroattivi, il che significa che può estinguere reati commessi anche prima dell’entrata in vigore della legge.
  • Indulto: generalmente si applica solo alle pene future, anche se può ridurre le pene già in corso.

Reati esclusi:

  • Amnistia: tende a escludere i reati più gravi, come quelli legati a terrorismo, mafia, omicidi, ecc.
  • Indulto: non esclude necessariamente i reati più gravi, ma la sua applicazione dipende dalla legge speciale che lo autorizza. In genere, l’indulto non si applica a crimini gravi come quelli di terrorismo, ma può essere esteso ad altri reati meno gravi.

Procedura di concessione:

  • Amnistia: viene concessa tramite una legge speciale approvata dal Parlamento. Ha una portata generale e collettiva, riguardando categorie di detenuti.
  • Indulto: viene anch’esso concesso dal Parlamento tramite una legge speciale, ma ha una portata più limitata. Esso di solito si applica a specifici gruppi di reati o detenuti.

 

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particolare tenuità del fatto

Particolare tenuità del fatto: la guida Particolare tenuità del fatto: istituto che esclude la punibilità per esiguità del danno, del pericolo o per la condotta del soggetto agente

Particolare tenuità del fatto: cos’è

La “particolare tenuità del fatto” contemplata dall’articolo 131-bis del Codice Penale rappresenta una novità significativa nell’ordinamento giuridico italiano. La norma ha infatti introdotto questo concetto come causa di esclusione della punibilità in determinati casi.

Ratio dell’istituto

Questo istituto, introdotto con  dal Dlgs n. 28/2015 e modificato dal Dlgs n. 150/2022, si pone l’obiettivo di evitare che il sistema penale si sovraccarichi di procedimenti per reati di lieve entità, riservando le risorse giuridiche ai reati più gravi. Questo principio consente di applicare una giustizia più equa, adattando la risposta penale alla reale pericolosità sociale del fatto.

Inoltre, la tenuità del fatto può rappresentare una forma di risoluzione più rapida ed efficace per i casi in cui il danno causato è irrilevante, contribuendo a ridurre il carico sulle corti e a focalizzare l’attenzione su reati di maggiore allarme sociale.

Analisi dell’art. 131-bis c.p

L’articolo 131-bis del Codice Penale stabilisce che quando il fatto non è di particolare gravità, il giudice può escludere la punibilità dell’imputato. La valutazione della tenuità del fatto si basa su criteri oggettivi, come la scarsa entità del danno o del pericolo causato, e criteri soggettivi, come la personalità dell’imputato e il comportamento successivo al reato.

Valutazione della tenuità del fatto

L’articolo 131-bis indica quindi due fattori fondamentali nella valutazione della tenuità:

  • la modesta entità del danno o del pericolo derivante dal reato;
  • la personalità dellimputato, con riferimento alla sua condotta e alle circostanze in cui è avvenuto il fatto.

Questi criteri consentono al giudice di valutare se il fatto possa essere considerato di scarsa gravità, escludendo la necessità di una punizione penale, ma lasciando la strada aperta alla possibilità di applicare misure alternative come la sanzione pecuniaria o altre forme di risarcimento.

Valutazione della non tenuità del fatto

L’offesa non può essere considerata invece di particolare tenuità quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, anche verso animali, oppure usando sevizie o approfittando della condizione di minorata difesa della vittima, ad esempio a causa dell’età e quando dalla condotta sono derivate, anche non volute, la morte o lesioni gravissime a una persona.

L’offesa non è di particolare tenuità anche in presenza di reati

  • puniti con una pena massima superiore a due anni e sei mesi di reclusione, se commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive;
  • commessi contro pubblici ufficiali o agenti di pubblica sicurezza e polizia giudiziaria nell’esercizio delle loro funzioni, come previsti dagli articoli 336, 337, 341-bis e 343;
  • di particolare gravità, consumati o tentati, previsti dagli articoli indicati (es. corruzione, omicidio, violenze sessuali, lesioni aggravate, stalking, rapina aggravata, riciclaggio);
  • previsti in ambiti specifici, come interruzione illegale di gravidanza (art. 19, comma 5, della legge n. 194/1978), traffico di stupefacenti (art. 73 del DPR n. 309/1990, escluse alcune ipotesi minori), reati in materia finanziaria (articoli 184 e 185 del D.Lgs. n. 58/1998);
  • legati alla violazione del diritto d’autore, salvo quelli meno gravi di cui all’ 171 della legge n. 633/1941.

Particolare tenuità del fatto: giurisprudenza Cassazione

La Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in più occasioni sull’applicazione dell’articolo 131-bis, fornendo importanti chiarimenti interpretativi.

Gli Ermellini, in diverse sentenze, hanno ribadito che la tenuità del fatto deve essere valutata in modo rigoroso, tenendo conto non solo della gravità oggettiva del reato, ma anche del contesto complessivo in cui si è svolto il fatto.

In una sentenza del 2018 (Cass. Pen. n. 21060), la Corte ha sottolineato che l’applicazione dell’articolo 131-bis richiede una valutazione complessiva, che prenda in considerazione non solo l’entità del danno, ma anche la condotta successiva dellimputato, la sua sincerità e il suo atteggiamento di responsabilizzazione.

In un altro caso (Cass. Pen. n. 30247/2017), la Corte ha evidenziato che non è sufficiente un mero danno economico modesto per escludere la punibilità, ma bisogna anche considerare l’effettivo pericolo creato dall’illecito penale.

 

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accesso abusivo ai sistemi

Accesso abusivo ai sistemi informatici Guida al reato di accesso abusivo ai sistemi informatici previsto e punito dall’art. 615-ter del codice penale

Accesso abusivo ai sistemi informatici: il reato

Il reato di accesso abusivo ai sistemi informatici si verifica quando una persona accede, senza autorizzazione, a sistemi informatici o telematici protetti da misure di sicurezza. Questo comportamento è punito in modo severo, poiché può compromettere la sicurezza dei dati e dei sistemi coinvolti. L’illecito può avere impatti rilevanti che spaziano dal furto di informazioni sensibili fino al sabotaggio di sistemi aziendali o governativi.

L’articolo 615-ter c.p si occupa di tutelare la riservatezza e la sicurezza dei sistemi informatici, penalizzando chiunque si introduca in tali sistemi senza avere il diritto o il consenso a farlo. La legge è stata pensata per rispondere ai rischi legati all’evoluzione tecnologica, garantendo la protezione delle risorse digitali da azioni di intrusione e manipolazione non autorizzata.

Articolo 615-ter c.p.: cosa prevede

L’articolo 615-ter del Codice Penale italiano punisce l’accesso abusivo a un sistema informatico con la seguente formulazione:

“Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, ovvero di arrecare ad altri un danno, abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.”

Elementi costitutivi del reato:

  1. Accesso abusivo: la legge punisce chiunque acceda senza autorizzazione, ma il termine “abuso” implica che l’accesso non avvenga per un motivo lecito. In altre parole, se l’accesso è effettuato con il consenso del titolare del sistema o per una finalità legittima, non si configura il reato.
  2. Sistema informatico o telematico protetto: il reato si verifica esclusivamente quando l’accesso riguarda un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza. Questo significa che il sistema deve essere configurato in modo da impedire l’accesso non autorizzato (ad esempio, tramite password, codici, firewall, etc.).
  3. Finalità del reato: il legislatore prevede che l’accesso abusivo avvenga con l’intenzione di procurarsi un profitto o di arrecare danno ad altri. La finalità di danneggiare o trarre vantaggio illecito è un elemento essenziale del reato, anche se non è necessario che il danno o il profitto si materializzino concretamente.

Pene e sanzioni

Chi commette il reato di accesso abusivo ai sistemi informatici è punito con una reclusione da sei mesi a tre anni. La pena varia in base alle circostanze del reato, come la gravità del danno causato, l’entità del profitto ottenuto o altre variabili.

Aggravamenti di pena

Il reato di accesso abusivo inoltre può essere aggravato nei casi in cui l’autore del crimine:

  • sia un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;
  • se il colpevole per commettere il fatto usa minaccia o violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato;
  • se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento ovvero la sottrazione, anche mediante riproduzione o trasmissione, o l’inaccessibilità al titolare del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti.
  • Il base al comma 3 della norma inoltre se i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da tre a dieci anni e da quattro a dodici anni.”

Procedibilità del reato

Il comma 4 della norma prevede che nei casi meno gravi contemplati dal comma 1 il reato è perseguibile su querela della persona offesa Nei casi aggravati previsti dai commi 2 e 3  invece si procede d’ufficio.

Ratio del reato di accesso abusivo

Il reato di accesso abusivo ai sistemi informatici previsto dall’articolo 615-ter c.p è una norma fondamentale per proteggere la sicurezza delle informazioni e la privacy degli utenti. Con l’evoluzione della tecnologia, questo tipo di crimine è diventato sempre più rilevante. Esso. Ha infatti  impatti significativi sia su scala individuale che aziendale. La prevenzione e la protezione sono quindi cruciali per evitare che i dati sensibili vengano compromessi.

Modalità di accesso abusivo

L’accesso abusivo ai sistemi informatici può avvenire in vari modi.

  1. Hacking: attacco informatico in cui il criminale sfrutta vulnerabilità nei sistemi per ottenere accesso senza autorizzazione;
  2. Phishing: tecniche di ingegneria sociale che manipolano l’utente affinché fornisca credenziali di accesso (come username e password), che poi vengono utilizzate in modo illecito.
  3. Malware e virus: introduzione di software dannosi (come virus, trojan horse, ransomware) che compromettono la sicurezza dei sistemi e consentono l’accesso non autorizzato da parte di terzi.
  4. Accesso fisico non autorizzato: alcuni attacchi informatici avvengono quando l’autore del reato ottiene l’accesso fisico ai dispositivi, come computer o server, per sottrarre dati o compromettere il sistema.

Prevenzione e protezione accesso abusivo ai sistemi

Per prevenire il reato di accesso abusivo ai sistemi informatici, è fondamentale implementare misure di sicurezza adeguate.  Per proteggere.  Sistemi si può ricorrere all’uso di firewall, software antivirus, cifratura dei dati e autenticazione a più fattori (MFA). Inoltre, le aziende e le pubbliche amministrazioni devono investire in formazione del personale. E’ infatti fondamentale sensibilizzare sui rischi legati alla sicurezza informatica e sulle buone pratiche per evitare intrusioni.

 

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sciacallaggio

Sciacallaggio: aggravante del furto Sciacallaggio: approvata dal Senato la proposta di legge che aggrava il furto commesso in occasione di calamità naturali

Sciacallaggio: la proposta di legge

Il Senato della Repubblica il 15 ottobre 2024 ha approvato con 85 voti a favore, 40 contrari e 15 astenuti la proposta di legge 778, che introduce lo sciacallaggio tra le circostanze aggravanti previste dagli articoli 61 e 625 del codice penale e modifica gli articoli 624 e 624 bis c.p. Spetta ora alla Camera approvare il testo.

Nello specifico l’articolo 61 c.p contiene l’elenco delle circostanze aggravanti comuni, l’art. 625 c.p le circostanze aggravanti del reato di furto, l’articolo 624 c.p punisce il reato di furto e l’art. 624 bis il furto in abitazione e con strappo.

Le modifiche al codice penale

In base alle modifiche previste dalla proposta, la circostanza che aggrava il reato quando non ne costituisce elemento costitutivo o aggravante speciale prevista al n. 5 dell’art 61 assume il seguente tenore letterale “l’avere profittato di pubbliche calamità”.

Il comma 3 dell’art. 624 c.p viene così modificato Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia dufficio se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre taluna delle circostanze di cui allarticolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7 bis e otto quater.” 

Il nuovo comma 3 dell’art. 624 bis così dispone: “La pena è della reclusione da 5 a 10 anni e della multa da 1000 euro a euro 2500, quando ricorre taluna delle circostanze aggravanti previste dallarticolo 625, primo comma, ovvero dellarticolo 61. La pena è della reclusione da 6 a 12 anni e della multa da euro 2000 a 5000 euro quando concorrono due o più delle circostanze indicate nel primo periodo.”  

Al comma dell’art 625 c.p dopo il punto 8 ter viene aggiunto il n. 8 quater, il quale dipone che “se ricorre la circostanza di cui all’articolo 61, numero 5.”

Sciacallaggio: ratio della proposta di legge

La proposta di legge n. 778 al Senato, alla Camera n. 2096 introduce misure specifiche per il contrasto al furto e al saccheggio di luoghi o di persone che sono stati colpiti da calamità. La proposta è l’effetto di alcuni fatti incresciosi verificatisi in occasione delle calamità che hanno colpito alcune regioni d’Italia.

L’ordinamento fino a questo momento non aveva mai contemplato il fenomeno dello sciacallaggio con disposizioni specifiche. La giurisprudenza, al verificarsi dello sciacallaggio, si sempre limitata ad applicare le forme aggravate dei reati di furto e di furto in abitazione. In alternativa altri giudici hanno ritenuto che le circostanze di tempo e di luogo che caratterizzano le calamità naturali potessero integrare, in caso di furto, la circostanza aggravante della minorata difesa.

Con questa proposta l’aggravante specifica che viene introdotta colma una lacuna presente nel nostro ordinamento grazie a un’ipotesi di furto aggravata commessa durante eventi calamitosi o disgrazie che si abbattono sulla popolazione e quindi ancora più deprecabile in quanto ricadente su soggetti in stato di grave difficoltà e bisogno.

 

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mantenimento ai figli

Mantenimento ai figli: può essere versato in ritardo Non è punibile per la Cassazione la violazione degli obblighi di mantenimento della prole se si tratta di un inadempimento occasionale

Tenuità del fatto

Mantenimento ai figli, se versato in ritardo e l’inadempimento è occasionale scatta la causa di non punibilità. Questo quanto emerge dalla sentenza n. 21068/2024 con cui la sesta sezione penale della Cassazione ha accolto il ricorso di una donna condannata in appello per il reato di cui all’art. 570-bis c.p.

La vicenda

Avverso tale sentenza, la ricorrente adiva il Palazzaccio lamentando travisamento della prova da parte della corte territoriale che aveva negato la produzione della documentazione attestante l’adempimento tardivo, dalla quale emergeva che la ricorrente aveva versato gli assegni di mantenimento in precedenza rimasti inadempiuti, provvedendo anche al regolare adempimento per le scadenze successive.
Sostiene la difesa che copia di tutti i bonifici era stata depositata alle udienze dibattimentali, sicchè il giudice di appello era incorso in un palese travisamento della prova, avendo ritenuto che la prova documentale non era stata mai prodotta in giudizio.
Con il secondo motivo, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in merito all’esclusione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, sottolineando come la Corte d’appello era stata fuorviata dal fatto di non aver riconosciuto l’adempimento tardivo, a fronte del quale le gravità della condotta avrebbe sicuramente meritato una diversa considerazione.

Produzione documentale

Per la S.C. il ricorso è fondato.
In relazione al primo motivo, a fronte della puntuale indicazione della produzione documentale, la Corte d’appello ha totalmente omesso l’esame della questione, limitandosi ad affermare che si trattava di una mera deduzione difensiva e senza verificare e confutare il dato specifico allegato dalla ricorrente. Per cui, nella specie, “il giudice di appello è incorso in un vizio di motivazione apparente, posto che a fronte della specificità del motivo dedotto in appello, la negazione della circostanza avrebbe reso necessaria l’esposizione delle ragioni per cui non poteva ritenersi fornita la prova documentale, procedendo in primo luogo alla verifica dell’effettività della produzione e, in caso di positivo riscontro, alla valutazione nel merito della documentazione”.
Tali doverosi passaggi sono stati del tutto pretermessi, “il che – proseguono i giudici – inficia di per sé la tenuta della motivazione, soprattutto ove si consideri la necessità di valutare la gravità e rilevanza dell’inadempimento”.
Secondo la più recente giurisprudenza, infatti, “la condotta incriminata dall’art. 570-bis cod. pen. non è integrata da qualsiasi forma di inadempimento civilistico, ma necessita di un inadempimento serio e sufficientemente protratto, o destinato a protrarsi, per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla entità dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire (Sez.6, n. 47158 del 20/10/2022, Rv. 284023)”.

Particolare tenuità del fatto

L’omessa valutazione del tardivo adempimento incide direttamente anche sull’ulteriore profilo dedotto dalla ricorrente, relativo al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto.
“La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. – ricordano dalla S.C. – è applicabile al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, a condizione che l’omessa corresponsione del contributo al mantenimento abbia avuto carattere di mera occasionalità (Sez.6, n. 5774 del 28/1/2020, Rv. 278213)”.
L’applicazione di tale principio al caso di specie, imponeva, dunque, “la necessaria verifica della dedotta corresponsione, sia pur tardiva, degli assegni di mantenimento stabiliti in favore della prole, al fine di verificare se le concrete modalità della condotta potessero o meno dar luogo all’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen.”.
Anche con riguardo a tale profilo, pertanto, concludono gli Ermellini, “si rende necessario l’annullamento con rinvio, al fine di integrare le lacune valutative e motivazioni in cui è incorsa la sentenza impugnata”.

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