check-out da remoto

Check out da remoto per le strutture ricettive Check out da remoto per le strutture ricettive, l'identificazione "de visu" contrasta con la riduzione degli adempimenti amministrativi

Check out da remoto per le strutture ricettive

Torna il check out da remoto per le strutture ricettive. La sentenza n. 10210/2025 del TAR Lazio boccia la circolare del Ministero dell’Interno del 18 novembre 2024 che imponeva agli operatori turistici l’identificazione di persona (“de visu”) degli ospiti. La norma, che mirava a prevenire rischi per la sicurezza pubblica, di fatto precludeva le procedure di check-in a distanza. Con questa decisione, si riapre la strada alle modalità di registrazione a distanza.

Check out da remoto: no a identificazione de visu

Un’associazione rappresentativa del settore ricettivo extralberghiero italiano ricorre al TAR del Lazio contro la circolare del Ministero dell’Interno, datata 18 novembre 2024, protocollo 0038138. Il documento impone ai gestori di strutture ricettive l’obbligo di identificare di persona gli ospiti, ritenendo non conformi all’articolo 109 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) le procedure di check-in da remoto, considerate potenzialmente pregiudizievoli per la sicurezza collettiva.

L’associazione solleva diverse doglianze contro la circolare. La più importante da segnalare  però è quella in cui la ricorrente sostiene che la circolare si ponga in conflitto con la riforma del 2011 dell’articolo 109 TULPS, che aveva eliminato l’obbligo per i gestori di raccogliere le generalità degli alloggiati “de visu” e di far firmare le schede agli ospiti. Da tale riforma, l’obbligo si era ridotto al solo accertamento che gli alloggiati fossero muniti di un documento d’identità e alla comunicazione delle generalità alle Questure tramite il portale “Alloggiati web”. Tali obblighi erano stati estesi nel 2018 anche ai locatori di immobili per brevi periodi. La circolare pertanto, con la reintroduzione dell’identificazione “de visu”, aggraverebbe nuovamente gli adempimenti a carico dei gestori, contravvenendo allo spirito della riforma del 2011 che mirava a ridurli. La ricorrente argomenta inoltre che l’identificazione “de visu” non sarebbe idonea a raggiungere l’obiettivo di sicurezza pubblica, poiché non eliminerebbe il rischio che l’alloggiato, dopo l’identificazione, possa cedere le chiavi a un soggetto non identificato.

Identificazione “de visu” in contrasto

Il TAR precisa prima di tutto che la circolare impugnata, non ha un valore meramente interpretativo, ma introduce un “obbligo” concreto e immediatamente lesivo per i gestori. La stessa pertanto è in effetti direttamente impugnabile, non essendo necessario un provvedimento applicativo. Nel merito invece il TAR annulla il provvedimento impugnato.

L’obbligo di identificazione “de visu” si pone in effetti, come affermato dalla ricorrente, in contrasto con la riduzione degli adempimenti amministrativi introdotta dal D.L. n. 201/2011 e dalla modifica dell’articolo 109 TULPS. La circolare, infatti, ha ripristinato un onere che la legge aveva inteso eliminare, ignorando la modifica legislativa. Il TAR ritiene inoltre che l’identificazione “de visu” non sia di per sé in grado di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica. Come evidenziato nel ricorso, essa non impedisce che l’alloggio possa essere successivamente utilizzato da soggetti non identificati. Il Ministero, inoltre, non ha specificato per quale ragione strumenti alternativi (come la verifica da remoto) non sarebbero sufficienti a raggiungere il medesimo obiettivo con minore pregiudizio per i destinatari, in palese violazione del principio di proporzionalità. Per queste e per altre ragioni il TAR ritiene che la circolare sia viziata e quindi la annulla.

 

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vademecum ocf

Mediazione post Cartabia: il vademecum OCF per gli avvocati Vademecum OCF mediazione civile e commerciale: guida breve alla procedura di cui al decreto legislativo n. 28/2010 dopo i correttivi della Riforma Cartabia

Vademecum OCF: guida per avvocati e mediatori

Il vademecum OCF sulla mediazione civile e commerciale del 24 marzo 2025, aggiornato alle modifiche apportate al decreto legislativo n. 28/2010 dagli ultimi correttivi della Riforma Cartabia si rivolge ad avvocati e mediatori. L’idea è quella di fornire una guida chiara e basilare grazie a una esposizione breve e schematica.

Vademecum, OCF: la mediazione in fasi

Il vademecum OCF, composto da 33 pagine, definisce la mediazione, ne indica le tipologie, il luogo di svolgimento e le parti coinvolte. La parte successiva dell’esposizione descrive la procedura dividendola nelle tre fasi costitutive: avvio, incontri e conclusione.

Fase 1: L’avvio della mediazione

Nella parte iniziale dedicata alla fase dell’avvio della mediazione il vademecum dedica una particolare attenzione alla mediazione in modalità telematica e agli incontri di mediazione che si tengono con modalità audiovisive da remoto.

Nell’analizzare l’articolo 12 bis del decreto legislativo n. 28/201o mette in evidenza l’importanza della partecipazione delle parti alla procedura di mediazione, elencando le conseguenze processuali della mancata presenza.

Fase 2: gli incontri di mediazione

La parte del documento dedicata alla fase 2 della procedura, dedicata agli incontri di mediazione, si occupa di analizzare l’articolo 8 del decreto legislativo n. 28/2010, che disciplina il procedimento di mediazione. Segue la descrizione dell’articolo 6 che stabilisce la durata massima della proceduta, e la trattazione della novità normativa sulla procura e sulla delega da conferire all’avvocato per la mediazione.

La fase due si chiude con la proposta conciliativa del mediatore (su richiesta delle parti o su iniziativa dello stesso in caso di mancato accordo) e sul rifiuto della proposta.

Fase 3. Conclusione del procedimento

La terza e ultima fase, ossia la conclusione del procedimento, è la parte più ampia e densa. Essa descrive i possibili esiti della procedura (negativo o positivo) e l’efficacia esecutiva e l’esecuzione dell’accordo. Un ampio spazio della trattazione è dedicato alla disciplina del patrocinio a spese dello stato.

La parte finale della trattazione è dedicata a un argomento di particolare interesse e complessità, ossia l’esenzione dalle imposte e i crediti di imposta che riguardano la procedura di mediazione. I vari paragrafi descrivono in particolare le modalità e i termini di presentazione della domanda per richiedere il riconoscimento dei benefici fiscali.

 

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spese straordinarie

Reato non pagare le spese straordinarie per i figli Il mancato pagamento delle spese straordinarie per i figli integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare

Violazione obblighi di assistenza familiare

Il mancato pagamento delle spese straordinarie per i figli integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570-bis c.p.). La norma incriminatrice non si limita infatti all’assegno, ma include tutti gli “obblighi di natura economica in materia di affido dei figli”. Questo comprende sia le spese per i bisogni ordinari dei figli, ma prevedibili e ricorrenti, che quelle imprevedibili e rilevanti, ma indispensabili per il loro interesse. Queste spese, come l’assegno, sono fondamentali per il mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, garantendo il loro benessere. L’inadempimento quindi, se provato, è penalmente rilevante. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza  n. 19715/2025.

Violazione degli obblighi di assistenza familiare

Un uomo viene condannato alla pena della reclusione di due anni per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 570 bis c.p. L’imputato non ha infatti adempiuto all’obbligo di corrispondere alla ex moglie l’assegno per il mantenimento dei figli e il 50% delle spese straordinarie.

Mancato pagamento delle spese straordinarie 

Nell’impugnare la sentenza l’imputato con il terzo motivo eccepisce la nullità della sentenza per violazione della legge penale. A suo dire il mancato pagamento delle spese straordinarie non integra il reato di cui è stato ritenuto responsabile. L’articolo 570 bis c.p. non si riferirebbe infatti alla violazione degli obblighi economici diversi da quelli relativi alla separazione dei coniugi e all’affido condiviso dei figli.

Spese straordinarie: principi civilistici

La Cassazione annulla senza rinvio la sentenza perché il reato è prescritto e respinge il terzo motivo relativo alle spese straordinarie. Questo il ragionamento della Corte.

Nel caso specifico, l’imputato è stato chiamato a rispondere del mancato pagamento delle spese straordinarie, pattuite al 50% con i provvedimenti di separazione e divorzio. Trattasi nello specifico di importi significativi, in gran parte legati a spese mediche, sanitarie o scolastiche.

Per la difesa il mancato versamento queste spese non costituisce reato, specialmente nel periodo in cui l’assegno di mantenimento e quello divorzile sono stati regolarmente corrisposti. Questa argomentazione difensiva però per gli Ermellini non è fondata.

Spese straordinarie imprevedibili e imponderabili

La Cassazione ricorda che la giurisprudenza civile ha sottolineato l’importanza delle spese straordinarie, dato che la normativa positiva non le definisce in modo esplicito. La giurisprudenza di legittimità ha inquadrato in particolare le spese straordinarie nel contesto del concorso negli oneri relativi all’educazione, istruzione e mantenimento della prole.

La stessa ha stabilito in particolare che le spese “straordinarie” sono quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, non rientrano nell’ordinaria gestione della vita dei figli. L’inclusione forfettaria di queste spese nell’assegno di mantenimento potrebbe, infatti, violare i principi di proporzionalità e adeguatezza del mantenimento, a discapito della prole (Cassazione n. 1562/2020).

Ai fini giuridici, è stata operata infatti una distinzione tra:

  • esborsi per bisogni ordinari che consistono nelle spese certe e prevedibili, che integrano l’assegno di mantenimento e sono azionabili in base al titolo originario (es. sentenza), con un calcolo puramente aritmetico;
  • spese imprevedibili e rilevanti che sono invece quelle che, per il loro ammontare e per l’imprevedibilità, richiedono un’autonoma azione di accertamento, rispettando l’adeguatezza alle esigenze del figlio e la proporzionalità del contributo del genitore (Cassazione n. 379/2021).

La Cassazione ricorda inoltre che il genitore collocatario non è obbligato a concordare preventivamente ogni spesa straordinaria, ma solo le “decisioni di maggiore interesse” (art. 337-ter c.c.). Negli altri casi, l’altro genitore è tenuto al rimborso, salvo validi motivi di dissenso (Cassazione n. 15240/2018).

Mancato pagamento spese straordinarie reato

Questi principi civilistici sulle spese straordinarie risultano applicabili anche in sede penale. Pertanto, il reato di cui all’art. 570-bis c.p. è integrato anche dal mancato pagamento delle spese straordinarie, sia quelle certe e prevedibili che integrano l’assegno, sia quelle imprevedibili ma indispensabili per l’interesse dei figli, purché previste da un titolo giudiziario o da un accordo tra i coniugi. L’art. 570-bis c.p. fa riferimento del resto non solo all’assegno, ma in generale agli obblighi di natura economica in materia di affido dei figli, nei quali rientrano anche le spese straordinarie, essenziali per garantire il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli come previsto dall’art. 147 c.c.

 

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moglie tradita

Risarcimento di 10.000 euro per la moglie tradita Moglie tradita: spetta il risarcimento del danno non patrimoniale di 10.000 euro per le umiliazioni e le mortificazioni

Risarcimento del danno per la moglie tradita

Alla moglie tradita, umiliata e mortificata a causa del tradimento del marito con una allieva della scuola di danza, che gestivano insieme, spetta un risarcimento del danno di 10.000 euro, quantificato in via equitativa. Lo ha deciso il Tribunale di Treviso nella sentenza n. 201/2025.

Moglie tradita: domanda di separazione con addebito

Una donna agisce in giudizio, vantando una richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti del suo ex marito. La coppia, sposatasi il 25 agosto 2007, dopo anni di frequentazione, condivideva una passione comune per la danza che li ha portati a fondare insieme una società sportiva di successo. Nel periodo tra settembre e novembre 2011 però, la donna scopre, visionando il cellulare del marito, che questi intratteneva una relazione extraconiugale con un’allieva della loro scuola di ballo. Circostanza ammessa dal marito nel momento in cui la moglie rinviene un biglietto inequivocabile scritto dall’amante. Nonostante le rassicurazioni del marito e il tentativo di salvare il matrimonio, la relazione extraconiugale prosegue anche nei primi mesi del 2012. A questo punto la moglie decide di abbandonare la casa coniugale nell’ottobre 2012 e avviare un giudizio di separazione con addebito.

Richiesta risarcitoria della moglie tradita

La sentenza di separazione, pubblicata il 19 febbraio 2019, riconosce la colpa in capo al marito, ma dichiara inammissibile la domanda risarcitoria in quella sede. La donna si rivolge quindi al Tribunale per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale subito, proponendo una liquidazione basata sulle tabelle milanesi in tema di danno da perdita del vincolo parentale o di diffamazione, da applicare per analogia.

Nessun risarcimento in assenza di danno

Il marito, costituitosi in causa, contesta la domanda risarcitoria. Per l’uomo la violazione del dovere di fedeltà non è sufficiente a giustificare un risarcimento del danno aquiliano. Occorre piuttosto che la lesione riguardi un diritto costituzionalmente garantito e che l’afflizione superi la soglia della normale tollerabilità. Tali presupposti però non sono ravvisabili nel caso di specie. Le parti hanno infatti alternato periodi di separazione di fatto. La moglie inoltre, già nel 2013, ha instaurato una relazione e una convivenza con un socio finanziatore della sua nuova attività imprenditoriale nel settore della danza. Circostanza questa che escluderebbe la violazione di un diritto alla salute. La moglie ha infatti dimostrato di saper riorganizzare sia la propria vita sentimentale che lavorativa. L’uomo nega inoltre che la sua condotta possa aver violato i diritti soggettivi della moglie come l’onore e la dignità personale, perché la relazione non è stata condotta in modo pubblico o ostentato. Per quanto riguarda il quantum del risarcimento infine, l’uomo ritiene del tutto sproporzionati i parametri scelti dall’attrice e non applicabili per analogia al loro caso.

Risarcimento danni non patrimoniali

Il Tribunale, istruita la causa, si pronuncia in favore della moglie sul diritto al risarcimento.

Il Giudice richiama a tale fine l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità per la quale la violazione del dovere di fedeltà coniugale può dar luogo a risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 c.c. Occorre però che l’afflizione superi la soglia della tollerabilità e si traduca nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto (salute, onore, dignità personale).

Nel caso specifico, il Tribunale ritiene integrati tali presupposti. Il tradimento, peraltro reiterato anche dopo le rassicurazioni dell’uomo di voler interrompere la relazione, si è verificato in un momento in cui la coppia aveva consolidato una solida progettualità, non solo attraverso la società di danza, ma anche con il comune desiderio di avere un figlio, come emerso dalla sentenza separativa.

Moglie tradita, umiliata e mortificata

Il Tribunale evidenzia come le modalità del tradimento abbiano provocato umiliazione e mortificazione alla donna. La relazione extraconiugale è infatti maturata nell’ambiente lavorativo della scuola di danza, con un’allieva verso cui l’uomo mostrava attenzioni particolari, notate dagli altri allievi e che hanno favorito il “vociferare nel corridoio” e il “malevolo pettegolezzo”. Le voci sulla relazione hanno circolato inoltre, non solo tra gli allievi, ma anche tra insegnanti di altre scuole. Un episodio significativo si è poi verificato durante una competizione all’estero. In questa occasione l’uomo è stato sorpreso in atteggiamenti intimi con l’allieva in presenza di altri allievi. Fatto questo che ha alimentato ulteriormente il chiacchiericcio.

Queste condotte, ritenute dal Tribunale superiori alla normale tollerabilità, hanno generato “strepitus”, curiosità e maldicenza di terzi. Questi fatti hanno ferito indubbiamente l’onore, il decoro, la stima professionale, la riservatezza e la privacy della donna, che ha vissuto momenti di depressione, tristezza e umiliazione, con innegabile pregiudizio morale.

Risarcimento del danno di 10.000 euro

Il Tribunale respinge però i parametri risarcitori proposti dall’attrice. Va infatti esclusa l’equiparazione del tradimento alla lesione del vincolo parentale o alla diffamazione a mezzo stampa, data la diversità dei presupposti costitutivi.

Il criterio risarcitorio da adottare è quello equitativo, ai sensi dell’articolo 1226 c.c, tenuto conto che:

  • il discredito subito dalla donna va circoscritto all’ambito lavorativo;
  • la lesione dei diritti soggettivi non le ha impedito di instaurare una nuova relazione sentimentale e di fondare una nuova scuola di danza con il compagno finanziatore;
  • il patimento e la tristezza sono durati circa due mesi.

Alla luce di tutti questi aspetti il Tribunale quantifica in € 10.000,00 il risarcimento dovuto alla moglie tradita.

 

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difensori d'ufficio

Difensori d’ufficio: lo Stato paga anche il recupero crediti La Cassazione riconosce il diritto al rimborso delle spese di recupero crediti per i difensori d’ufficio: lo Stato deve coprire anche questi costi

Difensori d’ufficio e costi recupero credito

Difensori d’ufficio: la Cassazione, con ordinanza n. 14179/2025, ha affermato che lo Stato è tenuto a rimborsare anche le spese sostenute dall’avvocato d’ufficio per l’attività di recupero del credito. A condizione che tali spese siano documentate e riconducibili alla procedura avviata per ottenere il pagamento del compenso professionale. Resta invece legittima la compensazione delle spese se la domanda è articolata in più capi e il ricorrente risulti soccombente in uno di questi.

La vicenda

La controversia trae origine dal ricorso di un avvocato avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano che, pur riconoscendo il compenso per l’attività svolta come difensore d’ufficio in un procedimento penale, aveva escluso il rimborso delle spese connesse alla fase di recupero del credito.

Il legale aveva adito il Palazzaccio, censurando la decisione del Tribunale e sostenendo che quest’ultimo avesse erroneamente escluso l’esistenza di spese vive, in quanto l’attività di recupero era stata svolta in proprio e ritenuta priva di oneri fiscali e tributari.

Il principio espresso dalla Cassazione

Accogliendo il primo motivo del ricorso, la seconda sezione civile della S.C. ha ritenuto che il Tribunale si fosse discostato dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il difensore d’ufficio non può essere gravato delle spese necessarie al recupero del proprio credito. Tali costi, infatti, rientrano tra quelli che devono essere rimborsati dall’Erario, poiché connessi all’attività difensiva svolta nell’interesse del soggetto assistito.

Difensori d’ufficio e compensazione delle spese

È stato invece respinto il secondo motivo di ricorso, volto a contestare la compensazione delle spese disposta dal Tribunale. La Corte ha precisato che, nel caso in esame, la domanda era strutturata in due capi distinti. Uno relativo al pagamento del compenso professionale, l’altro al rimborso delle spese sostenute per ottenerne il riconoscimento. Pertanto, avendo il ricorrente ottenuto accoglimento solo parziale, la decisione di compensare le spese è da ritenersi conforme ai principi processuali vigenti. Non in contrasto, dunque, con la pronuncia delle Sezioni unite n. 32061/2022, invocata dal ricorrente.

L’esito del giudizio

Nel merito, la Cassazione ha quindi cassato l’ordinanza impugnata e liquidato in favore del ricorrente la somma di 500 euro a titolo di rimborso per le spese di recupero del credito, condannando al versamento il ministero della Giustizia, confermando, tuttavia, la compensazione delle spese.

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guida senza patente

Guida senza patente: multa al genitore che non vigila sul figlio Cassazione: genitore multato (con sanzione da oltre 5mila euro) per omessa vigilanza sul figlio minorenne che guida una moto senza patente

Guida senza patente

Guida senza patente: con l’ordinanza n. 14000/2025, la Seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio chiave in materia di responsabilità genitoriale per illecito amministrativo: quando un minore guida un motociclo senza patente, il genitore può essere sanzionato per culpa in vigilando, a meno che non dimostri di aver fatto tutto quanto possibile per impedire la condotta.

Minorenne alla guida di una moto senza patente

Il caso trae origine da un ricorso proposto da un genitore, destinatario di una sanzione amministrativa da 5.110 euro per la violazione dell’art. 116, commi 15 e 17, del Codice della Strada. Il verbale era stato elevato dalla Polizia Stradale di Lecce, dopo aver accertato che il figlio minorenne aveva condotto una Honda 150 cc pur essendo privo di patente, mai conseguita.

Secondo gli agenti, il genitore, pur non autorizzando esplicitamente il comportamento del figlio, non avrebbe esercitato una vigilanza adeguata, incorrendo così nella responsabilità diretta prevista dall’articolo 2 della legge n. 689/1981.

Il percorso giudiziario

La contestazione è stata inizialmente respinta dal Giudice di Pace di Lecce (sentenza n. 2772/2020) e successivamente confermata dal Tribunale, che ha ribadito come il genitore fosse tenuto a impedire materialmente al minore di mettere in atto la condotta illecita. Non è sufficiente, infatti, una vigilanza astratta o generica: è richiesta una condotta attiva e preventiva, volta ad evitare ogni rischio di infrazione.

Cassazione: responsabilità salvo prova contraria

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14000 del 2025, ha confermato integralmente le decisioni di merito, specificando che la responsabilità genitoriale per le sanzioni pecuniarie comminate ai figli minorenni è presunta, personale e diretta, e può essere esclusa solo se si fornisce una prova rigorosa dell’impossibilità di impedire l’evento.

In altre parole, il genitore può evitare la multa solo se dimostra, con elementi concreti, di avere:

  • esercitato un controllo continuo e adeguato sul figlio;

  • adottato tutte le misure ragionevoli per impedirgli l’uso del veicolo;

  • non avuto in alcun modo la possibilità concreta di impedire l’infrazione.

Nel caso di specie, tali requisiti non risultavano soddisfatti, e la multa è stata ritenuta legittima.

Culpa in vigilando

La decisione si fonda su un principio consolidato: in caso di illeciti stradali commessi da minorenni, i genitori rispondono non come meri garanti astratti, ma in quanto obbligati a una vigilanza attiva e continua, soprattutto in situazioni ad alto rischio come l’utilizzo di veicoli a motore. La culpa in vigilando, in ambito amministrativo, comporta dunque una responsabilità autonoma, che può derivare anche da comportamenti omissivi.

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addebito della separazione

Addebito della separazione al marito che disprezza  la moglie Addebito della separazione al marito che quotidianamente e in presenza di terze persone dimostra disprezzo nei confronti della moglie

Marito sprezzante: addebito della separazione

Sull’addebito della separazione al marito della coppia separata la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12799/2025 dichiara di condividere le conclusioni dei giudici di merito. Dalle prove emerse nel giudizio di primo e di secondo grado è emerso infatti che la fine del matrimonio è attribuibile solo al marito. Costui, anche in presenza di terzi, ha infatti sempre palesato il proprio disprezzo nei confronti della moglie.

Addebito della separazione: marito autoritario

Il Tribunale di Milano  pronuncia la separazione personale di due coniugi, addebitandola al marito. Il marito appella la decisione, contestando l’addebito a suo carico.

Marito responsabile della fine del matrimonio

La Corte d’Appello di Milano però conferma la decisione di primo grado su questo punto. Per l’autorità giudiziaria la condotta dell’uomo verso la moglie è stata sempre autoritaria e quotidianamente sprezzante. È proprio questo comportamento ad aver compromesso irrimediabilmente l’unione matrimoniale. La testimonianza della cognata ha confermato questa tesi, confermando il continuo disprezzo del marito nei confronti della coniuge. La Corte ha anche evidenziato che il marito ha costretto la figlia e il suo compagno a lasciare un appartamento di sua proprietà dopo un litigio con la moglie. Ragione per la quale la donna ha abbandonato la casa coniugale per trasferirsi altrove. Per la Corte è quindi indubbio che la responsabilità della fine del matrimonio sia da attribuire interamente all’uomo. Il marito però non accetta queste conclusioni e per questo ricorre in Cassazione.

Contestazioni all’addebito della separazione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 151 c.c., la nullità della sentenza per mancata pronuncia su una specifica domanda, l’assenza dei presupposti per l’addebito a suo carico, l’errata lettura e valutazione delle dichiarazioni testimoniali e dei documenti e la mancata pronuncia sulla domanda di addebito formulata nei confronti della moglie.

Omessa pronuncia su addebito separazione alla moglie

Il ricorrente lamenta in particolare che la sentenza avrebbe omesso di pronunciarsi sulla sua domanda di addebito contro la moglie. Detta richiesta tra l’altro, ampiamente argomentata e supportata da documentazione (anche medica), avrebbe offerto una valutazione delle dichiarazioni testimoniali non coerente, ritenendo attendibile, nonostante le contraddizioni, la testimonianza della figlia, rancorosa nei confronti del padre per la questione dell’appartamento. Sottolinea anche l’omessa valutazione di altre testimonianze. Si duole infine della mancata risposta alla sua domanda di addebito, fondata sul rifiuto della moglie di accompagnarlo a un intervento chirurgico, sugli insulti e le invettive a lui rivolte, e sulla violenza fisica perpetrata dalla moglie dopo il suo intervento al cuore.

Abbandono del tetto coniugale della moglie

L’uomo evidenzia inoltre che la moglie aveva appoggiato la figlia nella disputa sull’appartamento, assumendo un contegno offensivo, allontanandolo dal letto coniugale e abbandonandolo a sé stesso. Afferma infine di essere stato vittima di aggressione fisica e verbale da parte della moglie nonostante fosse convalescente da un intervento di bypass coronarico, circostanza che lo aveva costretto a recarsi al Pronto Soccorso.

Provate le continue condotte sprezzanti

La Corte di Cassazione nel pronunciarsi sul motivo incentrato sulla contestazione dell’addebito della separazione, lo dichiara inammissibile. Per gli Ermellini, in relazione all’addebito della separazione a carico della moglie, il ricorrente si è limitato a fornire una diversa valutazione degli esiti istruttori, il che non è sindacabile in sede di legittimità, essendo il giudizio sui fatti riservato al giudice di merito. La denuncia dell’omessa pronuncia sulla domanda di addebito da parte della Corte d’Appello non supera la soglia di ammissibilità. Il ricorrente non ha precisato il contenuto esatto della domanda formulata in primo grado e in appello.

Addebito della separazione: marito unico responsabile

In ogni caso, la Corte d’Appello ha ritenuto la responsabilità esclusiva del marito per la fine dell’unione, rigettando implicitamente la domanda di addebito formulata dal marito. Per questo non si configura vizio di omessa pronuncia. Per il resto, il motivo si risolve in censure di merito, inammissibili in sede di legittimità. Del resto, la valutazione delle prove e l’esame dei documenti sono attività riservate al giudice di merito, le cui conclusioni non sono sindacabili in Cassazione se adeguatamente motivate. La Corte ha ritenuto provate le condotte quotidianamente disprezzanti del marito nei confronti della moglie, sufficienti ad addebitare la separazione, il ricorrente invece ha semplicemente contrapposto una sua diversa valutazione.

 

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Formweb

Formweb, il portale per gli avvocati Processo amministrativo telematico: arriva Formweb, il portale per gli avvocati e i collaboratori per il deposito degli atti

Processo amministrativo telematico: Formweb

Il processo amministrativo telematico compie un altro passo in avanti. È stato introdotto infatti il “Formweb”, un nuovo portale, il cui funzionamento è stato dettagliato nel decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 109, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 maggio 2025.

Il decreto è in vigore dal 20 maggio 2025 e dal 1° giugno 2025 sarà possibile accedere al fascicolo informatico con identità digitale.

In alcuni uffici inizierà una fase sperimentale del Formweb. Il suo impiego a regime diventerà obbligatorio dal 1° febbraio 2026 per il deposito degli atti.

Fino al 31 gennaio 2026, presso tutti i Tribunali amministrativi regionali e il Consiglio di Stato, continueranno pertanto a valere le vecchie regole di deposito, ossia a mezzo PEC e con upload.

Formweb: come funziona

Formweb consiste, nello specifico, in un’interfaccia web per il deposito guidato di atti e documenti. Esso genera un “Riepilogo Deposito Formweb” da sottoscrivere digitalmente.

I depositi sono tempestivi e vengono documentati con la ricevuta automatica del portale che deve essere generata entro le 24 del giorno di scadenza.

PAT: accesso a Formweb e responsabilità

Avvocati, parti e collaboratori dei difensori potranno accedere al portale Formweb. L’accesso dovrà avvenire tramite identità digitale (SPID, CIE, CNS). Da segnalare l’importante novità rappresentata dall’estensione ai collaboratori. La responsabilità esclusiva per i depositi resta però del difensore.

Depositi cartacei: come funziona

Il deposito cartaceo sarà ancora consentito, ma solo per eccezionali ragioni tecniche come il malfunzionamento del sistema informatico, l’incompatibilità dei documento con il SIGA e casi particolari previsti dalla normativa. Non costituiscono eccezione però le dimensioni dei documenti per l’upload, a meno che il file non possa essere diviso o compresso.

Evoluzione del processo amministrativo telematico

Il processo amministrativo è telematico dal 2017. Con Formweb si fa un ulteriore passo in avanti nel superare il sistema PEC e upload. Il nuovo portale presenterà l’indubbio vantaggio di semplificare gli adempimenti, in base all’obiettivo espresso dal nostro legislatore.

procedimento disciplinare

Avvocati: ok cancellazione durante il procedimento disciplinare La Consulta dichiara incostituzionale il divieto di cancellazione dall'albo degli avvocati durante il procedimento disciplinare

Cancellazione avvocati procedimento disciplinare

Con la sentenza n. 70 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma contenuta nella legge professionale forense che vieta all’avvocato sottoposto a procedimento disciplinare di richiedere la cancellazione dall’albo professionale.

Libertà professionale e autodeterminazione

La questione è sorta nell’ambito di un giudizio dinanzi alle Sezioni unite della Cassazione, relativo al rigetto da parte del Consiglio dell’Ordine dell’istanza di cancellazione presentata da un avvocato affetto da gravi patologie, per via della pendenza di più procedimenti disciplinari a suo carico.

La Corte ha chiarito che il divieto di cancellazione, pur finalizzato a impedire che la rinuncia all’iscrizione possa neutralizzare l’efficacia dell’azione disciplinare, comprime in modo eccessivo diritti costituzionali fondamentali:

  • la libertà di autodeterminazione (art. 2 Cost.),

  • il diritto al lavoro e alla sua cessazione o trasformazione (art. 4 Cost.),

  • e il principio di proporzionalità (art. 3 Cost.).

In particolare, la norma ostacola la possibilità di accedere a prestazioni previdenziali o assistenziali che richiedono la cancellazione, e limita la libertà di avviare una diversa attività lavorativa non compatibile con la permanenza nell’albo.

Nessuna giustificazione per la compressione dei diritti

La Consulta ha ritenuto che, pur essendo legittimo l’obiettivo di garantire l’azione disciplinare, questo può essere perseguito attraverso strumenti meno invasivi. L’attuale disposizione non è la misura meno restrittiva dei diritti fondamentali e, pertanto, viola il principio di ragionevolezza e proporzionalità.

Effetti della pronuncia e ruolo del legislatore

La sentenza chiarisce che, in assenza di una disciplina sostitutiva, la cancellazione volontaria in pendenza di procedimento determina l’estinzione dello stesso. Tuttavia, l’azione disciplinare potrà essere riattivata in caso di richiesta di reiscrizione, purché non prescritta.

La Corte invita infine il legislatore a intervenire con una nuova norma che, pur salvaguardando l’efficacia dell’azione disciplinare, rispetti i diritti fondamentali dell’avvocato in linea con i parametri costituzionali.

obesità

Obesità: cosa prevede la proposta di legge Obesità: il 7 maggio la Camera ha approvato la proposta di legge per la cura e la prevenzione riconoscendola come malattia cronica

Obesità malattia cronica: ok della Camera

Il 7 maggio 2025 la Camera ha approvato la proposta di legge d’iniziativa del deputato Pella. Il testo contiene le “Disposizioni per la prevenzione e la cura dell’obesità.” Il documento normativo è ora all’esame del Senato. Esso detta i principi e le finalità per la prevenzione e la cura dell’obesità, riconoscendola come una malattia cronica, spesso correlata ad altre patologie. L’obiettivo principale della proposta consiste nel garantire la tutela della salute e migliorare le condizioni di vita dei pazienti. Il testo, composto da sei articoli, si occupa di regolamentare gli aspetti che si vanno a illustrare.

LEA e finanziamenti

Per assicurare equità e accesso alle cure, i soggetti affetti da obesità potranno accedere alle prestazioni previste dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) erogati dal Servizio Sanitario Nazionale.

La legge prevede un programma nazionale per la prevenzione e la cura dell’obesità con un finanziamento di 700.000 euro per il 2025, 800.000 euro per il 2026 e 1,2 milioni di euro annui a partire dal 2027.

Queste risorse saranno ripartite tra le regioni tramite un decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Iniziative di prevenzione e di cura dell’obesità

Le iniziative finanziate mirano a perseguire diversi obiettivi.

  • Prevenire il sovrappeso e l’obesità, in particolare infantile, e le relative complicanze, migliorando nello stesso tempo la cura delle persone obese.
  • Sostenere e promuovere l’allattamento al seno, evidenziandone il ruolo nella prevenzione dell’obesità infantile e promuovendone la continuità almeno fino al sesto mese di età, anche nei luoghi di lavoro e negli asili nido.
  • Responsabilizzare i genitori nella scelta di un’alimentazione equilibrata per i figli, limitando il consumo di alimenti e bevande con un alto apporto energetico e con uno scarso valore nutrizionale.
  • Agevolare l’inserimento delle persone affette da obesità nelle attività scolastiche, lavorative e sportivo-ricreative.
  • Promuovere le attività sportive e la conoscenza delle regole alimentari nelle scuole primarie e secondarie per migliorare lo stile di vita degli studenti.
  • Avviare iniziative didattiche extracurriculari per l’attività sportiva e per la consapevolezza di un corretto stile di vita, nel rispetto dell’autonomia scolastica.
  • Trasmettere campagne di informazione tramite i mass media e le reti di prossimità (enti locali, farmacie, medici di medicina generale, pediatri) per diffondere regole semplici ed efficaci per un corretto stile di vita.
  • Educare sulla corretta profilassi dell’obesità e del sovrappeso.
  • Promuovere la conoscenza dei centri per i disturbi alimentari e per l’assistenza alle persone con obesità, per favorirne l’accesso anche in via preventiva.

Obesità: formazione e aggiornamento 

La proposta prevede una spesa di 400.000 euro annui a partire dal 2025 per promuovere la formazione e l’aggiornamento in materia di obesità e sovrappeso. I fondi sono destinati a studenti universitari, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e personale del Servizio Sanitario Nazionale coinvolto nei processi di prevenzione, diagnosi e cura.

Un decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca, stabilirà in seguito le misure per l’attuazione di tale formazione entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge.

Osservatorio per lo studio dell’obesità (OSO)

La proposta di legge vuole istituire, presso il Ministero della Salute, l’Osservatorio per lo studio dell’obesità (OSO).

Entro tre mesi, il Ministro della Salute definirà la composizione dell’OSO, che includerà rappresentanti del Ministero della Salute, del Ministero dell’Istruzione e del Merito, e delle società scientifiche più rappresentative nelle discipline della nutrizione e dell’alimentazione, il tutto a titolo gratuito. L’OSO avrà i seguenti compiti:

  • contribuire alla redazione del programma nazionale di prevenzione e di cura previsto dall’articolo 3;
  • verificare l’attuazione degli obiettivi e delle azioni previsti dal programma da parte delle regioni e delle province autonome.
  • svolgere attività di monitoraggio, di studio e di diffusione di stili di vita corretti.

L’Osservatorio opererà con le strutture e il personale già in dotazione al Ministero della Salute. Questo non comporterà nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Il Ministro della Salute presenterà annualmente alle Camere una relazione aggiornata sui dati epidemiologici e diagnostico-terapeutici acquisiti dall’OSO e sulle nuove conoscenze scientifiche sull’obesità.

Informazione e disposizioni finanziarie

Il Ministero della Salute dovrà individuare, promuovere e coordinare azioni di informazione, sensibilizzazione ed educazione. La finalità è di sviluppare la conoscenza di un corretto stile di alimentazione e nutrizione, favorire l’attività fisica e contrastare la sedentarietà. Queste azioni saranno realizzate anche attraverso le amministrazioni locali, gli istituti scolastici, le farmacie, i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e le reti socio-sanitarie di prossimità. Per queste attività è autorizzata una spesa di 100.000 euro annui a decorrere dal 2025.

Leggi anche l’articolo dedicato alla Sugar tax, la tassa sulle bevande zuccherate che mira a contrastare l’obesità