giurista risponde

Obbligo motivazione osservazioni piano regolatore Sussiste l’obbligo di puntuale motivazione sulle osservazioni del privato su un piano regolatore in itinere?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, le osservazioni e le opposizioni presentate dai privati al piano regolatore generale in itinere, costituendo un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento, non richiedono, da parte dell’Amministrazione competente, l’assolvimento di un obbligo puntuale di motivazione. – Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 2023, n. 1316. 

Le osservazioni dei privati al piano regolatore generale in itinere, non richiedono, da parte dell’Amministrazione competente, l’assolvimento di un obbligo puntuale di motivazione.

Ed invero, la loro congruità può essere desunta anche dai criteri orientativi, formalizzati nella relazione illustrativa del piano, in riferimento alle scelte di destinazione urbanistica delle singole aree.

In propositivo, le scelte di pianificazione sono, in linea di principio, espressione di valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. IV, 2 gennaio 2023, n. 21; Id., 11 settembre 2012, n. 4806;
Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854;
Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 1998, n. 437
giurista risponde

Requisiti ammissibilità ricorso collettivo Quali sono i requisiti di ammissibilità del ricorso collettivo?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

L’allegazione di tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere la pretesa. – Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2023, n. 1775.

Preliminarmente, costituisce onere dei ricorrenti che vogliono avvalersi della forma del ricorso collettivo, indicare e allegare tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere la pretesa, domandando al giudice di accertare in concreto la sussistenza dei fatti dedotti.

Deve, invece, ritenersi inammissibile il ricorso collettivo che nulla dice in ordine alle specifiche condizioni di legittimazione e di interesse di ciascun singolo ricorrente, in quanto ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l’omogeneità delle loro posizioni e la concreta fondatezza della domanda.

Come è noto, infatti, due sono i requisiti di ammissibilità del ricorso: uno positivo, costituito dalla identità di posizioni sostanziali e processuali in rapporto a domande giudiziali fondate sulle stesse ragioni difensive; l’altro, negativo, costituito dall’assenza di un conflitto di interessi, anche solo potenziale tra le parti.

Orbene, nel processo amministrativo, per stabilire l’ammissibilità del ricorso collettivo, è necessario verificare l’identità delle situazioni sostanziali e processuali, ossia, accertare che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi e che non ci sia confliggenza degli interessi dei singoli.

Ciò premesso, i Giudici hanno enunciato che: “Nel caso in cui il ricorso collettivo nulla specifichi in ordine alle specifiche condizioni di legittimazione e di interesse di ciascuno dei ricorrenti, ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l’omogeneità della loro posizione e la concreta fondatezza della domanda”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2022, n. 6913;
Cons. Stato, sez. VI, 2 aprile 2021, n. 1793; Id., 30 marzo 2021, n. 573;
Id., 15 gennaio 2021, n. 478; Cons. Stato, sez. III, 12 giugno 2020, n. 3499
giurista risponde

Affidabilità operatore economico e self cleaning Quali sono i requisiti di affidabilità di un operatore economico e i comportamenti che la stazione appaltante deve tenere anche in considerazione delle misure di self cleaning?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

La stazione appaltante ha il dovere di verificare la permanenza dei requisiti e dell’affidabilità dell’operatore economico. – Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2023, nn. 1790 e 1791.

Il Consiglio di Stato ha statuito che:La stazione appaltante ha il dovere di verificare la permanenza dei requisiti, in presenza di fatti sopravvenuti, astrattamente idonei ad incidere sull’affidabilità dell’operatore economico che è risultato aggiudicatario. La verifica de qua, eseguita d’ufficio o su sollecitazione di un altro operatore economico interessato ad un ipotetico scorrimento, è espressione dell’esercizio di un potere amministrativo, che si innesta in connessione con la procedura di affidamento. Questo comporta la riconducibilità della controversia alla giurisdizione esclusiva, atteso che le controversie relative alla fase successiva all’aggiudicazione, ma precedenti alla stipulazione del contratto, esulano dalla giurisdizione del giudice ordinario, al quale sono devolute le controversie relative all’esecuzione del rapporto.

Nel caso di specie vi è stata un’attività di verifica, sfociata nell’adozione di un provvedimento di archiviazione, che si colloca, dal punto di vista temporale, tra l’aggiudicazione e la stipula della convenzione, con la conseguenza che l’esercizio del potere speso dalla stazione appaltante rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ciò premesso, i Giudici evidenziano che, la stazione appaltante – nel valutare il grave errore professionale comportante l’esclusione dalla gara – deve compiere una verifica su due livelli: i) deve qualificare il comportamento pregresso dell’operatore economico, con riferimento alla sua idoneità e affidabilità nei rapporti con l’Amministrazione; ii) (successivamente) deve verificare se il giudizio negativo sia predicabile anche in merito alla procedura di gara in itinere.

Tale valutazione dell’affidabilità in senso storico dovrà poi essere declinata in concreto, con riferimento alle circostanze di fatto, tra le quali rientrano le misure di self cleaning assunte dall’operatore economico.

Ed invero, tali misure rientrano nel prudente apprezzamento della stazione appaltante che dovrà tener conto delle misure di self cleaning adottate in corso di procedura e la loro idoneità o meno a garantire l’affidabilità dell’operatore economico.

Risulta, pertanto, dall’interpretazione dell’art. 57, comma 6, della direttiva 24/2014/UE, particolarmente importante l’affidabilità dell’operatore economico.

Invece, rientra nell’ambito della discrezionalità della P.A. – ed è sindacabile ai soli fini di un eventuale riesame – la valutazione circa la ricorrenza delle cause facoltative di esclusione dalle gare pubbliche.

Nel caso di specie, i Giudici del Consiglio di Stato hanno ritenuto che: “L’applicazione delle misure di self cleaning ai procedimenti di gara ancora pendenti sarebbe rigorosamente osservante dei principi comunitari di proporzionalità, del favor partecipationis e di concorrenza”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864;
Cons. Stato, sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1248;
Cons. Stato, sez. V, 5 febbraio 2021, n. 505;
Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967;
Cons. Stato, Ad. plen., 28 agosto 2020, n. 16
giurista risponde

Cauzione provvisoria appalti e automatismo La cauzione provvisoria negli appalti pubblici è connotata da automatismo?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

La V Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione. – Cons. Stato, sez. V, ord., 28 febbraio 2023, n. 2033.

Primariamente all’analisi della questione va rilevato che nel settore dei contratti pubblici sono presenti le seguenti garanzie: cauzione, polizza fideiussoria e contratto autonomo di garanzia.

Il Codice degli appalti, infatti, identifica una serie di garanzie che l’operatore economico deve prestare a favore della stazione appaltante al fine di partecipare ad una selezione e conseguentemente eseguire un contratto pubblico.

L’obiettivo è quello di assicurare il rispetto delle norme con riguardo alla realizzazione dell’opera e alle possibili inadempienze che possono pregiudicare l’incolumità.

Il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione pregiudiziale inerente alla cauzione provvisoria e se questa possa essere colpita a prescindere rispetto all’applicazione anche di altre sanzioni, in particolare: “Se gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’art. 4, protocollo 7, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’art. 6 del TUE, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli articoli 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a norme interne (artt. 38, comma 1, lett. f), 48 e 75 del D.Lgs. 163/2006) che prevedano l’applicazione della sanzione d’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di servizi, benché il medesimo operatore economico sia stato già destinatario, in relazione alla medesima ed unitaria condotta, di altra sanzione definita a seguito di apposito procedimento attivato ad opera di altra competente Autorità del medesimo Stato membro”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, ord. 20 ottobre 2014, n. 5167; Id., ord. 9 ottobre 2014, n. 5030; Id., ord. 9 luglio 2014, nn. 3496, 3497, 3498 e 3499
giurista risponde

Interdittiva antimafia libero professionista Un libero professionista può essere colpito da interdittiva antimafia anche se sono intercorsi dei rapporti professionali con un Comune sciolto per mafia?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, in quanto la disciplina si applica tassativamente alle categorie previste dalla normativa, senza possibilità di analogie. – Cons. Stato, sez. III, 2 marzo 2023, n. 2212.

I Giudici di Palazzo Spada confermano l’impossibilità per la persona fisica, libero professionista che non riveste la qualità di titolare di impresa o di società, di essere destinatario di una interdittiva antimafia.

I liberi professionisti risultano non assoggettabili alla disciplina dell’istituto, prevista dagli artt. 83 e 91 del D.Lgs. 159/2011, proprio in quanto non tassativamente individuati dalla disposizione.

Si conclude, pertanto che, i soggetti che non siano imprenditori sono tassativamente esclusi dall’ambito applicativo dell’interdittiva antimafia, quale che sia il valore o l’oggetto del contratto.

giurista risponde

Rapporti giustizia amministrativa e giustizia sportiva Quale il rapporto intercorrente tra giustizia amministrativa e giustizia sportiva e il relativo diritto di accesso documentale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Nell’ordinamento sportivo non vi è una puntuale disciplina di tutela dell’accesso; pertanto, non sussiste pregiudizialità. – TAR Lazio, sez. Iter, 6 marzo 2023, n. 3693. 

I Giudici ricordano che la legittimazione all’accesso deve distinguersi dalla legittimazione processuale, in quanto il fine dell’accesso tutela non solo le esigenze difensive del richiedente ma il più generale obbligo di trasparenza dell’azione amministrativa.

Ed invero, anche quando l’accesso è finalizzato ad esigenze difensive, come nel caso di specie, l’autonomia della relativa situazione giuridica postula e comporta una completa distinzione tra la giurisdizione sul diritto di accesso e la giurisdizione sulla situazione giuridica sottostante da tutelare in un processo pendente o eventualmente da instaurare. In proposito, rileva verificare se l’azione autonoma sia o meno soggetta al vincolo di pregiudizialità sportiva.

Occorre, dunque, prendere le mosse dell’art. 3 della L. 280/2003, che stabilisce che è possibile adire il giudice amministrativo solo dopo aver esaurito i gradi della giustizia sportiva.

In particolare, l’articolo citato individua quali condizioni ai fini del riconoscimento di una pregiudizialità sportiva: la residualità dell’azione esperita e il definitivo esaurimento di tutti i gradi della giustizia sportiva.

Tali presupposti risultano assenti nel caso dell’azione di accesso difensivo.

Il Collegio di Garanzia ha evidenziato la mancanza di una puntuale disciplina di tutela dell’accesso nell’ordinamento sportivo.

È necessario ricordare che, ai sensi dell’art. 111 Cost., per ragioni di certezza e di giusto processo, la pregiudizialità va ancorata a dati normativi precisi, che nel caso di specie non sussistono.

Pertanto, in assenza di una disciplina puntuale dell’accesso difensivo, in materia di ordinamento sportivo non vi è pregiudizialità sportiva.

Rileva, inoltre, verificare la natura dell’atto di cui si chiede l’accesso, ossia se sia qualificabile come documento ai sensi della L. 241/1990. Il Collegio ricorda la nozione di documento amministrativo, ai sensi della lett. d), dell’art. 22, L. 241/1990, secondo la quale per documento si intende “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una specifica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.

Conseguentemente, la nozione di documento amministrativo suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale è ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla Pubblica Amministrazione.

Da quanto sin qui esposto, il TAR Lazio ha dichiarato illegittima la declaratoria di competenza all’ostensione dell’atto richiesto.

 

giurista risponde

Potere sanzionatorio AGCM Quale il potere dell’autorità garante della concorrenza e del mercato nel procedimento sanzionatorio?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Nel procedimento sanzionatorio condotto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato non trova applicazione l’art. 240 c.p.p. sui documenti anonimi, che risulteranno utilizzabili se valutati con maggior rigore. – TAR Lazio, sez. I, 6 marzo 2023, n. 3699.

I Giudici hanno affermato che: “La responsabilità solidale tra due società per un illecito antitrust, laddove sussista una situazione di controllo maggioritario – c.d. parental control liability –, è configurabile limitatamente ai fatti successivi all’acquisto della partecipazione”.

Con riguardo al caso di specie, è stata esclusa la responsabilità solidale della società controllante per fatti commessi dalla controllata antecedentemente l’acquisto del controllo.

L’importo supplementare previsto dalle Linee guida sulla modalità di applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, c.d. entry fee, è finalizzato a inspessire l’effetto deterrente della sanzione e necessita che l’Autorità motivi adeguatamente l’esigenza di tale rinforzo.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2022, n. 3572; Id., 27 dicembre 2021, n. 8613
giurista risponde

Mobbing verticale e maltrattamenti A quali condizioni il cosiddetto “mobbing verticale” rientra nella fattispecie tipica di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p.? Quale rilevanza assume ai fini della configurazione del reato la condotta posta in essere dalla vittima?

Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Alessandra Muscatiello

 

Il licenziamento per giusta causa presuppone condotte gravemente inadempienti del lavoratore che ledono irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro e restano confinate nella relazione tra le parti private; mentre, il delitto di maltrattamenti, nella sua accezione di mobbing verticale, è un illecito penale di mera condotta, perseguibile d’ufficio, che si consuma con la abituale prevaricazione ed umiliazione commessa dal datore di lavoro nei confronti del dipendente, approfittando della condizione subordinata di questi e tale da rendere i comportamenti o le reazioni della vittima irrilevanti ai fini dell’accertamento della consumazione del delitto. – Cass. VI, 19 settembre 2023, n. 38306.

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte affronta la questione inerente alla configurabilità del delitto di maltrattamenti ad opera del datore di lavoro nei confronti della propria dipendente nell’ambito di un rapporto lavorativo sfociato nel licenziamento per giusta causa di quest’ultima. Come si evince dall’analisi della vicenda fattuale, infatti, l’imputato condannato in primo grado ma assolto dalla Corte d’Appello, aveva posto in essere una serie di vessazioni in danno di una sua dipendente all’epoca in cui questa versava in una condizione di particolare vulnerabilità stanti sia il suo stato di gravidanza e sia le difficili condizioni economiche.

Nell’accogliere il ricorso di quest’ultima, costituitasi parte civile nel processo, la Corte di Cassazione, censura la sentenza di secondo grado per un duplice ordine di ragioni.

In primis, viene cassato, sotto il profilo processuale, l’iter motivazionale che aveva condotto la Corte d’Appello a ribaltare il verdetto di primo grado. In particolare, viene ritenuta non sufficientemente motivata la sentenza di secondo grado in merito al vaglio delle risultanze istruttorie poste alla base del verdetto assolutorio. A tal riguardo, la Suprema Corte richiama, invero, il granitico orientamento ermeneutico della giurisprudenza di legittimità a mente del quale, pur non occorrendo la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in caso di ribaltamento in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, nondimeno è necessario che il giudicante del secondo grado fornisca adeguata giustificazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella svolta dal giudice di prime cure; dando altresì atto del percorso logico argomentativo che ha condotto a tale soluzione (anche Cass., Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, “Mannino”).

Sempre sotto il profilo procedurale, poi, la Suprema Corte censura la sentenza di secondo grado in merito al vaglio di attendibilità della persona offesa, nonché, in modo particolare, alla qualificazione della denuncia querela presentata da quest’ultima che la Corte d’Appello aveva svalutato, ritendendola strumentale. Sotto tale profilo, viene di fatti ribadito, sulla scorta di un risalente indirizzo interpretativo, che la condotta vessatoria integrante mobbing non è esclusa dalla formale legittimità delle iniziative disciplinari assunte nei confronti dei dipendenti mobbizzati (così Cass., sez. VI, 18 marzo 2009, n. 28553). Di talché, nessun rilievo ai fini della configurazione del delitto in esame poteva assumere la circostanza, negativamente valorizzata dal giudice di secondo grado, per cui la denuncia querela era stata proposta dalla dipendente solo a seguito del licenziamento spiccato nei suoi confronti dal datore di lavoro.

In secundis, sotto il profilo sostanziale, i giudici di Piazza Cavour affermano che mentre il licenziamento per giusta causa, collocandosi in un rapporto relazionale tra le parti private (datore-dipendente), presuppone condotte di grave inadempimento del lavoratore tali da minare il rapporto di fiducia, integra l’illecito penale di mera condotta dei maltrattamenti, nella sua accezione di mobbing verticale, la condotta tenuta dal datore nei confronti del dipendente concretantesi in atti abituali di prevaricazione ed umiliazione.

La perseguibilità d’ufficio di tale reato, del resto, supera tranchant ogni rilievo che era stato svolto dalla Corte di Appello in punto di tardività e, dunque, di strumentalità della querela; rilievo che la Suprema Corte ritiene, difatti, di censurare.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. pen., sez. VI, 18 gennaio 2023, n. 8729
giurista risponde

Turbata libertà degli incanti e concorsi P.A. Nella nozione di “gara”, oggetto della fattispecie di turbata libertà degli incanti punita ai sensi dell’art. 353 c.p., rientrano anche i concorsi per il reclutamento del personale di cui si avvale la Pubblica Amministrazione?

Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Alessandra Muscatiello

 

La lettera della legge, pur interpretata nel senso estensivo indicato dalla giurisprudenza, nondimeno restringe l’area di tutela e delimita il perimetro operativo della fattispecie di cui all’art. 353 c.p. alle sole procedure indette per la cessione di un bene ovvero per l’affidamento all’esterno della esecuzione di un’opera o della gestione di un servizio. Dunque, non vi è nessun riferimento ai concorsi per il reclutamento del personale. – Cass. VI, 24 maggio 2023, n. 38127.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la condotta di un Segretario comunale, nonché Presidente della commissione e Responsabile unico del procedimento, il quale avrebbe agevolato con collusioni e/o mezzi fraudolenti, in relazione al concorso per titoli ed esami per la copertura di un posto a tempo indeterminato e part time di istruttore direttivo, il superamento di detto concorso di una dipendente del comune, con la quale aveva, peraltro, una frequentazione anche di carattere sessuale.

In particolare, il Tribunale di prime cure, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la domanda di applicazione della custodia in carcere, applicava nei confronti dell’imputato la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio per la durata di sei mesi, in relazione al reato di cui all’art. 353 c.p. Invero, secondo il Tribunale, la nozione di “gara” richiesta dalla fattispecie incriminatrice della turbata libertà degli incanti, comprenderebbe qualsiasi procedura pubblica finalizzata alla scelta del contraente e, dunque, anche la procedura concorsuale per titoli ed esami per la copertura di un posto di istruttore direttivo in seno all’amministrazione comunale.

Avverso detta sentenza proponeva, quindi, ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato il quale, tra i motivi di ricorso, contestava la erronea qualificazione del fatto che, secondo il ricorrente, sarebbe al più sussumibile nel delitto di abuso d’ufficio previsto ai sensi dell’art. 323 c.p piuttosto che nella fattispecie contestata di turbata libertà degli incanti.

La Corte di Legittimità, chiamata a decidere al riguardo, evidenzia preliminarmente che l’intervenuto ampliamento della portata della fattispecie della turbata libertà degli incanti non discende affatto dalla genericità della descrizione del fatto da parte del legislatore, ma dalla interpretazione data nel corso del tempo dalla giurisprudenza. Infatti, la Corte di Cassazione ha ricordato che la precedente giurisprudenza di legittimità, privilegiando una operazione di tipo estensiva, ha in molteplici occasioni ritenuto che nella nozione di “gara” rientra qualsivoglia procedura di gara, anche informale o atipica, a condizione che l’avviso informale o il bando e comunque l’atto equipollente indichino previamente i criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto e i criteri in base ai quali formulare le proprie (in questo senso, Cass. 6 dicembre 2018, n. 2795). Tuttavia, con la sentenza in commento, la Corte di legittimità, discostandosi dai precedenti giurisprudenziali, ricorda che l’attività ermeneutica trova un limite nel significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore a cui il giudice non può assegnare un significato diverso da quello proprio, da quello semantico, al fine di ricercare profili ulteriori in grado di colorare in senso estensivo il perimetro dell’illecito. Ciò sulla scorta dei principi che regolano l’ordinamento giuridico tra cui quello della certezza del diritto, della tipicità della fattispecie incriminatrice nonché il principio del divieto di analogia in malam partem, da ultimo ricordato dalla Corte costituzionale con la recente sent. 98/2021.

In virtù di tali principi, la Corte di Cassazione, ritenendo fondato il ricorso, conclude che i concorsi per il reclutamento del personale non possono essere ricondotti alla fattispecie di turbata libertà degli incanti, ma al più al reato di abuso di ufficio, ove ne siano sussistenti i presupposti e ciò anche alla luce delle modifiche apportate all’art. 323 c.p. dalla L. 16 luglio 2020, n. 176.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Non constano precedenti rilevanti
Difformi:      Cass. pen., 13 aprile 2017, n. 9385
giurista risponde

Profitto nel delitto di rapina In cosa si sostanzia il profitto richiesto dall’art. 628 c.p.? Che rapporto intercorre tra le fattispecie criminose della rapina e della violenza privata, prevista e punita dall’art. 610 c.p.?

Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Alessandra Muscatiello

 

Nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in qualsiasi utilità, anche solo morale, e in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene. Non va poi trascurato che il delitto di violenza privata ha carattere generico e sussidiario e, in base al principio di specialità, resta escluso, qualora sussista il fine di procurarsi un ingiusto profitto (dolo specifico) che rende configurabile un’ipotesi delittuosa più grave, quale quella della rapina. – Cass. II, 15 settembre 2023, n. 37861.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la condotta di alcuni detenuti che, al fine di dar luogo ad una rivolta in carcere, sottraevano agli agenti di custodia, con violenza e minaccia, le chiavi delle celle, poi successivamente restituite. In particolare, l’impossessamento delle chiavi veniva determinato dal fine specifico di aprire un cancello che avrebbe consentito ai soggetti agenti di accedere alla sezione antistante e porre in essere atti di rappresaglia per vendicare l’aggressione subita qualche giorno prima da un detenuto loro concittadino.

In secondo grado, la Corte di Appello di Salerno, riformando parzialmente la sentenza resa dal Giudicante di prime cure, confermava l’affermazione di responsabilità e, dunque, il trattamento sanzionatorio nei confronti dei detenuti in ordine al reato di concorso nel delitto di rapina. Invero, il Giudice di secondo grado, aveva escluso l’ipotesi criminosa della violenza privata in luogo della configurazione del delitto di rapina, sulla scorta sia del valore patrimoniale delle chiavi sottratte agli agenti, della oggettiva utilità raggiunta, ovverosia aprire le celle, nonché dell’ingiustizia del profitto realizzato con tale spossessamento.

Avverso detta sentenza proponevano, quindi, ricorso per Cassazione i difensori degli imputati i quali, tra i motivi di ricorso, contestavano la violazione degli artt. 628 e 610 c.p. nonché il vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica della condotta ascritta agli imputati in termini di concorso nel delitto di rapina, piuttosto che in quello della violenza privata. Secondo i ricorrenti, il giudice di merito aveva ingiustificatamente trascurato di considerare che la volontà degli imputati non era affatto finalizzata ad impossessarsi della chiave come bene in sé, dunque come bene avente valore patrimoniale, ma a costringere le persone offese, ossia gli agenti della Polizia Penitenziaria, ad aprire il cancello.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, dichiarando l’infondatezza della censura relativa alla qualificazione giuridica del fatto, aderisce alla impostazione giurisprudenziale maggioritaria per la quale il requisito dell’ingiusto profitto, richiesto dalla norma di cui all’art. 628 c.p., non deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ma può concretizzarsi in qualsiasi utilità, anche non di natura economia. A tal riguardo, gli Ermellini precisano che già la giurisprudenza più risalente includeva nella definizione di profitto anche quelle cose che, se pur prive di reale valore di scambio, hanno comunque una importanza per il soggetto che le possiede, anche se non strettamente economica (così, tra le tante, Cass. 24 settembre 1976, n. 2004). Tale orientamento veniva poi ribadito anche dall’indirizzo maggioritario della giurisprudenza di legittimità in virtù del quale nel delitto di rapina il profitto può concretizzarsi in qualsiasi utilità, anche solo morale, e in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene (così, tra le tante, Cass. 14 febbraio 1990, n. 7778). Nel medesimo senso anche la recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che, in merito alla fattispecie incriminatrice del furto, con l’informazione provvisoria 7/2023, hanno stabilito che il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, può consistere anche in un fine di natura non patrimoniale. Ne consegue, dunque, che anche la rapina, che rispetto al delitto di furto presenta il quid pluris della violenza e della minaccia, può essere integrata da una condotta appropriativa tesa a perseguire un vantaggio non economico.

Oltre a quanto sin qui detto, nella decisione in commento, i Giudici di Piazza Cavour, richiamando una giurisprudenza risalente, rappresentano che il delitto di violenza privata ha carattere generico e sussidiario e, dunque, in base al principio di specialità espresso ai sensi dell’art. 15 c.p. esso soccombe rispetto al delitto di rapina, fattispecie delittuosa più grave, quando sussiste il dolo specifico di procurarsi un ingiusto profitto (così Cass. 24 ottobre 1985, n. 275).

Nel caso che occupa, infine, la Corte di cassazione specifica che a nulla rileva la circostanza, sollevata dai ricorrenti, per cui le chiavi sarebbero poi state riconsegnate agli agenti della Polizia Penitenziaria, in quanto il delitto di rapina si configura quando la persona offesa viene costretta, con violenza o minaccia, a consegnare un proprio bene, anche per l’uso meramente momentaneo, e ne perda il controllo durante l’utilizzo da parte dell’agente il quale, in tal modo, consegue l’autonoma disponibilità della cosa (così Cass. 26 febbraio 2019, n. 16819).

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. pen., 14 febbraio 1990, n. 7778